13. L'Assassino e le due notti
Socchiusi gli occhi, notando l'ombra di un letto a baldacchino. Subito compresi di essere alla Fortezza e di aver fatto solo un gran brutto sogno.
«Heliaass...» cantilenò una voce cavernosa nelle mie orecchie. La riconobbi subito e mi alzai di scatto, quasi catapultandomi fuori dalle lenzuola. Ma la mia testa venne scossa da terribili capogiri. «Fai piano piccolo assassino.» mi consigliò il Conte Alucard, con un tono di rimprovero quasi divertito, come se stesse riprendendo un bambino piccolo.
«Cosa... Cosa mi hai fatto?» mi sentii balbettare con una voce flebile. Avevo la bocca così secca che poteva spezzarsi in mille pezzi. «Cosa diavolo sei?» Lui ridacchiò e io riuscii a intravederlo fra le ciglia, steso accanto a me sulla coperta di seta rossa. Un risolino che suonò in maniera quasi sinistra.
«Dovrei chiederti io cosa sei.» mi rimbeccò, stupendomi. Spalancai gli occhi, per quanto mi era possibile. Ma di che diavolo parlava? «Il tuo sangue è così buono... E così diverso. Tu non sei umano.» riconfermò, come pensando ad alta voce. Ecco, un altro che mi diceva che ero strano. Ma che avevano tutti? Io ero umano! Da quale pulpito, poi.
«Invece lo sono!» dissi, facendomi forza nella coltre di debolezza. «Tu piuttosto, che razza di demonio ti ha partorito?!» ringhiai, furioso per essere stato ridotto in quello stato, anche se mi accorgevo che piano piano le forze stavano ritornando.
«Che lingua lunga...» cantilenò, facendo schioccare la propria, di lingua, contro il palato. «Potrei strappartela così velocemente che non te ne renderesti neppure conto.» ridacchiò in un modo un tantino psicopatico, il che mi fece gelare il sangue nelle vene e ammutolire all'istante. Poi scoppiò in una fragorosa risata e io finalmente riuscii a metterlo a fuoco, mentre la vista diventava nitida e chiara, gli arti riprendevano forza e il sangue tornava a rifluirmi un poco sulle guance. «Scherzavo, ovviamente.» Esibì un macabro ghigno. «Non ci avrai mica creduto?» E mi scostò una ciocca di capelli dorati dal viso. Allungò un braccio su di me, stringendomi, quasi fossi una sua proprietà, si avvicinò al mio collo e affondò il naso sulla mia nuca, annusandomi.
Ecco, in questo momento non solo mi sembrava un pazzo indemoniato, ma anche un cane da tartufo. «Sei così invitante...» Si riscosse e, ricordandosi solo dopo un po' della mia domanda, decise di rispondermi, ancora cingendomi il corpo con le braccia. «Sono un vampiro.» Mai sentito parlarne. «Noi siamo morti ritornati alla vita, assetati di sangue umano.» Mi spiegò e forse il fatto di sentirglielo dire, di sentirgli confermare che aveva bevuto il mio sangue, mi fece ancora più terrore, ma cercai in tutti i modi di non darlo a vedere. O ancora meglio, di non pensarci.
Mi voltai verso di lui, che ancora mi stringeva sul letto come il suo animaletto di pezza, avvicinandomi per afferrargli il bavero della camicia. «E allora perché non mi ammazzi subito?» gli chiesi, arrabbiato. Mi staccò la mano dal bavero e se la portò alla bocca, leccandomi il polso. I canini si allungarono, graffiandomi le vene e facendo zampillare qualche goccia di sangue. I suoi occhi si accesero di un rosso luminescente, mentre sorrideva.
«Perché non sarebbe divertente!» ammise, con una punta di follia nello sguardo. «Ho passato secoli ad uccidere...» continuò a leccarmi il polso, raccogliendo tutto il sangue che riusciva a succhiare da quel graffietto e provocandomi lievi gemiti che piegai a forza nella gola. «Ormai sono solo annoiato.» Si alzò sulle ginocchia, ancora sul letto, vestito di tutto punto. Poi mi sollevò per le braccia, mettendomi a cavalcioni su di lui. Non riuscii ad opporre resistenza, perché ancora una volta la sua forza si manifestava in tutta la sua possanza. Il maggiordomo doveva avermi cambiato, perché indossavo una camicia da notte di seta bianca che, seduto su di lui, si era sollevata fino a scoprirmi la parte alta delle cosce. «Che ne dici di fare un gioco?» Quel tono non mi piacque.
«Definisci gioco.» insinuò le mani prima sulle cosce, poi sotto la camicia da notte,afferrandomi con desiderio i glutei. Ansimai, involontariamente, mentre cercavo in tutti i modi di togliermi da quella posizione, invano. I suoi occhi mi squadrarono, rossi e penetranti, mentre le sue dita iniziavano a giocherellare con l'orlo di seta dei miei boxer.
«Ti do due notti e la possibilità di tentare d'uccidermi come e quando vorrai entro questo lasso di tempo, non ti fermerò.» mi spiegò, iniziando ad abbassare i boxer. «Ma se non ce la farai, la terza notte ti ucciderò.» Poi li mollò concentrandosi sull'ostacolo principale. Con un gesto fermo e deciso mi strappò di dosso la camicia da notte. Ben presto mi ritrovai soltanto con un paio di mutande addosso, sotto gli occhi famelici del Conte Alucard.
Due notti non erano molte, anzi, era davvero troppo poco, ma avrebbe potuto semplicemente uccidermi. Che scelta avevo?
«Accetto.» sibilai, sperando di non peggiorare solo le cose. Come ci ero finito in una delle classiche missioni suicida?
Fece scorrere un lungo sguardo voluttuoso sul mio corpo, tracciandomi con le dita diafane un percorso invisibile, dal collo fino alle anche. «Ci sono tanti bei punti dove mordere...» La sensazione della sua erezione contro i miei boxer incrementò la mia eccitazione, anche attraverso strati di vestiti. Continuò a far scivolare le mani gelide sul mio petto, crogiolandosi nella sensazione tattile e nel mio tepore. Tuffò il naso nell'incavo del mio collo e gongolò di piacere. «Hai un profumo buonissimo...» Trasse un nuovo respiro profondo, assimilando tutto il mio odore. Lui sapeva di rose.
Il mio stomaco si strinse per il bisogno di avere le sue mani bianche ovunque. Mi baciò e io gemetti contro le sue labbra, mentre ritornava a giocherellare con l'orlo di seta dei boxer. «Non sono mai stato così tentato...» mormorò con un tono licenzioso, ed in un gesto fulmineo, invertì le posizioni, facendomi ritrovare sotto di lui. Mi sfilò dapprima lentamente e poi sempre con più foga quell'unico indumento che indossavo. Poi fui nudo e in trappola sotto di lui.
Mi sentii come uno di quei cervi feriti che ben presto si ritrovavano trascinati nella tana del lupo per essere divorati in tutta tranquillità. Ero certo di apparire come mi sentivo. Un ragazzo che stava per essere mangiato senza alcuna pietà. Il Conte piantò i suoi occhi scarlatti lungo il mio petto. Iniziò a leccarmi il collo, ma mi stupii quando non lo addentò con i lunghi canini e proseguì verso le clavicole per poi arrivare fino ai capezzoli. Con una mano,iniziò a pizzicare fra le dita il capezzolo sinistro,mentre con le labbra mordicchiava quello destro. I canini si allungarono e sentii il graffio dei suoi denti appuntiti.
«Ahh- No!» ansimai, cercando di divincolarmi. Mi bloccò le gambe stringendomele fra le sue e non ci fu bisogno di tenermi anche le braccia, perché era talmente forte che nonostante io lo riempissi di pugni lui non si muoveva di un millimetro. Ghignò, piantando i suoi denti sopra il capezzolo e iniziando a succhiare.
Urlai, mentre iniziavo inesorabilmente ad indurirmi. Le sue mani scivolarono ad accarezzarmi sempre più in basso, arrivando all'inguine. Inarcai la schiena e la sua presa si fece salda intorno al mio membro. «Mmm...Fermatevi!» cercai di scandire bene le parole,mentre iniziava a muovere su e giù la mia virilità con una mano gelida, mentre con l'altra iniziava a togliersi i vestiti. Mi mostrò un sorriso lascivo e un po' macabro, aumentando la velocità nei suoi gesti, facendomi gemere ancora più di prima.
«E' per quell'assassino?» sussurrò provocatorio, con una nota di ilarità nella voce. Sobbalzai. Nella mente si formò l'immagine di un ragazzo dai capelli rosso sangue e gli occhi blu, dall'espressione strafottente e dalle spalle ampie e muscolose. «Com'è che si chiamava..?» Non pensare a Yul, non pensare a Yul, non pensare a Yul.
«Oh, Yul!»
Diamine. Gli lanciai uno sguardo bieco, cercando in tutti i modi di scacciare l'immagine del mio arcinemico dalla testa. Delle fossette sulle guance quando sorrideva. Dei setosi capelli rossi. Dei muscoli scolpiti. Del suo enorme... Il vampiro sghignazzò e si avvicinò alle mie orecchie cantilenando una frase che mi mandò in bestia: «Lui ti piace...»
Sussultai quando con un solo gesto mi aprii le gambe, tenendo ben piazzate le mani sotto le mie ginocchia. «Non è vero!» gridai «Fermati!» ma lui era già completamente nudo, mostrando un corpo muscoloso e bianco come il latte. Sentii premermi qualcosa di umido contro il mio piccolo orifizio e rabbrividii di piacere.
«Non fraintendere, non ho intenzione di essere corrisposto» sibilò vicino al mio orecchio, poi sogghignò con un certo divertimento maligno. «ti sto prendendo con la forza.» E premette la virilità contro di me, iniziando ad entrare. Gemetti, mentre mi penetrava fino in fondo,entrando nel mio cerchietto di muscoli, che in quel momento mi sembrò incredibilmente stretto. Il Conte si lasciò sfuggire un grugnito.
«Lascia che ti mostri cosa può fare un uomo che non ha bisogno di respirare.» si chinò sulle mie labbra in un bacio colmo di passione, intrecciando la mia lingua con la sua per poi continuare a martellarmi con spinte sempre più forti.
«Aaahh no!» gridai, sotto lo sguardo dei suoi occhi cremisi. Feci scorrere le mani sulla sua schiena gelida, graffiando per il dolore e il desiderio, mentre lui continuava con rapidi colpi d'anca. Gli angoli della bocca scarlatta del conte si alzarono all'insù.
«Stai pensando a come sarebbe fare queste cose con lui, non è vero?» sghignazzò. Probabilmente sul mio viso passarono tutte le sfumature del rosso e del viola.
«Non è ver..ahh!» urlai, fra gemiti e rabbia. Mi costrinsi a non immaginare il corpo di Yul contro il mio, i muscoli ben torniti e scolpiti, la sua lingua ovunque, i suoi occhi sul mio corpo...No. Non ci pensare.
«Helias è innamoraaatoo...» cantilenò nelle mie orecchie, cercando di farmi infuriare mentre i suoi colpi aumentavano di intensità fino a farmi impazzire. Mi strinsi i palmi delle mani sulle orecchie, lanciandogli occhiate colme di piacere e allo stesso tempo fumanti di rabbia.
Helias tutto zucchero e cannella e l'assassino al caramello e menta...
Mi sollevò per le braccia, continuando a spingere contro di me, nuovamente a cavalcioni su di lui, con i suoi occhi rossi piantati nei miei color ghiaccio. Circondai il suo collo con le braccia e piantai le mani nei suoi capelli, in un gesto non di passione, ma pura rabbia, quasi cercando di fargli capire che non avrei ceduto tanto facilmente. Sogghignò, intuendo il mio messaggio. Con un ultimo colpo di fianchi, mentre eravamo sul punto di venire entrambi, insinuò una mano nei miei capelli dorati. Poi, in un gesto fulmineo, strinse la sua presa intorno alle ciocche bionde e tirò, costringendomi ad inarcare il collo. I canini si allungarono e con una sola mossa affondarono nella tenera carne della mia gola.
«..!!» spalancai la bocca ma non ne uscì niente, avevo la voce mozzata. Venni schizzando sul suo petto color porcellana, mentre sentivo nelle orecchie il rumore del sangue che veniva succhiato e bevuto con avidità. Mi riempì in pochi secondi del suo seme e continuò ad aspirare, senza fermarsi un attimo. Strinsi la presa delle mani intorno alle sue spalle.
Ne stava prendendo veramente troppo.
Sta per sorgere il sole, mio bellissimo Helias...
Mi avvertì per non so quale ragione. Non riuscii a proferire parola perché sui miei occhi calò un velo e la vista si appannò completamente. Crollai.
***
Quando gettai uno sguardo preoccupato all'orologio da taschino, era poco più di mezzogiorno. Mi ero appena svegliato a mezzogiorno. Il Re degli Assassini mi avrebbe preso a bastonate.
Cercai di tornare con la mente al giorno prima e tutto mi parve all'improvviso come un sogno. Un mostro succhiasangue. La mia morte imminente. Un gioco. Tre notti disponibili. I miei pensieri erotici su Yul.
Ok, cancelliamo l'ultimo punto.
Dovevo farcela, dovevo riuscire ad uccidere il Conte Alucard. In fondo, ero pur sempre l'Assassino di Skys Hollow, Sfavillo. Quello che la gente aveva paura di nominare e che i poveri un po' ammiravano, di nascosto, per come giustiziassi i nobili violenti. I crudeli. Gli ingiusti. Per un attimo mi chiesi cosa avrebbe escogitato il Re degli Assassini se io non avessi mai più fatto ritorno. Mi avrebbe cercato? Sarebbe venuto a prendermi? O nel peggiore dei casi, a vendicarmi? Stentavo a crederci.
E subito mi raggiunse un quesito ancora più pressante nella testa: e Yul che avrebbe fatto?
Quasi me lo immaginai a sventrare con le sue stesse mani il Conte e mi si colorò un sorriso sul volto. Poi me ne accorsi: stavo pensando a Yul. E sorridevo pure! Rabbrividii. Dovevano essere stati i deliri di quel demonio a mettermi tanto in confusione. Per forza. Io odiavo Yul. Giusto?
Non ne ero più tanto sicuro.
Scrutai la stanza per accertarmi di essere in un bel letto a baldacchino fra lenzuola di seta nere e rosse, inquietanti quasi come il resto del castello. Non c'era una sola macchia di sangue o, pensai non senza una punta d'imbarazzo, di sperma. Dovevano aver pulito veramente bene. Perfino io lo ero, lavato e profumato come un fiorellino, ben avvolto in una copia della camicia da notte di seta che il Conte mi aveva strappato di dosso giusto la notte prima.
Tentai di alzarmi con scarsi risultati, perché la testa iniziò a vorticarmi e mi ritrovai di nuovo seduto sul letto. Un'altra cosa avevo notato del castello che mi aveva infastidito molto: non c'era un solo specchio. La mia parte vanitosa non ne era particolarmente felice, ma mi limitai a stringermi nelle spalle. In quel momento scommisi di avere un colorito persino più bianco del Conte stesso e mi costrinsi ad alzarmi di nuovo. Permettermi di ucciderlo e poi sottrarmi delle forze per farlo era giocare sporco.
Quando finalmente fui in grado di stare sulle gambe senza barcollare, mi accorsi di una pila di vestiti ben stirati e piegati al lato del letto. I miei erano su una sedia, all'angolo della stanza, quasi fossero stati abbandonati e messi lì per pietà. Sulla cima della stoffa c'era un bigliettino di carta che mi affrettai a leggere.
"Mi piacerebbe che li indossassi. Sarebbe divertente sfilarteli.
Tuo, Alucard"
Un sorriso storto si piazzò sul mio viso, immaginandomi il ghigno e l'espressione del tutto lussuriosa del Conte mentre scriveva una frase del genere. Un brivido mi attraversò la spina dorsale. La mia parte più frivola si ridestò, facendo le capriole. Il completo consisteva in un paio di pantaloni marroni di camoscio, camicia di seta beige e panciotto bianco perla ornato da ghirigori dorati, come i miei capelli. Era quasi un completo candido, rispetto ai toni cupi del rosso e nero che particolarizzavano il castello. Non mi sarebbe dispiaciuto indossarli, tutto sommato.
Non ero sicuro che farlo sarebbe stata la scelta giusta, ma i miei vestiti erano sporchi per il viaggio e non c'era da stupirsi se avessero puzzato un po'. Quindi decisi di accettare il dono del Conte, quasi fossi una donzella alle prese con un corteggiatore e non un assassino prigioniero di un demone assetato di sangue. Vampiro, aveva detto. Sentii il tessuto pregiato sfiorarmi la pelle con una carezza.
Subito fui fuori dalla mia stanza, che a quanto mi resi conto era solo una delle lunghe serie di camere da letto tutte identiche, nello stesso corridoio in cui si trovava la mia. Nemmeno il castello fosse un hotel dove Alucard si dilettava a collezionare prigionieri. Rabbrividii al pensiero delle stanze occupate da quelle persone, le vittime invitate nella dimora del Conte con l'inganno e poi uccise dissanguate, prosciugate. Scossi la testa.
Io non avrei fatto quella fine.
Il primo posto che ero deciso a trovare era la cucina. Non ero sicuro di scovarci del cibo, visto che gli unici abitanti del castello o erano succhiasangue - ovvero il Conte - o erano servitori principalmente invisibili - ovvero lo strano maggiordomo taciturno e misterioso. Superai il grande corridoio delle camere da letto e la prima stanza che trovai fu una sala d'intrattenimento: ai quattro lati della stanza erano poste scacchiere nere e bianche con pezzi d'avorio e ossidiana, quasi volessero confermare che il padrone del castello fosse un giocatore provetto, mentre al centro di tutto si stagliava un grosso pianoforte a coda, nero, talmente lucido e perfetto da farmi pensare fosse inutilizzato da anni. In un gesto istintivo, mi precipitai ad alzare il coperchio per rivelare tasti perlacei e corvini, che assomigliavano ad sorriso sdentato. Sapevo di essere un ottimo pianista.
Era un'abilità che mi aveva insegnato mia madre e che custodivo gelosamente: erano in pochi a sapere della mia bravura. Anche alla Fortezza c'era un piano, e nonostante la grande voglia,era raro che lo sfiorassi. Non perché non mi fosse concesso, ma perché ero io che non volevo mostrare un lato sensibile, un punto debole agli assassini della Gilda. Uno dei pochi che sapeva del mio dono eccezionale era il Re degli Assassini. Svariate volte avevo suonato per lui, e quelli erano stati i pochi momenti di intimità e quasi di affinità che avevo avuto con lui.
Richiusi il coperchio con un tonfo che risuonò per tutta la stanza e decisi di passare alle altre sale. Dopo essere incappato in una bizzarra sala da te e diverse da ballo di marmo rosso, finalmente trovai la cucina. Era un posto piccolo fatto di piastrelle beige e di legno scuro. Non era nulla di che, ma la cosa che mi stupì in particolar modo fu il tavolo tappezzato di piatti ricolmi di torte, tortine, muffin, croissant, creme, marmellate e chi più ne ha, più ne metta. Caraffe di cristallo erano piene di spremute fresche o di latte che ancora fumava. La cosa più assurda era che tutto pareva talmente fragrante da sembrare appena uscito dal forno. Come una magia... Comparsi dal nulla.
Mi si raccolse l'acquolina fra lingua e palato, una che decisi di colmare facendo razzie di quei dolci dall'odore delizioso. Ero certo che non fossero minimamente avvelenati, ormai non c'era più pericolo. E non perché il Conte non potesse farlo, ma semplicemente perché non lo riteneva abbastanza divertente. E poi, dovevo necessariamente farmi passare l'anemia. Quale modo migliore poteva esserci dell'ingozzarsi di prelibatezze?
Mi azzuffai su una torta al cioccolato e tracannai un bicchierone di latte. Non avevo avuto il tempo materiale per mangiare durante il viaggio e la sera prima, durante la mia cena col Conte, non avevo passato esattamente un piacevole banchetto. Storsi la bocca ancora con la caraffa di latte in mano. Dovevo escogitare un piano per uccidere quell'uomo.
E in fretta.
L'ultimo luogo nel quale mi avventurai, fu la piccola biblioteca del castello. Era piuttosto modesta, potevano esserci un centinaio di libri circa, forse poco più, racchiusi in piccole librerie di mogano scuro. Inutile dire che vagai disperatamente alla ricerca di un volume su vampiri o su come ucciderli e ancora più inutile dire che trovai meno di zero. D'altronde, trovare nella biblioteca del Conte Alucard un modo per ucciderlo sarebbe stato il colmo,ma non si poteva mai sapere.
Alla fine, ritornai nella mia stanza, abbattuto. Ma non prima di aver provato ancora una volta o due a spingere il portone o a scassinare la serratura, constatando con amarezza che quello non aveva alcuna intenzione di aprirsi. Perciò mi abbandonai ad un profondissimo sonno, ancora una volta.
***
Quando furono le sette in punto, e il mio orologio da taschino me lo confermò, qualcuno bussò alla porta e il maggiordomo alto e silenzioso entrò ossequiosamente nella mia camera da letto. «Il Padrone vi aspetta per la cena.» riferì con gli occhi bassi e le mani congiunte dietro alla schiena. Io, ancora sul letto, incrociai le gambe in un gesto del tutto disinvolto e intrecciai le dita dietro alla testa. Ero già pronto,vestito di tutto punto, pulito e profumato. Ma non avevo alcuna intenzione di prendere parte alla sua recita che comprendeva cene cortesi e discorsi assennati. No grazie.
Ghignai. «Potete dire al Padrone » evidenziai la parola con un certo divertimento nella voce «di infilarsi la cena su per il suo elegante didietro.» conclusi, sbadigliando con fare annoiato. Non gli avrei dato una seconda volta il mio sangue.
L'uomo non si scompose neanche di un muscolo, come se fosse un automa, e si limitò ad annuire. «Riferirò. » e sparì oltre la stanza. Non appena fu fuori,una voce tenebrosa mi inondò le orecchie.
Helias, Helias, il bambino golosone e tanto cattivo...
Non mi mossi dal letto, godendomi la sensazione di ignorarlo stando beatamente a pancia all'aria. Avevo in mente una nuova strategia con cui ucciderlo, ma ovviamente poteva essere un altro buco nell'acqua.
Helias, la mia preda tanto bella tutta zucchero e cannella...
Iniziò a cantilenare nel suo modo folle e fastidioso. Afferrai il pugnale che avevo preparato e riposto accanto al letto.Sperai che funzionasse.
Piccolino...devo venire a prenderti con la forza?
Chiese, sapendo che non avrei risposto in alcun modo. Coraggio, pensai, vieni.
E immediatamente, neanche a cogliere i miei pensieri, una nebbia rossa come il sangue si manifestò davanti a me per addensarsi nell'elegante figura di un nobile alto e slanciato, bianco come un cadavere.
«Buonasera.» ghignai e con un solo gesto fulmineo gli conficcai il pugnale nel collo. Non si scompose di un solo centimetro e gli angoli della sua bocca si piegarono in un sorriso provocatorio e allo stesso tempo in qualche modo maligno.
«Buonasera, piccolo disobbediente.» mi rispose, senza fare il minimo cenno all'arma di ferro conficcata nella sua gola in modo grottesco. Si umettò le labbra, quasi cercando di sentire un sapore che gli sfuggiva e aggrottò le sopracciglia con un accenno di sorriso sulla bocca «questo è...» ci pensò ancora su per qualche minuto, scrutandomi con interesse «curaro?» rivelò, intuendo il veleno di cui avevo sommerso la lama. Storsi la bocca. «Bel tentativo. » ridacchiò, togliendosi il pugnale con un lento e divertito gesto.
Se lo gettò alle spalle e quello tintinnò sul pavimento di legno aprendo uno squarcio nel silenzio che si era creato. Spuntai una casella su una lista invisibile che avevo nella mente: ferite da taglio in genere, no. Veleno, no. Che altro potevo provare? Uno scintillio rossastro negli occhi del Conte mi ridestò dei miei pensieri e in un attimo rabbrividii, ricordandomi di che razza di mostro avevo davanti.
Feci un passo indietro e il vampiro uno in avanti,con gli occhi scarlatti accesi di una luce folle. «Non ti avevo forse ordinato di raggiungermi a cena?» mi afferrò un polso, prendendomi del tutto alla sprovvista. Azzardai una risposta schietta, sperando di non volermela rimangiare.
«Io non prendo ordini da nessuno.»sibilai, sollevando il mento, pur sapendo di mentire, visto che per me gli ordini del Re degli Assassini erano legge. Sul bel volto terrificante del Conte Alucard si squarciò un sorriso malefico.
« Bene, qualcuno dovrà insegnarti la disciplina.» scandì. Nei suoi occhi sembrò ballare una fiamma cremisi di un'intensità talmente spaventosa da bruciarmi e allo stesso momento gelarmi sul posto.
In un'azione del tutto repentina, strinse ancora di più la morsa intorno al polso ed iniziò a trascinarmi a passo veloce verso la sala da pranzo. Incespicai,cercando di stare alla sua incredibile velocità perfino mentre camminava e non appena fummo davanti alla tavola apparecchiata mi intrappolò contro il bordo del tavolo. Mi squadrò con una lunga occhiata colma di brama. «Vedo con grande piacere che hai indossato gli abiti.» fece scorrere un dito sul panciotto bianco. La tavola era ben apparecchiata: tovaglia di seta rossa, centro tavola di rose bianche, piatti di porcellana, bicchieri di cristallo, posate d'argento.
Mi avvicinai al Conte ,con fare provocatorio. «Come rifiutare un simile invito?» sussurrai e non mi riferii all'indossare i vestiti, ma più alla seconda frase del bigliettino,quella su cui troneggiava il verbo "sfilare". In tutta risposta si avvicinò ancora di più, manifestando il suo desiderio strusciandomi contro il cavallo dei pantaloni, appena più rigonfio del normale. Poi, con un gesto del tutto inaspettato, tirò via la tovaglia dal tavolo.
Il silenzio fu spaccato da rumori di ogni tipo.
Porcellane e cristallo piovvero a terra in una miriade di pezzi e frammenti rotti,l'argenteria cadde con furia, la tovaglia rossa si afflosciò sul pavimento e il centro tavola di rose sparse petali bianchi un po' dappertutto, in nuvole di soffici macchie cremisi. Restai a bocca aperta mentre il vampiro mi afferrò di peso e mi sbatté con violenza sulla superficie legnosa del lunghissimo tavolo,senza darmi il tempo di proferire parola. «Almeno su una cosa hai obbedito.»
In pochi secondi mi ritrovai steso sul tavolo, con la figura del Conte troneggiante su di me. Deglutii, quando sollevò un coltello d'argento e i suoi occhi scintillarono. «Hai le mani così sporche di sangue...»bisbigliò, strappando in due il panciotto pregiato aiutandosi col coltello. «e allo stesso tempo sei così innocente...» strofinò il naso contro l'incavo del mio collo. «trovo queste tue qualità davvero seducenti.» mi strinse i polsi, bloccandomi la schiena contro il tavolo. «vuoi che inizi dall'alto?» poi sfiorò con un gesto seducente la mia coscia «o dal basso?» I suoi canini si allungarono.
«Fermatevi!»ringhiai.
Se avesse continuato a bere ancora, probabilmente non sarei sopravvissuto a lungo. Sorrise, malevolo. «Sei arrabbiato?»inclinò la testa, in un gesto che mi ricordò un passerotto incuriosito o forse più una mantide religiosa in procinto di divorare il suo amante. Ridacchiò. «Che occhi seducenti...» si avvicinò al mio orecchio, leccandomi il lobo con fare provocante. «continua così, mi piace.» rise in un modo tutt'altro che amichevole «se vuoi, puoi arrabbiarti ancora di più.» sentii il pizzicore dei canini sull'orecchio e il mio sangue caldo colare dal graffio.
Si sollevò dal mio orecchio destro, lanciandomi un lungo sguardo penetrante. «Ma non importa quanto cercherai di resistermi.»Iniziò a stuzzicare il bottoncino dei miei pantaloni «Non importa quante volte cercherai di uccidermi.» in pochi secondi gli stivali e i calzini sparirono dai miei piedi e i pantaloni scivolarono a terra. Si leccò le labbra, che si piegarono in un mezzo sorriso, scoprendo denti affilati sotto la luce fioca delle candele.
Non hai speranze contro di me...
Sentii sibilarmi nella mente, invadendo i miei pensieri e la mia privacy volutamente, giusto per farmi infuriare ancora di più. «Perché non sono umano.» concluse, sfilandomi la camicia e il panciotto, ormai a brandelli. «Sarai costretto a sottometterti...»
Sarai in balia di me...
Rimasi ancora una volta nudo sotto il suo sguardo,solo con un paio di boxer e brividi di paura e piacere.
E alla fine sarai mio.
Iniziò a leccarmi i capezzoli mentre le sue dita continuarono a vagare sull'orlo dell'intimo, non tanto per toglierle quanto per farmi fremere nell'aspettare quel momento. «Fer..mati..» biascicai. Si diede ad un respiro falsamente sognante.
«Ah,non riesco a resistere!» sfilò il mio ultimo indumento in una sola azione e alzò la mia gamba destra, portandosela alle labbra. Mi baciò il collo del piede per poi arrivare a sfiorare con i denti il polpaccio e scivolare poi verso l'interno coscia,leccandolo. Piantai i miei occhi nei suoi, nell'istante in cui aprì la bocca, esibendo le zanne, pronto a mordere.
«Io non mi sottometterò te!» precisai, socchiudendo gli occhi. Fra le palpebre, lo vidi sorridere. Poi, morse. «Aaah!-» urlai,sentendomi indurire il membro di riflesso. «Mai.» aggiunsi, con l'ombra di un'espressione piena di sdegno e di frenesia sul viso, per quel che mi stava facendo. Prese a succhiare e i suoi occhi diventarono fuoco puro. Non durò molto, si staccò all'istante sghignazzando.
«Che bello quando fai il coraggioso!» continuò a ridere con ilarità. «Da perfetto assassino!» leccò i due buchi che mi aveva lasciato all'interno della coscia, che presto si sarebbero chiusi. «Mi piace.» mi prese il braccio sinistro, che ormai penzolava da un lato del tavolo, con debolezza. «Vediamo quanto resisti per oggi.»
Affondò i denti nel mio polso, fino alla punta e ritornò a succhiare voracemente. «Nnghh..» strinsi i denti. Era doloroso ed eccitante al tempo stesso. Il Conte inarcò le sopracciglia in un'espressione falsamente addolorata e si staccò.
«Ti fa male?» il mio sangue gli colava dai lati della bocca e del mento e vederglielo addosso mi fece un effetto straniante. Alienante. Come se non riuscissi a credere che fosse il mio e che fossi lì, a farmi divorare goccia dopo goccia. Quando lo realizzai, il terrore iniziò a pulsare feroce nelle vene. Si strofinò il mio polso sanguinante sulla guancia, come un gattino in preda alle fusa, imbrattandosi in quel modo di rosso scarlatto sulla pelle bianchissima. «Povera stella.» la sua espressione intristita si squarciò in un ghigno folle. «Allora te ne farò ancora di più.»si allungò sul mio collo e in un solo rapido gesto, i suoi denti furono nella mia gola.
«AH! Ba..st-»cercai di trattenere al meglio un urlo di dolore, mentre sentivo il mio stesso sangue scivolare sul collo nudo e poi riversarsi molto lentamente sul tavolo di legno scuro.Si schiodò da me qualche minuto dopo, leccandosi le labbra e cercando di raccogliere con la lingua tutte le gocce di sangue che gli scivolavano sul mento e gli ricadevano sulla camicia di seta bianca, costellandola di macchioline rosse.
«Ora divertiamoci di più.»in un'istante le sue labbra furono sulle mie. L'incontro delle nostre lingue mi fece inarcare la schiena e assaporare il retrogusto metallico e dolciastro del mio stesso fluido vitale. La mia nudità e i suoi ruvidi pantaloni di velluto si strusciarono, facendomi gemere.
... Seguimi fino all'inferno ...
Sussurrò nella mia mente, stringendo con una mano il mio polso sanguinante e con l'altra il membro, iniziando a muoverlo freneticamente dall'alto verso il basso. Ero scosso da tutta una serie di intense sensazioni: il dolore del mio sangue che pian piano veniva succhiato e ingoiato con sete vorace, il piacere della mia intimità stretta fra le sue mani gelide e bianche, la paura di quell'essere sconosciuto che incombeva su di me e che sembrava poter benissimo decidere fra la mia vita e la mia morte.
«Nnn...Aaahh!» gridai, il cervello in pappa mentre venivo vergognosamente in fretta .L'aria si colmò dell'odore del sesso. Ansimai, iniziando a divincolarmi pur di togliermi il bel vampiro terrificante dal collo. Non si mosse di un solo millimetro e io mi ritrovai di nuovo a lottare fra la lo svenimento e il dolore. «Dovete fermarvi!»gridai, mentre sbattevo gli occhi, cercando di mantenere la vista lucida e non addormentarmi. Piantai lo sguardo sul lampadario appeso alla volta di pietra e mi costrinsi a non chiudere gli occhi.
Non poteva finire così, non poteva sempre mettermi fuori gioco così facilmente. Eppure, sull'onda di quello stesso pensiero, finii per perdere i sensi.
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