11. L'Assassino e il tesoro della giungla


Erano le prime luci dell'alba, quando gettammo l'ancora e ci ritrovammo ad approdare su un isolotto dalla sabbia tanto candida e bianca da sembrare fatta di perle. L'acqua era talmente limpida che pareva artificiale, versata in una vasca immensa quanto l'orizzonte. Ampie palme di un bel verde brillante ondeggiavano sinuose, creando piccole pozzanghere d'ombra, oltre le quali si spalancava una giungla scura e fittissima, che andava a creare intrecci di liane e mostrava fiori di ibisco, un vivace vermiglio.

I pirati non furono particolarmente colpiti dallo spettacolo, la fremente trepidazione che brillava nei loro occhi era dovuta al denaro e ai tesori che si aspettavano di trovare.

«Questa è l'isola del Signore della Giungla?» chiesi, ricordandomi della discussione avuta col Capitano Ren, mentre mi spiegava quale fosse la sua meta. Mi scandagliò con un'espressione carica di determinazione, pur con la coda dell'occhio, per come era preso dall'osservare la vegetazione di fronte a noi e tutto ciò che poteva nascondere.

«Esatto.» rispose e poi, voltandosi verso i suoi pirati, alzò un pugno in aria. «Il tesoro è sempre più vicino!» urlò e tutti risposero ricambiando il gesto con un ghigno e un verso piratesco che somigliava in qualche modo a "Yargh".

Ci inoltrammo nella giungla a colpi di sciabola, tagliando e fendendo qualsiasi pianta o albero si parasse davanti a noi. Il Re dei Pirati dava i comandi, indirizzandoci verso il luogo giusto e continuando in modo strano a guardarsi petto e braccia, probabilmente per consultare una qualche mappa: ci avrei scommesso, le voci erano vere. 

Eppure, in quella passeggiata nella torbida e umida vegetazione, il mio istinto d'assassino fece suonare qualche allarme, per motivi che non ero ancora riuscito a capire... Avevo un brutto presentimento. I pirati se ne stavano stretti stretti intorno a me e al capitano, ed io sentivo in qualche modo il pericolo in agguato. Rimasi in silenzio, continuando a schiaffeggiarmi dappertutto pur di cacciare gli insetti e le odiose zanzare che sembravano divertirsi a banchettare con il mio corpo.

«E allora...» iniziai, cercando di rompere il silenzio e quel continuo dare ordini, tagliare liane e seguire direzioni a destra e a manca. «Chi è questo Signore della Giungla?» chiesi, sinceramente curioso, nonché desideroso di avere maggiori informazioni. Il Capitano dapprima sembrò ignorarmi, concentrato sul percorso, poi dopo una manciata di minuti decise di rispondermi.

«Inizialmente era un Re.» cominciò a spiegare, il tono lasciò intuire che quella fosse una storia famosa sentita e raccontata fin troppe volte, col gusto magico delle leggende e ripetitivo delle tradizioni orali. «C'era una persona che amava molto.» Fece una pausa. «Almeno così si diceva.» poi concluse la digressione e continuò: «Vivevano felicemente insieme, finché l'amante non morì a causa di un qualche incidente. Allora il Re, scosso dal dolore e dalla voglia di rivederlo, incominciò a girare il mondo in cerca di tutti i gioielli, i monumenti, i cimeli più belli per costruirci un enorme tesoro. E sai cosa ci fece?» mi chiese ad un certo punto. Alzai le spalle.

«Cosa?»

«Lo donò agli Dei. Pregò molto, si racconta. Interi anni e lunghi secoli in attesa delle divinità, ma nessuno rispose alla sua chiamata e niente gli restituì la persona che tanto amava.» Alzò un braccio verso un sentiero sulla destra, senza interrompere il discorso. «E così, scosso dal dolore e dalla rabbia, si rinchiuse con tutto il suo tesoro in un punto al centro del Triangolo delle Bermuda, per non essere mai trovato e disturbato.» concluse la storia. Sembrava una cosa addirittura ingiusta appropriarsi di quel tesoro, secondo il mio parere. Ma, evidentemente, la ciurma sembrava di tutt'altro avviso. «Si narra del tesoro più grande di tutti i tempi.» Increspò il volto in un'espressione sognante, piuttosto strana da Ren Uruj. «Il tesoro che ogni uomo desidera...»

E non appena disse ciò, ci bloccammo. Sentimmo un boato.

Un enorme boato.

Evidentemente un calamaro gigante, un portale magico-assassino e un gruppo di Sirene carnivore non bastava: sembrava che qualche altro terribile mostro si stesse risvegliando. «La bestia della Giungla!» urlò un pirata, che evidentemente doveva conoscere l'identità della cosa, come tutti gli altri tranne che me. La solita ignoranza da uomo d'acqua dolce! Ero ben felice di accontentarmi di navigare sul fiume Tibor, comunque. 

In quell'istante, il Capitano Ren si voltò verso l'intero gruppo. «Correte!»

E subito iniziammo a fuggire, senza dividerci, piuttosto proseguendo in massa come un grosso blocco umano. Non fui certo che fosse una mossa molto intelligente restare uniti, ma evidentemente perdersi nella giungla era un inconveniente in cui era facile incappare e nessuno voleva disperdersi nel folto selvaggio. Un altro grosso boato mi fracassò le orecchie, facendomele tappare istintivamente.

Corremmo ancora, ma fu del tutto inutile. Il mostro ci raggiunse nel giro di qualche minuto e non fui neanche più certo di doverlo chiamare mostro. Sembrava più un'enorme massa di gas nero e scuro come pece, che si diffondeva e oscurava tutto, inghiottendo la giungla per gettarla nelle tenebre. Rabbrividii. Ma improvvisamente la cosa si fermò.

E il Re dei Pirati ghignò.

Poi si voltò verso di me, con un'espressione che non mi piacque per niente. Improvvisamente mi ritrovai stretto fra una calca di pirati e capii che scappare era fuori dalle mie possibilità. Il mio istinto d'assassino diede il via a così tanti campanelli d'allarme che persi il conto, ma ormai era troppo tardi. Il Capitano Ren esibì un sorriso maligno e si avvicinò a me, al mio corpo ora in posizione d'attacco, pronto ad affrontare qualsiasi cosa volessero farmi. Eppure, non mi aspettai quello che stava per succedere.

«Perché pensavi che ti avessi attirato e accolto sulla mia nave?» sghignazzò, il viso intinto da un compiaciuto sadismo mentre tutti i pirati lo seguivano a ruota in quel riso generale. La realizzazione fu rabbiosa e scioccante: ero ingannato per tutto il tempo. Quello era il vero Re dei Pirati. Solo che io non me ne ero accorto. Bastardo.

Gli lanciai uno sguardo torvo, allungando una mano sulla sciabola appesa al mio fianco. Solo che non c'era. Ballava fra le mani dell'uomo dagli occhi maligni color verde acqua, che me l'aveva sfilata senza che me ne rendessi conto. «Avevo bisogno di te.» spiegò, con uno sguardo che avrebbe potuto terrorizzare chiunque, ma non me: avrei trovato un modo per uscirne.

Cercai uno spiraglio intorno alla calca di pirati che ci circondava, ma notai con orrore che non c'era. Strinsi i pugni e mi misi in posizione di difesa. Se non avevo un'arma, non importava. Avrei combattuto a mani nude. Un assassino era chiamato tale perché poteva uccidere in qualsiasi modo. E io era benissimo capace di farlo anche senza una lama. Volevano combattere?

Avrebbero avuto pane per i loro denti.

Ma non era combattere quello che volevano. Il Re dei Pirati alzò improvvisamente la voce. «Signore della Giungla!» cominciò, rivolto verso la nube nera che aspettava e sembrava fare le veci del suo padrone. «Vi offro questo ragazzo in cambio del tesoro!» urlò e, non senza un moto di sorpresa, capii che il ragazzo in questione ero proprioNon appena concluse di parlare, la terra tremò. Mi salii un nodo in gola, quando intuii che dovevo reagire, scappare, oppure lottare. Dovevo reagire.

Ma era già troppo tardi. Ebbi solo il tempo di sentir dire dal Capitano Ren un'emblematica frase. «A volte bisogna fare dei sacrifici, Yul.»

Poi un buco nero si aprì sotto di me. Sentii la terra mancare sotto i piedi e, con un urlo, precipitai.


***


Dopo minuti passati a piombare e scivolare a velocità incredibile in un tunnel fangoso che serpeggiava verso il sottosuolo, atterrai su un mucchietto di fieno, che attutì totalmente la caduta. Sbattei le palpebre cercando di adattarmi all'oscurità e mi accorsi di trovarmi in una caverna. La cosa che più mi colpii fu un enorme trono che si stanziava in fondo alla spelonca: costruito con canne di bambù e liane intrecciate, con rigogliosi fiori, cortecce di palma intagliata e pietre preziose che scintillavano fra gocce di resina solidificata. L'incredibile fu la presenza di qualcuno sedutoci proprio sopra.

Era un uomo dalla pelle talmente scura da mimetizzarsi col buio. Aveva il naso sottile e le labbra larghe, nere e carnose. Con gli occhi chiusi sembrava star dormendo, ma stava seduto in maniera dritta e composta, non certo una posizione comoda per schiacciare un pisolino. 

Portava sul capo una corona fatta da grandi fiori blu e gialli, decorati con foglie larghe e sfrangiate come una giacca. A torso nudo, portava un gonnellino costruito con fiori, muschio e gambi spesso provenienti da varie piante. Era così singolare, così fuori dal mondo, così anomalo, che inavvertitamente mi avvicinai a lui, giusto per toccarlo e capacitarmi di non essere in un sogno. Quando mi ritrovai solo a pochi centimetri di distanza dallo sfiorare il suo volto scuro con le dita, improvvisamente, i suoi occhi si spalancarono e io balzai all'indietro, preso alla sprovvista. La sclera bianca dei suoi occhi sembrava splendere in confronto alla sua pelle nerissima, mentre le sue iridi nere si concentrarono su di me, mettendomi a fuoco.

Cadendo a terra, battei il sedere e mi lamentai dal dolore. Fu una bella sorpresa sentire una leggera risata riverberare sopra di me. Alzai lo sguardo per incontrare il sorriso perlaceo dell'uomo che non feci a fatica a riconoscere come il Signore della Giungla. Emanava grazia e regalità da tutti i pori.

«E' da tanto tempo che non incontro una persona.» mi disse, con un tono melanconico, che mi fece stringere il cuore. Era strano: mi ero quasi aspettato che il Signore della Giungla fosse un vecchio decrepito che, dopo secoli, sopravviveva a stento stravaccato su una montagna di monete. Ma invece non c'erano né un vecchio, né montagne di monete. Dietro al trono in una posizione sopraelevata, invece, sopra ad un piedistallo di pietra consumata, si ergeva una piccola pallina luminosa. Era fin troppo singolare, quanto ovvio che si trattasse di magia, magia allo stato puro, che si rotolava su se stessa, continuando a cambiare forma. «Ma tu non sei una persona qualunque.» bisbigliò, a voce così bassa che quasi non lo sentii. Poi mi porse la mano.

La afferrai, perché per qualche ragione, quell'estraneo mi trasmetteva una tiepida sensazione di calma e non percepivo nulla di cattivo o pericoloso in lui. Era mellifluo come l'acqua cristallina che baciava la spiaggia dell'isola. C'erano tante cose che avrei voluto chiedergli, a partire dall'ultima frase che aveva sussurrato, ma alla fine scelsi di dar voce ad una considerazione del tutto superflua: «Sapete parlare la lingua comune.» Sul suo volto si dipinse un'espressione mesta. Ed io, inspiegabilmente, mi sentii turbato per quello.

«Si, Lui...» si fermò, come se quella parola potesse racchiudere tutto il suo mondo in un attimo. «... me l'ha insegnata.» Immaginai si riferisse al suo amante, quello morto per qualche motivo a me ignoto. Rimasi in silenzio, addolorato.

«Mi dispiace.» bisbigliai, sentendomi in dovere di dirlo. Non potevo immaginare come si sentisse. Certo, io avevo perso mia madre, ma era in qualche modo... diverso. Allora lui sorrise, un sorriso triste, pieno di così tanti sentimenti che non riuscii a descrivere il dolore di quel gesto. Mi accarezzò il profilo della guancia, sollevandomi poi il viso verso il suo.

«Per cosa?» mi chiese, anche se sapeva benissimo il motivo. Incrociai i suoi occhi scurissimi e mi chiesi se mai avrebbe potuto superare la sua perdita. Restai ancora una volta senza dire nulla, incapace di trovare parole. «Sai, assomigli a lui.» esclamò, prendendomi in contropiede. Rise a voce bassa davanti allo stupore dipinto sulla mia faccia. «Non per l'aspetto.» spiegò. «Affatto.» parlò, come se avesse bene nella testa il viso del suo amato e io fossi il suo esatto opposto. «Ma hai il suo stesso comportamento impertinente, la sua stessa diffidenza e il suo stesso trasporto nelle cose a cui si dedica.» continuò a sorprendermi. 

Quell'uomo non sapeva nulla di me e allo stesso tempo sembrava sapere tutto ciò che serviva per conoscermi. Mi toccò il centro del petto. «Riesco bene a vedere dentro di te.» Con la mano libera, intrecciò le sue dita alle mie. «In futuro, anche tu dovrai far fronte ad enormi dolori, è inevitabile.» esclamò, con gli occhi che gli scintillavano per la tristezza. Sentii un nodo ripiegarsi nella gola. «Ma diventerai una persona forte, destinata a cose grandi.» continuò con lo sguardo perso nel vuoto, come se tutte le cose che mi stava raccontando gli passassero davanti agli occhi come uno spettacolo di marionette che io invece non potevo vedere.

Mi chiesi a cosa si riferisse e se mai fosse stato vero. Quali potevano essere questi dolori? E queste cose grandi alle quali ero destinato? «Di cosa parlate?» chiesi, incapace di trattenermi. Ma allora lui scosse la testa.

«Non posso dire più nulla, soltanto che ce la farai.» concluse, con quel tono di mistero che non mi piacque, perché presagiva cose a cui io non ero pronto, cose che non volevo affrontare. Strinsi le labbra in una linea sottile. Poi si allontanò per giungere al piedistallo e prendere quella piccola sfera circolare di potere, che gli galleggiava fra i palmi, senza peso. Tornò da me, cingendola a malapena sulla punta delle dita.

«Cos'è?» chiesi, incuriosito ma soprattutto affascinato. Sorrise, facendomela scivolare fra le mani. La sensazione tattile era davvero peculiare: calda ed in qualche modo inconsistente, come una sfera d'acqua bollente, che non mi bagnava né scottava.

«Il tesoro.» E non appena la sfera si appoggiò totalmente sui miei palmi chiusi, fui tentato di lasciarla cadere perché subito avvertii che cambiava forma e diventava qualcosa di rettangolare e leggero. Aprii le mani.

Era una busta di carta, una lettera. Ma era pesante, quindi doveva esserci anche un oggetto dentro. Aggrottai le sopracciglia. «E questo sarebbe il tesoro?» chiesi, molto scettico, inclinando la testa di lato. Il Signore della Giungla continuò a sorridere.

«Un tesoro è quello che ogni uomo desidera.» scandì bene le ultime parole, usando le stesse che aveva pronunciato il Re dei Pirati. «Ma ogni uomo desidera una cosa diversa.» mi chiarì. Ed io compresi all'istante cosa stava a significare. Potevano essere distese d'oro e montagne di pietre preziose, potevano essere donne o opere d'arte. Poteva essere davvero qualunque cosa. Scossi la testa.

«Perché lo date a me?» continuai a scuoterla. «Io... Io non posso accettare.» dichiarai, restituendo quella strana lettera al Signore della Giungla, che me la ridiede di rimando.

«Ormai è diventata tua, è troppo tardi per rifiutare.» spiegò ed io non potei più rendergliela. Fra tutte le cose che potevo desiderare, un pezzo di carta mi sembrava assurdo. Ma quando lessi cosa c'era scritto sul retro, il cuore si fermò di qualche battito.

Mittente: Edna Bloomwood

Mia madre. «Ora vai.» la voce altrui mi risvegliò dal torpore che il passato esercitava su di me, sui miei sentimenti. «Quel Re dei Pirati è astuto, capirà subito di essere stato ingannato.» Poi si avvicinò a me e accostò le sue labbra alle mie. Non fu un gesto lussurioso o lascivo, nulla di tutto ciò. Era solo un leggero tocco delle labbra, un saluto malinconico, triste. Qualcosa che non avrei dimenticato.

«Un giorno ci rivedremo e quando succederà, tu sarai già la persona che avrà cambiato il mondo.» E con un solo gesto mi spinse verso una piccola porticina che era appena spuntata sulle pareti della caverna, come per magia. Non ebbi il tempo di chiedergli a cosa si riferiva.

«Addio!» gli urlai quando la porta si richiuse.


***


Corsi. Un passo dopo l'altro freneticamente, con la lettera stretta al petto, incredulo per quelle strane profezie e per il tesoro che avevo ottenuto. Non avevo avuto il tempo di aprire la lettera, ma l'avrei fatto. Eccome.

Coprii la distanza dalla giungla fino alla spiaggia in pochi minuti, perché lo strano punto da cui era spuntata la porta mi aveva facilitato le cose: ero riuscito a vedere il mare scintillare fra le palme. E adesso sapevo anche come mettere fuori gioco il Re dei Pirati e fargliela pagare.

Scorsi le vele nere e la grande nave, la Black Maiden, che stava lì ad oscillare con pacifica calma, mentre sembrava proprio aspettarmi. Proseguii ancor più in fretta, fino a raggiungere la scaletta di corda. Salii con foga, sperando che il Capitano non decidesse di arrivare proprio in quel momento, o che non fosse già sul ponte ad attendermi. Quando avrebbe capito che avevo preso io il suo tesoro... Ah, sarebbe stato estremamente divertente vedere la sua faccia!

Saltai sul ponte deserto, ritirai la scaletta e con fatica feci lo stesso con l'ancora, gesto agevolato da una serie di manopole. Poi spiegai le vele, o ciò che ne era rimasto dopo la battaglia col Kraken, che aveva completamente distrutto l'albero maestro. Per fortuna avevo prestato molta attenzione ai pirati che si occupavano della navigazione e del sartiame. Mi ero persino fatto spiegare in che momento bisognava tirare determinate corde, lì per lì per curiosità, pensando che prima o poi le informazioni mi sarebbero servite. Non pensavo così presto.

La nave si mosse, allontanandosi dalla terra sabbiosa.

E subito vidi dei movimenti fra gli alberi. Non riuscii a contenere il ghigno stampato sulla mia faccia. Arrivavano esattamente al momento giusto. La ciurma di pirati si riversò sulla candida spiaggia, tanti puntini neri che spiccavano sul bianco. Erano scioccati e furiosi, capitanati da un Re dei Pirati ancora più collerico della sua ciurma. Ma la sua faccia cambiò totalmente colore quando vide il mio viso e le mie mani sul timone.

«Yul! Vieni subito qui!» urlò lui, incredulo di trovarmi lì, con le mani sul suo bel veliero. Era troppo divertente vederli in quello stato. Che senso aveva ucciderli e rubare documenti quando potevo prendere la nave e lasciarli per sempre su un'isola deserta? 

Erano finiti, nessuno li avrebbe soccorsi in mezzo al Mare dei Mostri. Sentirmi chiamare Yul in quel frangente, mi parve tremendamente azzeccato. Quell'assassino era un vero bastardo di professione, un furfante. In qualche modo mi ritrovai nelle sue vesti, quasi che avere il suo nome mi avesse dato un po' di lui. Sghignazzai e corsi verso la poppa per guardare meglio il gruppo di pirati bloccati sulla spiaggia. Presi il fazzoletto bianco - ora non proprio candido - riposto nel taschino della giacca e lo agitai a mo' di saluto.

«Grazie capitano! Solo per opera vostra il tesoro è nelle mie mani!» esclamai, platealmente. Il mio lato vanitoso era libero di dare sfogo a tutti i suoi pensieri. I pirati furono scioccati ma mai quanto il Re dei Pirati, che ringhiò e incominciò a urlare insulti come un ossesso, accompagnato dai suoi tirapiedi. Tutto suonava come un  "Puttanella! - o - Stronzo! - o ancora - Gran bastardo!" ma questi erano quelli più gentili. 

Continuai a gongolare tracotante, divertito, irriverente. «Oh, un'ultima cosa! Il mio vero nome non è Yul!» urlai, mentre la nave si allontanava e le loro possibilità di salvezza si rimpicciolivano fino a diventare nulle. Le loro facce avevano ormai assunto qualsiasi colore, qualsiasi espressione. «Mi chiamano Sfavillo!» conclusi, agitando e sventolando ampiamente le braccia nell'aria, come un bambino che era dispiaciuto di dover partire senza i genitori e cercava di salutarli fino all'ultimo, fino a quando le loro facce non fossero diventate piccole piccole e poi inesistenti. Al sentire la mia vera identità, le loro espressioni furono tanto impagabili da valere più di tutti gli abiti e i gioielli alle feste di Skys Hollow. Risi di gusto. «Addio Capitano Ren Uruj!»

E poi i loro volti diventarono troppo piccoli e le loro voci troppo lontane. Addio, ex Re dei Pirati. Ancora una volta, Sfavillo ha intascato la vittoria.

Quando fui certo di averli lontani e di essere al sicuro - per quanto lo fossi nel Mare dei Mostri - presi un grosso respiro. Era il momento di aprire la lettera. Inspirai ed espirai, con la paura di non riuscir a raccogliere ossigeno, con il cuore a mille. Sull'esterno:

Mittente: Edna Bloomwood
Destinatario: Helias Bloomwood

Con un gesto fulmineo delle dita, ruppi la carta che teneva incollata la busta. Sentii subito un oggetto dentro, ne fui certo, ma la prima cosa che feci fu prendere il foglio di carta ben ripiegato. Volevo assorbire ogni frase, ogni parola, ogni sillaba. Ma quando lo aprii rimasi di stucco, perché c'era solo una striminzita frase:

Via Blue Rose 78. 203.

Afferrai l'oggetto e con ancor più stupore scoprii di cosa si trattava. Una chiave.


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