10. L'Assassino e il Triangolo delle Bermuda
Sbattei le palpebre cercando di reagire a quella situazione, provando a mettere a fuoco l'enorme bestia piena di tentacoli che incombeva sulla nave con l'intento di stritolarla, tentando di convincermi a prendere la sciabola ora ai miei piedi.
Il caos regnava sovrano, mentre orde di pirati correvano e urlavano a destra e a manca, pur di schivare quei le sferzate dei bracci del mostro. Non ero tanto scioccato dalle ventose che si stringevano attorno all'albero maestro preparandosi a spezzarlo in due; neanche da quel pirata che penzolava disperato dall'alto di un tentacolo che gli stringeva le caviglie, mentre si sbracciava per implorarmi di aiutarlo, nello stesso modo in cui aveva implorato il Re dei Pirati a violentarmi. Ciò che mi lasciava davvero sbigottito erano le fauci giallastre che si contraevano in cerca di cibo al centro dell'enorme testa di calamaro. E poi quegli occhietti neri, piccoli e opachi che squadravano con una sorta di fredda intelligenza calcolatrice le figure umane che sgambettavano da prua a poppa, cercando in tutti i modi di sfuggire alle sue spire.
Raccolsi un profondo respiro. Ero pur sempre l'Assassino di Skys Hollow, il temibile Sfavillo, il sicario che nessuno si augurava di incontrare! La voce imperiosa del Capitano Ren sovrastò i miei pensieri.
«Voi!» Indicò lo sparuto gruppo di pirati lì vicino. «Con me!» Poi gettò uno sguardo al resto dell'equipaggio, che per un attimo aveva smesso di temere della propria vita e si era completamente dedicato al suo capitano, come se al momento non ci fosse nulla di più importante. «Tutti gli altri, ai cannoni!» E allora, sebbene con un po' di riluttanza ma senza la possibilità di rifiutarsi, i pochi pirati ai suoi fianchi impugnarono le sciabole con più decisione, pronti a combattere il mostro.
Il resto, corse verso i cannoni più vicini e la maggior parte, con un ampio sospiro di sollievo, si eclissò verso il fondo della nave, per accedere a quelli sottostanti e sparire dalle mire dei tentacoli. Molti nel farlo mi spinsero e spalleggiarono, ma io rimasi immobile, incerto sui miei compiti. Non avevo mai affrontato nessun mostro marino prima d'ora, ma correre ai ripari era un gesto di vigliaccheria poco consono alla mia professione d'assassino.
Afferrai la sciabola. Schivai la sferzata di un tentacolo e la spinta di un pirata sdentato e corsi verso il Capitano Ren, che in quel momento affettava e tagliava con una grazia omicida, mentre la coda castana oscillava ad ogni colpo di sciabola. Intanto, un mozzo muoveva a destra e a sinistra il timone con disperata virulenza, tentando di scrollare il Kraken dalla nave, ma in quel modo faceva dondolare tutto il veliero con strattoni violenti, sbalzando la ciurma da un angolo all'altro come avrebbero potuto fare le particelle di neve dentro ad una palla di vetro. Quasi caddi faccia a terra nel raggiungere il Re dei Pirati, che mi guardò alzando un sopracciglio mentre schivava con uno sciolto movimento di spalle l'affondo di un tentacolo.
«Se vuoi salva la pelle va' sotto coperta.» mi intimò, il tono di voce più minaccioso del solito. Roteai la spada sulla testa e con un ghigno tagliai di lungo una grossa ventosa.
«Non sono un codardo.» annunciai, esibendo il mio miglior sorriso strafottente mentre facevo scorrere un dito sul dorso della lama, impiastricciata di una sinistra melma giallastra e puzzolente, che con tutta probabilità doveva essere il sangue della creatura.
«Un marinaio che non sa nuotare ma che sa maneggiare con grande abilità la spada...» Tagliò di netto un tentacolo che sembrava avere tutta l'intenzione di avviluppare il corpo di uno dei suoi pirati. «Accomodati.» rise, agitando la sciabola. Poi attese per qualche minuto, fendendo e tagliando i tentacoli che avevano ormai distrutto le ringhiere agli estremi della nave, privandolo di parapetti di sicurezza. I pirati ai cannoni si voltarono verso di lui, facendo un cenno con la testa.
«Pronti.» Ed ecco che sul volto del Re dei Pirati si dipinse un sorriso eccitato. Alzò il braccio munito di sciabola, che scintillò alla luce del sole. I pirati accesero le micce. Mi premetti le mani sulle orecchie, forte.
Tre. Due. Uno.
Il Capitano abbassò con un'unica mossa il braccio.
«FUOCO!» Scoppiò il caos.
Il Kraken guaì orribili lamenti di dolore. Volarono tentacoli carbonizzati, altri si abbatterono con ancora più furia sul legno scuro del ponte e dello scafo. La nave venne scossa da violente oscillazioni, palle di cannone schizzavano nel cielo e l'odore di polvere da sparo e aria salmastra ci inondava le narici, insieme al puzzo del sangue melmoso. Schivai un tentacolo che tentò di abbattersi sulla mia testa, ma il timoniere precipitò in acqua e la nave sbandò troppo a destra. Caddi a terra, rotolando velocemente verso il tribordo. Mi ricordai soltanto allora che non c'erano più i parapetti a proteggermi e che sarei caduto in acqua, vulnerabile, alla portata del mostro e incapace di nuotare. Artigliai il pavimento con l'unico risultato di sentirmi sanguinare le dita, finché qualcuno non afferrò la mia mano al volo, salvandomi per un pelo. Alzai lo sguardo ed incontrai due limpidi occhi verde acqua.
«Attento.» mi avvisò, con uno sguardo ammiccante. Mi aggrappai alla sua mano, grato dell'aiuto e conscio del suo interesse, nonostante la situazione.
Mi ricomposi, tentando di restare in equilibrio in tutti i modi nonostante la nave continuasse ad ondeggiare pericolosamente, mentre stringevo l'elsa della mia arma più forte. Per fortuna non eravamo ancora affondati e per una fortuna ancora più grande, il polpo non aveva forato lo scafo. Potevamo ancora salvarci.
Fissai lo sguardo sul calamaro gigante con una smorfia infastidita: non importava quanti tentacoli affettavamo.
«Il problema è la testa...» sussurrai, assorto nei miei pensieri. Il Re dei Pirati scosse il capo facendo tintinnare le perline colorate del filo che portava appeso ad un lato del volto.
«Già, ma i cannoni non ci arrivano.» mi spiegò la sua voce sensuale. Era vero, i cannoni non potevano curvarsi, ma solo sparare in linea retta. Mi balenò una delle numerose idee pazze che mi maledivo di avere. Ma poi scossi la testa. Non potevo farlo.
Ma dovevo assolutamente concludere la missione e tornare vivo e vegeto alla Fortezza dell'Assassino. E per farlo dovevo uccidere il cosone attorcigliato alla nave. Sospirai e mi ritrovai ancora una volta a mettere in pratica l'idea folle.
Attesi un tentacolo, che immediatamente arrivò. Mi ci aggrappai, con ognuna delle mie forze, sperando con tutto il cuore di non scivolare tanto era viscido. Non mollai la sciabola, che tenni stretta come unica ancora alla buona riuscita del mio incosciente piano. Strisciai su per l'arto del Kraken, sempre più su, e ancora di più. Il Capitano Ren mi osservò con occhi attenti, intuendo all'istante le mie intenzioni. Sentii la sua risata esasperata balenare da qualche parte alle mie spalle.
Salii ancora e finalmente, con un salto, mi appiccicai alla base della grossa testa del polpo, facendo aderire completamente il corpo a quella pelle viscida. Abbracciai la testa triangolare con braccia e gambe, cercando in qualsiasi modo di non cadere fra le fauci giallastre qualche metro sotto di me. Scivolai lo stesso.
Artigliai la pelle viscida e rosata, perdendo la presa intorno all'obiettivo del mio piano. Nello stesso istante in cui precipitavo, alzai la sciabola con un movimento fulmineo: si conficcò al centro della testa da calamaro, fra i suoi piccoli occhietti neri. Mi appesi all'arma, che per tutta risposta incominciò ad aprire uno squarcio nell'enorme testa del mostro, facendo fuoriuscire fiotti di disgustoso liquido giallastro. Il Kraken lanciò un lungo ed acutissimo lamento, che per poco non mi perforò i timpani. Poi precipitò ed io con lui.
Gridai, mentre la grossa testa mostruosa cadeva a picco in mare. Arrivato all'altezza della nave, riuscii solo a vedere di sfuggita il ponte, i pirati con la bocca aperta, l'albero maestro, il Capitano Ren che mi sorrideva soddisfatto. Eppure caddi oltre. Caddi sì, però qualcuno mi afferrò la mano in tempo.
Udii lo strappo alla spalla a causa del contraccolpo e le dita, rese viscose dal sangue del calamaro gigante, mi facevano scivolare la presa, ma mani calde mi tenevano forte. Mi trascinarono su e in un gesto involontario, forse per la velocità dell'azione, o forse non troppo involontario, cademmo l'uno sull'altro. Sentii il mio petto bagnato sopra il suo, muscoloso, ed incrociai i suoi occhi verde acqua. Il Capitano Ren mi sorrise malizioso.
«Sono colpito.» parlò con la sua miglior tonalità di voce, roca e bassa, e non fui sicuro si riferisse alla mia vittoria contro il Kraken. Con le mani arrivò fino alle mie natiche, spingendomi contro di lui, come se volesse sentirmi. In un gesto quasi dettato dall'istinto mi allungai a leccargli la piccola cicatrice bianca sul lato destro delle labbra carnose.
Lui lo colse come un chiaro invito e mi pizzicò le labbra in un morso. Poi si avventò su di me, insinuando la sua lingua fra la mia bocca, che schiusi con desiderio. Mi baciò famelico, vorace. Riuscii ad avvolgere una mano intorno al suo codino castano e l'altra sul bavero aperto della camicia bianca, mentre la mia lingua si intrecciava alla sua. Sentii un vago rigonfiamento premere contro di me ed ebbi un fremito.
Ti amo.
Rotolai via da lui, come se quelle parole avessero smorzato tutto. Giusto dopo qualche secondo mi accorsi che eravamo sul ponte del veliero e i pirati mi guardavano. Ma non fecero troppo caso a ciò che avevo fatto col loro capitano. Mi fissavano ammirati. Molti mi diedero delle sonore pacche sulle spalle, altri si complimentarono e uno fece perfino un grosso rutto d'apprezzamento. Diamine, io ero Sfavillo! Come minimo dovevo saper uccidere una creatura priva di intelligenza. Ma loro non lo sapevano. E sarebbe stato meglio non l'avessero saputo.
Il Re dei Pirati si alzò dietro di me, sciogliendosi le spalle muscolose. Sfruttando il fatto che gli rivolgessi la schiena, mi mise le mani sui fianchi, avvicinando le labbra carnose al mio orecchio. «Coraggioso, intelligente e bello... Cos'altro ti manca?» soffiò, facendomi rabbrividire. Era disarmante come saltellasse dal voi al tu con una facilità incredibile. Mi girai per fronteggiarlo, allontanandomi in tal modo dal contatto che si era creato.
«A parte il non saper nuotare?» risposi, abbozzando un sorrisetto divertito. Raccolse da terra la sua sciabola e in una frazione di secondo era già sorretta dal cinturone al suo fianco. Sorrise anche lui.
«Nome?» Non ci pensai un attimo. Non dissi Helias, quello vero, neppure Valentine, quello da nobile e non pronunciai neanche di dire Joy, l'appellativo che avevo usato a Costantinopoli. Pronunciai il primo nome che mi baluginò in testa e subito mi maledissi.
«Yul.» risposi ed ebbi voglia all'istante di schiaffeggiarmi. Non stavo pensando a lui. No. Per niente. Affatto.
«Allora benvenuto a bordo della Black Maiden, Yul.»
***
Valutammo i danni: l'albero maestro era andato, le ringhiere protettive di babordo e tribordo erano state rase al suolo e una decina di pirati erano dispersi, compreso il timoniere. Tutto sommato, non erano perdite così gravi, la Black Maiden poteva ancora solcare le acque senza troppi problemi. I pirati potevano ancora ruttare senza riguardi e il Re dei Pirati aveva ancora i mezzi per raggiungere il suo obiettivo. Quale fosse poi, non avevo ancora avuto modo di scoprirlo. Io stesso stavo lentamente perdendo di vista il mio: i documenti sulle tratte di schiavi, la sua morte.
«Se posso chiederlo, qual è la meta di questo viaggio?» chiesi, affiancando il Capitano Ren, che scrutava con occhi verdi come il mare le acque dalla prua, sporgendosi abbastanza da allinearsi col viso a quello della polena, un disperato angelo piangente.
«Sai, Yul» Si voltò verso di me mentre le piume attorcigliate nel suo nastro per capelli volteggiavano alla lieve brezza marina. Sentir dire quella parola mi fece drizzare i capelli sulla nuca, ma dopo un iniziale stupore mi diede quasi fastidio il lieve accenno di malizia mescolato al suono del nome dell'Assassino che tanto odiavo. Sì, il Re dei Pirati parlava con me, non con Yul.
Quella malizia era rivolta a me. Quindi perché ero infastidito? E non solo, mi faceva sentire un grande, grandissimo idiota. Come mi era venuto in mente di dire il suo nome? Come mi era anche solo potuto venire in mente Yul? «C'è un tesoro.» iniziò a raccontare. «Un tesoro così grande, così mastodontico, che in tanti hanno solcato queste stesse acque per raggiungerlo.» bloccò i miei pensieri su un certo antipatico Assassino che forse in quel momento si stava trastullando insieme ad uno smorfioso cortigiano. Un tesoro? Era una svolta del tutto imprevista.
«Fatemi indovinare.» Incrociai le braccia sulla camicia sgualcita. «Adesso voi avete intenzione di andare a prenderlo.»
«Esatto, ed è posto proprio in un'isola in mezzo al Mare dei Mostri.» Inarcai un sopracciglio.
«Mare dei Mostri?» chiesi, quasi con un tono di scherno. I mostri non esistevano. Mi ricredetti qualche secondo dopo al ricordo dell'enorme calamaro chiamato Kraken.
«Meglio conosciuto come il Triangolo delle Bermuda, un vero e proprio triangolo di mare in cui l'elevata concentrazione di magia ha favorito la creazione di un numero infinito di mostri.» spiegò, scrutando la superficie cristallina del mare, illuminata dal sole. «E proprio al centro di tutto, protetto da bestie marine di ogni tipo, sta l'isola del Signore della Giungla e il suo tesoro.» si avvicinò, attorcigliandosi una ciocca dei miei capelli dorati intorno alle dita. «E' quella la meta, se è questo che volevi sapere.» mi sorrise ammicante, avvicinandosi più del dovuto e iniziando ad armeggiare con i bottoni della mia camicia. Mi baciò un lobo dell'orecchio, stuzzicandolo poi fra i denti, con insistenza.
«Capitano!» Lo chiamò un pirata che ci distolse da tutto ciò che stava per iniziare. Il Re dei Pirati gli scoccò un'occhiataccia degna di nota, al quale il tirapiedi rabbrividì. Era un tizio basso quanto uno gnomo, aveva una buffa voce nasale e il viso uguale e identico a quello di una capra, con barbettina annessa. Indicò un punto all'orizzonte, con apprensione. Se tendevo l'orecchio, riuscivo facilmente a sentire un rumore, come un gorgoglio di acqua troppo potente e un sibilo acuto.
Il Re dei Pirati si voltò con me verso la fonte di quel disturbo sonoro e, non appena concluse il gesto, il suo sguardo divenne duro come la pietra. Prestando più attenzione, lì oltre prua, potei notare un passaggio angusto in mezzo a due ostacoli: da una parte, un gorgo che assorbiva e poi rivomitava acqua, schiuma e chissà cos'altro. C'erano orde di relitti, frammentazioni di legno e vele incastrate nel mezzo del vortice, come se quel pezzo di mare fosse solito triturare. Dall'altra parte, l'acqua era calma, ma un immenso scoglio si stagliava nero-marrone spaccando l'immensità dell'orizzonte, con l'aspetto innocuo di un solitario isolotto. Solo qualche secondo dopo mi accorsi che c'erano due enormi fenditure perpendicolari nella pietra, due fori, che erano occhi, e quelle pietre bianche e aguzze alle pendici in realtà erano denti. Rabbrividii.
«Scilla e Cariddi.» sibilò il Capitano Ren, come se quell'incontro fosse stato inevitabile.
«Che facciamo, capitano?!» chiese il pirata capretta, rimarcando sulla parola "capitano" come se il grosso fardello ricadesse unicamente su di lui, senza preoccuparsi minimamente di mascherare la sua paura. Fu allora che mi resi conto che Ren Uruj era un vero capitano: sapeva prendere decisioni difficili nella frazione di pochi e semplici secondi. Squadrò l'orizzonte con un'espressione impenetrabile sul viso, poi si voltò verso i suoi pirati, che lo guardarono in cerca di risposta.
«Scilla.» Li guardò uno ad uno trasalire. «Scegliamo Scilla.» ripeté, con un'espressione assolutamente ineluttabile, non ammetteva alcun tipo di replica. Ma io la feci lo stesso. Mi frapposi fra lui e i suoi pirati e lo fissai confuso.
«Perché non li circumnavighiamo?!» chiesi, perplesso. Lui mi rispose immediatamente.
«È un portale magico, non importa quanto lo evitiamo, ce lo ritroveremo sempre e comunque davanti.» mi disse, scandagliando l'orizzonte con un luccichio di sfida. La parola "inevitabile" si disegnò frettolosamente fra i miei pensieri. Proprio non c'era scampo. Allora il Capitano si sporse su di me e in un soffio disse: «A volte bisogna fare qualche sacrificio.» e ritornò a dedicarsi ai suoi scagnozzi, cambiando totalmente espressione.
«Tu» indicò uno dei tanti pirati dalla pelle butterata «tu» uno con la testa piena di dread e lo sguardo arrabbiato «tu e tu» altri due, dall'aspetto estremamente innocuo e poi abbassò lo sguardo al pirata capretta ancora di fronte a lui «e anche tu.» concluse la lista. «Rimanete qui a condurre la nave.» E quelli fecero un'espressione smarrita e sbiancarono. Non era difficile capire il perché. Brevi frasi avevano decretato la fine della loro lurida vita da pirati. Erano diventati dei sacrifici, ormai, e il loro capo non aveva esitato neanche per un secondo.
«Tutti gli altri, sotto coperta. Muoversi!» ordinò Ren, trascinandomi al sicuro.
***
Ci accalcammo nella stiva, in silenzio, aspettando. Passarono quelli che mi sembrarono minuti interminabili: il riverbero delle urla agonizzanti e gli sguardi sollevati di chi se ne stava sotto coperta erano un binomio disgustoso, che diluiva il tempo fino a renderlo intollerabile. Quando ritornammo sul ponte diverse ore dopo, era tutto finito. Era già calato il buio e di quei cinque pirati o delle temibili Scilla e Cariddi non c'era neanche l'ombra. Mi chiesi cosa potesse essere mai successo, ma poi mi risposi, non senza un brivido, che non volevo saperlo.
Mi concessi pochi secondi per riprendermi, poi delle luci splendenti dal fondo del mare, che si avvicinavano sempre di più, e ancora più vicino, colsero la mia attenzione. Strinsi gli occhi, cercando di identificare quelle piccole forme luccicanti sotto l'acqua, finché non ne uscirono, iniziando a ballare nell'aria e a volteggiare sprigionando luce e colori intensissimi. Erano meduse.
I pirati avevano preso boccali e birra e avevano incominciato a festeggiare. «Siamo dentro!» esclamò il Re dei Pirati al suo gruppo. Ce l'avevano fatta, erano riusciti ad entrare nel Triangolo delle Bermuda. E purtroppo, con mio grande disappunto, c'ero dentro anch'io.
Come diamine ci ero finito alla ricerca di un tesoro?
Sospirai, sporgendomi oltre il babordo del veliero per scrutare al meglio i colori di quelle bellissime creature: blu, rosse, bianche, gialle, verdi, tonalità e scale cromatiche così variopinte da non poterle sognare nemmeno nella sartoria più costosa di Skys Hollow.
Un pirata già ubriaco marcio si aggrappò alle mie spalle stringendo con una mano il boccale quasi vuoto e con l'altra il mio braccio, cercando in tutti modi di strapparmi un bacio, con l'unico risultato di darsi ad una sfilza di rutti proprio sulla mia faccia. Mi bastò una spinta e quello cadde a terra come un salame, sotto la mia risata esasperata. Non sembravano davvero così malvagi come dicevano. Forse uccidere il Re dei Pirati non sarebbe stato così complicato. Storsi la bocca.
Non avevo ancora trovato quegli stramaledetti documenti e non avevo neppure uno straccio di prova sui movimenti criminali del Capitano Ren. In realtà, non avevo neppure idea di quando avrebbero toccato terra e il pensiero di rischiare di essere scoperto per poi farmi un giretto sull'asse - di conseguenza facendo un bagno nel Mare dei Mostri - non mi allettava molto. Ritornai a dedicarmi al pirata che adesso era stramazzato al suolo.
«Ehi, ma dove sono gli schiavi?» arrischiai, tentando uno dei miei approcci diretti. Il tipo si ridestò dal suo lappare viscidamente i bordi del boccale, pur di trovare ancora qualche goccia inesistente di birra, e mi fissò aggrottando le sopracciglia.
«Ma di cosa parli... hic... amigo?» E tornò a singhiozzare. Forse non era stato messo al corrente degli affari del suo capitano.
«Della tratta degli schiavi in cui è coinvolto Ren Uruj, no?» insistetti. Doveva pur esserci qualcosa, non potevo mica aver rischiato la vita a vuoto. E il Re degli Assassini non poteva mica avermi mandato in una missione inutile! L'ubriaco scosse la testa, confuso.
«Quale tratta?» cominciò. «Hic!» aggiunse, prima di stramazzare con la testa sul ponte di legno. Non ne sapeva nulla. Non avevo idea del perché, ma tutto quanto mi puzzava di bruciato. Mi rialzai da terra, ignorando le urla e gli schiamazzi della ciurma, che bevevano e che mi guardavano mimando gesti sconci. Alzai gli occhi al cielo e mi godetti la brezza notturna, con gli occhi fissi sulle meduse colorate che attorniavano la nave. In un gesto istintivo, allungai una mano verso una di loro, sentendo quasi il bisogno di vedere che consistenza avesse. Abbastanza molle o abbastanza evanescente come lo era nella mia testa?
«Fermo.» sentii una voce sensuale alle spalle e mi voltai giusto il tempo di vedere il Capitano Ren che allungava una mano verso la mia per allontanarla e portarsela alla bocca. «Sono fulminanti.» Mimò un sorriso malizioso, baciandomela. «Un po' come te e i tuoi capelli dorati.» Colpito e affondato.
Non riuscii a reprimere un gemito quando iniziò a leccarmi le dita, una ad una, come a voler capire che sapore avessero i miei polpastrelli. Lo scostai leggermente, arrossendo quando i suoi occhi verde acqua si riempirono di desiderio.
Non ero ancora riuscito a capire se quello stupido pirata avesse o meno contatti con le tratte degli schiavi, ma in quel momento non me ne importava di meno. Mi spinse contro l'unico pezzettino di ringhiera rimasto sul bordo del veliero e ben presto mi ritrovai schiacciato e premuto contro la sua figura. Era talmente vicino che potevo vedere buona parte dei suoi tatuaggi sotto la camicia bianca: erano realmente mappe, o almeno avevano tutto l'aspetto d'esserlo. Ecco perché per lui era così facile arrivare ad un tesoro, ecco perché era diventato il potente Re dei Pirati.
In un secondo, insinuò le mani sotto la mia camicia e mi slacciò il fazzoletto rosso stretto intorno al collo, che volò a terra. Mi ritrovai in poco tempo avvolto fra le sue braccia forti riempite d'inchiostro. La sua bocca tornò a cercare la mia con una voglia famelica. Intrecciai la mia lingua con la sua, inarcandomi contro di lui e strusciando il basso ventre verso il suo con desiderio. Mi avvolsi fra le mani la coda color cioccolato e quasi mi immaginai fossero capelli rosso sangue e quegli occhi fossero blu come la notte. Mi allontanai, ansimante.
Che diavolo mi era appena venuto in mente? Il Re dei Pirati mi fissò con espressione interrogativa, cercando di capire il motivo per cui mi fossi ritratto in quel modo. Per fortuna, non poteva sapere che un certo assassino non solo mi tormentava nella vita vera, ma pure nella testa.
Proprio in quel momento, captai qualcosa di strano con la coda dell'occhio. Drizzai l'orecchio, che percepii un suono melodioso. Qualcosa che mi invitò a sporgermi dal bordo della nave, qualcosa di così bello da farmi desiderare di sentirlo all'infinito. Era un canto. Un canto stupendo, mieloso, mellifluo e dolce.
Volevo sentirlo più vicino, volevo gettarmi nelle acque per raggiungere quella pacifica armonia e lasciarmici avvolgere. Per sempre. Mi spinsi verso il bordo della nave, oscillando verso il basso, pronto per spiccare il balzo. Ma un braccio mi spinse dentro il ponte. Mi voltai, accigliato: tutto ciò che desideravo era ad un passo da me e qualcuno tentava di ostacolarmici. L'avrei ucciso.
Prima di entrare in azione, il Capitano Ren lanciò un urlo talmente forte, talmente potente, da farmi piegare sulle ginocchia per tapparmi le orecchie. E quell'incantesimo si ruppe. Mi avevano ipnotizzato.
Incontrai lo sguardo del Re dei Pirati, che si tappava le orecchie e con una smorfia mi mimava con le labbra S i r e n e. Avevo sentito parlare di tali creature e la mia mente le aveva relegate fra i miti e favole per bambini. Ma evidentemente e con grande sfortuna, dovetti scendere a patti con la realtà ed accettare che no, non era così. Diversi pirati con lo sguardo vacuo e perso nel vuoto si gettarono sotto i miei occhi allibiti dalla nave.
Per quel che sapevo, le Sirene erano mostri mezza donna, mezzo pesce e con le ali da uccello, in qualche modo capaci di incantare con la voce inducendo un uomo alla morte per annegamento, per poi divorarli. Avrei augurato un destino simile soltanto al Re di Darlan. Ringraziando mentalmente il capitano per avermi salvato. Tuttavia, mi accorsi con un moto d'ansia, che tapparsi le orecchie non bastava minimamente e il canto filtrava lo stesso cercando in tutti i modi di riportarmi alla follia. Scossi più volte la testa, poi gridai, cercando di coprire quelle note dolci e pericolose.
Capii che se urlavo, la mia voce era in grado di sovrastarle e mi venne l'idea. «Cantiamo!» urlai, in particolare verso il Re dei Pirati che in quel momento mi sembrava uno dei pochi capaci di intendere e volere. Annuì lanciandomi uno sguardo d'intesa, evidentemente approvando il mio intuito.
Iniziammo a cantare, prima lievemente poi sempre con più foga e forza, cercando in tutti i modi di sovrastare la melodia ingannatrice delle Sirene. Non era una canzone che avevo scelto io: era uno strambo testo che parlava di bambini che giocavano a fare i pirati e poi finivano per ammazzarsi davvero. Piano piano sempre più pirati iniziarono a riprendere coscienza e ad unirsi al nostro canto. Continuai e sentii la mia gola incrinarsi e le vene del collo quasi scoppiare per lo sforzo. La canzone smise e ne cominciò un'altra che parlava di corvi che mangiavano impiccati, ma anche di guardie reali, di birra e di belle cortigiane. Io seguivo le parole del Capitano Ren e lui seguiva la mia melodia.
Si stava creando una bizzarra simbiosi, in cui ognuno completava la canzone con la propria voce e il proprio istinto di sopravvivenza. Ormai il dolce e velenoso canto dei mostri era stato coperto e sostituito da un coro di pirati ubriachi e spaventati, da un assassino travestito da marinaio e da un capitano tatuato da tesori.
La nave proseguì oltrepassando ad un masso, e per poco la mia voce non si strozzò bloccandosi. Spiaggiate lì sopra c'erano tre figure macabre e orrende: donne con la coda da squalo, il torso femminile coperto da sporche piume marroni, delle alette rattrappite sulla schiena e un volto di donna che poteva anche possedere lineamenti armoniosi, ma era quasi completamente scarnificato. Ci fissavano muovendo le bocche. Gli occhi erano dei pozzi neri e lugubri e sembravano arrabbiate, infuriate, perché non solo ignoravamo il loro meraviglioso e mortale canto, ma addirittura ci permettevamo di coprirlo con le nostre voci sgraziate e scosse da singhiozzi e stonature.
Però noi continuammo a cantare, anche se la gola faceva male, anche se la bocca era secca e la saliva non umidificava più la lingua. Con un ultimo sguardo furente, le Sirene si gettarono in mare e sparirono, portandosi la loro bellissima voce con loro. E noi fummo salvi. Fra urla di giubilo ed esultanza, qualcuno urlò.
«TERRA ALL'ORIZZONTE!» E capimmo di essere arrivati.
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