9. L'Assassino e il Re dei Pirati

Due giorni e circa quattro ore più tardi, mi asciugai col torso della mano la fronte, madida di sudore, coprendomi il viso dal sole con il cappellino da marinaio, di un delizioso blu oltremare.

Erano le prime luci dell'alba e la Baia del Teschio era già in fermento: gli ubriachi se ne stavano al di fuori delle osterie, cercando in tutti i modi di smaltire la sbronza mentre erano stravaccati sulla strada. Le prostitute cacciavano via i clienti che si erano trattenuti troppo a lungo, oppure i curiosoni che si erano fermati a sbirciare verso la finestra le donne che si riassettavano dopo una nottata di faticoso lavoro. Altri semplicemente parlottavano nei vicoli scuri, con fare losco.

Diverse barche erano ormeggiate al molo e qualche marinaio con tenute simili alla mia, tirava cime e stringeva nodi. Sospirai. Il caldo era incredibile per essere fine primavera. Certo, non era nulla in confronto all'afa del Deserto Rosso, ma era un tipo diverso di calore. Era umido e appiccicoso, come se l'aria avesse avuto l'intenzione di incollarsi alla mia pelle senza più staccarsi, opprimente.

Per non parlare della puzza. Il tanfo di pesce sembrava insostenibile e arricciavo il naso più volte di quanto non lo facessi. Per il resto, la cittadina costiera del regno di Darlan non era molto particolare: le casettine grigie e fatiscenti; le osterie e i pub vecchi e puzzolenti, dalle insegne ciondolanti di legno, carichi di risse represse e litigate a suon di pugni; i bordelli di un pietoso livello, rigorosamente uguali agli altri; e botti ricolmi di birra fuori dai locali. Solo il paesaggio sembrava dissentire sull'ambiente poco elegante, con il mare blu ed esteso e le pittoresche colline verdi ai lati della costa. Era la prima volta che vedevo il mare e mi sembrava incredibile che l'acqua potesse essere così tanta.

Sbuffai, tappandomi il naso. Questa volta non avevo un piano ben preciso, nessuna linea d'azione e pochissime informazioni.

Scelsi un'osteria a caso e ci entrai svogliatamente. Dentro mi colse un odore di acre, sudore e birra, che il caldo sembrava accentuare. I tavoli di legno erano malamente disposti nella stanza e un uomo se ne stava disinteressatamente a spazzare per terra, togliendo resti di vetri e altro che non volevo sapere cosa fosse. Ero completamente solo, se non fosse stato per una figura avvolta in un mantello, intenta a bere con indolenza da un boccale di birra. Mi sedetti davanti al bancone sbattendoci sopra una moneta d'argento.

«Una birra.» dichiarai, nel silenzio di quell'umida mattina. L'uomo col mantello mi lanciò un'occhiata fugace da sotto al suo cappuccio, senza rivelarsi. L'oste mi servì con aria di sufficienza, annoiato a morte. «Ditemi» esordii. «che cosa sapete sul Re dei Pirati?» parlai, senza mezzi termini. L'oste che stava asciugando dei grossi boccali di vetro si bloccò. Spostò lo sguardo su di me e alzò un sopracciglio.

Feci scivolare sul bancone una seconda moneta d'argento, che sparì in un attimo. «Non so cosa vuoi sapere.» fece, sbattendo il boccale vicino agli altri, ormai asciutti. «Ma, fidati, non è un buon argomento.» Allungai un'altra moneta, seccato.

«Perché chiedi di lui?» domandò l'uomo al mio fianco, che non aveva detto una parola fino ad ora. Aveva una voce roca e intensa, che aguzzò la mia curiosità, ma non riuscii a scoprire nulla, coperto com'era. Mi strinsi nelle spalle.

«Sono nuovo di qui.» replicai. «Volevo semplicemente informarmi riguardo alla persona più celebre del posto.» Finsi un'aria disinteressata.

«E pagheresti solo per questo?» ribatté la voce, con una punta di divertimento. Beccato.

Scrollai le spalle. «Mi hanno detto che è un argomento difficile da trattare.»

«E avevano ragione! Porta male parlare di Lui, mozzo!» riprese a parlare l'oste barbuto. Doveva averne passate tante per essere così superstizioso. E comunque non ero un "mozzo". Poggiai altre due monete sul bancone, inclinando la testa. E allora, con un gesto fulmineo, l'uomo col mantello le afferrò. Se le rigirò fra le dita come un prestigiatore, passandosele da una falange a quella accanto senza mai farle cadere.

«Monete di Skys Hollow, mh.» Poi se le fece balzare sul palmo della mano, stringendole nel pugno. «Non sono tante le persone che arrivano dalla capitale.» Mi fissò da sotto al suo cappuccio marrone. «Ti dirò quello che so.» concluse, stupendomi. «Nessuno ha mai visto di persona il Re dei Pirati, ma girano diverse leggende.» Prese un sorso dal suo boccale di birra. «Una per esempio, dice che abbia venduto l'anima per ottenere le mappe di tutti i tesori del mondo. E addirittura si racconta che ce le abbia tutte tatuate addosso.» L'oste lo interruppe.

«Alcuni dicono che un suo nemico abbia provato a spellarlo per poter prendere le mappe dal suo corpo! Alla fine...» Fece una pausa d'effetto. «... ritrovarono quell'uomo che penzolava dall'albero della nave, scuoiato vivo!» L'uomo accanto a me ridacchiò.

«Bella storia, quella.» ridacchiò il tizio col mantello. Io avrei detto più raccapricciante.

«Ecco perché bisogna stare lontani dal Capitano Ren Uruj!» mi avvertì l'oste, pronunciando il nome del Re dei Pirati come quello di un temibile mostro. Il che poteva essere vero. «Chi vede le vele nere della sua nave di rado resta vivo!» continuò col suo tono spaventato.

«E la sua ciurma?» chiesi, sempre più interessato.

«Solo un branco di criminali e assassini, ma so che seguono rigorosamente i suoi ordini.» disse, pulendo un altro boccale. L'uomo accanto a me concluse di bere la sua birra, lasciando il bicchiere mezzo pieno e si alzò, facendo frusciare il mantello. Andò alla porta, in silenzio, poi si voltò.

«So che la sua nave ormeggia sempre in una caverna dietro alle colline, ad est. Sono sicuro che la troverai ancora lì.» Quella sì, che era una notizia.

«E tu come fai a sapere una cosa del genere?!» domandò l'oste, basito, ma l'uomo lo ignorò con una risata roca.

«Ci vediamo presto.» mi disse con un tono vagamente malizioso, poi si richiuse la porta alle spalle.

***

L'esistenza della caverna era impossibile da scoprire per chi non la conosceva già: la fitta vegetazione la celava alla perfezione. Mi nascosi dietro un gruppo di rocce ed effettivamente, mi accorsi che una nave era proprio dove mi avevano detto che fosse. Se ne stava  silenziosamente ormeggiata all'ombra della caverna, ondeggiando nell'acqua con una leggerezza innaturale, per un'imbarcazione di quell'ampiezza. Le vele nere non erano state spiegate, ma erano arrotolate alle travi di legno intagliate ed incastonate nell'albero maestro. Due membri della ciurma, brutti come la morte, stavano di guardia all'ingresso della nave, annoiati e poco attenti. Raggirarli sarebbe stato uno scherzo.

«Il Capitano ha detto che dobbiamo partire!» urlò improvvisamente uno, a bordo del veliero. Gli altri due salirono, contenti di far cessare il loro compito, a quanto pareva inutile, visto che non arrivava nessuno nel loro nascondiglio. Ritirarono la passerella dall'ingresso della nave.

Come non detto, niente entrata furtiva.

«Alzate l'ancora!» gridò uno. Mi balzò un'idea folle in testa, una che sembrava in ogni modo destinata a fallire. «Spiegate le vele!»

La nave si mosse. Il mio sguardo guizzò verso il parapetto della poppa, poi verso la grossa ancora di ferro che era stata sollevata e pendeva da un gancio proprio lì vicino. Ripensai alla mia infelice trovata: nella peggiore delle ipotesi mi spiaccicavo contro il legno scuro dello scafo per poi ricadere in acqua e affogare, nella migliore mi spaccavo di denti contro l'ancora.

Trattenni un respiro. Lanciai un'ultima occhiata al veliero, ma non c'erano pirati in vista. A quel punto uscii allo scoperto dal nascondiglio e presi la rincorsa fino al roccioso crepaccio della caverna, oltre cui c'era l'acqua: saltai, sentendo il morso dell'aria in faccia. Mi avvicinai spaventosamente al cadere, al perdere l'appiglio. Ma poi le mie mani trovarono i lati bagnati e arrugginiti dell'ancora e ci si aggrapparono, con forza. Sentii i polpastrelli graffiarsi e le unghie spezzarsi nel tentativo di non scivolare, ma non persi la presa.

Esalai un sospiro di sollievo, anche se avevo fatto parecchio rumore. Per fortuna, erano tutti troppo impegnati a far partire la nave e non avevano sentito il tonfo. La nave uscì dalla caverna e il sole mi baciò il viso, riempiendomi di calore. Sentii il suono delle vele spiegarsi nell'aria come ali di seta e in pochi minuti, la costa sparì in lontananza.

Non credevo sarei riuscito a penzolare dall'ancora per molto tempo ancora, ma il mio piano non lo richiedeva. Aspettai ancora qualche minuto, mentre le mie braccia tremavano dallo sforzo e le mie mani allentavano la presa, scivolando. Ancora qualche minuto. Resisti.

La bandiera venne alzata e un teschio di un candido bianco ghignò sul pezzo di stoffa nero, svolazzando al vento. Tanto impegnato a guardare quell'immagine, mi distrassi e persi la presa.

Un attimo prima di cadere in acqua, mi ricordai di un piccolo particolare: non sapevo nuotare. Non perché non lo sapessi fare, semplicemente nessuno me l'aveva mai insegnato prima, dato che non ero mai stato in una città marittima. Precipitai in acqua.

La fresca distesa marina mi accolse con avidità, cercando in tutti i modi di trascinarmi giù. Certo, le armi non aiutavano. Dissi addio al cappellino e alla lametta nascosta sotto di esso e cercai in tutti i modi di risalire in superficie. Presi aria, respirando a fatica fra le onde che mi schiaffeggiavano il viso. Non avevo idea di come nuotare, mentre mi agitavo, sbattendo mani e braccia. D'accordo, questo sarebbe servito alla mia recita, sempre se non fossi affogato prima. Dovevo sperare che mi notassero e soprattutto che decidessero di salvarmi.

Mi agitai ancora, bevendo acqua e sentendo il nauseabondo sapore di sale in bocca.

«Aiuto!» gridai, un po' per la mia recita, un po' perché ne avevo bisogno per davvero. Nessuno mi udì. «Aiuto!!» urlai più forte, mentre ingoiavo altra acqua e sentivo l'impellente bisogno di vomitare. La nave si stava allontanando. «Qualcuno mi aiuti!» La falsa parte di marinaio dentro di me sapeva che chiedere aiuto ad una nave pirata poteva includere un destino peggiore dell'affogare, ma lui stava lottando fra la vita e la morte. E io avevo assolutamente bisogno di salire su quel dannato veliere. Finalmente, qualcuno mi vide.

«Uomo in mare!» gridò qualcuno. Adesso c'era da chiedersi: mi avrebbero salvato o mi avrebbero semplicemente ignorato? Seppi che la seconda ipotesi era sicuramente la più probabile.

Invece qualcuno buttò una cima a cui mi aggrappai forte. Mi tirarono su e in un attimo mi ritrovai sulla nave, steso sul pavimento di legno che puzzava di pesce a sputare e annaspare, cercando di prendere aria. Solo quando mi ripresi, notai il cerchio di pirati stretto intorno a me, a scrutarmi come se fossi un animale raro.

Erano un insieme di barbe e capelli ispidi e sudici, di orecchini e tatuaggi rozzi, di coltellini e sciabole ricurve. Ridacchiai nervosamente. «Non pensavo mi avreste aiutato...» bisbigliai, con la gola in fiamme e gli occhi arrossati dal sale, fingendo un sorriso di gratitudine.

«Non l'avrebbero fatto, se non fosse stato un mio ordine.» dichiarò una voce roca e sensuale che mi sembrò in qualche modo familiare. Una figura alta e muscolosa si fece largo fra la cerchia di pirati.

Era affascinante, indubbiamente: portava i capelli lunghi, di un caldo color cioccolato, raccolti in una coda alta; la bocca carnosa e due occhi color verde acqua talmente limpidi e intensi da sembrare dello stesso colore del mare, completavano il quadro in un viso spigoloso e mascolino. Inoltre, aveva una piccola cicatrice verticale all'angolo destro della bocca, proprio nella piegatura del sorriso, che in qualche modo lo faceva sembrare più virile. Indossava una casacca di lino bianco con le maniche di pizzo merlettato; questa se ne stava aperta sul petto, lasciando intravedere dei tatuaggi che mi ricordavano tanto le mappe di cui mi avevano parlato. Un cinturone di pelle rossa da cui pendevano due sciabole lucide ai fianchi gli fasciava la vita e gli manteneva i pantaloni di camoscio nero. Infine, portava degli stivali scuri alti fino al ginocchio e diversi cerchietti di ferro brillavano si lobi.

Allungò una mano verso di me e il filo di perline colorate e argentate che portava appeso a quell'unica ciocca di capelli libera dalla coda, tintinnò. Mi chiesi come facesse ad indossare pantaloni di camoscio con quel caldo.

Ci squadrammo per un lungo momento ed io mi sentii inchiodato dai suoi occhi acqua marina. Non dovevo avere un aspetto esemplare con i capelli appiccicati al viso e i vestiti grondanti d'acqua, ma rimanevo sempre quello che ero. Presi la sua mano, sentendo la mia, bagnata, saldarsi intorno alla presa calda e decisa dell'uomo. Non fu difficile capire chi fosse.

«Sono il Capitano Ren Uruj.» si presentò. Ridicolo, e dire che mi aspettavo un tizio con una benda all'occhio, i denti d'oro e la fatidica gamba di legno. Invece, si trattava del classico uomo che, a Skys Hollow, avrebbe fatto strage di cuori assieme al principe di Darlan e al Re degli Assassini.

Venni sollevato in pochi secondi grazie alla sua spinta e quando fui in piedi, lui ridacchiò. I pirati non mi staccarono gli occhi di dosso, indecisi in che modo giudicarmi. «È insolito per un marinaio non saper nuotare.» disse, con un tono strafottente ma in qualche modo provocante. Sorrisi con un accenno di imbarazzo, stringendomi nelle spalle pur tenendo ancora la sua mano, quasi non riuscissimo a staccarci. Le grandi piume colorate che erano infilate all'elastico attorno ai capelli, ondeggiarono al vento.

«Sono ancora un novellino.» parlottai. Il Capitano sorrise, attirandomi verso di lui.

«Capitano.» iniziò uno, con un sorriso lascivo sulla faccia, che non mi piacque per niente. «Assomiglia proprio ad una donna... Perché non ci divertiamo?» Annunciò alla ciurma intorno a me e tutti assentirono con degli sguardi famelici. Feci un passo indietro, che non servì a molto, visto che ero circondato. Sentii il bisogno di sguainare una delle tante armi che avevo nascosto nei vestiti. Poi ricordai che fare fuori una ventina di pirati non sarebbe stato molto semplice.

«Vero! Non abbiamo avuto molte donne in questo periodo, nemmeno tempo per fermarci al bordello!» disse uno sdentato, particolarmente allupato, mentre si slacciava la cintura. Sentii la mia mano muoversi verso la mia, di cintura, dove nascondevo i coltelli da lancio.

«Non credo di avervi ancora dato il mio permesso.» ringhiò il Re dei Pirati, facendolo sembrare nel giro di un secondo, decisamente spaventoso. Tutti si zittirono, abbassando gli occhi verso il pavimento di legno. Lui si frappose fra me e la ciurma con uno sguardo a dir poco minaccioso. «Questo è il mio nuovo ospite.» dichiarò, con un tono terrificante e perentorio. «A chiunque oserà toccarlo strapperò le interiora e le darò in pasto agli squali!» sibilò e mi trascinò sotto coperta, stringendomi per un braccio.

Mi ritrovai in pochi istanti nei suoi appartamenti, per la precisione in quello che doveva essere il suo ufficio, un posto pieno di legno, carte, penne d'oca, calamai e numerose file di candele. Per qualche strano motivo, c'erano anche molte mele rosse.

Il mio sguardo si concentrò sullo scrittoio di legno in noce, su una pila di documenti che aspettavano di essere firmati e pergamene ben arrotolate con nastri rossi. Potevano essere quelli i contratti sulla tratta degli schiavi? Mi avvicinai, ma non ebbi il tempo di sfiorarli perché sentii un fruscio dietro di me. Ero stato distratto dalle preziose pergamene e questo mi costò caro: in pochi secondi udii un colpo sordo alla testa e un dolore lancinante mi colse impreparato. Il mondo divenne nero.

***

Ad occhi ancora chiusi, mi accorsi che la frescura del vento soffiava in troppi punti sulla pelle che dovevano essere coperti dai vestiti. Spalancai gli occhi, avvertendo allora la sensazione fastidiosa delle corde intorno ai polsi e del ferro accanto alle mani. Ci misi poco a capire la situazione: ero legato alla testiera di un letto ed ero nudo. Del tutto.

Storsi la bocca in un moto di rabbia. Come potevo essere stato messo a tappeto tanto facilmente? Io ero l'Assassino di Skys Hollow!

Notai che le corde non erano molto strette, con un po' di movimento si sarebbero allentate senza problemi. Ma non mi liberai perché, socchiudendo le ciglia, mi accorsi della figura ben piazzata del Capitano, seduta accanto a me, a squadrarmi con occhi colmi di una luce sinistra.

«Ti sei svegliato, finalmente.» disse e notai solo allora che era già sera e alcune candele illuminavano appena la stanza, rendendo le pareti lignee in qualche modo cupe.

«A cosa devo l'onore?» chiesi, divincolando le braccia legate per indicare la mia situazione. Lui inclinò la testa con un ghigno e mi scostò una ciocca di capelli dorati dal viso, ormai asciutti dal caldo umidiccio.

«Prima chiedi informazioni su di me e poi piombi direttamente sulla mia nave.» Sorrise. «Non pensi che debba farmi delle domande?» mi domandò la sua voce sensuale. Come faceva a sapere che avevo chiesto in giro suo informazioni? Poi strabuzzai gli occhi, capendo finalmente, ma troppo in ritardo.

«Voi!» esclamai, sbigottito. «Eravate voi in osteria!» Aveva modulato il timbro vocale in modo che non mi accorgessi che fosse lo stesso uomo.

Come ero stato poco sveglio! Certo, incontrare precisamente il Re dei Pirati in una delle numerosissime osterie sparse per la Baia del Teschio poteva chiamarsi in un solo modo: sfortuna nera. Il suo ghigno si ampliò.

«Mi è bastato gettare l'amo e tu, piccolo bastardo, hai abboccato.» Fece scorrere una dito ingioiellato sul mio petto nudo, provocando un furioso brivido sottopelle. «Qualcuno deve averti marchiato.» rise, notando l'infinita serie di succhiotti ormai violacei rispetto al candore della mia pelle diafana. Ripensai a quella giornata, sotto la doccia, insieme a Yul. Mi impedii di arrossire, stringendo i denti e lanciando uno sguardo di sfida al Re dei Pirati. «Sappiamo tutti e due che non sei un marinaio.» mi canzonò. «Sai, loro di solito hanno le gambe di legno e le bende sugli occhi.» continuò, ridacchiando. Allora mi ritrovai a ridere anche io.

«Anche io pensavo che i pirati avessero la gamba di legno e i denti d'oro.» dissi, in tono fra la malizia e il sarcasmo, un sottile riferimento alla sua figura troppo affascinante per essere quella di un pirata.

«A proposito. Belle armi.» Lanciò uno sguardo verso il mio mucchio di vestiti, accatastati in un angolo della stanza. Strinsi le palpebre, guardandolo bieco: doveva averle trovate. Poi, all'improvviso, le sue dita si fermarono sulla mia intimità. Strabuzzai gli occhi, ma non riuscii ad impedire la reazione del mio corpo sotto le sue mani. Si leccò le labbra.

«Di sicuro conosci il tocco di un uomo.» E allungò le labbra verso il mio membro, facendo qualcosa che mi lasciò senza fiato: iniziò a leccarmi.

«Fermatevi!» biascicai, a metà fra una minaccia e un gemito.

«Avete un sapore perfino migliore di quello che pensavo.» sussurrò, prima di ritornare a dedicarsi alla mia virilità, su cui continuò a muovere la lingua, assaporando il dolce nettare che aveva iniziato a sgocciolare. Incapace di trattenersi, il Capitano avvolse le labbra attorno e succhiò. Strinsi le mani in un pugno, inarcando la schiena.

«Nhg... siete un depravato!» gemetti, muovendomi insieme alla sua bocca. Tuttavia, più il pirata si muoveva, più io mi scioglievo al suo tocco. Yul poteva anche andare a farsi maledire col suo Lysandro.

Il Capitano Ren borbottò in segno d'assenso, con le labbra stirate attorno alla mia erezione, umida di desiderio. Chiuse gli occhi, dedicandosi completamente al farmi impazzire, ingoiando ogni piccola goccia di ciò che io liberavo. Sentii la spina dorsale percorsa da scariche elettriche.

Abbassai lo sguardo verso l'uomo avendo la possibilità di vederlo da molto vicino. La sua pelle abbronzata riluceva alla luce delle candele. Incapace di trattenermi, mi divincolai fulmineo dalle corde che, in un attimo, mi liberarono, ed affondai le mani fra i suoi capelli. La sua coda si sciolse in una cascata di capelli color cioccolato.

Poi, la sua lingua mi portò velocemente all'orgasmo. Cercai di scostare i fianchi per allontanarmi dalla sua bocca, ma lui mi strinse la vita con un verso infastidito.

«Io... sto per...» non riuscii a concludere l'annuncio, perché gli riempii la bocca, e lui ingoiò fino all'ultima goccia. Poi, come se non avesse fatto nulla di tanto scandaloso, si alzò e si leccò le labbra. Io invece, mi massaggiai i polsi doloranti.

«Ottimo pasto.» sibilò, sollevandomi di peso. Ancor prima che riuscissi a capire dove eravamo diretti, mi gettò in una cella insieme ai miei vestiti appallottolati, privi delle mie preziose armi.

«Ehi!!» gli urlai da dietro alle sbarre, ma lui sparì, lasciandomi completamente solo.

***

Non ero tanto infastidito dall'umiliazione di dover fare i miei bisogni in una ciotola o di dover bere da una scodellina come un cane. Ero più infuriato perché erano passati quattro giorni e tutti mi stavano ignorando. Nessuno era venuto, né per ridere di me da dietro alle sbarre, né per portarmi del cibo. Infatti stavo facendo di tutto per farmi bastare l'acqua, ma avevo una gran fame.

Bastardo di un pirata!

Non solo mi aveva fatto quel che aveva fatto, ma mi aveva pure chiuso in un buco ed evidentemente gettato la chiave. Tutto sommato la prima cosa non mi era dispiaciuta più di tanto, ma rimaneva sempre e comunque un bastardo.

Rimasi a guardare l'enorme distesa di mare dal piccolo oblò dentro la mia cella, con sfiancata ed annoiata disperazione, progettando uno dei tanti modi di prendere i documenti, di uccidere il Re dei Pirati e poi di fuggire. Di sicuro non sarebbe stato un lavoro semplice né pulito come lo voleva Alaister Noir, ora che sapevano tutti che non ero un marinaio.

Mi ritrovai a dare un altro forte calcio alle sbarre e poi mi chinai a massaggiarmi il piede, che aveva ululato di dolore.

Poi all'improvviso sentii un rumore nel legno, come una specie di... crack. Immediatamente udii delle urla dal ponte della nave. La voce imperiosa del Capitano arrivò fino a me: urlava ordini a destra e a manca. Che diavolo stava succedendo?

In quel momento il veliero incominciò a tremare e si inclinò, come se qualcuno avesse deciso di giocarci a domino e la nave fosse un tassello capace di inclinarsi e cadere sotto al peso di un altro. Balzai a terra per il contraccolpo. Ritornò dritta in un istante, ma seppi che c'era qualcosa di sbagliato. Non sentivo più la barca ondeggiare, come se... come se si fosse sollevata. Qualcuno urlò e vidi dall'oblò un pirata precipitare in acqua, un istante prima di essere riacciuffato da qualcosa di velocissimo, che non riuscii ad identificare.
Che cos'era?

Mi ritrovai con il volto incollato alla finestrella, cercando di capire cosa accidenti stesse succedendo fuori, ma non riuscii a vedere nient'altro che acqua color smeraldo. Poi, improvvisamente, quasi a cogliere i miei pensieri, qualcosa si spiaccicò proprio contro l'oblò. Era un tentacolo. No, la ventosa di un tentacolo. Grossa quanto la finestra.

Caddi a terra urlando. Un pirata scese le scalette della prigione a due a due, correndo verso di me. Mi aprii la cella con uno scatto veloce della chiave.

«Abbiamo bisogno di uomini!» gridò, prima di risalire verso l'esterno del veliero come una furia. Finalmente libero, lo seguii con una certa riluttanza. Io ero un assassino. Uccidevo persone, non mostri. O meglio, le persone che uccidevo solitamente erano mostri. Ma di altro genere.

Ma quando mi ritrovai all'esterno, non la pensai più così. Era più intento a dirmi una sola cosa: sopravvivi.

Il mostro era un enorme, gigantesco, polpo violaceo. Aveva una ventina di grossi tentacoli che stringevano la nave come a voler farci una spremuta. Altri tentacoli si impegnavano a spezzare legno e afferrare pirati, per poi indirizzarli dentro a fauci giallastre: l'essere li ingoiava interi interi. Mi uscirono gli occhi fuori dalle orbite. Qualcuno mi gettò ai piedi una sciabola.

«Cos'è... quello?» sibilai. Il pirata più vicino mi sentì.

«E' il guardiano del Triangolo delle Bermuda.» iniziò. «Il Kraken.»

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