Sostituto
Potevo sentire il battito sordo del mio cuore, il sibilo del sangue che percorreva le mie vene, la sensazione della stoffa che scivolava via dalle spalle.
Rimasi a fissare un punto imprecisato sul muro bianco, quasi in trance, mentre Alaister mi sfilava il fazzoletto dal collo. Ingoiai il groppo che mi opprimeva la gola e poi, percependo uno spostamento d'aria intorno a me, fui costretto a battere le palpebre. Il Re degli Assassini non era più alle mie spalle: se ne stava steso sul letto, le spalle poggiate contro la testiera, le gambe accavallate, le braccia incrociate e un sorriso appena percettibile sulle labbra carnose. Si era mosso così velocemente e così silenziosamente che non me ne ero neppure reso conto. Forse fu in quel momento che realizzai: avrebbe potuto uccidermi in un solo secondo ed io non me ne sarei neppure accorto.
- Forza. - Mi scoccò una lunga occhiata dalla sua postazione. - Fammi vedere di cosa sei capace. - Sorrise. - Non vorrai mica che i soldi di Yul e Valentine vadano sprecati?- E quel sorriso si ampliò in qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva alcun calore. Mi si mozzò il fiato.
Non poteva essere vero.
- Cosa? - mormorai, scosso. I soldi di Yul e di Helias.
- Non te l'ho detto? - A quel punto, sulla sua faccia non ci fu più alcun sorriso: solo gli angoli della bocca rivolti all'insù, in un'espressione di puro gelo.
In quel momento iniziai a sentire un fastidioso, impercettibile rumore. Mi guardai intorno per capirne la provenienza e, solo dopo qualche minuto, compresi che ero io. Stavo battendo i denti così forte che il loro rumore mi rimbombava nella testa.
- Yul e Valentine hanno estinto il loro debito. Hanno lasciato la gilda. - E lo disse così, con quel sorriso sul volto, come se stesse narrando l'annuncio di nozze del suo bel figlioccio e ne fosse sinceramente felice. Ed io invece, sentii tremarmi la terra sotto i piedi.
Probabilmente, se non fossi stato paralizzato dalla paura, sarei crollato sul pavimento.
Loro se ne erano andati.
Lui se ne era andato, mi aveva lasciato. Di nuovo.
Ed io ero lì, completamente solo. Come avevo potuto pensare, anche solo per un attimo, che venir comprato da Alaister potesse essere "elettrizzante"?
Sì, ero solo, solo con quel pazzo che era capace di dire una frase con un sorriso caloroso e occhi ricolmi di pura follia omicida.
Per un minuscolo istante, le lacrime minacciarono di precipitare, ed io le ricacciai prontamente indietro. Non era proprio quello che volevo? Che Lui si levasse di mezzo? Che non si facesse più vedere? Quanto lo odiavo.
Lo odiavo, lo odiavo, lo odiavo.
Eppure, il petto mi si stringeva in una morsa gelida all'altezza del cuore. E il pensiero che se ne fosse andato, che non l'avrei più rivisto... Avevo perso la mia occasione per dirgli il nostro segreto. Avevo gettato al vento quella seconda possibilità che il destino mi aveva concesso. E avevo sprecato tutto il mio tempo ad odiarlo ed invidiarlo.
Lì, davanti al terribile Re degli Assassini, mi accorsi di quanto ero stato stupido. Era troppo tardi.
Strinsi i denti. Non potevo piangere davanti ad Alaister. Così mi avvicinai al letto e mi obbligai ad affrontare quel destino odioso, che mi aveva dato una possibilità e poi me l'aveva tolta prima che potessi farne qualcosa.
Feci scorrere una mano sull'asse del baldacchino, sfiorando con i polpastrelli il freddo e liscio legno di quercia. Lentamente, posai il ginocchio sul morbido materasso, sporgendomi verso la figura possente del Re degli Assassini. Lui mi scrutava in silenzio, con gli occhi gialli e freddi come due gemme preziose che luccicavano al chiarore delle fiammelle.
- Non mi interessa quello che fanno quei due. - risposi, arricciando il naso in un moto di fastidio. Ero sicuro di riuscire ad ingannare il mondo con quei toni stizziti e infastiditi, ma ero certo che con lui non funzionasse. I suoi occhi, così capaci di studiare le persone, analizzare i loro comportamenti, catturare i loro pensieri, non potevano cadere vittima della mia misera recita. Sapeva che non odiavo affatto Yul o Helias. E probabilmente era l'unico ad averlo capito.
- Certamente. - ripose, con un ghigno sulle labbra. - non ti importa per niente. - sottolineò, con quel tono indefinito fra il crudele e il sarcastico. Sì, lui sapeva. L'unico punto a mio favore era che Alaister non conosceva il mio passato. Certo, sapeva che ero stato raccolto dalla strada da Sophia, ma per il resto... nulla. Ed era molto meglio così.
A quelle parole, non ebbi il fegato di ribattere. Aveva ragione, e continuare con quel teatrino sarebbe stato fin troppo ridicolo. Così poggiai la mano sul materasso, accanto a lui, tentando senza successo di sovrastarlo con la mia figura.
- Anche a te sembra non importare per niente, Alaister. - dissi, con un coraggio che non credevo neppure di possedere. E allora il suo sguardo si accese con impeto, confermando che avevo detto proprio le parole sbagliate.
All'improvviso, senza che neppure me ne accorgessi, mi ritrovai schiacciato contro il materasso, intrappolato sotto di lui. Ci era riuscito con un gesto talmente fulmineo, che io non me ne ero neppure accorto. Mi afferrò per i capelli.
- Hai ragione, non mi importa per niente, Lysandro. - mi soffiò contro il viso. - O forse dovrei chiamarti puttanella? - mi sibilò nell'orecchio, con un tono di velenoso divertimento. Le mani iniziarono a tremarmi convulsamente e non provai neppure a fermarle. Rimasi a fissare gli occhi gialli del Re degli Assassini, attanagliato dal terrore, tanto da non riuscire a parlare. Così chiusi gli occhi, percependo il vago profumo di Alaister con l'olfatto.
- Sì. - Quella sillaba mi uscì fuori come un mormorio strozzato. - Sono la tua puttanella. - Riaprii le palpebre, questa volta indugiando con lo sguardo sulle fiammelle arancio del candelabro sul comodino. Poi spostai gli occhi su di lui, senza riuscire a mascherare l'amarezza. Non avevo scelta. - Perciò fai di me quel che vuoi. - E ingoiai il nodo che mi si era bloccato nella gola. Non importava che fossi pronto, semplicemente non dipendeva da me.
Lui mi rispose con una risata bassa, ma che parve riecheggiare nell'intera stanza.
- Sarebbe troppo semplice. - iniziò, senza smettere di sorridere. Scivolò via, liberandomi da quella trappola contro il letto, e rimase seduto sulle lenzuola. - Conduci tu il gioco. - Inclinò la testa di lato. - Dovresti saperlo fare, non è forse il tuo lavoro? -
Quanto poteva continuare ad infierire? Si sarebbe spinto fino al limite per mettermi alla prova, per testare la mia obbedienza?
Presi un profondo respiro e mi avvicinai a lui, gattonando sul materasso. Con mani tremanti, gli sfiorai il colletto della camicia di seta, poi passai ai bottoni di madreperla e dopo sul fazzoletto intorno al collo. Notando il mio tremore, il sorriso di Alaister si ampliò. Gli sfilai via il fazzoletto di seta, con un senso di ansia crescente che mi agitava le viscere e mi saliva fino allo stomaco. Poi toccai il primo bottone della camicia come se si trattasse di un oggetto pericoloso. Sbottonai. E procedetti con il secondo bottone. E poi col terzo e col quarto, finché la camicia di seta non fu completamente aperta.
Con lo sguardo, indugiai sui muscoli torniti di Alaister, talmente scolpiti da farlo somigliare ad una perfetta statua di marmo. Una lunga cicatrice correva dal petto fino alla pancia, segnandogli una sottile linea bianca sulla pelle. Con l'indice seguii il percorso di quella linea, sfiorando la pelle diafana del Re degli Assassini e stupendomi nel sentirla liscia, dimostrando che si trattasse effettivamente di un essere umano e non di un mostro fatto di pietra. Alzai gli occhi verso Alaister, che invece non aveva smesso per un momento di fissarmi. Sorrideva.
- Prosegui. - ordinò, con quell'espressione di fredda compostezza negli occhi e di crudele divertimento sulle labbra. La mia mano scese verso il bottone dei pantaloni e lì, si fermò. Il Re degli Assassini ghignò.
E' il tuo lavoro.
Con la mano che tremava, toccai le incisioni fredde sul bottone dei pantaloni di sartoria del corvino.
- Cosa c'è? Ti ho detto di fermarti, forse? - E piegò le labbra in un sorriso glaciale. Non risposi, non lo guardai neanche. Sbottonai il pantalone e tenni gli occhi fissi sul copriletto di seta. Così lui mi afferrò il mento e sollevò il viso verso la sua faccia, in modo che potessi guardare la sua espressione cattiva stampata sul viso. - E ora spogliati. - Si alzò dal letto e mi sovrastò con la sua altezza. Anche allora, con la camicia slacciata e i pantaloni sbottonati, era sempre spaventoso. - O devo farlo io? - Non mi lasciò il tempo di ribattere che mi spinse le spalle contro il materasso, schiacciandomi sul letto. Sussultai quando, con una velocità disarmante, mi strappò via la camicia, facendo rimbalzare i bottoni sul pavimento di marmo. A torso nudo sotto di lui, iniziai a tremare più di prima.
- Hai paura. - constatò, con il suo miglior sorriso gelido. Una ciocca di mossi capelli corvini gli sfuggì dal codino e gli sfiorò il lato della faccia, dandogli un'aria meno curata, meno perfetta, e forse perfino più seducente. - Non dovresti avere paura. - Scosse impercettibilmente la testa. E all'improvviso, mi mise una mano sulla gola. - E' vero, potrei anche ucciderti. -
E strinse, strinse così forte che iniziai a sentire le tempie pulsare, i tendini del collo irrigidirsi. - Pensaci, a nessuno importerebbe della tua morte. - Rise sguaiatamente, mentre la sua presa si accentuava ed io iniziavo a sentire i polmoni fremere e gli occhi quasi schizzare fuori dalle orbite. Poi si zittì e si avvicinò al mio orecchio. - Ma non lo farò. - mormorò, togliendo la mano probabilmente un attimo prima che il mio cuore si fermasse per la mancanza d'aria.
Tossii ed ebbi quasi l'impulso di vomitare, ma invece inalai l'aria con ampi respiri e gli feci una domanda di cui già conoscevo la risposta.
- Perché non mi uccidi e basta? - biascicai, un gracchiare strozzato che a malapena si capiva fra la tosse.
Ed eccolo di nuovo lì, a campeggiare sulla sua faccia: quel sorriso. Non divertito, né crudele e neppure sadico. Nulla di tutto quello. Un sorriso vero, caloroso, uno di quelli sinceri. Con quell'espressione in volto e le candele ad illuminargli i lineamenti eleganti, mi disse: - Perché sei solo una puttana. - E mi tirò giù i pantaloni con uno strattone, voltandomi faccia contro il materasso.
Tentai di divincolarmi ma, con una delle sue mani forti e fredde, mi bloccò i polsi, mentre con le labbra mi tracciava piccoli morsi sulla nuca, poi fra le scapole, poi lungo la schiena, facendomi scorrere brividi lungo la spina dorsale. Un dito affusolato e calloso mi accarezzò il fianco e proseguì sulla natica sinistra.
Con un'abile manovra, Alaister mi fece piegare le ginocchia, e così mi ritrovai carponi, il fondo schiena nudo contro l'erezione che premeva nel suo intimo di seta. Mi liberò i polsi e si chinò verso di me, la mia schiena contro il suo petto muscoloso, e mi succhiò lo strato di pelle sotto l'orecchio. Il contatto fra i nostri corpi mi avvolse in una vampata di desiderio e allo stesso tempo di ribrezzo che bruciarono ogni traccia di pensieri nella mia mente.
Mi morsi le labbra, sforzandomi per non gemere, mentre lui giocherellava con il lobo del mio orecchio destro e stuzzicava il mio posteriore spingendo l'erezione trattenuta dall'intimo.
Poi la sua mano callosa scese verso il mio membro. Tutto il mio corpo si contrasse, incluse le dita dei piedi, quando le sue dita lo avvolsero e iniziarono a giocarci, muovendolo e toccandone la punta. Strinsi i denti, costringendomi a non emettere una sillaba. Ma fu quasi impossibile quando, con l'altra mano, Alaister sfiorò il mio cerchietto di muscoli.
- Non credere che io ti prepari per quello che sto per fare. - mi sussurrò all'orecchio con un tono suadente, ghignando appena. Non potevo vederlo dalla mia posizione, ma dal movimento delle mani e dalla sua ombra che si muoveva sul muro, intuii che stesse liberando l'erezione dall'intimo. Capii di aver ragione quando sentii qualcosa di caldo sfiorarmi il didietro. - In fondo, sei solo un buco, Lysandro. - Ed entrò dentro di me con uno strattone, un'unica mossa che mi tolse il fiato dai polmoni.
Spalancai gli occhi e, senza riuscire a trattenermi ancora, lanciai un gemito, forse più simile ad un grido strozzato di dolore. Strinsi nei pugni le lenzuola di seta, mentre le lacrime mi offuscavano la vista e lui cominciava a muoversi.
- Ti fa male? - chiese, con quel suo tono d'ipocrita apprensione. Con un secondo colpo di fianchi, mi costrinse a lanciare un altro urlo. Rise. - E' proprio quello che voglio. -
Alcuni cortigiani e cortigiane mi avevano istruito, mi avevano detto che sarebbe stato piacevole, un lavoro semplice. Non era piacevole né semplice. Era come sentirsi qualcosa di estraneo e sbagliato dentro, come una sensazione che ti urta lo stomaco e ti sconvolge. Era doloroso e, mentre lui pareva divertirsi da morire nel farmi male, io non vedevo l'ora che smettesse.
- Ba... sta - biascicai, sentendo le lacrime solcarmi le guance. Ma Alaister continuò a sbattere il suo membro dentro di me senza fermarsi, accorgendosi benissimo che mi stava lentamente consumando e che probabilmente sanguinavo.
- Implorami. - disse, la voce ansimante e allo stesso tempo divertita, piena di sadica cattiveria. Mi morsi le labbra così forte che iniziarono a sanguinare. No. Non lo avrei supplicato di fermarsi. Ma mentre lui continuava a spingere, presi seriamente in considerazione la sua proposta.
Mi aggrappai con tutta la forza che avevo alla testiera del letto, stringendo i denti per non urlare e le palpebre per non piangere. Mi costrinsi a pensare ad altro: alla struttura del baldacchino che, ad ogni colpo di Alaister, emetteva un piccolo ma brusco movimento; ai giochi di ombre che le candele proiettavano sul muro; al cigolio appena percettibile del materasso. Ma, quando il dolore fu insostenibile, parlai.
- Ti... ti prego. Basta. - boccheggiai, la voce che era un miscuglio di gemiti, lamenti e piagnucolii. Il Re degli Assassini iniziò a rallentare, per poter parlare.
- Quando ti ho detto di implorarmi - iniziò, ansimando. - non ti ho detto che mi sarei fermato. - E riprese a spingere il suo membro dentro di me ancora più velocemente, infliggendomi ad ogni colpo una fitta di dolore. Le lacrime continuarono a rigarmi le guance e, con una mano, mi obbligò a voltare il viso verso di lui. - Sai, guardare la tua faccia in questo momento mi fa sentire magnificamente. -
Digrignai i denti, scoccandogli un'occhiata furente fra il velo di lacrime. Lui sorrise di gusto. - Scommetto che al mio posto preferiresti Lui. - Sghignazzò. - Anche io lo preferirei al tuo posto. - Altri colpi mi fecero ululare dal dolore. Poi mi tirò i capelli all'indietro e ciò permise al mio orecchio di essere all'altezza della sua bocca, facendo in modo che lui riuscisse a sussurrarmi un'ultima cosa, prima di perdere conoscenza: - Sei solo il suo sostituto. -
Poi la vista iniziò a chiazzarsi di nero e svenni.
❃ ❃❃ ❃ ❃
L'agolino di un'autrice nottambula ~
Hola a tutti!
Mi sto accorgendo di aggiornare sempre di notte... xD Che ci posso fare, l'ispirazione mi viene solo quando cala la sera! Comunque, siamo arrivati al secondo capitolo di questa storia... direi di non aspettarvi aggiornamenti molto rapidi xD
Che altro dovevo dire? Ah, nel prossimo capitolo faremo un vecchio incontro... (spazio alla nostalgia!) E basta, spero che (come sempre) il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima! ^^
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