Amore diverso

Si diceva che durante un funerale il tempo ideale fosse la pioggia. Come se quelle due gocce fossero in grado di sintetizzare lo stato d'animo della persona che provava dolore, o come se quel dolore stesso potesse trasferirsi nel cielo, cambiare le condizioni climatiche, rendere tutta la città partecipe di quel silenzioso pianto interiore.

Personalmente, pensavo che quell'ipotesi fosse perfetta, l'esatta manifestazione dei miei sentimenti. E dato che il sole splendeva nel cielo limpido e azzurro, scintillando in bagliori di luce dorata che rilucevano su ogni zona o punto luccicante che mi circondava, era chiara la noncuranza, o una sorta di placido piacere sadico, che provavo per quel funerale. Intanto, molto meglio di qualsiasi parola della sacerdotessa, ogni punto che riluceva riusciva a catturare la mia attenzione: i gioielli di Sophia, i bottoni delle giacche dei cortigiani, le fibbie d'argento delle scarpe, i pomelli dei bastoni da passeggio, gli intarsi decorativi sulle lunghe bare di legno scuro. No, in effetti non provavo decisamente dolore, mentre le vedevo calare lentamente verso il buio poco rassicurante nelle profondità del terreno. Forse era per quello che il tempo mi pareva azzeccato. Che quelle cortigiane fossero morte o vive, non cambiava nulla nella mia vita.

Al contrario, Sophia non la pensava affatto così. Guardava le tombe con l'aria afflitta di una madre che guarda i propri figli partire per una guerra destinata alla sconfitta, ogni tanto infilava la mano dietro alla veletta e si tamponava il lato degli occhi con il suo fazzolettino di seta profumato alla lavanda. Ero estremamente convinto che fosse tutta scena, soltanto l'ennesima dimostrazione di quanto lei fosse stata generosa, di quanto fosse stata magnanima nell'offrire a delle povere ragazze il lavoro di rinomate cortigiane, di quanto fosse stata dolce nel trattarle come figlie e poi nel piangere per loro. A guardarla bene, ci si accorgeva che non stava neanche piangendo.

Più che altro, la tenutaria del mio vecchio bordello era lì soltanto per fare sfoggio della sua influenza e della sua ricchezza: idea che si confermava dalla cerimonia perfettamente celebrata nell'ufficioso Cimitero Bianco di Skys Hollow, e che si consolidava nell'osservare il suo magnifico vestito funebre, confezionato apposta da una sarta di fiducia per l'evenienza, neanche aspettasse ansiosamente la morte di qualcuno per poterlo sfoggiare. In effetti, la bellezza referenziale di Sophia si mostrava in tutto il suo splendore, nonostante il quantitativo nauseante di nero. I boccoli rossi erano stati acconciati in una complicata pettinatura che si intrecciava poi a rose dipinte di viola spento, mentre dall'ampio cappello nero che la riparava dai raggi del sole, scendeva una veletta di pizzo che le copriva parzialmente il volto. Il vestito, dotato di un corpetto nero che le strizzava la vita così tanto che pensavo potesse rimanere in apnea per ore e ore, era un tripudio di pizzi neri e viola, talmente cuciti ad arte che parevano schizzi di colore sul quadro di un pittore professionista.

Era chiaro che, quella mattina, il dolore che la crucciava di più era capire che cosa mettersi piuttosto di che cosa dire una volta che due delle sue cortigiane migliori venivano sepolte nel cimitero più lussuoso di tutta Skys Hollow. Sì, il Cimitero Bianco era il luogo dove tutti i ricchi e grassi signori e le rinsecchite ed ingioiellate signore potevano sentirsi sicuri anche da morti, incipriati ed imbellettati ad arte perfino nella tomba. Anche membri della Corte del Re di Darlan venivano sepolti lì. Non la famiglia reale, però, che invece aveva un posto tutto suo in una cappella di cristallo all'interno dei cancelli d'oro del castello.

Che importava se i cittadini più poveri, i criminali o l'immensità di ribelli che crescevano sempre di più in numero, venivano ficcati in qualche fossa comune non troppo lontana da questo meraviglioso cimitero fatto di lucidi marmi bianchi e argento?

- Cenere alla cenere. –

La voce della sacerdotessa vestita di rosso sangue, con i lunghi capelli scuri nascosti da un velo nero ed opaco, risuonava nel silenzio, mentre Sophia si abbassava per prendere una manciata di terra dal suolo senza sporcarsi troppo, dati i guantini di pizzo nero che le ricoprivano le dita, e la gettava su entrambe le bare con un movimento lesto del braccio. Piegai la testa di lato, osservando il percorso del terreno che, dalla mano della tenutaria del bordello, rimbalzava sul coperchio di legno scuro e d'argento di una delle due bare, con un suono praticamente inudibile.

Mi chiesi se, dentro a quelle bare, le cortigiane che tanto non sopportavo, avessero trovato finalmente la pace. Me lo chiedevo perché anche io, prima o poi, speravo di trovare nella morte la pace che tanto andavo cercando e che mai riuscivo a trovare. Sembrava che il nome Alaister e la parola pace proprio non andassero d'accordo.

- Polvere alla polvere. –

Axe, alla destra di Sophia, sollevò una rosa bianca e la abbandonò ugualmente sul coperchio di una delle due bare, restando in assoluto silenzio mentre tutti lo guardavano. C'era anche lui, ovviamente.

Mi ero sforzato di non guardarlo fino ad ora, perché se lo avessi fatto probabilmente mi sarei ricordato di come le giornate erano diventate vuote, più spente, adesso che ero sicuro che lui non mi avrebbe baciato più, non mi avrebbe sorriso più, non mi avrebbe guardato più.

Era un po' come se il sole avesse perso parte del suo splendore, sapendo che lui non si sarebbe più avvicinato al mio fianco. Difatti, in quella fredda mattina soleggiata, pur stando l'uno di fronte all'altro ma abbastanza nascosti dalla bara che si ergeva in mezzo a noi, non mi aveva rivolto neanche l'ombra di uno sguardo. Neanche con la coda dell'occhio, neanche spostando le iridi calde nella mia direzione. Sembrava che avessi all'improvviso cessato d'esistere e più questa idea prendeva forma nella mia testa, più sentivo un misto d'irritazione e fastidio pungolarmi il petto. Non perché avvertissi davvero la necessità di essere guardato, non ero certo come Helias, ma perché sentivo di provare estremo dispiacere per non essere più fissato da quegli occhi in particolare.

Lui aveva una strana cura, nel guardarmi, come se potesse cullarmi grazie a quegli occhi, come se riuscisse a ricordarmi che non ero solo, che non c'ero soltanto io nella gabbia col mostro, ma che potevo aprirla quando volevo per scappare, seppur soltanto momentaneamente, e che era proprio lui a darmi la chiave. Ma, adesso che l'avevo ricevuta, ero stato io stesso a buttarla via, in un posto abbastanza profondo da non poterla più recuperare. Quel senso di frustrazione non faceva che chiudermi la gola.

Io, al contrario di lui, per quanto mi sforzassi di non guardarlo e di fissare tutto ciò che scintillava, mi sorprendevo sempre a ritrovarmi con lo sguardo incollato al suo volto. Tra l'altro, i suoi capelli castano chiaro scintillavano eccome, diventando appena più chiari sotto ai raggi solari, e il mio compito di distrazione diventava sempre meno efficace.

I becchini si avvicinarono alle bare, sollevarono le pale e, sotto agli occhi dei presenti, iniziarono a scavare. Io, invece di concentrarmi su di loro, iniziai a studiare Axe: indossava una camicia di seta nera, un fazzoletto dello stesso colore attorno al collo, un panciotto color crema che spiccava sull'oscurità del resto dei vestiti, un paio di pantaloni, una tuba, ed infine una giacca lunga fino alle ginocchia, tutti e tre ugualmente neri. C'era qualcosa di triste, nel suo volto, ma non si capiva se era un effetto dei vestiti che lo rendevano un po' cupo, se era per il pianto finto di Sophia al suo fianco, o se erano sentimenti che provava realmente.

Fatto stava, che conosceva quelle cortigiane da molto più tempo di me. In realtà, io sapevo poco e niente delle due donne oramai decedute,  il loro volto e il loro parziale successo con i clienti. Non sapevo neanche come erano morte.

Mi avvicinai ad una delle cortigiane al mio fianco, inclinandomi di lato per sussurrare all'orecchio, in modo che non rovinassi il referenziale silenzio che vigeva nel cimitero, mentre i becchini ricoprivano le bare di terra. Piano piano, tutti i presenti se ne andavano, lasciando il cimitero sempre più vuoto.

- Ma come sono morte? - chiesi, mormorando all'orecchio della ragazza, senza prestare neanche molta attenzione a chi avevo interpellato e senza preoccuparti di avere poco tatto. Lei, una cortigiana dall'aspetto decisamente giovane, con un caschetto biondo e l'abito di un verde scurissimo, alzò entrambe le sopracciglia, come se fosse sorprendente il fatto che non lo sapessi.

- Non lo sai? - esclamò, infatti, forse con un tono un po' troppo alto, perché ruppe il silenzio, seppur parzialmente. Quando se ne accorse, abbassò la voce.

- E' tanto strano? - sussurrai, incrociando le braccia e girando gli occhi verdi sui becchini e su Axe. Soltanto allora, mi accorsi che lui non c'era più, e neanche Sophia. Se ne erano andati.

- Be', considerando che in molti stanno morendo per questo... - risponde, sospirando appena e massaggiandosi la radice del naso con aria stanca. Faceva strano vedere una ragazza poco più che quindicenne con quell'aria stressata. Evidentemente, restando al sicuro, per quanto sicuro potessi ritenere un posto pieno di assassini pericolosi, stavo pian piano perdendo cognizione di quel che accadeva fuori dalla Fortezza di Alaister.

La guardai con aria interrogativa.

- E' la malattia della città. La gente sta morendo e il Re non fa nulla. - continuò la cortigiana, umettandosi le labbra mentre io la fissavo con le sopracciglia aggrottate. - E' la tisi.-

Senza dire nient'altro, la ragazza si voltò e se ne andò, lasciandomi solo, perché in effetti non rimase più nessuno a compiangere quelle due cortigiane oramai affogate nelle profondità della terra.

E, in solitudine, non mi preoccupai minimamente di come la vita della città sarebbe cambiata a causa di quella malattia. Mi limitai a girare le spalle e ad andarmene, in silenzio, con le mani infilate nelle tasche del cappotto.

❃ ❃ ❃ ❃ ❃

Indossavo una camicia di seta bianca, un fazzoletto ugualmente candido, un panciotto verde foglia, un paio di pantaloni neri con stivali di cuoio al ginocchio ed infine una costosa mantella di pelo di cammello che mi aveva regalato Sophia poco tempo prima di vendermi ad Alaister. Un completo perfetto per una passeggiata autunnale al fianco del mio padrone, l'avvenente Alaister Noir.

Agli occhi del mondo esterno, il marchese Ellis camminava con un portamento regale ed imperioso, esprimendo in ogni passo più grazia di quanto una qualsiasi persona potesse essere capace di trasudare, manifestando una tale cura nei movimenti che era impossibile pensare che non fosse quel che in realtà era: il Re degli Assassini. Abile, lesto, fulmineo, micidiale. Una pantera che allunga le zampe stiracchiandosi i muscoli mentre cammina, zampa dopo zampa, artigliando il terreno. Lui era così, perché l'aura che si avvertiva attorno alla sua figura era palpabile, soffocante, potente.

Alaister non camminava in effetti, piuttosto incombeva, inseguiva, si insinuava, braccava. E così guardava tutti i passanti, come un serafino e uno tsunami al tempo stesso, con un assaporato gusto d'apocalisse, senza doversi far spazio perché praticamente erano gli altri che si scostavano apposta per farlo passare.

E proseguiva placidamente restando nel suo bozzolo e contemporaneamente manifestando un portamento e una sicurezza che spazzavano completamente il resto di Skys Hollow, non certo con fare vanitoso, ma per via dell'evidente austerità dovuta al potere. Quel savoir-faire che riusciva a metterti a tuo agio, a farti ghiacciare il sangue nelle vene, o ti faceva profondamente desiderare di raggiungere quello che avevi a un palmo da te, per chi era dietro di lui. Di sapere chi diavolo fosse quell'uomo, sempre che si trattasse di un semplice uomo. Non con fini romantici ma anche solo per curiosità. Per lo stordimento di tanta differenza e carisma allo stesso tempo. Lo si vedeva nel modo in cui i suoi occhi splendenti come l'oro eppure oscuri e agghiaccianti allo stesso tempo, senza temere il buio, gli tagliassero il volto apparendo un po' felini nella forma, sorridendo continuamente al mondo e sbeffeggiandosene pur con una estrema serietà. Estrema. Fatale, avrei detto.

Quella mattina, indossava un completo gessato nero e grigio, con una cravatta nera ben annodata che legava il colletto della camicia di seta bianca e si infilava all'interno del panciotto color petrolio. Sulla cravatta era appuntata una spilla d'oro luccicante, a forma di clessidra, mentre il solito nastrino di velluto dorato gli legava i capelli in un piccolo codino basso, chiudendosi in un morbido fiocco.

E poi le scarpe, nere e lucide con la fibbia scintillante, i pantaloni cuciti ad arte sul fisico scattante e possente, la giacca a doppio petto con i bottoni d'oro e il taschino con il fazzoletto di seta dorata: era tutto curato alla perfezione, non un capello fuori posto, come se si fosse curato appositamente per un'occasione speciale. Intanto, se con una mano si teneva la tuba nera in testa fra l'indice e il pollice come se fosse pronto ad abbassarla per una riverenza, con l'altra invece stringeva un bastone da passeggio nero con il pomello dorato a forma di testa d'avvoltoio, con il becco talmente appuntito da dare una strana aria micidiale a quel semplice elemento decorativo. In tutta onestà, pensavo che all'interno di quel bastone si nascondesse una lama ed ero anche sicuro di non sbagliarmi.

- Dove stiamo andando? - chiesi, praticamente sforzandomi di stare al suo passo, visto che lui camminava veloce, seppur dando l'impressione di andare estremamente lento, come se per lui la velocità fosse tutt'altra cosa.

Alaister non mi degnò di uno sguardo, ma si limitò a scrutare in fondo alla strada, con un leggerissimo sorriso che mi fece scendere un brivido lungo la schiena, talmente riusciva a trasmettermi pericolosa inquietudine.

- Ad incontrare un vecchio amico. - rispose, aprendo le labbra in modo da mostrare i denti, in un gesto che ricordava tutto fuorché un sorriso. Sentii di dovermi preoccupare. Non sapevo il perché, non conoscevo neanche l'identità di quell'amico, ma, nel profondo, avevo imparato a conoscere Alaister almeno un poco per capire che quel genere di sorriso rappresentava una vera e propria minaccia.

Non risposi. Piuttosto, mi limitai ad aguzzare la vista verso il punto in cui il Re degli Assassini guardava, chiedendomi che cosa volesse scrutare con talmente tanta intensità da dare l'impressione che volesse carpire, pugnalare con gli occhi.

Poi, quando vidi quell'inconfondibile macchia di colore in contrapposizione al bianco e al grigio immacolato della pietra di quella lussuosa via costituita da case di lusso, spalancai la bocca. Come se volessi lasciar andare una specie di urlo silenzioso, o un richiamo, o un semplice suono d'allarme che voleva incitarlo ad andare via. Come il suono d'allarme di quel negozio di lusso che tanti anni prima aveva portato Helias all'inizio della rovina, la mia voce doveva essere l'allarme, invece, per portare quella persona alla salvezza. Quella persona.

Portava uno splendido completo nero e pervinca, abbinato ad una giacca blu notte che si intonava alla perfezione al colore dei suoi occhi. Quelle iridi di un blu così profondo da ricordare gli abissi marini o un cielo durante le sue ore più tarde, scorrevano con aria seria e concentrata fra gli edifici e al tempo stesso con la tranquillità di una persona che sta semplicemente facendo una passeggiatina solitaria, con la testa per aria, riflettendo a chissà cosa. I capelli corti e lisci, di un cupo color scarlatto, rilucevano sotto i raggi solari come gocce di sangue che stillano da una ferita appena inferta.

- Yul. - La mia voce pronunciò quel nome ancor prima di pensarlo nella mente, ancor prima di imprimere la sua immagine nel riflesso della mia pupilla.

Quanto tempo, quanto tempo, era passato dall'ultima volta che l'avevo visto. Ancora prima di vendermi a quella maledetta asta, quando mi stavo preparando per il grande giorno. Mi aiutava con i vestiti, pranzava con le cortigiane, scherzava con Sophia, riusciva a coinvolgere nella sua positività praticamente chiunque, ed anche se io sapevo che lui amava Helias, ero felice che fosse proprio lui. Anzi, per qualche strana ragione ho sempre saputo che lui non era un rivale, ma l'aiutante.

Com'era la mia relazione con Yul Pevensie? Tiepida, come i raggi del sole battente che s'infrangono sulla neve per ricordarle di non essere tanto ghiacciata. Lui era l'amico con cui sorridere, il confidente con cui piangere, la persona che riusciva a tracciare un limite, a ricordarmi che cos'era giusto fare e cosa no. Ed era vero che lo usavo tutte le volte contro Helias, così come era vero che lui non sopportava le circostanze in cui stavamo insieme, visto che i nostri pranzi e banchetti non erano nient'altro che le punizioni a cui Alaister lo obbligava a sottostare; eppure, uno strano e contorto legame si era andato a creare, un'empatia che nasceva dal legame reciproco verso una terza persona. Perché ero sicuro, anzi certo, che lui sapesse cosa provavo per Helias.

Intanto, mentre io ero semplicemente rimasto immobile a guardarlo a distanza, congelato come una statua di sabbia che aspetta di essere spazzata via dal vento, Alaister camminava verso di lui come un alligatore che esce dall'acqua per attaccare il poveretto in riva al lago. Deglutii, mentre il mio cuore batteva più velocemente a causa di quella sensazione d'ansia crescente che mi attanagliava lo stomaco.

Incespicando negli stivali raggiunsi Alaister, oramai arrivato di fronte a Yul, che si era appena voltato per notare il suo arrivo con un'espressione... furiosa. Chiaramente furiosa. Non c'erano dubbi sul fatto che lo disprezzasse a prima vista e che non avesse alcuna voglia di rivederlo. Poi però spostando lo sguardo su di me, il blu dei suoi occhi s'addolcì appena un poco, quel tanto per non farlo apparire irato e collerico come prima. Continuò a non parlare ma aspettò che fosse l'altro sicario a farlo, stringendo la mascella e indurendo i lineamenti sensuali, stringendo in due mezzelune lo sguardo, come se volesse guardare attraverso il moro, ridurre la sua immagine in poltiglia, fingere che lui non esista.

- Una bella giornata per una passeggiata... - esordì Alaister, alzando appena lo sguardo verso le case, gli edifici, i mattoni, le mura, i balconcini, le fioriere, le fontane, con gli occhi di topazio che si posavano su tutto e su nulla, la superficialità di un'occhiata generale che veniva fatta per tenere l'interlocutore sul filo del rasoio, prima che tornasse effettivamente a guardare Yul. - ... In un quartiere in cui abitavi un tempo. - conclude. Ed era evidente che avesse scelto bene le sue parole, perché riuscirono a far innervosire ancora di più il ragazzo dagli occhi blu, che aggrottò la fronte.

Io, al contrario, mi ritrovai a strabuzzare gli occhi, parecchio sopreso: come poteva, Yul, abitare in un posto del genere? Un quartiere talmente lussuoso da far pensare che potessero abitarci solo nobili o uomini eletti dal Re. Non conoscevo certo il passato dell'assassino dai capelli cremisi, ma mi fermai a guardarlo più a lungo, cercando di capire. Era proprio una cosa da Alaister usare le debolezze, il passato, per pungolare i suoi nemici.

- Che cosa accidenti vuoi, Alaister? - chiese quindi il ragazzo, portando la mano verso l'interno della giacca blu notte, come se lì conservasse una qualche arma, e probabilmente era così. Avevo iniziato a capire che gli assassini riuscivano a nascondere armi anche nei posti più assurdi ed impensabili. Con le labbra appena schiuse, il canino a mordicchiare l'interno della guancia, rimasi a fissarlo ancora per qualche istante: la mascella pronunciata, quelle fossette sulle guance che si palesavano appena ad un accenno di sorriso o smorfia, quelle ciglia nere e folte, quelle labbra piene eppure mascoline, quegli occhi blu come un livido scuro che andava sparendo, occhi decisi, determinati, forti. Le labbra si distorsero in un ghigno cattivo. - Sei venuto per imporre un'altra delle tue tasse, o magari per dirmi che Helias ti appartiene e che devo farmi da parte? - Inclinò la testa, lo sguardo si fece abbastanza pericoloso da far capire che, per quanto bello e dolce potesse essere, si trattava pur sempre di un uomo con le mani sporche di sangue.

Neanche si preoccupava della mia presenza, non si sforzava di mascherare il nome di Helias con quello che avrebbe dovuto essere "Valentine", o come io tecnicamente lo conoscevo. Ma era troppo arrabbiato per badare a dettagli del genere. Ma forse non si trattava di rabbia, la parola giusta per esprimere il sentimento che gli si leggeva negli occhi era odio, odio puro. Intanto, voltai la testa in direzione del Re degli Assassini, provando all'improvviso una grande, grande paura per Yul.

Ma quel che vidi mi sorprese: Alaister scrollò le spalle, si spolverò dello sporco assolutamente invisibile dalla giacca a doppio petto e si tolse la tuba dalla testa, con estrema calma. Era forse una reazione peggiore di qualsiasi minaccia: l'indifferenza, la manifestazione del fatto che non gliene importava assolutamente nulla. Che Yul, per lui, era paragonabile a quel granello invisibile di polvere sul tessuto pregiato del suo completo. Quei gesti bastarono a far digrignare i denti al rosso.

- Sei sempre stato un imprudente, Yul. Ho sentito che hai intenzione di tentare un colpo ai cancelli di Ender. - rispose, con uno dei suoi sorrisi calmi, affascinanti e micidiali. A cosa si riferiva con imprudenza: il modo in cui gli si era rivolto o la missione in un posto così pericoloso? - Con Helias, eh? Le notizie corrono veloci. - Lasciò andare una leggerissima risata.

Ma se lui rideva, io mi sentivo mancare. Strabuzzai gli occhi, le labbra semi-aperte, il cuore che se prima batteva ora si era fermato. Cercai lo sguardo di Yul, per trovare una risposta, per trovare una conferma, come sperando che fosse una semplice invenzione di Alaister. Ma invece no, invece non era così. Perché l'assassino dai capelli scarlatti si limitò a guardare fisso l'uomo dagli occhi gialli, con una freddezza pari a quella dell'altro.

- Non abbiamo bisogno della tua approvazione. - replicò e poi la mano si insinuò all'interno della tasca della giacca, si strinse a pugno, ed io ebbi l'angosciante presentimento che si fosse stretta attorno all'elsa di un'arma delle dimensioni piuttosto piccole ma comunque letale se usata da uno abile quanto lui. Comunque, verso il Re degli Assassini si sarebbe rivelata praticamente inutile.

- Oh, lo so. - Alaister continuò a sorridere. - Ma non immaginavo potessi essere tanto egoista da trascinare Helias con te. Perché, sai... - Fece un passo in avanti, una mano si sollevò verso il viso di Yul come se volesse fargli una carezza con la punta delle dita o dargli uno schiaffo, ma rimase a distanza di sicurezza. - ... Se lo amassi veramente non lo porteresti in un posto così pericoloso. -

Era chiaro, chiaro, che sapesse la verità su quei due. La loro relazione, cosa provassero l'uno per l'altro. E sentire quella frase quasi riuscì ad ingannarmi, perché qualcosa dentro di me gli diede ragione: Ender era un posto troppo folle, mostruoso, per poter tentare qualsiasi cosa. E poi, Helias era stato a Treblin, doveva essere un vero inferno avvicinarsi ad un posto simile. Come aveva potuto pensare ad una tale missione?

- Lui è Sfavillo, è l'Assassino di Darlan. E' perfettamente in grado di prendere da solo una decisione, non l'ho certo costretto. - sputò le parole con un tale astio che quasi mi aspettai di vederlo stillare veleno dalle labbra. Ma era sempre bellissimo, tanto quanto Alaister e in un modo diverso. Soltanto grazie a quelle parole, ritornai in me e mi resi conto di essere caduto nell'ennesimo giochetto mentale di Alaister.

- Oh, ma se il vostro amore fosse vero, allora perché non ti ha mai parlato di ciò che nasconde? - reclinò appena la testa all'indietro, in quella che pareva una risata compiaciuta, gelida, capace di far ghiacciare il sangue nelle vene. - Scommetto che non ti ha neanche detto che sono andato a fargli visita. - ora, il Re degli Assassini, era riuscito a colpire nel segno, sibilando quelle parole con la dolcezza di una vipera, arrotolando la lingua, aspettando di colpire, avvelenare, uccidere. Il veleno per Yul non era altro che il sospetto, il seme del dubbio che avrebbe dovuto portare al litigio, alla separazione.

L'assassino dagli occhi blu tremava quasi dalla rabbia, non sapevo neanche quale forza riusciva a trattenerlo da sfoderare qualsiasi arma lui stringesse.

- Scommetto che continua a tenere quel segreto per sé. - Alaister si avvicinò a lui, inclinandosi verso il basso come se volesse sussurrargli vicino una cosa brutta, imbarazzante forse. Qualcosa che nessuno avrebbe dovuto sentire. - Chiedigli cosa è successo quando l'ho trovato vicino a Treblin. -

Yul indietreggiò, strinse le labbra tanto forte da farsele sbiancare, i pugni da far spuntare le nocche. Si notava che stava facendo uno sforzo immane per non saltargli al collo, per non ucciderlo lì, in mezzo alla strada.

- Non mi interessa. - Il suo sguardo blu si fece tanto cupo che per un attimo mi sembrò nero. - Sarà lui a dirmelo. - E con quelle parole riuscì a stroncare il miserabile tentativo di Alaister di metterli l'uno contro l'altro. Di creare quella spaccatura che fra loro invece non ci sarebbe stata. Perché era evidente: Yul amava Helias talmente tanto che non si sarebbe lasciato sobillare da un mostro come il Re degli Assassini e lui non aveva alcuna speranza di allontanarli.

Su quelle parole, si voltò senza dire nient'altro, come se Alaister non fosse neanche degno di una parola in più di quelle già date. Mentre guardavo la sua schiena, il mio cuore si riempì di dolcezza, di speranza. Non di gelosia, né di invidia. Ma di speranza.

Loro erano liberi, liberi come io non lo sarei mai stato, ed ero felice per questo, perché speravo che almeno loro riuscissero ad avere quel futuro che a me non era stato concesso. Speravo che avessero più fortuna, che si sarebbero fatti forza l'un l'altro e avrebbero dimenticato tutto il male che Skys Hollow e Darlan aveva fatto loro.

- Andiamo, Lysandro. - fu l'unica cosa che disse Alaister, per nulla turbato dalla reazione di Yul ma anzi compiaciuto. Con una strana luce negli occhi, come se stesse pensando a qualcosa di piacevole, per lui. Tramando qualcosa che io ancora non sapevo. Che avrei dovuto sapere, fermare.

E quindi si voltò e cominciò a camminare dalla parte opposta dell'assassino dai capelli rossi. Ma io non lo seguii subito, anzi, corsi incontro all'altro sicario, tirandolo per una manica una volta raggiunto.

- Yul! - esclamai, facendolo voltare verso di me. Guardandomi, tutta la rabbia precedente scemò, eppure rimase irritato, nervoso. Per un momento restai in silenzio, con le labbra aperte come se volessi iniziare un grande discorso ma non trovassi le parole. Lo guardai negli occhi. - Ti prego, prenditi cura di Lui. -

Per un momento parve sorpreso, ma soltanto per un momento. Un battito di ciglia e l'espressione corrucciata mutò in un leggero sorriso con tanto di fossette.

- Tu lo ami, vero? - Era la prima volta che me lo chiedeva. La prima volta che mostrava interesse verso i sentimenti che provavo per Helias, perché era chiaro che parlavamo di lui. Tutte le volte che lo avevo usato per far ingelosire il biondino, tutte le volte che fissavo con disperata malinconia quel ragazzo, tutte le volte che parlavo di lui, Yul non mi aveva mai chiesto nulla. Sapeva la verità ed io ne ero consapevole, ma nessuno dei due l'aveva mai detto ad alta voce per non renderlo troppo... reale. Ma adesso che ci avvicinavamo alla fine dei giochi, alla loro partenza, evidentemente era arrivato il momento.

- Sì. - Mi morsi un labbro. - Ma come l'hai capito? -

Lasciò andare una specie di sospiro divertito. - L'ho capito perché il modo in cui lo guardi è simile al mio. - Aveva detto simile, non uguale. - Ma è un amore diverso. - Per un momento non capii cosa volesse dire. Avevo sempre pensato di amare Helias sentimentalmente, come un amante non corrisposto, un innamorato allontanato, rifiutato. - Lo ami come se fosse una persona speciale, ma non in modo romantico. - Fece un sorriso, anzi, una specie di ghigno beffardo che a lui riusciva particolarmente bene. - Te lo si legge negli occhi. -

Eppure, non lo sapevo neanche io, tanto che rimasi senza parole, sbattendo più volte le ciglia castane. E forse era vero, forse mi ero aggrappato alla convinzione di amare Helias perché in realtà gli volevo bene come una specie di fratello. Perché forse amavo qualcun altro. Ma scacciai quel pensiero.  Intanto, gli occhi blu notte dell'assassino si alzarono verso la strada, si chiusero per un momento, e dopo si riaprirono.

- Stai attento, Lysandro. Se tutto va bene, noi due non ci rivedremo mai più. Ma spero che... - fece una pausa, una pausa significativa. Carica di tutto quello che avremmo potuto dirci, di tutte le paure, le speranze, i ricordi che ci tenevamo dentro. - ... Che tu possa sfuggire ad Alaister. - concluse, accarezzandomi una guancia, dolcemente. - Addio. -

Non ebbi il tempo di dire altro, o forse ero troppo triste, nostalgico, malinconico, addolorato e al tempo stesso speranzoso per dire qualsiasi cosa, che lo lasciai andare via, allontanarsi, sparire per quelle strade nebbiose di una Skys Hollow che assisteva ai dolori delle persone come noi e non se ne importava nulla. Era vero, non avrei mai più rivisto Yul, ma quello non significava che le cose sarebbero andate bene. Anzi, in arrivo si preannunciava una tempesta che presto mi avrebbe spazzato via.







 ❃ ❃ ❃ ❃ ❃ 

L'angolino pasquale di un'autrice affranta ~

Sì, sono passati quattro mesi. Sì, faccio schifo e sono una brutta persona. *si piange addosso* Diciamo che ho spiegato le vicissitudini che mi spingono molto poco a scrivere, ma in qualche modo stasera ce l'ho fatta xD (non sono neanche molto soddisfatta, uf). Però mi mancava Yul, signori. Comunque, ci stiamo avvicinando alla fine! Stimo ancora... tre capitoli, sì. E poi si inizierà il sequel di Sfavillo, che tutti praticamente state aspettando xD (povero Lysandro, lasciato in un angolino). Che dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero di non metterci tre archi di luna ancora una volta e auguri a tutti!

Alla prossima ^^

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