Addio
Smisi di fissare imbambolato la bellissima spilla d'argento a forma di pugnale, impreziosita da una serie di lapislazzuli, esposta nella vetrina di una delle gioiellerie più in vista di Skys Hollow. Sapevo che il mio sguardo verde era stato catturato da quel delicato manufatto per una ragione ben precisa. Non si sarebbe accostato ai miei colori, non sarebbe stato bene al mio viso. Ma sarebbe stato perfetto per Lui.
Se pensavo di fargli un regalo, la ragione era ben precisa: quel giorno, quella tiepida mattina in cui le dame passeggiavano baldanzosamente per le vie di Skys Hollow e i lord le affiancavano con palpabile disinteresse, era esattamente l'uno settembre, il giorno prima del suo compleanno. Avevo tutto il tempo per scegliergli un regalo.
Tuttavia, non avrei certo utilizzato i soldi di Alaister, anzi, avrei attinto al modesto gruzzolo di denaro che mi ero guadagnato durante il mio lungo percorso educativo nel bordello di Sophia. Così rimasi ancora per un po' a bazzicare davanti alla vetrina, intravedendo sulla superficie lucida il mio riflesso: i capelli lisci, corti e castani ben pettinati; gli occhi di un pallido verde spento, in qualche modo affranto; i vestiti sontuosi, di una fattura così pregiata da trasudare lusso ad ogni millimetro di stoffa.
Da quando sembravo in tutto e per tutto un aristocratico scocciato della vita mondana? Strinsi le labbra, scacciando quel nodo che mi si era formato in gola, per tornare a concentrarmi sui gioielli: un orologio d'oro bianco tempestato di diamanti; un anello di platino con una grossa ametista centrale che si sarebbe abbinata alle screziature dei suoi occhi; la spilla a forma di pugnale con i lapislazzuli incastonati lungo la piccola elsa... C'erano così tanti tipi di gioielli che l'avrebbero fatto impazzire. In fondo, al biondino tutto stava alla perfezione, al contrario mio. Quasi ricordavo quelle lunghe sere di primavera, quando, convinti che la via fosse sgombra, passeggiavamo davanti ai negozi chiusi urlando ad alta voce tutto quello che volevamo rubare il giorno dopo.
Ci prefiggevamo un obiettivo che sentivamo di dover eseguire assolutamente la mattina seguente, perfettamente consapevoli che, alla fine, non l'avremmo mai fatto. Eppure, un giorno, Helias Bloomwood raccolse il coraggio e sfidò quelle vie lussuose tentando di rubare proprio in un negozio come quello che stavo fissando io ora. E pagò ad un prezzo troppo alto la sua bravata.
Sentendomi la lingua impastata per i brutti ricordi, mi avvicinai all'ingresso del negozio, ben intenzionato ad entrare per comprare qualcosa che gli sarebbe piaciuto. Probabilmente, sarebbe stato un regalo anonimo, che avrei lasciato dinnanzi alla porta della sua nuova casa. Stentavo a credere che avrebbe accettato un dono col mio nome scritto sopra.
Poi, però, ad un passo dalla porta della gioielleria, mi fermai, basito, rendendomi conto di una cosa fondamentale: io non sapevo dov'era la sua nuova casa. Io non sapevo più nulla di Helias. Era passato poco più di un mese, e non avevo ricevuto più sue notizie.
Sapevo che qualcosa si agitava negli affari di Alaister, qualcosa che riguardava proprio Helias e Yul. Ma entrambi erano pian piano svaniti dalla Fortezza sino a far scomparire le loro tracce. Ovviamente, il Re degli Assassini era al corrente di ogni loro mossa, ma questo non valeva per il resto della Gilda.
Strinsi le labbra in una linea rosea e sottile, scacciando il pensiero di fargli quello stupido regalo. Poi, voltai le spalle alla gioielleria e me ne andai, tornando nella Fortezza a mani vuote.
❃ ❃ ❃ ❃ ❃
Con la scusa di sentirmi poco bene, quel giorno rimasi in camera e mi feci portare il pranzo da alcuni servitori. Il motivo era che volevo vedere Alaister Noir e la sua combriccola sempre meno e, dato che avevano l'abitudine di pranzare tutti assieme nella grande sala da pranzo della Fortezza, io riuscivo ogni giorno a sentirmi sempre più fuori luogo in quella situazione. Non ero certo un assassino, ma gli altri non facevo caso a me, anzi, si limitavano a comportarsi come se non esistessi. Forse era proprio questo che mi dava fastidio. Nessuno si permetteva di mettere in discussione le scelte del Re degli Assassini, per cui ero una specie di creatura intoccabile. Nessuno aveva il coraggio di rivolgermi la parola, temendo che, avvicinandosi più del dovuto, sarebbero incorsi nell'ira di Alaister.
Quindi, se dovevo essere un prigioniero speciale, lo sarei stato fino in fondo, rimanendo a mangiare nella mia stanza. Eppure, con la zuppa sulla scrivania e il sole che entrava dalle finestre, spargendo la tiepida luce d'inizio autunno, mi sentivo tremendamente solo.
Ore dopo, un servitore mi lasciò un grosso pacco rettangolare, chiuso da un vistoso fiocco di seta rossa. Infilato in mezzo c'era un piccolo biglietto, un cartoncino bianco sigillato da una bustina, che io presi con una certa riluttanza, come se conoscessi perfettamente l'autore di quel regalo. Lessi:
"Indossalo per stasera. Diamo inizio ad una nuova tradizione."
Buttai fuori un pesante sospiro, come se avessi trattenuto il fiato fino ad allora. Poi mi sedetti sul letto, mettendomi una mano fra i capelli. Una nuova tradizione. Un suono riverberò nel silenzio della stanza e, in ritardo, mi accorsi che ero stato io.
Era una risata, una risata amara. Una nuova tradizione. Sì, perché sapevo perfettamente che assistere all'importante spettacolo di autunno, che si svolgeva l'uno settembre al Teatro Reale, era una sorta di infrangibile rito fra Alaister ed Helias. Adesso che lui se ne era andato, le vecchie tradizioni potevano essere sostituite solo da mediocri rimpiazzi.
Per un attimo rimasi semplicemente senza fare nulla, umettandomi le labbra, indeciso sul da farsi, come se avessi avuto la possibilità di scegliere fra declinare l'invito o accettarlo.
Scossi la testa, mi voltai verso il pacco e sciolsi la magnifica composizione di nastri che doveva aver intrecciato qualche abile sarto: il fiocco liberò il coperchio, che sollevai con rassegnazione. Che il dono fosse bello o brutto, avrei dovuto indossarlo lo stesso.
Almeno, i gusti del Re degli Assassini, anche se non fui esattamente sicuro che si fosse occupato personalmente di quel regalo, erano eleganti e raffinati. All'interno della scatola, piegato in modo tanto delicato che fu impossibile si fosse spiegazzato, c'era un magnifico completo d'alta classe. A parte la tipica camicia di seta bianca, dalle maniche ampie e morbide, il panciotto era una vera opera d'arte: impreziosito da piccoli bottoncini d'oro, il velluto nero del tessuto riproduceva tanti piccoli boccioli di fiori di ciliegio, alcuni chiusi, altri semi-aperti; i pantaloni di velluto nero seguivano la stessa decorazione, poiché dalle ginocchia partivano boccioli rampicanti che si intrecciavano seguendo un percorso attorno alle gambe, fino alle cosce, dove si fermavano.
Liberai il contenuto dalla scatola e lo appesi davanti all'armadio, per ammirare il completo. Immaginai come poteva starmi addosso e mi capacitai che, nonostante tutto, sarei stato davvero bene. Quel pensiero mi fece sorridere e al tempo stesso mi fece star male.
Apprezzavo i bei vestiti e Alaister sembrava consapevole del fatto che li indossassi con piacere: in parole povere, dovevo essere contento delle sue dimostrazioni d'appartenenza, tutti dovevano vedermi e sapere che quei vestiti pregiati venivano direttamente dalle tasche del Re degli Assassini. Come una specie di marchio.
La mia mano corse sul petto, all'altezza del cuore, lì dove era tracciata in bella vista una "A", una ferita ormai tramutatasi in cicatrice, una linea bianca in un grazioso corsivo.
❃ ❃ ❃ ❃ ❃
Ore dopo, fissai per qualche istante la Fortezza dell'Assassino, i bordi dentellati e la luna alta che ancora non era scomparsa dietro la sua figura. Dalle finestrelle della carrozza, spirava impercettibile la brezza notturna che giungeva dal fiume Tibor, un semplice spiffero gelido che mi scostava i capelli dal viso come il respiro trattenuto di una persona che mi parlava faccia a faccia.
Eppure, in quel momento, ero solo. Attendevo l'arrivo di Alaister mentre fissavo quella stessa luna che, velocemente, correva a nascondersi alle spalle della Fortezza dell'Assassino. Un po' come se facesse affidamento su di loro, un po' come se fosse loro alleata. Del resto, gli omicidi non venivano compiuti quasi sempre al calare della notte?
Mi lisciai il panciotto di velluto nero, dalla parte superiore a quella inferiore, lì dove spuntavano boccioli rosati di fiori di ciliegio, un magnifico intrico di fili di seta e tessuti dal rosso al rosa dotati di splendidi scintillii cangianti. In fondo, il Teatro Reale era l'unico luogo per cui valesse la pena di rendersi belli.
Lì si respirava un'aria semplicemente diversa, rispetto alle volgari e pompose cerimonie di Sophia, o alle festicciole mondane di qualsiasi signorotto, o ancora agli intellettuali e rigorosi ritrovi culturali nella Gilda degli Assassini.
No, nel Teatro Reale, si indossavano i vestiti migliori perché si desiderava diventare parte di quel luogo: conformarsi ai magnifici costumi degli attori, abbinarsi al velluto cremisi delle poltrone, scintillare sotto alle luci ovattate dal cristallo dei lampadari. Si diventava una parte di quello splendido tutto a cui il teatro ti rendeva inesorabilmente partecipe.
In quel momento, le porte della Fortezza si spalancarono per lasciar emergere la figura regale di Alaister Noir, e il suo arrivo bloccò all'istante ogni mio pensiero. Appoggiai un gomito fra la sporgenza del portellone all'interno della carrozza e rimasi a fissarlo mentre si avvicinava.
Dire che era bellissimo, non sarebbe stato affatto sufficiente. Era l'emblema stesso dell'eleganza, mozzafiato in ogni suo passo, avvenente nel ritmo della camminata, sensuale nel modo in cui faceva vagare lo sguardo verso la carrozza.
Indossava un completo di broccato blu notte, ed in rilievo ogni minuscola e minuziosa decorazione era intessuta in fili d'oro; i bottoni, dello stesso scintillante materiale, riportavano l'immagine scolpita di un'aquila dalle ali aperte. Dall'occhiello si affacciava un fresco, piccolo, bocciolo di rosa bianco, dipinto d'oro, assieme ad una catenina dello stesso colore che proseguiva fino ad un lato del candido colletto di seta. Inoltre, i capelli lucidi e corvini, ancora più ricci del solito, erano stati acconciati in una flessuosa coda bassa, posta lateralmente, che stava morbidamente adagiata sulla sua spalla destra.
Guardarlo era come fissare una magnifica gioielleria: saresti rimasto per ore ed ore a rimirarla, eppure, se ti fossi anche solo azzardato a toccare la vetrina, ci sarebbero state amare conseguenze. Invece, arrivare ai gioielli sarebbe stato semplicemente, umanamente impossibile. Come lo era arrivare al cuore di Alaister. Sempre che ne possedesse uno, dopo tutto il sangue di cui le sue mani erano intrise.
Senza altri indugi, aprì il portellone della carrozza e il suo mantello autunnale, nero come uno schizzo d'inchiostro, strusciò contro il velluto cremisi degli interni, mentre si sistemava sul divanetto di fronte a me.
I nostri occhi si incrociarono ed io non riuscii a pronunciare alcuna parola, perché mi sentii morire sulle labbra anche solo quel semplice saluto. Quello era l'effetto che mi faceva ogni volta, incontrare i suoi occhi magnetici, luccicanti come oro colato. La pupilla da coccodrillo, nera e sottile, che quasi spariva nell'immensità dorata dell'iride, mi scrutava con placida, micidiale freddezza.
- Buonasera, Lysandro. - esordì, colmando il silenzio al mio posto, per riempire lo stretto spazio di quella carrozza con la sua profonda voce sensuale, bassa e cavernosa. Ed io lo guardai, restando in silenzio per diversi minuti, mentre intanto la carrozza partiva e il suono trotterellante dei cavalli arrivava fin dentro di essa.
Era passato ormai un mese da quando mi aveva comprato. Un mese, da quando mi aveva brutalmente violentato. Quasi tre settimane da quando aveva impresso quel marchio a forma di A sul mio cuore.
Certe volte, quando mi fermavo a pensare, a ricordarmi quei dettagli, l'aria iniziava a mancarmi. E allora chiudevo gli occhi e mi dicevo che era uno sogno. Un sogno, un sogno, soltanto un sogno.
- Alaister. - lo salutai, la voce che mi usciva colma di riluttanza, quasi temessi di farla emergere dalla gola, quasi provassi il terrore di rivolgergli semplicemente la parola. In tutta risposta, lui aggrottò le sopracciglia con fare dispiaciuto, rendendo i suoi occhi ancora più raggelanti, perché quel gesto non aveva nulla di autentico. Come gli occhi di vetro di una bella bambola, nella quale non baluginava neanche l'ombra di un'emozione. Spaventosi.
- Oggi non hai partecipato al pranzo. - disse, con quell'espressione di falso rammarico che me lo rendeva ancora più odioso del solito: sapevo che stava fingendo e lui lo capiva benissimo. E forse questo rendeva lo spettacolino ancora più divertente, per lui.
- Oh, mi sentivo poco bene. Le domestiche non te l'hanno riferito? - chiesi. La mia voce aveva assunto un lieve sottotono ironico, ma non lo diedi a vedere e neanche lui.
- Certo, ma ci siamo preoccupati lo stesso. - disse, con le sopracciglia incurvate in due parentesi orizzontali, come se provasse davvero tanta preoccupazione e non potesse in alcun modo celarla. Quante idiozie.
A lui non importava realmente di me, figuriamoci ai suoi sgherri. Ma in fondo, sapevamo perfettamente che quella scenetta faceva parte del gioco: io avevo smesso di tentare la ribellione, ma avevo iniziato a fingere, come avevo sempre fatto con Sophia. E lui ci aveva preso gusto, iniziando una sorta di teatrino che rasentava l'assurdo, per vedere quanto sarei riuscito a sopportare prima di crollare.
- Me ne rammarico davvero. - commentai, sorridendo con quel fare civettuolo che avrei esibito soprattutto in presenza di Helias. - Ma ora mi sento molto meglio. - E sfarfallai le ciglia, lasciando che alle mie parole seguisse il rumore degli zoccoli contro la strada asfaltata.
Alaister per un po' non disse nulla, così credetti che avesse perso la voglia di parlare e voltai il viso verso le finestrelle della carrozza, osservando la strada che continuava a scorrere sotto ai miei occhi, dandomi l'impressione di non avere alcun punto fisso su cui focalizzare lo sguardo.
- Molto bene. Allora non ti dispiacerà rendere questo viaggio più gradevole. - esclamò all'improvviso. Ed io spostai immediatamente gli occhi su di lui, con un brutto presentimento che mi nasceva nel petto. Con l'indice, lungo ed affusolato, ticchettava la fibbia d'oro della sua cintura di cuoio. - Facendo uso della tua bocca. -
Della mia bocca?
Non aveva bisogno di altre spiegazioni per farmi capire.
Non avevo mai fatto una cosa del genere, per lui, e fu probabilmente per quello che la richiesta mi stupì, tanto da farmi strabuzzare gli occhi. Se non fossi stato un cortigiano, probabilmente sarei arrossito. Deglutii.
- Ma siamo quasi arrivati... - mormorai, con un leggero sorriso, cercando di non dargliela del tutto vinta. Non volevo mostrarmi certo insicuro, né volevo dargli un'affrettata negazione, come se temessi quel contatto o peggio, come se ne fossi imbarazzato.
Ma lui si limitò ad inclinare la testa, con i boccoli della sua coda laterale che accarezzavano morbidamente il panciotto blu notte. Sulle sue labbra comparve un minuscolo, gelido, micidiale sorriso.
- Quindi dovrai far veloce. - disse, stroncando qualsiasi mio tentativo di tirarmi indietro. - O vuoi forse dire che non sai farlo? - continuò, inarcando le sopracciglia in quella fastidiosa occhiata rammaricata.
Era proprio questo che mi faceva infuriare, del Re degli Assassini: lui sapeva perfettamente quali parole usare per pungere nel vivo. Sapeva perfettamente come doveva comportarsi, cosa doveva dire, cosa doveva fare.
Strinsi i denti.
- Non l'ho mai detto. - affermai, convinto, mentre mi sollevavo dal divanetto e mi inginocchiavo a terra, con la schiena dritta, infilandomi nello spazio fra le gambe di Alaister. Misi mano alla sua fibbia, con l'intenzione di allentare la cinghia, per poi slacciarla. A giudicare dal suono sferragliante e dal sorriso del moro, le mie mani tremavano.
In breve tempo, la sua cintura era slacciata, così come la chiusura dei pantaloni, sbottonata. L'unica cosa che mi ostacolava dalla sua virilità, era l'intimo di seta nera. Indugiai per un attimo sull'orlo, con il viso vicino, i denti stretti. Sentivo il suo sguardo dorato su di me.
Senza aspettare oltre, liberai la sua intimità dal tessuto scuro ed iniziai a toccarla. Fra le mie mani, incominciò ad indurirsi.
Per un po' non riuscii a fare nulla, come paralizzato, limitandomi a stringere il membro fra le dita e a muoverla appena dal basso verso l'alto. A quel punto, sentii una lievissima risata provenire dall'alto, ed io sollevai gli occhi in sua direzione: non avrei dovuto farlo. Perché quando incrociai il suo sguardo dorato, un brivido mi corse lungo la schiena.
- Ho detto la tua bocca, Lysandro. - esclamò, e la sua espressione mi lasciò completamente stupefatto. Perché il suo volto non era freddo, il suo sguardo non era affilato in un'occhiata gelida, al contrario: i suoi occhi scintillavano come oro colato, mentre le sue labbra erano incurvate in un candido sorriso di genuino divertimento. - Che espressione estatica. - continuò. Probabilmente dovevo avere gli occhi strabuzzati e la bocca mezza aperta, sbigottito.
Ma io non ero sconvolto per l'espressione in sé, quanto per la motivazione: con le guance appena imporporate di rosso per il riso, lo sguardo affilato, delle minuscole rughe d'espressione ai lati degli occhi e la bocca tumida resa più sottile... Quella situazione lo stava divertendo di tutto cuore. E non il fatto di essere costretto a dargli piacere con la bocca, ma il fatto di essere prostrato ai suoi piedi.
Umiliato, in ginocchio. L'esatta posizione in cui dovevo stare: al di sotto del suo volere.
In quel momento, provai un autentico, viscerale terrore per il Re degli Assassini, molto più delle altre volte, molto più che per quelle occhiate gelide che scoccava di solito. Perché quel sorriso di torbido divertimento voleva alludere a quanto fosse normale, a quanto fosse scontato, che una persona si inginocchiasse davanti ai suoi stivali, e quanto fosse ridicolo, per me che cercavo sempre una strada alternativa per ribellarmi, trovarmi prostrato ai suoi piedi proprio come tutti gli altri. Che i nostri allegri giochetti erano inutili, perché per quanto cercavo di sfuggirgli, stavo ballando sul palmo della sua mano.
Quel sorriso voleva dire una cosa sola: ti ho in pugno.
Approfittò del fatto che avessi la bocca semi-aperta e, afferrandomi all'improvviso la testa, mi spinse velocemente le labbra contro l'intimità.
- Mpfh! - bofonchiai un verso disarticolato, sentendomi all'improvviso soffocare, la bocca riempita dalla sua virilità, la lingua che percepiva quella salinità mascolina che in verità non aveva alcun sapore, eppure possedeva il lontano sentore d'eccitazione.
- Se non ci metti un po' più d'impegno, potrei anche arrabbiarmi... - La sua voce era divertita e non tradiva il minimo accenno di desiderio. - ... e tu non vuoi che accada, vero? - Le sue dita si strinsero contro i miei capelli, rovinando la perfetta postura liscia e morbida delle mie lucide ciocche castane, mentre la sua mano mi muoveva il capo con l'intenzione di farmi andare più veloce e più a fondo, quasi soffocandomi. Lasciai andare una specie di mugolio, stringendo le mani sulle sue ginocchia, le unghie infilate nel tessuto dei pantaloni, gli occhi umidi.
Eppure, in quel momento, mi accorsi di star cedendo, lasciandogli fare esattamente quel che voleva. Allora la paura, velocemente, lasciò il posto a quello strato di sopito risentimento che, leggero, mi albergava sottopelle come ceneri ancora calde, che aspettavano soltanto di prendere fuoco. Non sarebbe stato ancor più umiliante farlo venire fin troppo velocemente?
Mi ribellai al ritmo della sua mano andando ancor più velocemente, per poi iniziare a succhiare, in un modo anche abbastanza vorace, quasi fossi affamato, quasi bramassi di sentirlo di più, non come se lo odiassi. Dopo pochi secondi avvertii il cambiamento in Alaister: il suo respiro, sebbene leggero e controllato come sempre, era accelerato; il suo membro pulsava nella mia bocca; e, se lo avessi guardato bene, mi sarei accorto che aveva le sopracciglia appena aggrottate.
Per qualche strana ragione, quelle reazioni mi eccitarono e, inevitabilmente, Alaister se ne accorse.
- Che animaletto vivace. - commentò, con una nota di deliziato sarcasmo, stuzzicandomi con la punta dello stivale l'intimità che premeva contro i pantaloni, senza nascondere l'eccitazione. Lasciai andare un gemito soffocato, mentre la presa sui miei capelli si incrementava di nuovo e il suo stivale mi puntellava dispettosamente l'erezione. Adesso sentivo che ansimava un po' più forte, eppure era evidente chi dei due tenesse in mano la situazione: continuava a spingermi contro di lui nonostante cercassi di impegnarmi in quel che stavo facendo. - Sono sicuro che non hai intenzione di macchiare i vestiti che ho scelto con tanta cura per te. - osservò compiaciuto, con la voce arrochita e ansante, mentre avvertivo il membro pulsare contro la mia lingua: stava per venire.
Strinsi la presa attorno alle sue ginocchia ancor più forte, chiusi gli occhi e poi deglutii, sentendo all'improvviso un getto caldo riempirmi la gola e la bocca, fino a soffocarmi.
Poi mi allontanò la testa ed io tossii più volte, passandomi il dorso della mano sulla bocca e continuando a deglutire, perché avevo la sgradevole sensazione di sentire ancora quel sapore insipido di uomo e di sale, di Alaister e di umiliazione.
❃ ❃ ❃ ❃ ❃
Quando alzai gli occhi verso l'enorme e sontuosa cupola del Teatro Reale, mi resi conto di quanto quella situazione mi logorasse, come se dell'acido continuasse a scendermi dall'alto come una pioggia e, pian piano, la mia figura scomparisse, erosa dal liquido tossico.
Ero abituato a guardare il palco alle spalle di Alaister, fissando la nuca di Helias, che gli stava accanto, e osservando il profilo dei suoi occhi color ghiaccio che si scioglievano come neve al sole, pieni di lacrime, sotto la pressione dei ricordi che lo tormentavano sin da bambino. Ero abituato a guardare il modo in cui scivolavano sulle sue guance, con la voce che prudeva nella gola per dirgli qualcosa che l'avrebbe confortato, come accadeva un tempo.
E poi alla fine rovinavo tutto, dicendo qualcosa di ancor più spiacevole ed inopportuno, come se non me ne importasse di meno, o come se traessi piacere nel fargli del male. Eppure, io lo conoscevo meglio di chiunque altro, negli sguardi che lanciava alle file di poltrone di velluto scarlatto o negli scintillii che baluginavano nei suoi occhi mentre fissava lo spettacolo, mentre udiva la sinfonia dolciastra che rimbombava fra gli intarsi d'oro del Teatro Reale.
Sapevo che ogni centimetro di quel posto gli ricordava la sua vecchia vita, un pezzo della sua anima che era andata perduta tanti anni prima e la persona che amava più di chiunque altro che non avrebbe mai più visto. Sapevo che amava il teatro di un amore agrodolce, perché lo portava a quei ricordi gioiosi eppure dolorosi, a dei momenti che avrebbe voluto rivivere ma non avrebbe potuto mai farlo.
Ed io ero lì, proprio al suo posto, stringendo la mano dell'uomo che non aveva fatto altro che rendergli la vita più difficile, con le dita intrecciate alle sue come se mi aggrappassi, come se la mia esistenza dipendesse da lui.
In quel momento, nell'esatto secondo prima che gli archi iniziassero a suonare, quando i musicisti posavano l'arco intinto di pece sulle corde e prendevano un respiro prima di cominciare la sinfonia, io avrei voluto alzarmi e semplicemente correre via.
Diamo inizio ad una nuova tradizione, aveva scritto il Re degli Assassini sul biglietto del suo prezioso regalo. Alaister riusciva ad essere terribilmente crudele anche senza saperlo.
Sorrisi amaramente e, in quell'istante, una sinfonia tanto dolce da struggere il cuore, si innalzò dal palco scintillante del Teatro Reale. Chiusi gli occhi.
- La senti? -
Con le schiene attaccate alla fredda parete del retro del Teatro Reale e le ginocchia al petto, ascoltavamo l'armonica fusione di suoni che si protraevano ruggenti nell'aria, ignorando i muri e i vetri ed arrivando fin fuori alla strada, desiderando che tutti potessero ascoltarla e deliziarsi l'udito.
Nonostante il ruggito dei violini, la voce di Helias mi era arrivata dritta alle orecchie, il tono tintinnante come un limpido scampanellio, basso e tanto melodioso da riuscire a mescolarsi alla musica, a prenderne la stessa forma per scomparire dentro di essa.
- Certo. Ma perché siamo qui? - risposi, poggiando il mento sulle ginocchia magre, sporche del porridge ammuffito che mi ero rovesciato sulle gambe due ore prima, con una smorfia disgustata. Non avevo avuto abbastanza acqua per lavarmi, perciò avrei dovuto infilare presto o tardi le gambe nel fiume, anche se faceva troppo freddo.
Helias rimase per diversi attimi in silenzio, come se non ne conoscesse la ragione, eppure guardava l'edificio di fronte a sé con un'espressione rabbiosa e triste, un'espressione che non si sarebbe mai abbinata ad un bambino.
- Lei mi portava sempre qui, il giorno del mio compleanno. - snocciolò, mordendo il labbro inferiore e posando la testa contro il muro, con aria che avrei definito sconfitta. - Mamma.-
La musica era ancora all'inizio, ma le note dolci e meste del violino proseguivano lunge e lente, eppure trionfanti, con l'enfasi di una triste marcia funebre in grado di far sciogliere un cuore di ghiaccio.
- E ora dov'è? - chiesi, posando la guancia su quelle ginocchia per guardarlo meglio. I capelli biondi, nonostante fossero sporchi, scintillavano come l'oro. I suoi occhi, di un azzurro chiarissimo, ricordavano la pericolosa e magnifica illusione del ghiaccio che risplende prima di spaccarsi sotto il tuo peso e farti crollare.
- L'hanno uccisa. - replicò, atono, eppure con gli occhi chiusi, come se fosse sul punto si addormentarsi, o come se fosse effettivamente concentrato a sentire quella sinfonia spettacolare.
- Mh. - mi umettai le labbra, rimpiangendo poi di farlo quando una sferzata di vento mi ghiacciò la bocca. Mi passai la manica sulla bocca. - Io non conosco la mia. Mi ha lasciato in strada quando sono nato. - spiegai, alzando le spalle, come se, in fondo, non mi importasse. Quella era la mia vita da sempre: era difficile rimpiangere qualcosa se non conoscevo il suo lato bello.
Helias si alzò in piedi di colpo e i suoi boccoli si mossero assieme a lui compiendo una giravolta dorata. Mi porse una mano, con gli occhi azzurri che scintillavano nel buio e la musica che imperversava nell'aria, rompendo l'immacolato silenzio con la sua dolce sfrontatezza.
- Balliamo? - mi chiese, con la mano rivolta verso di me, il palmo verso l'alto, in una posizione che mi ricordava tanto la prima volta che l'avevo incontrato. Solo che adesso i ruoli si erano invertiti.
Presi la sua mano e lui mi tirò in piedi, sfruttando lo slancio del mio movimento per compiere una giravolta attorno al mio braccio. Fece lo sforzo di sorridere, sollevando gli angoli delle labbra piene e rosee, anche se i suoi occhi non lo facevano affatto.
- Sei bello, Helias. - commentai, guardandolo piroettare, mentre il cuore, per qualche strana ragione, mi batteva forte. A quelle parole, lui sorrise un po' di più.
- Lo so, Lyle. - replicò, questa volta ridacchiando ed ondeggiando a tempo di musica, senza badare troppo al fatto di non avere una scarpa, di essere piccolo e sporco. In quel momento, con la musica triste e trionfante alle nostre spalle e il biondino che piroettava alternandosi dal mio braccio destro a quello sinistro, mi sentii felice.
Non importava che non avessi genitori, o un tetto sulla testa, o vestiti puliti e un pasto caldo. Accanto a lui, ero felice lo stesso. Mi bastava.
- Vivrai per sempre con me? - sbottai, ad un certo punto. E allora lui si fermo di fronte a me e alzò le spalle, ridacchiando, come se stesse per dirmi una cosa ovvia.
- Non lo stiamo già facendo? -
Quando riaprii gli occhi, la prima sinfonia era finita e il sipario stava lentamente calando, lasciando il posto all'intervallo, che avrebbe fatto riposare per qualche minuto i musicisti e gli ascoltatori.
I miei occhi vagarono, smarriti, per i posti occupati e foderati di velluto, per i palchetti che, piano dopo piano, si suddividevano in piccole cabine piene di morbido tessuto cremisi. Stringevo ancora la mano di Alaister, o meglio, lui stringeva ancora la mia. Eppure ero assente, la mia mente completamente altrove, mentre i miei occhi svettavano per l'infinità enorme del Teatro Reale. Finché non incontrai un paio d'occhi di un morbido color nocciola screziati di pagliuzze color giada, e quello sguardo fisso non mi sbatté bruscamente nella realtà.
- Axe... - sussurrai, con gli occhi spalancati e il cuore che, per qualche ragione, iniziò a battermi forte.
- Hai detto qualcosa? - la voce cavernosa di Alaister, al mio fianco, mi fece deglutire. Spostai velocemente lo sguardo verde foglia, dall'uomo dagli splendenti occhi d'oro, al ragazzo dalla pelle di bronzo e dallo sguardo frammentato fra il chiaro e lo scuro.
Era seduto ad un palchetto sul mio stesso piano, ma di fronte a me, molto, molto più lontano, praticamente dall'altra parte del teatro. Sedeva al fianco di una giovane donna dai capelli color carota, con uno splendido vestito dorato decorato da foglie rosse e arancio fatte di velluto.
Ma non importava quanto la sua cliente fosse bella: lui, in quel momento, stava guardando soltanto me, continuando a farlo senza neanche distrarsi. Poi, mi fece un lievissimo cenno della testa, indicando la porta dietro di sé. Disse qualcosa all'orecchio della ragazza e si allontanò, sparendo dalla mia visuale.
Guardai Alaister, poi guardai le mie dita intrecciate alle sue. Vuoi davvero lasciare quella mano, Lysandro? Vuoi davvero farlo?
- Non mi sento molto bene. Esco un momento a prendere un po' d'aria. - mormorai, indicando con la mano libera la porta alle nostre spalle, che univa il palchetto privato di Alaister al corridoio. Lui mi soppesò a lungo, squadrandomi da capo a piedi con un'espressione imperscrutabile. Per un lunghissimo attimo temetti che capisse tutto. Poi però aprì la mano e la mia scivolò via dalla sua, così provai la stessa sensazione che si prova quando ad un prigioniero si aprono i ceppi delle catene.
Mi fece un cenno del capo, come se volesse darmi il suo permesso per lasciarmi andare. Senza farmelo ripetere due volte, con ampie falcate raggiunsi la porta ed uscii, buttando un sospiro di sollievo.
Il corridoio era silenzioso e sgombro, nessuno ciondolava sotto le sue luci ad olio, ma tutti attendevano con impazienza all'interno dei propri palchetti. Soltanto ora che ero in quel posto, mi chiesi effettivamente perché mi fossi precipitato fuori con tanta fretta. Non vedevo Axe da più di un mese, ma questo non voleva dire che sentissi la sua mancanza.
Eppure, la velocità con cui ero scappato da Alaister con l'intenzione di sgattaiolare da lui era stata disarmante. Adesso, il mio sguardo verde svettava da una parte all'altra del corridoio, alla ricerca delle sue spalle larghe e della sua carnagione tanto dorata da splendere.
Iniziai a camminare, guardando fisso di fronte a me, finché il corridoio circolare non rivelò la figura alta, i corti capelli biondo cenere che rilucevano di mille sfumature dorate più chiare e più scure, e poi quegli occhi caldi resi affilati dalla presenza di quelle pagliuzze verde giada. Portava uno splendido completo color crema pieno di decorazioni a foglie, dorate, rosse e arancio, che si abbinavano alla perfezione all'abito della ragazza che aveva lasciato sola nel palchetto; probabilmente gliel'aveva regalato proprio lei.
In quel momento, aveva le braccia incrociate al petto e una mano posata sopra il neo accanto alle labbra sottili e sensuali e mi guardava, senza dir nulla.
Mi fermai, riluttante, senza saper bene come salutarlo o cosa dire in generale.
- Eri con Alaister, a quanto pare. - esordì, con voce secca. - Potevi dirmelo, prima di andartene, che ti piace stare con lui. - Aveva un tono impassibile, eppure il suo sguardo trasudava ondate di rabbia. Per un momento non capii di cosa stesse parlando, poi intuii che si riferisse al mio ultimo giorno, al bordello, quando avevo fatto i bagagli e me ne ero andato. Quando lui mi aveva baciato ed io ero fuggito, senza dirgli nulla.
- Non è così. Io... - mi guardai intorno, come se temessi di vederlo spuntare lì da un momento all'altro, anche se c'eravamo soltanto noi due, in quel corridoio. - Io lo odio. - Strinsi i pugni. - Lo odio davvero. -
- Però gli tenevi la mano con così tanta forza. - ribatté, secco, iniziando ad avvicinarsi.
- Anche tu sembravi star bene con quella ragazza. Davvero carina... i vostri abiti si abbinano alla perfezione. - Al contrario di lui, il mio tono era amareggiato, non impassibile quanto il suo.
A quel punto, sbatté un pugno contro il muro e fu così veloce che neanche vidi il suo braccio muoversi. Il suono di quel tonfo rimbombò per tutto il corridoio.
- Lo sai che non mi sono mai interessate le clienti. -
- Davvero? - chiesi, con il viso vicino al suo, il suo corpo chino sul mio, come se volesse sovrastarmi. Buttai fuori un sospiro. - Perché mi hai chiamato qua fuori? - chiesi, sentendomi all'improvviso schiacciato da un peso gigantesco sul collo, che minacciava di spiaccicarmi a terra. Non potevo essere lì con lui, era sbagliato. Sbagliato.
- E tu perché sei venuto? - chiese, e quelle pagliuzze verde giada scintillavano mentre mi guardava. Distolsi lo sguardo, con la paura che il mio cuore avrebbe iniziato a galoppare senza motivo, se solo l'avessi guardato.
- Non lo so. - risposi, affrettatamente, incollando lo sguardo alla moquette rossa.
- Guardami. - disse, avvicinandosi ancora di più, mentre io indietreggiavo.
- No. - esclamai, ben sapendo che se l'avessi fatto, qualcosa in me si sarebbe rotto. Quella convinzione di ciò che era giusto e sbagliato, si sarebbe infranta.
- Lysandro. - sussurrò, e se prima il suo tono era fermo e freddo, adesso la sua voce era diventata estremamente dolce. - Guardami. -
Sollevai lo sguardo verso di lui e sentii il mio cuore battere forte, nell'incontrare quegli occhi nocciola che erano capaci di scaldare il freddo dentro al mio petto. Ed era una sensazione diversa di quella che provavo con Helias: se con lui sentivo una sensazione di lieve dolore al centro del cuore e desideravo con tutto me stesso che posasse i suoi begli occhi azzurri su di me, con Axe speravo che invece non mi guardasse, che non notasse il leggero rossore che mi imporporava le guance.
Probabilmente non ci fu bisogno di alcuna parola, perché nel mio sguardo lesse tutto ciò che desiderava scorgere e le sue braccia mi avvolsero e mi attirarono a sé. La sua bocca si posò sulla mia, affamata, come se non desiderasse altro che quel contatto, altro che quelle labbra, altro che quella pelle.
Ed anche io, con la bocca sulla sua, mi sentii sgombro da qualsiasi pensiero, per un momento rinfrancato da quel contatto, come se non esistesse nient'altro: né Alaister e neanche Helias. C'era soltanto quel ragazzo che abitava nel mio stesso bordello e che, talvolta, mi lanciava degli sguardi di comprensione ed incoraggiamento, con la pelle dorata e gli occhi di cioccolato tinteggiati da schizzi verde-azzurri.
Gli gettai le braccia al collo, muovendo le mani fra i suoi capelli biondo cenere, serici e morbidi e ricambiai quel bacio, con foga, come se avessi bisogno di quelle labbra per respirare.
E poi ricordai che la bocca con cui lo stavo baciando era la stessa bocca con cui avevo fatto venire Alaister e ne fui profondamente, terribilmente disgustato. Lo allontanai con un brusco spintone.
- No. - sbottai, voltandomi.
- Non te lo lascerò fare una seconda volta. - Mi afferrò il polso, tenendolo stretto, e mi voltò verso di sé. - Perché mi baci in questo modo e poi fuggi? - esclamò, con gli occhi che gli lampeggiavano dal risentimento, dalla confusione. I suoi occhi non sapevano mentire: non capiva perché lo facessi e questo gli faceva male.
- Perché non posso baciarti! - mi affrettai a spiegare, scuotendo la testa. Rimasi in silenzio per qualche secondo. - Io sono di proprietà di Alaister. - ammisi, ed anche se non tenevo il Re degli Assassini per mano, sentivo che i ceppi di quelle catene si richiudevano attorno ai miei polsi con un orribile rumoreggiare sferragliante.
- Quindi, fra me e lui, tu scegli lui? - i suoi occhi si adombrarono, le sue sopracciglia erano aggrottate.
- No. Non ho mai avuto la possibilità di scegliere e tu lo sai. - Mi premetti due dita contro la tempia, come se provassi dolore. - So soltanto che se ti scoprisse con me, ti ucciderebbe. - Alzai gli occhi su di lui, questa volta con uno sguardo di disarmante arresa: quella era l'inevitabile realtà a cui dovevo tener testa. Come mi aveva detto lui tanti anni prima, io dovevo vivere e basta, andare avanti, ed accettare tutto quanto. - Ed io non voglio che ti succeda qualcosa. - Mi morsi il labbro inferiore, come se temessi di vederlo tremolare da un momento all'altro. - Sarebbe meglio che tu... non mi baciassi. - Deglutii, sentendo quel peso sulle spalle diventare ancora più forte. - Anzi, sarebbe meglio che tu non mi incontrassi proprio. -
Pensare ad un futuro in cui Alaister ci scopriva, in cui lui lo uccideva... la mia immaginazione non riusciva neanche ad elaborare una scena del genere, sarebbe stato troppo brutto.
Dopo quelle parole, scorsi un lampo nei suoi occhi, un lampo di rabbia e di inspiegabile dolore, che però sparì piuttosto velocemente.
- Quindi... mi stai dicendo addio? - chiese, la voce atona e lo sguardo pieno di freddezza.
Avevo quella sillaba che premeva sulla punta della lingua, ma per quanto ci provassi, non riuscivo a pronunciarla. Sentii quello strano intrico di sentimenti che non riuscivo a definire che si agitava e si contorceva sotto la durezza di quello sguardo. Cosa provavo per lui? Insofferenza? Odio? Affetto? Amore? Non lo sapevo.
- Sì. - Ero convinto di averlo solo pensato, eppure, finalmente, la mia lingua aveva ceduto. - Addio, Axel. - Mi voltai sotto il suo sguardo, senza dire un'altra parola.
Era vero, non sapevo cosa provavo per lui, eppure non riuscii a non sentire una fitta all'altezza del cuore talmente dolorosa che quasi mi fece accasciare a terra, con le ginocchia strette contro il petto. Ma continuai a camminare, velocemente, finché non rientrai nel palchetto privato di Alaister, finché non ritornai con la mia mano nella sua e non mi sentii finalmente, di nuovo, tranquillo e al tempo stesso irrequieto, al fianco di quel mostro dall'aspetto bellissimo che mi teneva stretto nel suo pugno.
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L'angolino natalizio dell'autrice che non ha aggettivo ~
No, non ho aggettivo che descriva la mia gmjdnfvhdnfaggine. Ho come l'impressione che ogni volta che io dica "questa volta l'aggiornamento sarà sicuramente molto più veloce delle altre!" allora vuol dire che sarà sicuramente molto più lento delle altre volte. Ahhh, sono terribile. Ma almeno potete consolarvi con fatto che vi mostro capitoli belli lunghi <3
In più, ho appena risolto i malauguratissimi problemi di connessione! Che altro? Auguroni a tutti! E poi... spero che il capitolo vi sia piaciuto! Cercherò di fare un po' più veloce... cercherò- *va a nascondersi in un angolino*
Alla prossima! ^^
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