Giorno Novantotto
Erano quasi tre giorni che non uscivo da camera mia e che mangiavo a malapena quello che mia madre mi lasciava su un vassoio davanti alla porta della mia stanza.
Non potevo continuare così, in un modo o nell'altro sarebbe dovuta finire.
Guardai l'ora sul mio orologio da polso, segnava le 23:59.
Mi avvolsi nella coperta e uscii fuori sul balcone.
Proprio come mi aspettavo, Federico era appoggiato alla ringhiera, intento a fumarsi una sigaretta.
Quando mi vide si raddrizzò, e le sue labbra si distesero in un sorriso leggero.
«Ciao», mi salutò.
«Ehi.»
«Sono contento di vederti.»
Mi appoggiai alla ringhiera e lo fissai per qualche secondo. «Sì... Io anche.»
«Stai bene?»
«Non lo so», risposi con sincerità.
Lui annuì lentamente, ma non commentò nulla, quasi come per darmi la libertà di continuare a parlarne o di cambiare argomento.
«Ti capita mai di mancarti?»
Lui ci pensò un po' su. «No, non penso.»
Annuii. «A me succede», dissi, alzando lo sguardo verso il cielo scuro. «Mi manca la persona che ero prima di essermi fatta spezzare il cuore.»
«Cosa è successo?»
Abbassai lo sguardo su di lui e sospirai. «Che tu ci creda o no, avevo un ragazzo una volta...»
«Mi sarei stupito del contrario, in realtà», commentò lui, soffiando fuori una nuvola di fumo.
Arrossii alle sue parole, accogliendole in silenzio e facendole mie.
«Scusa, non volevo interromperti. Continua.»
«Non... Non fa niente», risposi, schiarendomi la voce, e poi continuai con la mia storia. «Si chiamava Marco, e se mi avessi chiesto, al tempo, di definirti l'amore, probabilmente ti avrei descritto lui e il nostro rapporto.»
Federico mi guardò attentamente, con la sigaretta stretta tra le labbra.
«Avevo anche una migliore amica, si chiamava Elisa e da che io mi ricordi siamo sempre state inseparabili, fin dal primo giorno di liceo. E anche in questo caso ti avrei fatto il suo nome, se mi avessi chiesto di definirti l'amicizia.»
Feci una pausa, per cercare di mettere ordine nei miei pensieri.
«Con loro al mio fianco ero completa, la mia vita era perfetta ed ero felice», abbassai lo sguardo sulle mie mani. «Poi le cose hanno iniziato a cambiare.»
«Cosa è successo?», mormorò Federico.
Mi strinsi nelle spalle, stringendomi le braccia attorno al corpo, quasi per infondermi coraggio. «Non lo so... Mi sentivo fuori luogo, quasi esclusa, quando ero con loro. Continuavo a sorridere e a far finta che tutto fosse come prima, ma c'era qualcosa in me, una sensazione, che continuava a non volersene andare.»
Federico aveva finito la sigaretta, l'aveva spenta nel posa cenere e ora mi stava guardando e ascoltando attentamente.
«Ero triste. E più cercavo di nasconderlo, più mi sembrava che le persone attorno a me mi scivolassero via.»
Avevo gli occhi lucidi, potevo sentirli riempirsi di lacrime, e la cosa mi stupì quasi.
«Ho lasciato Marco, gli ho detto che mi serviva tempo e spazio», una mezza risata amara mi uscì dalle labbra. «Mi ricordo che ci siamo messi a litigare. Mi ricordo di aver cercato di spiegargli che finché non fossi tornata a star bene con me stessa, non potevo star bene con lui.» Sospirai. «Lui è sempre stata una persona estremamente razionale. Ha sempre visto la vita in bianco e nero, senza contemplare le possibili sfumature di grigio presenti. Per lui era tutto giusto o sbagliato, caldo o freddo, questo o quello.»
Federico annuì, come se capisse perfettamente quello di cui stavo parlando e commentò: «Ne conosco anche io di persone così.»
«Marco mi disse che se lo lasciavo era per sempre, non mi avrebbe permesso di tornare sui miei passi.» Mi passai il dorso della mano sulla guancia, per asciugarmi una lacrima. «Non sapevo cosa fare, sapevo di star perdendo una delle persone più importanti della mia vita, ma allo stesso tempo non riuscivo a mettermi da parte, capisci? Sapevo di star male con lui, ma sapevo anche di non poter essere felice senza di lui.»
Alzai lo sguardo verso il ragazzo davanti a me. «La mia indecisione alla fine ha fatto la scelta al mio posto. E ci siamo lasciati definitivamente.»
Federico continuava a rimanere immobile.
«Ne avevo subito parlato con Elisa, le avevo raccontato tutto, e lei da vera amica mi aveva supportato, dicendomi che era stata la scelta giusta e che dovevo mettere me al primo posto.» Risi tristemente ricordando benissimo la conversazione avuta quel pomeriggio con lei, nella sua camera da letto. Era fine luglio e tre settimane dopo lei sarebbe partita per la Sardegna.
«Sono passati i mesi, e io continuavo ad avere quella assurda sensazione che tutti mi stessero trattando come un qualcosa di estremamente fragile. Avevo la sensazione che tutti sapessero qualcosa e non volessero dirmelo, e questo mi faceva uscire di testa. Intanto avevo provato numerose volte a riallacciare il rapporto con Marco, lui però continuava a essere distaccato, quando non mi ignorava, mantenendo fede a quello che mi aveva detto il momento in cui ci eravamo lasciati.»
Chiusi gli occhi, beandomi della brezza notturna che soffiava sul viso. «Mi sono ripetuta mille e mille volte che era colpa mia, che era la conseguenza della scelta che avevo fatto mesi prima. Elisa continuava a ripetermi che lui mi ignorava perché cercava ancora di dimenticarmi, e di non prendermela troppo. Un giorno saremmo tornati a parlarci come una coppia di vecchi amici che si ritrovano dopo tempo.» Strinsi le labbra una contro l'altra, sentendo quasi un moto di rabbia nei confronti della mia vecchia amica.
«Il Petrarca organizza sempre una festa di Natale», continuai.
«Lo so, un anno mi sono anche imbucato. Son forti», commentò Federico.
«Sono sempre andata, ogni singolo anno. Ma a quella di dicembre avevo detto ad Elisa che non me la sentivo, non avevo voglia e non ero dell'umore giusto. Le dissi però di divertirsi anche per me e che mi avrebbe dovuto raccontare tutto il giorno dopo», feci una pausa. «L'avevo invitata a colazione qui da me.»
Scossi la testa, come per liberarmi da un brutto pensiero e raddrizzai la schiena. «Non so perché io abbia cambiato idea, e abbia deciso di presentarmi alla festa senza dirlo a nessuno. Ma l'ho fatto. Forse perché mi sentivo così sola, o forse perché pensavo che una festa mi avrebbe aiut –»
«Non devi spiegare le tue azioni, Olivia. Capisco», mi interruppe Federico, con un sorriso dolce.
«Una volta arrivata mi sono messa a cercare la mia migliore amica, chiedendo in giro se qualcuno l'avesse vista. Ricordo ancora gli sguardi che mi lanciavano, rimanendo sul vago e cercando di eludere la domanda.» Smisi di parlare per qualche secondo, raccontarlo così ad alta voce mi faceva quasi di rivivere il momento.
Penso che Federico avesse già capito dove stava andando la storia, ma mi lasciò comunque continuare, mantenendo lo sguardo fisso su di me.
«Era mezzanotte e ventuno quando la trovai. Elisa era con Marco, su un divanetto, che si baciavano.»
«Mi dispiace», mormorò il ragazzo davanti a me.
«Il mio cuore si è spezzato in mille pezzi quella sera. La mia migliore amica che continuava a dirmi di aver fatto la scelta giusta nel chiudere con il mio ex, e Marco, il mio ex che ancora rimpiangevo.»
«È stata una cosa di una sera?»
Scossi la testa. «No... Ho scoperto pochi giorni fa che era almeno da fine agosto che andava avanti la storia. E ora stanno ancora insieme.»
«Mi dispiace», ripeté Federico.
«La cosa peggiore è che lo sapevano tutti, capisci?», mormorai. «E nessuno mi aveva detto nulla. Quella sera, sia Elisa che Marco mi hanno rincorso fuori, dopo che li avevo sorpresi insieme: mi hanno detto che volevano raccontarmi tutto da mesi ormai, ma che ero così triste e fragile che avevano paura di farmi ancora più male.»
Federico non rispose nulla, e continuò a farmi sfogare.
«È come affogare, sai? Annaspi per riuscire a stare a galla, con l'acqua che ti entra nei polmoni e ti brucia come fuoco, e hai davanti a te le persone che sono state la tua vita che non fanno altro che gridarti "impara a nuotare, forza!", quando basterebbe che loro allungassero una mano per tirarti in salvo.»
Sospirai. «Ho sperato per loro le cose peggiori, davvero. E per questo mi odio tremendamente, perché io non sono così, non lo sono mai stata... Mi sono accorta troppo tardi che la mia felicità dipendeva da loro, ma che la loro non dipendeva più da me.»
Smisi di parlare e mi asciugai nuovamente gli occhi.
«Olivia», la voce di Federico arrivò forte e chiara alle mie orecchie, ma non reagii.
«Olivia,» ripeté il ragazzo, «guardami.»
Alzai contro voglia la testa, fino a incontrare il suo sguardo.
«Non ti serve necessariamente qualcuno per essere felice, né tanto meno per essere completa. Tu sei abbastanza.»
Nel parlare sembrò quasi che cercasse di sporgersi verso di me.
«Sei coraggiosa Olivia, la ragazza più coraggiosa e di buon cuore che io abbia mai conosciuto.»
Una risata secca mi uscì dalle labbra. «Coraggiosa?!»
Lui annuì con vigore, stringendo tra le mani la ringhiera di ferro. «Hai avuto il coraggio di mettere te stessa al primo posto in una relazione. Hai capito che, nonostante non ci fosse nessun problema apparente con Marco, se tu non riuscivi a star bene con te stessa, allora non potevi stare bene con lui.»
«Guarda dove mi ha portato il coraggio allora!», urlai. «Un tentativo fallito di suicidio sulle spalle, sopravvivo a pane e ad anti- depressivi e il mio analista mi chiama una volta al giorno per sincerarsi che non provi ad ammazzarmi un'altra volta.»
Se Federico era rimasto sconcertato da quelle rivelazioni non lo diede a vedere. «Eppure sei qui a parlarmene. E non ti ho ancora sentito nemmeno una volta dare la colpa ad Elisa e Marco.»
«L'ho fatto.»
«No», rispose lui con decisione. «Non l'hai fatto.»
Io non risposi, perché Federico aveva ragione. Io non avevo mai dato la colpa a loro, e anche adesso continuavo a non farlo. La colpa era stata mia e della mia stupida fragilità. Se fossi riuscita ad essere più forte forse non sarei mai arrivata fino all'orlo del baratro, e forse tutto sarebbe rimasto come prima.
«Non è colpa tua Olivia», riprese Federico. «E penso che Elisa e Marco non l'abbiano fatto per farti star male o per renderti ancora più triste.»
«Non sono triste,» mormorai, «solo... Anestetizzata.»
«Il che è ancora peggio», ribatté Federico. «Li hai ancora sentiti da quel giorno?»
Scossi la testa. «Hanno provato a contattarmi diverse volte, ma non ho mai risposto. È dalla festa di Natale del Petrarca che non vedo e non sento nessuno.»
Abbassai lo sguardo sul mio orologio da polso, segnava l'una meno dieci.
«Grazie», mormorai a Federico.
«Per cosa?»
«Per farmi dimenticare del mio appuntamento di mezzanotte e ventuno.»
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