Giorno Novantacinque
Il mattino dopo mi svegliai ancora completamente sotto le coperte e il cellulare accanto alla mia testa.
Mi misi a sedere, stropicciandomi gli occhi per scrollarmi il sonno di dosso, afferrai il cellulare e andai in cucina.
Mio padre era in salotto, intento a leggere il giornale. Mia madre invece stava facendo degli esercizi seguendo un programma di Pilates alla tv.
«Buongiorno», dissi.
Entrambi si voltarono verso di me con espressione quasi sorpresa.
«Buongiorno», risposero in coro, cosa che mi fece ridere. Quasi.
Mi preparai una tazza di cereali e poi mi sedetti al tavolo, mangiando in silenzio e con lo sguardo perso nel vuoto, cercando di ricordare la notte prima.
Federico mi aveva telefonato e aveva parlato per un bel po'. Io avevo perso la concezione del tempo e non mi ero nemmeno accorta dello scattare della mezzanotte...
«Hai dormito bene?»
Mio padre era entrato in cucina, si era versato il caffè rimasto nella caffettiera in una tazzina e ora mi stava osservando.
«Sì», risposi.
«Son contento», disse, tornando in salotto.
«Papà?», lo richiamai.
«Mmm?», rispose lui avvicinandosi di nuovo a me.
Lo guardai per qualche secondo. «Grazie.»
Non ebbi bisogno di spiegarmi oltre, lui capì. Mi lasciò una leggera carezza sulla testa e poi tornò sulla sua poltrona.
Afferrai il cellulare e iniziai a scorrere tra i contatti che avevo nella rubrica. Quando trovai quello che stavo cercando ci pigiai sopra e mi portai il telefono all'orecchio.
Non ebbe il tempo di fare due squilli che una voce maschile dall'altro capo della linea rispose.
«Olivia?», sembrava sorpreso di sentirmi.
«Dotto – Ehm – Maurizio, buongiorno. Disturbo?», chiesi al Dottor Cometisentioggi.
«No, assolutamente. Sono contento di sentirti.»
«Ho pensato di chiamarti... Per parlare un po'», gli confessai, nemmeno sicura io di sapere da dove provenisse tutta quella voglia di chiacchierare con lui.
«Certo», si capiva che quello che gli avevo detto doveva averlo preso contropiede. «Come ti senti oggi?»
Sorrisi a quella domanda, e per la prima volta mi ritrovai a rispondere sinceramente. «Non tanto bene.»
«Come mai?»
Ecco che mi stava chiedendo, in modo sottinteso, di elaborare. «Sono confusa», ammisi. «Pensavo di essere sicura di quello che volessi, e invece adesso non lo sono più.»
«Non sei più sicura di cosa?»
«Del mio futuro...», feci una pausa, per vedere se il Dottor Cometisentioggi mi avrebbe fatto una domanda, ma lui rimase zitto, in ascolto, così continuai. «Ieri sera ho vissuto la vita di qualcun altro... Ho fatto progetti per il futuro.»
«Che genere di progetti?»
«Mi son ripromessa di leggere un libro non ancora stato scritto.»
Mi sembrò quasi di poter vedere il sorriso del Dottore. «Chi scriverà il libro? Tu?»
«Oh no» scossi la testa con vigore. «Il mio vicino di palazzo lo scriverà, io sarò una delle lettrici.»
Ci pensai poi su e mi ritrovai a desiderare anche un'altra cosa. «Mi piacerebbe diventare la protagonista di un romanzo...», dissi infilandomi una cucchiaiata di cereali in bocca, «perché vorrebbe dire che ho una vita che vale la pena di essere raccontata.»
«Potresti chiederlo, al tuo vicino di casa.»
«Che cosa?»
«Di far parte del suo romanzo», rispose Dottor Cometisentioggi.
«Non... Non penso funzioni così», risposi.
Il silenzio calò tra di noi.
«E come funziona Olivia?»
«Non – Non lo so!», ribattei alzando un po' la voce. «Gli scrittori scrivono e basta... E più hanno la mente disordinata e l'animo pesante, più le loro parole mettono ordine negli altri, rendendoli leggeri e consapevoli di ciò che li circonda. Gli scrittori osservano la realtà, la manipolano e la restituiscono sotto forma di parole e poesia... Se chiedessi a Federico di parlare di me nel suo libro rovinerei tutto.»
«Non penso che rovineresti tutto, anzi, potresti renderti conto che esistono diversi punti di vista per ogni storia.»
«Forse», commentai, ma non aggiunsi altro. Non ero d'accordo con quello che il Dottor Cometisentioggi stava dicendo, ma non avevo più voglia di discutere oltre.
«C'è altro che vuoi dirmi?», mi chiese lui dopo attimi di silenzio.
«No... No, è tutto qui.»
«Ok, ci sentiamo di nuovo domani?»
«Sì, certo», risposi. «Buona giornata.»
«Ciao», mi disse, ma poi prima che potessi chiudere la chiamata, lui mi richiamò: «Ah, Olivia?»
«Sì?»
«Grazie per avermi telefonato.»
***
Ero seduta a gambe incrociate per terra, e stavo osservando Federico riprendere fiato dopo l'allenamento che aveva appena finito.
Io mi ero di nuovo occupata della musica e di controllare che non saltasse esercizi o che non barasse con il conteggio. Aveva provato una volta o due a convincermi che avessi sbagliato a contare, ma non era riuscito a fregarmi.
«Non ho mai visto i tuoi genitori», gli dissi ad un tratto.
«In questo periodo si vedono poco... Anche io quasi non li vedo.»
«Perché?», chiesi genuinamente curiosa.
«Mio padre è infermiere, e mia madre è pneumologa.»
«Oh.»
Avevo sentito qualcosa alla tv: a causa della pandemia in corso medici e infermieri facevano turni lunghissimi e super stancanti. Erano loro gli eroi di questi tempi incerti.
«Qualche volta dormono in ospedale, se tornano a casa sono comunque stanchi morti e non sono molto di compagnia», disse lui passandosi un asciugamano sul viso. «Sono orgoglioso di loro però.»
«Fai bene ad esserlo», dissi con un sorriso.
Rimanemmo entrambi in silenzio. Ognuno perso nei propri pensieri, io ad osservare il cielo e lui a fumarsi una sigaretta.
Mi alzai e mi diressi verso la mia camera. «Non te ne andare», dissi puntando un dito verso di lui.
«Anche volessi non andrei troppo lontano comunque», rispose Federico ridendo.
Andai a cambiarmi veloce, presi un tappetino di quelli da mettere a terra per fare esercizi e tornai fuori.
Il ragazzo mi guardò alzando un sopracciglio, ma non commentò.
Mi legai i capelli in una coda alta, e poi stesi il tappetino a terra.
«Sei pronto?», chiesi
«Devo essermi perso qualche passaggio,» iniziò lui, «dovrei essere pronto per cosa, esattamente?»
«Per far yoga.»
Lui scoppiò a ridere, poi però vedendo la mia faccia incredibilmente seria, la sua espressione mutò all'improvviso. «Non stavi scherzando.»
«Dai, preparati!», gli urlai facendo spazio attorno a me.
«Devo anche io mettermi un top e dei pantaloni come i tuoi?», chiese lui iniziando a spostare la panca e i pesi.
Abbassai lo sguardo sul completo rosa cipria regalatomi dai miei circa un anno prima. Era una vita che non lo mettevo: una volta non avevo problemi ad indossare cose così aderenti, le cose poi erano un po' cambiate... Soprattutto nell'ultimo periodo.
Non avevo idea del perché avessi deciso di indossarlo proprio quel giorno. Forse avrei fatto meglio a cambiarmi...
«Non fraintendermi,» disse Federico per riempire il mio silenzio, «a te sta maledettamente bene, ma non penso farebbe lo stesso effetto su di me.»
Sorrisi. «Scemo.»
Lui prese un tappetino blu e lo stese ai suoi piedi. «Son pronto, tu fai, io ti copio.»
Annuii, appoggiai il mio cellulare ad una sedia accanto a me, mi misi in piedi in modo da essere girata verso di lui e chiusi gli occhi.
«Devo chiudere gli occhi anche io?», mi chiese Federico.
«Sì e devi fare silenzio», lo rimproverai, aprendo un occhio e fissando il suo ghigno divertito.
«Ok, scusa», rispose lui abbassando le palpebre, ma senza perdere quel sorrisetto.
«Concentrati per qualche secondo sul tuo respiro», lo istruii. «Devi diventare cosciente di tutto ciò che ti circonda, anche senza vederlo.»
Feci un lungo respiro, inspirando aria fresca, ed espirando con la bocca.
«Mi piace lo yoga», disse Federico, dopo aver fatto quell'esercizio di respirazione per qualche secondo.
«Shh», lo rimproverai.
Aprii gli occhi e vidi che lui mi stava già guardando, con un sorriso dipinto sulle labbra. Sentii le guance andarmi a fuoco, ma cercai di non prestarci troppa attenzione.
Lentamente portai le braccia verso l'alto, alzando anche il mento verso il cielo, quasi come se dovessi stirarmi.
Il ragazzo davanti a me copiò ogni mio singolo movimento senza battere ciglio.
«Allungati bene», dissi, cercando con le mani di toccare il cielo, poi mantenendo la schiena dritta, lentamente mi piegai, portando le mani a terra e tenendo le gambe tese.
Sentii Federico grugnire. «Le mani devono proprio toccare giù?», chiese.
«Possibilmente», risi, mantenendo la posizione.
«Mi farai morire», si lamentò lui, poi cercò di portare le mani a toccare il tappetino sotto di sé.
Aspettai qualche secondo e poi allungai una delle due gambe dietro di me, mantenendo l'altra piegata. Cercai l'equilibrio, e quando lo trovai, portai entrambe le braccia di nuovo verso l'alto, feci combaciare i palmi delle mani e poi le abbassai fino a raggiungere il mio petto.
Federico mi osservò con attenzione, e poi cercò di copiare i miei movimenti. Andò tutto bene, finché non dovette portare di nuovo le braccia verso l'alto.
Il suo equilibrio doveva essere pari a zero, perché non appena staccò le mani da terra, iniziò ad ondeggiare pericolosamente, finché non cadde a terra da un lato, scoppiando a ridere.
«Ma come diavolo fai?», disse cercando di rimettersi in posizione.
«Devi concentrarti! Usa gli addominali!»
«Facile per te», borbottò lui continuando a tremare mentre portava le mani davanti al petto. «Spero che nessuno mi stia vedendo in questo momento...»
Non risposi. Aspettai con pazienza che lui si mettesse nella mia identica posizione e poi riportai le mani a terra.
Allungai anche l'altra gamba dietro di me, mettendomi in plank. Ondeggiai avanti e indietro un paio di volte e poi mi sbilanciai in avanti, avvicinando il viso al tappetino e piegando le braccia, in modo che la pancia toccasse terra.
Mantenendo il bacino a terra, allungai le braccia, inarcando la schiena e portando il viso verso l'alto.
«La mia schiena non funziona», si lamentò Federico.
Voltai la testa verso di lui: la scena che avevo davanti aveva un non so che di grottesco che mi fece scoppiare a ridere.
«Ridi ridi,» disse lui sotto sforzo, «non sono flessibile come te.»
«Le braccia devono essere tese», gli spiegai.
«Non vanno», si lamentò lui, portando verso l'alto il mento.
«Sembri una lucertola in preda ad una crisi epilettica», dissi ridendo.
«Ho solo bisogno di allenamento», disse lui continuando a guardare in alto. «Poi diventerò un maestro dello yoga.»
Sorrisi. «Ok, adesso porta il sedere verso l'alto», lo istruii. «Così.»
Gli feci vedere il movimento, senza mai piegare le braccia e le gambe, e formando un triangolo con il corpo.
Potevo sentire il fiato pesante di Federico anche da dove mi trovavo.
«Adesso dobbiamo avvicinare i piedi alle mani con un salto.»
«Dobbiamo fare cosa, scusa?», ripeté il ragazzo a testa in giù e rosso in viso.
«Così», e glielo mostrai.
«Ricordami di dubitare di qualsiasi tua futura proposta.»
«Se stessi zitto faresti metà dello sforzo e della fatica.»
«Sì, maestro», mi prese in giro lui, facendo poi un salto e rannicchiandosi su se stesso. «Ah, le mie ginocchia.»
«Adesso distendiamo di nuovo le gambe, e torniamo alla posizione iniziale.»
Una volta tornati tutti e due in piedi, uno davanti all'altra, iniziai a battere le mani. «Bravo, hai visto che sei ancora vivo?»
Lui si stiracchiò un po' e poi si sedette a terra. «Ma lo yoga non doveva essere qualcosa di rilassante?»
«Questo era rilassante», ribattei, «ed era super semplice.»
«Secondo me mi stai prendendo in giro...», mormorò lui.
Afferrai il cellulare che avevo lasciato appoggiato ad una sedia, cercai il numero di Federico e gli inviai il video che gli avevo fatto a sua insaputa.
Il suo cellulare vibrò, lui lo afferrò e quando vide che ero stata io a inviargli qualcosa, alzò lo sguardo verso di me. «Non mi dire che mi hai fatto un video.»
«E allora non te lo dico», risposi ridendo.
Lui cliccò sul display e dopo qualche secondo sentii "Devo chiudere gli occhi anche io?" riempire l'aria.
«Oh, ringrazia il vuoto che ci divide perché se fossi lì non la passeresti liscia», disse lui scuotendo la testa, ma continuando a guardare il video. «Dio, ma faccio davvero così pena?» commentò dopo un po'.
«Ti serve solo un po' di pratica.»
Lui bloccò il cellulare e lo mise in tasca. «Tu, invece, sei davvero brava», rispose.
«Grazie», feci un lieve inchino, «una volta andavo matta per lo yoga.»
«E adesso?»
«Adesso non più così tanto», ammisi, quasi con tristezza.
«Aspetto con ansia la prossima lezione», disse Federico, prendendo un sorso d'acqua dalla borraccia che aveva lasciato sul tavolo in precedenza. «Ormai è diventata una sfida personale: diventerò il guru dello yoga.»
Io risi, non riuscendo davvero ad immaginarmi un ragazzo con il fisico di Federico diventare il guru dello yoga, ma acconsentii, rendendomi conto di sentirmi bene, come mai mi ero sentita negli ultimi mesi.
«Va bene.»
***
Ciao Amici!
Spero che stiate bene e che non vi stiate annoiando troppo hahha
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi anticipo già che mancano 6 capitoli alla fine della storia! Quindi hold on tight che siamo quasi lì hahah
Un abbraccio enorme.
Raumalainen.
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