Epilogo
Dopo ogni fine c'è sempre un nuovo inizio...
«Ciao tesoro!», mi salutò la mamma, aprendo la porta di casa e stringendomi stretta in un abbraccio.
«Ciao ma'», le lasciai un bacio sulla guancia.
«Vieni, papà è già arrivato», disse sorridendo e poi precedendomi in cucina.
Io la seguii, e quando vidi mio padre seduto al tavolo, gli corsi incontro e gli buttai le braccia al collo.
«Ciao pa'!»
«Ciao tesoro», disse lui lasciandomi una carezza sulla testa. «Come è andato il viaggio?»
«Bene, molto bene.»
«Dai, mettiamoci a mangiare adesso, abbiamo tutta la sera per parlare», sentenziò mia madre battendo le mani felice di riavermi a casa.
«Agli ordini», dissi. Mi sedetti accanto a mio padre e iniziai poi a raccontare ai miei tutto ciò che avevo visto durante il mio viaggio in Oriente, tra una forchettata e l'altra.
«Son contenta che ti sia piaciuta l'Asia», disse mia madre, mettendo in tavola una crostata di mirtilli. «Ma sono ancora più felice che tu sia tornata.»
«Rimarrò qui ora!», risposi io con un sorriso. «Già due o tre centri mi hanno contattato per andare a lavorare da loro.»
«Sapevo che prendere il certificato per insegnare yoga in India avrebbe dato i suoi frutti» disse mio padre scompigliandomi i capelli. «Sono fiero di te!»
«Siamo fieri di te!», si aggiunse mia madre, poi come se si fosse ricordata di qualcosa, si diresse verso il salotto, lasciando me e il papà soli.
«Come stai pa'?»
«Bene! Non vedo l'ora che tu venga a vedere il mio nuovo appartamento!»
«Certo...», risposi, prendendo una fetta di crostata e mettendomela nel piatto. «Si vede il Pantheon da lì?»
Lui scoppiò a ridere e scosse la testa. «No... Ma a dirla tutta, non si vedeva nemmeno da qui. Ti ho sempre mentito.»
«COSA?», ribattei, scoppiando a ridere.
«Scusami... Ma era una bella storia, tu sembravi crederci così tanto e non mi sono mai sentito di dirti la verità!»
Continuammo a ridere, finché mia madre non tornò in cucina con un pacchetto in mano.
«Olivia? Questo è per te», disse.
«Cos'è?»
«Non lo so, l'hanno lasciato nella buca delle lettere circa due settimane fa.»
Guardai i miei genitori con fare sospettoso, ma le espressioni di entrambi mi fecero capire che davvero non avevano idea di chi potesse aver mandato quel pacchetto per me.
Iniziai ad aprire con estrema lentezza la carta da pacchi marrone, e la prima cosa che vidi fu un biglietto, con su scritto semplicemente tre parole.
Spero ti piaccia
Sotto c'era un libro, la copertina raffigurava una persona, seduta su una ringhiera di ferro, con i piedi a penzoloni nel vuoto.
«Le Cronache del Balcone», lessi.
Guardai poi verso il basso, dove c'era scritto più piccolo il nome dell'autore.
Federico F. Poleni
Il cuore iniziò a battermi all'impazzata.
Non sentivo Federico ormai da molto tempo. L'ultima volta che l'avevo visto era stato quando gli avevo detto che aveva conquistato un posto speciale nel mio cuore, come amore potenziale.
Quel giorno avevo anche deciso di chiudere una volta per tutte con il mio passato. Avevo discusso parecchio a cena con i miei, avevo persino chiamato Maurizio, il Dottor Cometisentioggi, mettendolo al corrente di tutto e chiedendogli consiglio.
Avevamo parlato a lungo e gli avevo spiegato che avevo raggiunto una decisione: per riuscire ad andare avanti dovevo andarmene da lì; da Roma; da casa mia; dai miei affetti stabili. Dovevo ricominciare, in un posto nuovo.
Lui all'inizio non era sembrato troppo convinto dell'idea.
Ma io ero diventata categorica: per diventare felice davvero non mi serviva un "giornale di bordo", mi serviva ricominciare a vivere.
Alla fine anche lui concordò che probabilmente un nuovo inizio era quello che ci voleva.
I miei, seppur a malincuore, decisero di chiamare così mia zia Ottavia e di chiederle se potessi andare a vivere con lei per un po'.
Il giorno seguente avevo preparato una valigia, solo con le cose essenziali, lasciando a casa tutto il superfluo, compreso il mio cellulare, e pochi giorni dopo ero riuscita a raggiungere zia Ottavia a Torino.
Solo due anni dopo ero tornata in pianta stabile a Roma, rigenerata, dopo un lungo lavoro di accettazione di me stessa e di sedute con un nuovo terapista.
A Roma avevo iniziato ad andare di nuovo da Maurizio, all'inizio con più frequenza, poi sempre più sporadicamente, finché non avevo interrotto tutto per il tempo che ero rimasta in Asia.
Giusto pochi giorni prima mi aveva contattata tramite email, chiedendomi se me la fossi sentita di parlare della mia esperienza davanti ad alcune classi di un liceo in centro una volta tornata.
Non gli avevo ancora risposto.
Passai una mano sulla copertina del libro, quasi accarezzandolo. Ero davvero contenta che Federico fosse riuscito a realizzare il suo sogno di pubblicare un libro... Ed ero ancora più contenta che si fosse ricordato di me e che avesse deciso di mandarmene una copia.
Lo sfogliai lentamente fino al primo capitolo e incominciai a leggere.
Ad ogni parola il mio cuore batteva più forte e veloce, riempiendosi di un'infinità di emozioni che faticai quasi a identificare: nostalgia, sorpresa, tristezza, meraviglia, felicità...
"Suonai l'ultimo accordo di Fix You, dei Coldplay e lasciai che il suono venisse trasportato via dal silenzio della notte. Sicuramente l'indomani i miei si sarebbero trovati la cassetta della posta piena di rimostranze per disturbo della quiete pubblica o qualcosa del genere. Sapevo che probabilmente suonare la chitarra sul balcone a quell'ora così tarda non era una gran mossa, ma avevo deciso di infischiarmene e farlo comunque.
Cosa volete che vi dica? Sono un ribelle a cui piace vivere sul filo del rasoio...
No, scherzo. Il fatto era che se non mi svagavo un po' sarei completamente impazzito durante la quarantena.
Presi una sigaretta dal pacchetto che avevo lasciato sul tavolo e poi mi guardai intorno in cerca dell'accendino: possibile che anche stando chiuso in casa riuscivo a perderlo?!
Mi alzai in piedi, guardando se per caso mi fosse caduto a terra, o sotto la panchetta sulla quale ero seduto. Nel farlo il mio sguardo cadde sul balcone speculare al mio e alla piccola figura seduta sulla ringhiera in ferro con i piedi che penzolavano nel vuoto.
Quella fu la prima volta che la vidi: sembrava quasi la versione femminile e più piccola di Atlante, il Titano che secondo la mitologia greca ha il peso del mondo letteralmente sulle proprie spalle.
La luna era completamente coperta dalle nuvole quella sera, ma la luce del mio balcone si rifletteva debole sul viso tirato e stanco della ragazza, in parte coperto dai lunghi capelli, che si muovevano leggermente per via della brezza notturna.
Stava guardando verso il basso, così mi sporsi un po' dalla ringhiera, cercando di capire che cosa stesse attirando così tanto la sua attenzione, ma non vidi altro che l'asfalto del cortiletto interno che divideva i nostri due palazzi.
Lei non si era ancora accorta di me, sembrava troppo concentrata sui metri che la dividevano dal suolo.
«Ciao», dissi, cercando di non spaventarla per non farle fare movimenti bruschi.
I suoi occhi si alzarono di scatto, fino ad incrociare i miei.
Aveva uno scintillio particolare nello sguardo, che non riuscii bene a decifrare, ma che mi fece capire una cosa: quella ragazza, un tempo, era sicuramente stata in grado di affondare persino l'oceano, mentre in quel momento sembrava piatta, distrutta.
Promisi a me stesso di provare ricordarle che prima di diventare schiuma era stata un'indomabile onda, e che sarebbe tornata ad esserlo.
«Eri tu che suonavi» ,mi disse.
Ironia della vita, quella notte avevo deciso di suonare Fix You e lei mi aveva sentito, ma non avevo ancora la minima idea che sarebbe stata lei, alla fine, ad aggiustare me."
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Aaaaaand that's a wrap!
Amici miei, così si conclude la storia di Olivia e Federico.
Avevo già avvertito che fosse una storia breve, ma spero vi sia piaciuta in ogni caso :)
Come sempre state safe and sound e ancdrà tutto bene!
Ci vedremo alla prossima storia :*
Raumalainen.
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