La fuga

Leila mi precede e con gentilezza apre la porta in vetro dell'ospedale. Traballante la raggiungo. Chino il capo, ringraziandola silenziosamente, ed esco. Il sole cocente di fine agosto mi investe, facendomi provare un piacevole calore. Chiudo gli occhi e compio un profondo respiro. I muscoli si distendono e l'emicrania sparisce. Mi beo dell'attimo, trattenendo a stento le lacrime. Una leggera brezza estiva mi scompiglia i capelli grassi. 

«Andiamo?» 

Attendo ancora un attimo e poi apro gli occhi. Volgo il capo verso Leila, che attende una mia risposta: «Non ho scelta, non è così?»

«È per il tuo bene.»

«No, non lo è.» Ribatto stizzita. «Sei la mia migliore amica.»

«E tu la mia perciò ti devi fidare.»

«Sei sparita.» Ammetto in un sussurro. «Ti credevo morta...»

«Lo so e mi dispiace.»

«Ti dispiace?!» Sbotto irritata. «Sei sparita all'improvviso e poi? Quando finalmente ci ricongiungiamo cosa fai? Mi consegni alla bestia, a colui che mi ha portato via la...la...come puoi solo pensare che starò al sicuro con lui?»

«Sono certa che ti proteggerà.»

Irrompo in una risata di scherno, replicando incredula: «Se non riesce a difendermi da se stesso, come può farlo dagli altri?!»

«Per il momento non posso darti altre spiegazioni, ma credimi...lui lo farà. Mantiene sempre la sua parola.»

«Va' al diavolo!»

Non le do il tempo di replicare. Le do le spalle e m'incammino furiosa verso la jeep, assecondando il dolore fisico che ancora mi accompagna da quella notte terribile. Apro la portiera e mi siedo sul sedile retrostante al posto guida per poi chiudere lo sportello con furia. Arthur, o meglio il futuro marito della mia migliore amica, ringhia indispettito. Sbuffo ed alzo le mani in alto in segno di scusa. Leila ci raggiunge poco dopo, prendendo posto accanto al suo uomo, che mette in moto l'auto. Leila si gira per parlarmi, ma volutamente rivolgo lo sguardo altrove. Lei capisce e china il capo. Arthur sospira e la prende per mano. Non presto loro attenzione, volgendo invece lo sguardo fuori dal finestrino. Il veicolo sfreccia rapido tra le strade del villaggio, mostrandomi innumerevoli case in legno e piccoli locali. Leila tenta un approccio per la seconda volta, ma, notando la mia irritazione, demorde. Poco dopo Arthur compie una deviazione, prendendo una strada in salita. Non trascorrono molti minuti prima di arrivare a destinazione. Il Warg parcheggia l'auto e mi avverte della fine della corsa. 

«Ray...io...»

Senza perder tempo scendo dall'auto, impedendole così di continuare la sua insulsa frase. Sono a dir poco furiosa. Come può consegnarmi al mio stupratore, ribattendo che sono al sicuro? I polpastrelli mi formicolano. Se solo avessi la forza, sarei ben capace di commettere un omicidio. Compio un profondo respiro, tentando di calmarmi. Forse ci sarei pure riuscita se non si fosse presentato Søren in questo preciso istante. Digrigno i denti ed emetto un basso ringhio d'ammonimento. Non si deve avvicinare né tanto meno mi deve toccare. Se osa sfiorarmi, giuro che non mi tratterrò. Lo ucciderò con le mie stesse mani. Purtroppo questo mio malsano desiderio è irrealizzabile in quanto lui è molto più forte di me, dunque intoccabile. 

«Ray...aspetta!» 

Leila mi implora, avvicinandosi a piccoli passi. Irritata ghermisco il borsone e mi avvio verso la casa in legno di Søren. Il proprietario mi attende con le braccia incrociate al petto ed uno sguardo tagliente. Mi odia, ma non per questo deve preoccuparsi poiché il sentimento è reciproco. All'improvviso qualcuno mi blocca debolmente per il polso. Mi volto di scatto e la colpisco, incapace di trattenermi. Non voglio ascoltare una parola di più. Leila mi guarda sconvolta, barcollando all'indietro, e si tocca la gote arrossata. Arthur, avendo assistito alla scena, corre in suo soccorso, ringhiandomi contro. Fa un passo nella mia direzione, ma Leila lo trattiene e, con sguardo supplichevole, gli intima di star fermo. Il Warg è indeciso sul da farsi, ma alla fine sbuffa e la asseconda.

«Ray.» Sussurra Leila timorosa. «Devi ascoltarmi.»

«No, non lo farò. Non ora.» Rispondo sgarbatamente, nonostante sia sconvolta dal mio gesto. Non avevo intenzione di schiaffeggiarla. «Non posso.»

«Ti voglio un bene dell'anima e sai che ti ho sempre considerata come una sorella...quella che non ho mai avuto.»

«Una sorella non ti concederebbe al suo stupratore!»

«Mi devi ascoltare!» M'implora, compiendo un passo incerto verso di me.

«No!» Urlo, facendole cenno di star ferma. «Non voglio farti male e mi dispiace per avertene fatto poco fa, ma non posso ascoltarti. Non ci riesco, non ora.»

Sconfitta china il capo, accettando affranta la mia decisione. Non mi è mai piaciuto discutere con lei, ma la sua scelta è insensata. 

«Domani ci vedremo?» Domanda con un fil di voce.

«Sì.» Replico stanca.

«Allora a domani.» 

Accenna un sorriso, attendendo una mia simil reazione, che non avviene. Le do le spalle e mi avvicino alla bestia più odiosa che abbia mai avuto la sfortuna di conoscere. Søren mi scruta con la fronte aggrottata e le labbra serrate. Indugia qualche istante per poi aprire la porta. Inevitabilmente le immagini raccapriccianti di una settimana fa riemergono, facendomi salire un conato di vomito e perdere l'equilibrio. Il Warg mi sorregge, impedendo così di farmi cadere, per poi spingermi in avanti. Compio passi indecisi mentre un senso di malessere s'impossessa di me. Lo stomaco si contorce in una morsa dolorosa e le lacrime minacciano d'uscire. Fortunatamente resisto, anche se non so come. Mi guardo intorno e consto che il salone non è molto grande in quanto solo una piccola libreria, una tv a schermo piatto, un divano marrone ed un tappeto persiano lo popolano.

«Seguimi.» Sentenzia Søren senza guardarmi negli occhi.

Faccio come dice, ritrovandomi in una piccola cucina composta da mobili in legno. Senza alcuna spiegazione prosegue, mostrandomi il bagno, il quale presenta il water, il lavandino, un mobiletto ed una vasca da bagno abbastanza capiente. Alla fine apre un'ultima porta, rivelandomi una camera da letto con un singolo letto a due piazze, due comodini in legno, un armadio dello stesso materiale dei comò ed uno specchio.

«Io dormirò qui.» Annuncia, indicando il comodo giaciglio.

«Ed io?» Chiedo innervosita.

«Sistemerò un'amaca in quell'angolo vuoto della stanza, poco più distante dai piedi del letto.»

«Potrei sistemarmi sul divano del salone.»

Il Warg mi si accosta minaccioso tanto da ritrovarlo a pochi centimetri dal volto. Si china sin quasi a far sfiorare i nostri nasi. Il battiti del mio cuore accelerano, probabilmente per la paura, mentre mi fissa accigliato. Reggo il suo sguardo e questo lo manda su tutte le furie.

«Questa è casa mia perciò comando io.» Ringhia irato. «E tu sei sotto la mia protezione.»

«Non voglio esser difesa da uno squilibrato.»

«Non ti conviene farmi perdere le staffe.»

«Mi hai già tolto tutto.» Sputo inacidita. «Cos'altro potresti farmi?!»

Mi guarda. Mi guarda solamente, senza proferire alcuna parola. Nella stanza è caduto un silenzio pesante, devastante. Sentimenti oscuri, cattivi, aleggiano nell'aria. Mi scruta un'ultima volta prima d'allontanarsi. Va via di casa e, per rimarcare la sua irritazione, sbatte con forza il portone dietro di sé. Ora sono sola. Resto immobile, inconsapevole di riuscire a muovere gli arti. Passano minuti interminabili fin quando la finestra della camera da letto attira la mia attenzione. Il sole è ancora alto in cielo, ma tra poche ore si sarà totalmente eclissato, concedendo il suo posto all'incantevole Luna. Come un fulmine a ciel sereno, l'idea di fuggire, fuggire per davvero, m'attraversa la mente. Dischiudo le labbra e sospiro, beandomi dell'impossibile illusione. Mi volto e corro verso la porta d'ingresso. La spalanco e scappo. Scappo via dall'Inferno, dall'orrore di quella notte. Poiché la casa di Søren è al confine dell'accampamento, non mi è difficile valicare la barriera. Appena la scavalco, un senso di contentezza lambisce sia le mie membra che il mio animo inquieto. Sorrido felice di esser riuscita finalmente a gettarmi alle spalle il peggio. Corro sino a non avere più fiato. Urlo per la gioia ed accelero per quanto ancora mi è possibile. Seguo il sentiero, quello che di solito prendevo per rifugiarmi nel verde, e proseguo a tutta velocità verso la MIA vera ed UNICA casa.

«Mamma! Papà!» Grido in preda all'euforia. «Sono tornata!»

Spalanco la porta principale della piccola casa, facendola sbattere contro la parete in legno. Chiudo gli occhi per il rumore fastidioso, ma, nonostante ciò, continuo a sorridere. Eppure questa legittima felicità dura solo un battito di ciglia. Quando riapro le palpebre, il mondo mi crolla addosso. Porto entrambe le mani al volto mentre un gemito di sofferenza abbandona le mie labbra tremanti. Gli occhi si velano di lacrime e le gambe cedono, facendomi collidere con il pavimento sporco di sangue. Guardo con orrore la scena che mi si presenta. Balbetto, incapace di accettare la realtà, per poi irrompere in un pianto disperato. 

«Mamma...papà...»

Ciao Dreamers...secondo voi cos'è successo? Perché Raissa si è turbata così tanto? Supposizioni...idee...

Comunque spero vivamente che la storia vi stia piacendo e, se così non fosse, commentate con qualche consiglio.

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Vi aspetto al prossimo capitolo🥰🥰

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