Il Vuoto
Dopo cinque anni
Raissa Pov's
Corro velocemente lungo le vie della città. Corro, corro a più non posso con un sorriso genuino stampato in volto. Ho superato l'esame del diploma ed ho avuto un bel 98/100. Nella foga del momento colpisco alcuni passati, chiedendo scusa e continuando a correre e ridere a più non posso. Arrivo dinanzi casa e noto che la porta è socchiusa. Mi fermo un istante per riprendere fiato. Sorrido divertita ed al settimo cielo per la bella notizia. Mentalmente preparo il rimprovero verso lo sconsiderato della famiglia che ha lasciato casa incustodita. Felice spalanco la porta, urlando a gran voce: «Mamma! Papà!»
A causa dell'eccessiva felicità chiudo il portone con un gesto violento, ma, non appena mi volto, il sorriso mi si spegne sulle labbra. In salone ci sono degli uomini vestiti con abiti eleganti, cappelli scuri e baffi bizzarramente curati. Uno di quei tipi mi punta contro la pistola. Mi fa cenno d'avvicinarmi mentre sento distintamente la voce bassa di mio padre ed i singhiozzi di mia madre. Appena entro in salone, noto l'orrenda situazione: mamma e papà sono seduti vicini sul divano mentre una decina di uomini in smoking sono a pochi passi loro con perfidi ghigni stampati in volto e pistole ben impugnate. Mamma piange contro il petto di mio padre, battendo i pugni su di esso e maledicendolo per non so cosa. Quando però entrambi s'accorgono di me, trasaliscono. Giuro di aver visto mille emozioni balenare nei loro volti, tutte tranne che amore.
«Chi è?» Domanda mamma con sguardo omicida, indicandomi.
«Le conviene smettere la farsa o ammazzeremo lei e la sua famiglia.» Dice il più anziano. «La ragazza vi ha appena chiamati mamma e papà. Dubito fortemente sia pazza.»
Lo sguardo di mia madre si tramuta in puro dolore e sofferenza mentre i suoi occhi s'inumidiscono di nuovo. Noto invece papà scrutarmi addolorato e con una consapevolezza disarmante tanto da togliermi il fiato. Ho capito. Ho capito perché questi uomini sono qui.
«Cosa dobbiamo fare?» Chiedo, distruggendo il finto silenzio.
Gli uomini mi scrutano divertiti ed un po' sconvolti, ma subito un sorriso maligno si dipinge sulle loro viscide labbra rugose. Il più anziano cammina verso di me e fa penzolare la pistola tra le sue mani, ghignando sul da farsi. Si ferma a pochi passi da me, ma subito mio padre lo implora di lasciarmi stare, dicendogli che sono solo una ragazzina. Sfortunatamente questo lo zittisce in maniera brutale, ordinando ad uno dei suoi uomini di colpirlo allo stomaco.
«Papà!» Urlo incredula.
Mi avvicino, ma vengo bloccata dal più anziano che mi scaraventa all'indietro.
«Sai bene che siete indebitati sino al collo, no?»
«Sì.»
«Bene!» Esclama alquanto divertito. «Allora sai anche che i debiti si saldano quanto prima, no?»
«Mio padre li sta pagando.»
«Vero, ma devi sapere che il governo necessita urgentemente di un'ingente quantità di denaro e l'unico modo è quello di farsi dare i soldi da coloro che non hanno pagato tutte le varie rate.» Sospira e scuote il capo, ghignando perfidamente. «L'intero debito dev'esser ripagato entro la fine del mese.»
«È impossibile!» Strillo indignata.
«Lo so, lo so.» Afferma per poi scoppiare in una risata sadica. «Tranquilla. Non siete l'unica famiglia che verte in questo stato pietoso.»
«Cosa dobbiamo fare?» Chiedo imperterrita.
«Raissa basta! Zitta!» Mi rimprovera mio padre, ma viene brutalmente zittito.
Volgo la mia attenzione al tipo dinanzi a me che mi scruta con estrema serietà.
«Non so se è per stupidità o vero coraggio, ma devo dire che la ragazza ha proprio un bel carattere.»
«Cosa dobbiamo fare.» Ripeto senza apparente esitazione.
«La famiglia non è al completo, giusto?» Domanda con perfidia.
«Lo è.» Rispondo acida.
«Dalle foto si nota che hai anche una sorellina o sbaglio?»
«Sbagli.»
«Ma davvero?»
«Sì. È mia cugina, l'unica cugina che ho o che reputo tale. La considero come una sorella minore perciò ho speso molto tempo con lei.»
«Non mi stai mentendo, vero?» Alita ad un passo dal mio volto.
«No.» Dico ferma, sfidandolo con lo sguardo.
Avverto la paura scorrermi nelle vene ed il cuore martellarmi in petto. So esattamente che sto giocando col fuoco, ma devo salvare mia sorella. Per fortuna Anna oggi è dai nonni quindi non dovrebbe tornare a casa tanto presto. Spero che non venga qui, non ora.
«D'accordo.» Sentenzia, allontanandosi e puntando la pistola verso i miei genitori. «Poiché non potete pagare il debito, per poterlo ripagare dovrete lavorare nei campi al di fuori delle mura. Al momento dovrete trascorrere ben trent'anni là fuori, ma se aggiungiamo anche l'incremento...diciamo che non tornerete più in città.»
«Non potete farlo!» Esclama incredula mia madre. «Quelle creature...quelle...ci uccideranno!»
«Basta non uscire di notte e rimanere chiusi in casa...oppure no? Ahahahah!»
Gli altri uomini scoppiano a ridere, seguendo a ruota il loro leader. All'improvviso il più anziano mi punta contro la pistola. Ingoio il groppo che mi si è creato in gola e lo fisso terrificata. Eppure non é il momento di cedere.
«Tu andrai con loro ed ogni anno parteciperai alla "raccolta" in quanto godi di una bellezza genuina.»
«No!» Urla mio padre.
Il tipo sogghigna vittorioso, si volta di scatto e...BANG!
Balzo a sedere sul letto con le lenzuola strette tra le mani tremanti ed il cuore che scalpita ad una velocità impressionante. Faccio fatica a respirare mentre le immagini di quel giorno continuano a susseguirsi nella mia mente. Tento di regolarizzare il battito cardiaco, portando una mano sul petto, ma nulla da fare. Inspiro ed espiro, ma il tutto mi sembra così stancante. Chiudo gli occhi e mi ristendo, tentando di rilassare il corpo ed il mio povero cuore. Dopo molti minuti riesco a riprendere pieno possesso delle mie facoltà, alzandomi pigra dal materasso. Una ciocca ribelle s'appiccia alla mia fronte imperlata di sudore a causa dell'incubo, o meglio del ricordo del giorno che fummo espulsi dalla città a causa del debito molto ingente. Mi avvio verso il bagno, sciacquando il volto con dell'acqua fredda nel secchio centrale ed il corpo con una spugna imbevuta di quella più calda dal recipiente più piccolo. Sospiro e mi beo del potere magico che l'acqua ha su di me, rilassando i muscoli. Pettino i lunghi capelli castani per poi legarli in un'alta coda di cavallo. Indosso una maglietta a bretelle color verde mimetico ed un paio di pantaloni da tuta marroni che mi arrivano sino alle caviglie. Esco dal bagno, scendo al piano inferiore e mi dirigo subito in cucina. Subito scorgo mamma dinanzi ai fornelli, intenta a prepararmi la colazione, e papà seduto a tavola con lo sguardo perso e la tazza fumante di caffè tra le dita ormai rugose e solcate dalla fatica.
«Buongiorno.»
Mamma si volta appena, regalandomi uno dei suoi stanchi sorrisi.
«Il latte è pronto.»
«Buondì, papà.»
Mi avvicino e gli schiocco un bacio sulla guancia, facendolo ridestare dal suo stato di trance.
«Buongiorno.»
Mi siedo e faccio colazione con latte e pane vecchio. Non ci crederete mai, ma per aver un pezzo di pane pagherei oro, perciò quando alcuni rari mercanti superano le mura per portarci le vivande, il pane lo compriamo sempre in abbondanza. Mangio la colazione in tutta fretta tanto da far ridere papà, in quanto sono persino riuscita a sporcarmi il naso. Alle 6:15 usciamo di casa e, dopo una decina di minuti di passeggiata, arriviamo finalmente in uno dei grandi campi. Saluto gli altri nostri "amici" sventurati e cominciamo subito a lavorare. Passo sia la mattinata che il pomeriggio a piantare nuovi tuberi ed a zappare la terra bagnata, poiché uno dei più anziani si è sentito male per la troppa fatica. Stanca come quasi ogni fine giornata lavorativa, mi getto a peso morto sotto un albero. Alzo con difficoltà un braccio e lo poggio sui miei occhi. Sospiro, beandomi del momento di tranquillità, mentre il sole d'agosto mi bacia la pelle abbronzata.
«Raissa?» Domanda una voce vicino a me.
Contrariata scosto il braccio dal volto, ritrovandomi a pochi passi una delle nuove bambine mandate in questo dannato posto. A guardarla bene non ha più di dieci anni. Indossa abiti comodi per il lavoro in campagna, ma di certo non adatti ad una bimba come della sua età. Dovrebbe ridere, giocare e scherzare in questo periodo della sua vita. Per sua sfortuna però è costretta a vivere qui, in questo posto maledetto.
«Sono io.»
Mi alzo con non poca fatica per poi sgranchirmi le ossa e guardarla di sottecchi.
«Avrei bisogno di un favore.»
«Dimmi tutto.»
«So che...so che...ma perché te lo sto chiedendo?» Borbotta tra sé e sé.
«Ehi.» La richiamo con voce dolce. «Sta' tranquilla. Qual è il problema?»
«Dovrei tornare a casa da sola perché i nonni sono andati via prima ed ho...ho paura.»
«Dove abiti?»
«Ad una ventina di minuti da questo campo.»
Subito volgo il capo verso il sole calante, tentando di calcolare il tempo che c'impiegherà per scomparire del tutto. Sospiro frustrata per poi guardare rassegnata la bimba. So per certo che non ce la farò mai a tornare a casa prima del calar del sole, ma se mi sbrigo e corro, forse starò al buio solo pochi minuti. Cosa potrà mai succedere?
«Andiamo.»
«Grazie! Grazie! Grazie!»
«L'unica cosa che ti chiedo è di accelerare il passo quanto più possibile.»
«Certo!»
Senza perder tempo c'incamminiamo verso casa sua, proseguendo ad un ritmo elevato e giungendo in poco più di un quarto d'ora. Arrivati dinanzi alla sua modesta abitazione in legno, identica alla mia, la saluto con un cenno del capo, ma prontamente la bimba m'attira a sé, abbracciandomi e ringraziandomi. Le sorrido commossa per poi voltarmi e correre verso casa. Dopo una decina di minuti alzo lo sguardo e noto che manca poco al buio totale in quanto il sole è quasi del tutto scomparso. Corro, corro a più non posso. Supero il campo e m'avvio finalmente verso casa. Gioisco, ma la felicità dura poco in quanto il buio assale l'intero accampamento. Corro, corro, ma per la paura le gambe mi cedono. Prendo fiato e con gli arti tremanti riesco a rimettermi in piedi. Sento il cuore in gola ed il respiro mozzarsi. La luna piena è ora apparsa in cielo ed illumina tenuamente il mio cammino. Mi faccio forza, rimettendomi in piedi quando all'improvviso odo terrificata un ringhio sommesso. Non mi volto, perché so cos'è. Corro disperata ma vengo ghermita per un braccio. L'essere mi costringe a voltarmi.
Il gelo delle mani della morte sono inconfondibili proprio come quelle della neve d'inverno. Chiudo gli occhi per paura di vedere il volto di quell'immonda creatura che non dovrebbe neanche esistere. Avverto il suo respiro, pungente e fetido, giungere alle mie narici. La bile mi sale in gola ma con fatica riesco a rigettarla giù. Mi stringe con più forza ed un lamento distinto fuoriesce dalle mie labbra tremanti mentre dalle mie palpebre ben serrate escono lacrime amare. Impaurita apro gli occhi ed il Vuoto è qui dinanzi a me, ad un passo dal mio volto. Il suo viso argenteo, i suoi occhi senza bulbi, quell'incisione orizzontale nera al posto della bocca, le braccia inumanamente allungate e le lunghe lame al posto delle dita mi fanno sbarrare gli occhi scioccata mentre il mio corpo riceve scosse potentissime in contrasto con il ghiaccio dell'essere che mi trattiene. Sento il cuore battere rapido in petto, i polmoni contrarsi in una forte morsa, le budella contorcersi per l'immonda visione e le labbra tremare febbrili. Avverto un suono simile ad ossa rotte e subito dopo la sua mandibola si dilata in maniera inumana, mostrando la spirale dalle caratteristiche simili a quelle di un buco nero. Riprendo coscienza del mio corpo, urlando a squarcia gola: «AIUTO! AIUTO!»
Serro con forza le labbra per non far uscire l'anima dal corpo, impedendogli così di cibarsi di me. L'altra "mano" della creatura ora mi artiglia il volto, solcando con le lame la mia pelle vellutata. Mi costringe ad aprire la bocca mentre quelle cavità prive di bulbi mi scrutano irati come non mai. Tremo, tremo come una foglia, ma non demordo. Alla fine però, a causa delle ferite sul mio volto, sono costretta a dischiudere le labbra mentre lacrime dolorose rotolano via sulle mie gote arrossate.
«Aiuto.» Sussurro appena.
Il tutto poi avviene nella frazione di pochi secondi: un gigantesco lupo dal manto nero si scaraventa sul Vuoto, facendolo capitombolare a terra, mentre cado sulla fredda terra sbattendo il capo. Chiudo gli occhi per il dolore ma non dischiudo le labbra per il terrore. Avverto ringhi e movimenti repentini d'aria intorno a me. Capisco che stanno lottando e so che devo fuggire, ma non ci riesco. Sono pietrificata e tengo ancora le palpebre ben serrate quando odo un ultimo ringhio, un ultimo ululato e poi il silenzio. Nessun suono. Nulla.
Ehilá Dreamers....allora, che ne pensate di questo capitolo? La storia si sta mettendo via via in moto e spero vivamente che vi stia prendendo...detto ciò...i Vuoti! Sì...avete capitolo bene. Loro sono attraccati quella notte con la nave e la protagonista è solo un'ennesima vittima, ma...chi è il lupo? O almeno cos'è esattamente il suo Salvatore?
Perché lei non fugge? Perché?
E nulla...noi ci vediamo al prossimo capitolo 😘😘😘😘
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