⚜FAERNEYS- Ricordi di ghiaccio
Il freddo del pavimento la risveglió bruscamente, accompagnato da una fitta intensa di dolore alla testa. Faerneys impiegó qualche istante per rendersi conto di dove si trovasse, e anche quando lo capí per lei fu terribile.
Aveva la caviglia destra incatenata al muro, una parete di pietra scura e rugosa, fitta di crepe e rientranze coriacee, punte aguzze e muschio ruvido.
Capí immediatamente di trovarsi in una caverna, certamente anche il freddo penetrante era un'indizio, così come il cinguettio degli uccelli le indicò che era giorno, probabilmente primo pomeriggio.
Faerneys tentò goffamente di sedersi e si accorse, quasi con orgoglio, che il tashkar nuziale era sporco e lacero, e parecchie pietre preziose che lo adornavano avevano lasciato vuoti nella stoffa. Del velo e dei taghysh nessuna traccia, così come dei vari gioielli che le erano stati donati.
Non ricordava quasi nulla di quello che le era accaduto, un enorme vuoto le occupava la mente, e un dolore lancinante alla testa la costrinse a chiudere di nuovo gli occhi.
Le tenebre le avvolsero di nuovo le membra, e dormí molto, almeno cinque ore, prima di tornare alla vita.
Stavolta, l'aria della caverna risultava decisamente gelida, spifferi dolorosi le raggiungevano l'epidermide scoperta, e la ragazza si raggomitoló ancora di più contro la parete, nel tentativo di ripararsi.
Le vennero in mente pensieri fumosi, ricordi lontani come anni: il suo viso, quasi sorridente, allo specchio, l'abito stretto, i complimenti delle Ejimani, l'avvertimento dell'arrivo del suo futuro marito.
Una mano stretta attorno al braccio, una stoffa imbevuta sul naso, un grido strozzato.
Poi, il buio.
Non era più al Palazzo del Loto, quello era certo, probabilmente non era più nemmeno ad Haara, sicuramente non si trovava in città.
Come avevano fatto a portarla via senza che nessuno si accorgesse di nulla? Dove l'avevano condotta? Perché non permetterle di sposarsi?
Per un istante, Faerneys immaginó che i misteriosi rapitori fossero ribelli del Nord, membri di un gruppo insurrezionale deciso a riportarla a casa. Ma aveva scartato immediatamente quell'idea, se così fosse stato avrebbe avuto senso avvertirla, rivelarle ciò che era stato fatto, non certo tenerla in una caverna oscura, affamata e incatenata.
Forse un mercante di schiavi?
Difficile, lei non era certo una ragazza che passava inosservata, con i suoi occhi azzurri e la pelle candida era evidentemente una straniera, e senza dubbio gli uomini del Khadir le davano la caccia, venderla sarebbe stato impossibile.
Un tentativo di riscatto sarebbe stato probabile, ed era l'unica spiegazione sensata che Faerneys era riuscita a darsi, in quell'ammasso di congetture e veli di finzione, ma in tal caso era necessario tenerla in buona salute, mentre ancora nessuno si era fatto vedere.
Iniziava ad avere fame, mentre il freddo diventata un serio problema, con l'avanzare della notte le temperature si erano notevolmente abbassate.
In compenso, era di nuovo totalmente lucida, gli effluvi del veleno erano stati spazzati via dalla sua mente e riusciva a ragionare senza problemi.
Si strappò un velo decorativo dal tashkar, gettandoselo sulle spalle nel tentativo di trovare un po' di calore, nonostante la stoffa fosse seta delicata, poco adatta a quell'uso.
I piedi iniziavano a tinteggiarsi di violetto, e Faerneys tentò in ogni modo di riscaldarli sotto le cosce, ma il risultato era stato talmente vano da farla arrendere.
Passavano i minuti e passavano le ore, la ragazza continuava a tremare dal freddo, lo stomaco vuoto le pulsava dolorosamente oltre la pancia, la gola secca e arida reclamava insistentemente dell'acqua.
Le parve di non aver mai sentito così tanto freddo nemmeno quando, a nove anni, era partita con la sua famiglia per il castello di Kardsjalia, nell'estremo settentrione del regno, e per errore era caduta dritta in un piccolo torrente, durante una pausa dal cammino. Jaerneys aveva dato l'allarme, e uno dei Cavalieri della Guardia l'aveva ripescata, piena di freddo e terrore, dall'acqua gelata.
Non ricordava molto dei secondi trascorsi in quell'inferno liquido, solamente che aveva creduto di morire, con il freddo che le aveva bloccato le membra e i polmoni, impedendole di respirare.
I giorni successivi erano stati i più caldi e dolci, infilata nel suo letto a Nordsjalia con la compagnia dei suoi adorati fratelli e del cagnolino con un orecchio solo, il piccolo Thaddis, fedele compagno d'infanzia.
Quell'animale bizzarro, scartato dalla cucciolata per quel suo difetto, era diventato in assoluto il suo preferito, e l'accompagnava dappertutto, in tutti i suoi giochi e perfino durante le lezioni con il saggio Forsht, in biblioteca.
Le tornarono in mente minuscoli dettagli della sua vita precedente, pensieri che non le erano mai venuti in mente da quando era sbarcata ad Haara, momenti di vita quotidiana molto meno eclatanti di certi episodi che ricordava, sensazioni chiare e vivide: la zuppa di carne di cervo bollente che scendeva lungo la gola, l'odore di lavanda delle lenzuola appena lavate, il retrogusto amaro della spremitura delle bacche rosse, il rumore della neve sotto gli stivali durante una corsa sfrenata, i muscoli guizzanti dei cavalli al galoppo, e l'aria calda delle loro froge. L'odore, il sapore e il rumore delle Terre dell'Eterno Inverno, la sua unica patria, le sue radici strappate e il goffo tentativo di interramento in una serra artificiale, fatta di sabbia e sangue, veli scuri e frustate, inchini e servigi. Tutto il dolore e la frustrazione che aveva provato si rinnovarono nel suo cuore, la pelle martoriata da anni di vessazioni e percosse, il suo destino di sposa-schiava, il giorno del matrimonio che pendeva sulla sua testa come la spada di Damocle, tutto le parve infinitamente più insopportabile di quanto avesse mai creduto, un fardello che aveva tentato invano di alleggerire, e che ora sentiva di nuovo in tutto il suo insormontabile peso.
Faerneys non aveva dimenticato le sue origini, non aveva dimenticato ciò che era e che sarebbe sempre stata, la sua natura incorruttibile non era stata violata e nessuno ne avrebbe mai posseduto le capacità, persino colui o coloro che ora la tenevano in prigionia, una nuova versione della stessa, identica storia.
Tutto era vano, tutto era inutile, e la sua disillusione non aveva mai raggiunto un tale traguardo.
Si vergognava per ogni singola volta in cui aveva accettato, in cui aveva abbassato la testa, in cui aveva anche solo rivolto la parola a chi la perseguitava, per ogni volta che aveva pregato un falso dio, una perfida divinità rossa che permetteva tutte le atrocità a cui aveva assistito.
Si odiava, e quasi voleva morire, vedeva sé stessa come una vittima sacrificale, un voto di immolazione al suo popolo. Aveva sacrificato molto di più che il suo cuore e il suo amore, aveva donato tutta la sua vita, tutti i suoi ricordi, tutto il suo passato.
Aveva sacrificato la sua anima per la salvezza di chi amava, era morta a undici anni sul ponte di comando della Fanciulla di Ghiaccio, durante la traversata, mentre vedeva la Baia dell'Azzurro sempre più lontana, sempre più lontana, e con essa tutto il Nord e ogni parvenza di esistenza.
Si sarebbe volentieri strappata i capelli, ma confidava in una morte più lenta, una gelida agonia nel ghiaccio, una morte onorevole per una principessa del Nord, per una donna temprata dal freddo e dalla tempesta.
Stanca, ma quasi felice, Faerneys chiuse gli occhi, e si abbandonò sulla parete della grotta.
Proprio in quel momento, la caverna si inondó improvvisamente di luce, talmente intensa da indurre Faerneys a nascondere il volto dietro le mani.
Un uomo alto e barbuto, dai lunghi capelli, le si avvicinò lentamente, brandedo una torcia.
La infiló in un supporto di metallo appeso al muro, e rinchiuse una porticina di legno alle sue spalle, quella da cui era entrato pochi secondi prima.
La luce della fiamma non era così vivida come era parso a Faerneys, che si abituó quasi subito a una piacevole penombra, e alle lunghe ombre guizzanti alle pareti.
L'uomo si sedette per terra, di fronte a lei, osservandola in silenzio, un paio di occhi nerissimi che parevano scrutarla nel profondo.
Era vestito in maniera molto diversa rispetto ai Kodjani che aveva conosciuto, tutti tuniche e farsetti di sete delicate.
Indossava una giubba di cuoio pesante, allacciata sul davanti da semplici bottoni d'osso anneriti, e un paio di calzoni scuri, probabilmente lana, infilati negli alti stivali da cavallerizzo. Il tutto era coperto da un lungo mantello impolverato, dall'orlo sporco di fango.
Sembrava appena rientrato da una passeggiata, o più probabilmente da una scorreria nei monti, era un'individuo che non avrebbe mai pensato di vedere in una delle calde piazze di Haara, ma in un cortile degli addestramenti di Nordsjalia, o in perlustrazione nella Foresta Oscura.
Certamente, non lì.
In silenzio, l'uomo si slacció il mantello, aprendo una spilla dorata a forma di stella, e glielo mise attorno alla schiena, avvicinandosi lentamente a lei.
Faerneys trattenne il fiato, mentre osservava le azioni che compiva, temendo qualsiasi gesto.
Il viso di lui, così vicino, le parve animato da una strana forza, un'energia vitale che non aveva mai avuto modo di ammirare in nessun'altro, una profonda convinzione in qualcosa, forse un'ideale, una guerra da combattere, un popolo da preservare.
Qualcosa di alto e di nobile, un sentimento che non si poteva trovare in un rozzo ladro, in un mascalzone senza pane sotto ai denti, in un avido mercante di anime, qualcosa di più simile all'orgoglio che all'aspirazione alla carriera.
Qualsiasi cosa fu, per lei divenne certezza di tranquillità, come un'assicurazione sulle reali intenzioni del suo rapitore che la resero calma, serena, quasi felice.
Il calore del mantello la rincuoró subito, e la ragazza si strinse forte nella calda imbottitura di lana, smettendo di tremare.
L'uomo si allontanò un poco da lei, ricadendo di nuovo sul pavimento roccioso della caverna.
《Avrai fame, presto ti verrà dato da mangiare, e anche qualcosa di più caldo da mettere》disse, con voce calma e profonda.
Faerneys annuì in silenzio, senza distogliere lo sguardo da quello dell'uomo.
Lui si limitò a rialzarsi di nuovo con fatica, quasi fosse tornato da un lungo viaggio spossante.
《Perché mi hai portato via dal Palazzo del Loto?》chiese Faerneys, riprendendosi dall'iniziale sorpresa.
L'uomo, in piedi, afferrò la maniglia della porticina dal quale era entrato, voltandosi a guardarla.
La ragazza restò in attesa, atterrita.
《Perché sarai utile a qualcosa di molto più grande che un matrimonio》
La giovane prigioniera avrebbe voluto domandare altro, ma l'uomo non le lasciò il tempo, e uscì dalla grotta, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Note dell'autrice
Ciao a tutti! Ho aggiornato piuttosto in fretta, ma ho diverso tempo a disposizione e l'ho dedicato tutto a questa storia. Spero possa piacervi anche questo capitolo, e come al solito vi invito a commentare con tutto ciò che volete!
Baci♡
Sophie
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