Le crepe di Hurrycane [Parte I]
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We want our leaders to save the day
But we don't get a say in what they trade away »
[The room where it happens - Hamilton: The Musical]
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Tre enormi vetrate si ergevano sulla parete di fondo della Sala del Consiglio. Tre Dei custodi che vegliavano sull'ambiente con immobili occhi di vetro.
Tasselli dai colori vivaci si incastravano tra loro in un mosaico di spigoli precisi. Erano forme irregolari e tra loro apparentemente incoerenti, frammenti affilati da cui, tuttavia, in un incanto silenzioso, affioravano i tratti netti degli Dei. Divinità figlie della Fine. Patroni dell'equilibrio. Portatori della pace promessa.
Abbracciavano la Sala da che il regno avesse memoria, certezze limpide a sgorgare da loro, zampillanti come cascate di luce, riversate sul grande tavolo centrale e riverberanti sulle pareti candide.
William Willcock, in testa la corona dell'isola fertile di Hurrycane, aveva amato quella stanza.
Per la lunga durata del suo regno, anni reali e fittizi, aveva ringraziato in ginocchio per la sicurezza di cui si sentiva ricoprire quando ne varcava l'ingresso, come se un incantesimo protettivo ne illuminasse la soglia e si adagiasse in una pioggia di scintille sulle sue spalle larghe ogni volta che vi entrava.
L'aveva amata con tutta la propria forza; adorata insieme al dono sacro del proprio titolo, all'eleganza delle ali del palazzo, alla felicità che gli rinvigoriva lo sguardo. E di quell'amore si era nutrito per decenni. Ai piedi degli Dei, sapeva, la determinazione come aria ad allargargli i polmoni, di essere capace di pronunciare le parole giuste. Protetto dalla famigliarità vibrante della loro energia, i più puntigliosi dubbi e i timori più graffianti si dissipavano come fumo nella sua mente avida di chiarezza. Al cospetto delle vetrate, la matassa incomprensibile della politica si sbrogliava del tutto, allineandosi infine come le delicate corde parallele di un'arpa. Facile, pulita come una melodia lontana. Una partita a scacchi contro se stesso, le infinite possibilità spalancate tutt'attorno mentre i pezzi di entrambi gli schieramenti si spostavano attenti tra le sue dita sicure.
Fiducia.
L'aveva riempito per tanto tempo, infettandolo come un morbo, droga di cui era stato vittima senza nemmeno saperlo. Adesso era costretto a pagare per quella convinzione ridicola e innocente di essere stato artefice del proprio destino; punito duramente per aver provato la mite e confortante certezza di essere stato capace di rompere le catene del fato, di aver manipolato la realtà secondo un disegno preciso. Null'altro una favola che si era raccontato da solo, lo sguardo annebbiato da una gioia artificiosa, troppo perfetta per esistere davvero.
Aveva tenuto nel palmo ogni cosa. Pensava di essere il padrone del tempo, di aver sradicato mondi, di averne fondati di nuovi sul sudore della sua fronte. Si era illuso di aver sbaragliato le carte sul tavolo del cosmo; ottenuto la vittoria definitiva per la conquista della propria vita.
Cecità.
Era stato cieco. Lo capiva solo adesso. Troppo tardi.
Non aveva visto i fili. Non era stato capace di scorgere la rete fittissima di filamenti invisibili con cui l'universo – divinità codarde – aveva giocato con lui fin dall'inizio. Burattino inerme, che si gode con fatua letizia un mondo sperimentato tra le sbarre, troppo sciocco per vederle, ammaliato da stupidi giochi luminosi.
Almeno finché il destino non lo aveva reclamato con forza, strattonando le funi fantasma. E la bugia era andata in pezzi, portandolo con sé.
William attraversò la soglia della Sala del Consiglio, il passo tremante di un vecchio, le spalle ricurve. Ogni respiro era un pezzo di ghiaccio crollato nel petto. Sembrava di inspirare fumo sempre più denso.
Troppo poco tempo, pensava con astio, ignorando le occhiate angosciate dei membri del Consiglio riuniti come sette statue pallide attorno alla tavolata centrale. Levò soltanto la testa verso le vetrate in fondo, e l'odio, misto a disperazione, gli si agitò instabile nelle viscere, facendogli stringere i denti.
Nei pomeriggi di luce, quei vetri sgargianti si accendevano come lastre scintillanti intessute di stelle. I raggi di sole traspiravano dalla loro immensità pulsante, fendendo l'aria intiepidita come le lunghe dita di una mano aggraziata e lasciando che fini vortici di polvere danzassero nella loro scia. Strie di bagliori incantati che, attraversando il ventre delle divinità, si tingevano di blu cobalto, per Pdor, di bianco argenteo, per Maisu, del rosso della fiamma, per Hiartu.
Troppo poco tempo da quando quella stessa luce infuocata aveva illuminato il sorriso di Ninive, volteggiando sul profilo delle sue guance bianche.
E il tradimento, mescolato alla colpa per non averla protetta, scottava dentro William come una ferita schiusa da una lama dentellata.
"Un giorno starà a te guidare il Consiglio" aveva detto William alla figlia maggiore, la prima volta che lei era entrata nella Sala, soltanto pochi anni addietro. Troppo pochi anni addietro.
Ricordava, dolorosamente nitida, la visione di Ninive che rideva, correndo a piedi nudi attorno al tavolo deserto, danzando sul confine tra il blu di Pdor e l'argento di Maisu, per poi tuffarsi nel tramonto ardente di Hiartu.
Il fulgore, scarlatto e avvampato come un frutto maturo, si era riflesso nei suoi grandi occhi scuri, incendiandole i ricci arruffati, giocando tra le pieghe del suo vestito di lino.
"C'è energia, qui" Ninive sorrideva, il sorriso bello come la luna mentre piroettava nei vortici di polvere "Non vedo l'ora di viverci".
Si era inchinata con leggiadria al cospetto degli Dei, ancora immersa nel fuoco di Hiartu, spumeggiante come il lapillo di un vulcano attivo; piccola Ninive destinata ad ogni forma possibile di gioia.
E, Dei, se William avesse potuto, avrebbe sacrificato il trono per poterla vedere sorridere ancora una volta. Per potersi crogiolare nella sua risata. Per provare ancora un'ultima volta quella calda certezza di futuro da cullare tra le braccia, dolce conforto dai riccioli morbidi, a rischiarare anche le notti più buie.
"Grazie per questa vita". William gliel'aveva sentito sussurrare con gentilezza, la voce come un soffio di brezza delicata, mentre era chinata ai piedi delle grandi vetrate.
Lo sguardo multiplo di Hiartu aveva ammiccato. Ma forse quella era stata solo suggestione.
Ora, fuori, oltre le figure spigolose degli Dei, il cielo era bianco e omogeneo come una lastra di pietra sterile. I colori delle vetrate sembravano annacquati, opacizzati dallo stesso grigio che William sentiva allungargli l'essenza dell'anima.
Una crepa frastagliata correva lungo la sagoma scarlatta sulla destra, ramificandosi e increspando in modo sinistro i sei occhi vuoti di Hiartu.
Il vetro si era incrinato durante la notte. William avrebbe potuto giurare di averlo sentito succedere; di aver avvertito con inquietante precisione il crepitio graduale di una divinità che si spezza, mentre lui serrava a sé il corpo senza vita di Ninive, non avendo nemmeno la forza di piangere, preghiere futili incastrate come singhiozzi nella gola strappata dalle grida.
Le certezze gli si erano sgretolate tra le dita, lasciandolo circondato da null'altro che cenere.
In un'unica notte senza stelle, con la spietatezza di un fulmine divino abbattuto sulle membra mortali di una ragazza innocente, tutto ciò che William conosceva si era infranto.
Per sempre.
– Che il Consiglio abbia luogo – il re parlò mentre ancora camminava, aggirando cauto la tavolata, dirigendosi alla sedia pregiata che gli spettava, con le spalle agli Dei. Quelle parole rimbombarono nel silenzio ingombrante e William artigliò con le unghie il velluto dello schienale, sedendosi con esasperata lentezza insieme al resto dei consiglieri – C'è molto di cui discutere.
– Siamo devastati dalla perdita.
La voce di Isilik era ruvida, come una spada affilata sulla roccia. Il Capo della Congrega della Necromanzia era un gith dai tratti affilati e gli appuntiti occhi crudeli. William sapeva che si sarebbe sempre schierato dalla parte della corona, troppo fedele per conservare ideali propri diversi da quelli della monarchia, ma non poteva fare a meno di temere l'aura nera che lo attorniava.
Il sovrano fece un cenno della testa nella sua direzione.
– Grazie, ma non sono venuto per ricevere le vostre condoglianze – gracchiò, osservando i presenti da dietro le dita incrociate sul tavolo – Ninive Willcock non è morta in seguito ad un tragico incidente, e ho idea che chiunque, in questo Consiglio, conosca la verità.
William osservò con pazienza un brivido di inquietudine saettare lungo il perimetro della tavolata, guidato da occhiate d'orrore tra i Capi Congrega e dai loro minimi fremiti a labbra socchiuse.
– Se mi è permesso, Maestà – intervenne Mezularia, Capo Congrega di Divinazione, raddrizzando il serpeggiante collo bianco adorno di ciondoli preziosi – la verità di cui parla implica in qualche modo l'intervento divino? – aveva un tono fermo, altezzoso come al solito, ma i suoi occhi aguzzi da aarakocra sfavillarono minacciosi mentre incrociava lo sguardo del sovrano.
William aggrottò la fronte.
– Sì – sbottò, più brusco di quanto intendesse – Ma credo fermamente che a questo Consiglio non serva la mia conferma per trarre una conclusione simile.
– Sire, con permesso – Jeffrey, di Illusione, si lasciò ricadere indietro sulla sua sedia, levando una sottile mano pallida da changeling verso il sovrano – trovo un'accusa del genere incoerente con le conoscenze in nostro possesso – inclinò curiosamente la testa da un lato, accennando un sorriso pericoloso sulla bocca priva di labbra – Non ci sono prove che possano annullare completamente l'eventualità di un terribile incidente.
– "Prove", Jeffrey? – squittì Neska, di Ammaliamento, assumendo un'espressione indignata, con i capelli ramati che parevano gonfiarsi e le orecchie da elfo rosse per la stizza – La principessa è stata palesemente uccisa da fenomeni divini. Questo Consiglio non ha tempo per le tue inutili speculazioni religiose mentre Ninive è stata assassinata!
Il sorriso di Jeffrey si distorse nell'accenno di un ringhio, la testa che scattava verso l'elfa dall'altra parte del tavolo.
– Un fenomeno atmosferico non è sufficiente a provare l'intervento di un Dio – sibilò in voce nasale – Questo Consiglio, Neska cara, non ha il minimo bisogno della tua noiosa apprensione, se serve soltanto a creare scompiglio.
– Gli dei vegliano su di noi da centinaia di anni – Mezularia si raddrizzò ulteriormente, sovrastando i presenti con i suoi occhi fiammeggianti – Mettere in dubbio la loro santità non aiuterà a giustificare l'incidente, benché tragico, della morte della principessa. Non c'è ragione di dubitare di coloro che ci proteggono dall'inizio dei tempi.
William levò repentinamente gli occhi al cielo, una smorfia a storcergli il volto.
Non si sarebbe mai abituato alle false memorie che l'intera popolazione di Hurrycane serbava dei precedenti secoli. L'intera isola non era in vita da nemmeno vent'anni: gli Dei protettori avevano generato per lui decine di popoli dal nulla, una storia intricata di guerre e alleanze basate sulla presunta dinastia Willcock. I ricordi di tutti i Capi Congrega non erano altro che un'illusione meticolosamente costruita da forze maggiori. Ciononostante, William aveva nel tempo avuto modo di sperimentare con meraviglia crescente la complessità innaturale di quelle vite fasulle. Amori perduti, famiglie ritrovate, interi alberi genealogici intricati che si smarrivano in un passato che non era mai esistito.
William aveva dovuto smettere di rifletterci sopra molto tempo prima. Se avesse continuato a guardare in modo strano chiunque parlasse dei propri genitori che mai avevano camminato sulla Terra, probabilmente quello strano sarebbe diventato lui.
– Non è stato un incidente – si sentì erompere il re, secco, mentre fulminava Mezularia e poi Jeffrey con una furiosa occhiata ammonitrice – Mia figlia è stata uccisa da un fulmine scagliato sulla torre più alta del palazzo, in una notte sgombra di tempesta – aggravò la smorfia, il tono che si induriva di sarcasmo – Devo ricordare ai presenti gli elementi cardine delle nostre divinità per rendervi partecipi dei miei sospetti?
– Hiartu è il patrono della tempesta – borbottò Isilik, la fronte aggrottata – Stai porgendo una minaccia direttamente ad un Dio.
Neska esplose in una risatina amara.
– Perdonami – ruppe con voce stridula, contorcendo le labbra in un broncio – ma stiamo parlando di un Dio che ha evidentemente assassinato l'erede al trono dell'intera isola! Non mi sembra difficile intuire la pericolosità di una tale aggressione da parte di una divinità.
– Il patrono Hiartu non avrebbe mai osato intaccare tanto vilmente l'integrità della corona – declamò Mezularia, indossando quelle parole come un'armatura, armandosi di risolutezza – Sono certa che i presenti converranno con me su quanto sia ridicola una tale affermazione. Si è trattato di un semplice incidente – aggiunse con un movimento fluido della bella testa candida.
– Un fulmine nel cielo deserto che colpisce in petto la principessa non mi sembra un incidente! – replicò Neska con acidità, sporgendosi oltre il bordo del tavolo, forse per tentare di sembrare più alta davanti all'evidente sproporzione con l'aarakocra – Gli Dei sono volubili, dannazione! Non possiamo fingere che i segni non ci siano; sarebbe da incompetenti nei confronti di un popolo che ha bisogno di verità – con un piccolo indice tozzo indicò seccamente alle spalle di William – La vetrata di questa stessa sala è un segno inconfutabile dell'influenza di Hiartu!
L'espressione di Mezularia si increspò d'indignazione, il collo che si ripiegava all'indietro.
– Il divino Hiartu vuole esprimere tutto il suo struggimento per questa tragedia.
– Oh, ma certo! – Neska roteò gli occhi verso il cielo – Il Dio che controlla i fulmini se ne lascia sfuggire uno proprio sulla principessa Ninive e poi chiede scusa frantumando una delle nostre icone su di lui – scoccò ai presenti un'occhiata esasperata, in cerca di supporto – Sembra proprio una storia credibile.
Nel breve silenzio che seguì quelle parole, si sentì tossicchiare timidamente e William lanciò uno sguardo distratto al neo capo della Congrega dell'Invocazione, Bruno, un esile kobold presente nel Consiglio da soltanto pochi mesi dopo la morte del suo predecessore. Le scaglie ambrate del giovane sembrarono avvampare ulteriormente.
– Io... se posso... – farfugliò, la voce come un soffio di brezza.
– No, non puoi – lo troncò Jeffrey, netto, rivolgendogli un gesto sprezzante delle lunghe dita bianche, e Bruno, avvampando, sprofondò nella sedia. Il changeling si voltò verso Neska – Cara, non trovo sia saggio da parte tua insultare tanto teatralmente i nostri Dei – un altro svolazzo arrogante della mano – La loro ira potrebbe rivolgersi a questo Consiglio.
Isilik grugnì, al fianco di William, e quest'ultimo si sentì ripercuotere nelle viscere il suo tono grave.
– Neska non sta porgendo accuse insensate – disse il gith, autoritario – E, soprattutto, non le sta rivolgendo all'intera trinità – gettò uno sguardo obliquo a Mezularia – È Hiartu ad essere incriminato per il presunto omicidio di Ninive. Non posso fingere che ciò che è avvenuto stanotte non sia terribilmente sospetto nei suoi confronti.
L'aarakocra emise un sibilo di sdegno.
– Il divino Hiartu non avrebbe mai compiuto un simile atto immondo.
– Potrebbe averlo fatto, se Ninive gliene avesse dato ragione – commentò Jeffrey, la testa molleggiante sulle spalle e sempre quel vago accenno di un ghigno irritante a stirargli la bocca.
William contrasse le dita intrecciate.
– Attento a quello che stai per dire, Jeffrey.
L'altro allargò il sorriso sornione.
– Maestà, come la cara Neska non ha mancato di farci notare nei suoi toni soavi, le nostre divinità sono volubili – ignorò con nonchalance l'occhiataccia infuocata con cui lo fulminò l'elfa e proseguì: – Non è da escludere che Ninive abbia potuto fare qualcosa di sgradevole nei riguardi di Hiartu che l'abbia spinto alla vendetta.
William soffocò la voglia di prenderlo a botte.
– È di mia figlia che stai parlando. L'intero Consiglio la conosceva – e fece passare in rassegna i membri con gli occhi anziani, minacce taciute ad agitarglisi sulle iridi insieme ai riflessi di luce smorta, per poi tornare a tentare di uccidere Jeffrey con lo sguardo – Era destinata a guidarvi ed era migliore della somma di noi – il volto della figlia gli balenò davanti per un istante e il re si impose con rabbia di non far tremare la voce – Pregava ogni notte e sognava il futuro con una dedizione a cui io non posso nemmeno ambire – nonostante l'impegno, quelle ultime parole fremettero sulle sue labbra.
– Ninive non aveva motivo di essere nel mirino di un Dio – gli venne in soccorso Isilik, sepolcrale, e William si sentì pungere da un'improvvisa gratitudine per quel gith ombroso, che aveva trascorso gli ultimi venticinque anni al fianco della principessa, assumendo per lei la figura di un mentore a cui appellarsi mentre il padre era perso tra doveri lontani. Spesso William dimenticava quanto stretto era stato il legame tra Ninive e quello stregone apparentemente composto solo di ghiaccio sterile.
– Esatto – balbettò Bruno, in un tentativo eroico di riconquistare il diritto di parola. Anche lui, ricordò tristemente il sovrano, aveva trascorso lunghi pomeriggi torridi a fare compagnia a Ninive, essendo il più giovane tra i Consiglieri e dotato di una sensibilità che aveva intenerito l'animo della principessa. William deglutì un pesante groppo mentre Bruno ritentava: – Ecco, lei...
– Silenzio, Bruno! Per l'amor degli Dei – Jeffrey alzò gli occhi al cielo, mozzandolo sul nascere mentre il ragazzo, con una smorfia abbattuta, ricadeva all'indietro sullo schienale del proprio seggio. Jeffrey si rivolse poi a William – Sire, con il dovuto rispetto, se Ninive era tanto pura come lei si ostina a descriverla, che cosa ci faceva nel cuore della notte sulla torre più alta del palazzo?
William fece per rispondere, nuova stizza ad artigliargli lo stomaco, ma fu preceduto dallo squittio di Neska:
– Ah! Ti stai arrampicando sugli specchi, Jeff! – si aggiustò con un gesto brusco il largo cappello blu a punta, inclinandolo minacciosamente in direzione del changeling – Non dimostrerai un bel niente accusando la principessa di muoversi liberamente per il proprio stesso palazzo in qualsiasi ora del giorno e della notte! – aggiunse, assumendo un sorrisino vittorioso.
– Ninive aveva venticinque anni – annuì cupo Isilik – Era perfettamente libera di muoversi per casa propria come desiderava. Questo non prova niente.
Jeffrey sbuffò freddamente, sporgendosi sul tavolo e appoggiando la tempia alle punte delle dita con fare annoiato.
– La vostra puntigliosità mi commuove – recitò ironico, il naso arricciato che aggravava il suono fastidiosamente nasale della sua voce – come la vostra fiducia nella nostra principessa tanto innocente, d'altronde. Ma, per quanto possiate convincervene, non è normale che una ragazza vaghi in quella maniera per il palazzo, soprattutto se da sola.
– Forse aveva voglia di vedere la Luna – si intromise trepidamente Bruno.
– Bruno, chiudi quella bocca, andiamo – brontolò Jeffrey, facendo sventolare aspramente la mano libera nella sua direzione – Mi fai pentire di non aver falsificato i documenti per la tua entrata nel Consiglio.
– Lascialo stare, Jeffrey. Sta soltanto sottolineando la vena romantica di Ninive – lo rimbrottò Isilik con severità, senza però ottenere null'altra reazione che non fosse una scialla scrollata di spalle – Era come una figlia per me: so quanto il suo animo fosse indomabile. Non c'è nulla contro di lei – concluse il gith scuotendo piano la testa.
Mezularia allungò il collo, turbata.
– E se non c'è niente contro la principessa, significa automaticamente che l'intera colpa della sua morte ricade sul divino Hiartu?
– Beh, non è che il divino Hiartu si sia comportato un granché bene stanotte – replicò acidamente Neska.
– Anche fosse colpevole, e non lo è – proseguì Mezularia orgogliosa, in un tintinnio raffinato delle sue collane preziose – non c'è nulla che questo Consiglio possa fare contro il divino Hiartu – annuì con aria saggia – Siamo suoi fedeli e mortali. Nessuno di noi ha il minimo potere su di lui, come è giusto che sia.
– Questo non è completamente corretto, Mezularia.
Alle parole di William, fu come se un nuovo fulmine fosse stato scagliato sulla terra da qualche divinità alterata. Il re distinse con chiarezza i muscoli dei presenti irrigidirsi, i loro occhi che lampeggiavano allarmati in un'unica luce, come un animale punto da un ago. Perfino Jeffrey abbandonò il suo sorrisetto in favore di una smorfia preoccupata, la testa che scivolava oltre la mano su cui era posata.
– Sire... – sussurrò Isilik in tono cauto, piegandosi verso di lui come si stesse approcciando ad una bomba pronta a esplodere, ma William alzò un palmo nella sua direzione e lo stregone si azzittì.
– Conosco l'ubicazione dei Guardiani – dichiarò il sovrano con voce ferma, nel silenzio – Loro hanno influenza su ogni antro del multiverso. Possono punire Hiartu per le sue colpe.
Per un orribile attimo, fu come se il tempo si fosse fermato.
– È blasfemia! – scattò poi Mezularia, un'espressione folle in volto, levandosi in piedi di botto con il mantello nero che ondeggiava a scoprire lembi delle grandi ali bianche – È un sacrilegio! William, non hai il diritto di...
– Sono il tuo re ed esigo essere trattato come tale – le parole di William sembrarono scottare sull'aarakotra come uno schiaffo. William la osservò torvo mentre lei si risedeva rigidamente, le piume arruffate sul capo. Il re abbassò le palpebre un istante e il suono del suo sospiro fu come una folata di vento brutale nella sala immobile – Stanotte – riprese poi con calma – la mia erede, mia figlia, è stata colpita da un fulmine e la sua vita è stata spezzata nel mezzo – riaprì gli occhi e scrutò la Capo Congrega di Divinazione con occhi duri – Questa sala è crepata del peccato del tuo Dio, Mezularia. È proprio la fede dietro cui tu tanto ti impunti a nasconderti che evidenzia la colpa di Hiartu.
Mormorii informi si sparsero come un contagio sul profilo della tavolata.
William avvertì su di sé simili a gocce di pioggia burrascosa le occhiate interdette e rabbiose dei Consiglieri; ma quello che davvero lo inquietò fu la consapevolezza della vetrata alle sue spalle, il crepitio che aveva sentito arrampicarglisi dalle scapole fino alla nuca mentre parlava, rimanendo aggrappato ai suoi capelli in un vago raschiare tra i suoi pensieri, come se gli Dei fossero in ascolto.
– Non dovrebbe esserci permesso di agire sull'ordine del mondo.
Quella voce emerse prepotente nel brusio indistinto, annullandolo all'istante.
Sette paia di occhi balzarono sul Capo Congrega della Congiurazione, che teneva i suoi, piccoli e neri, puntati in basso, sulle massicce e piumate braccia conserte. Gianpancrazio era un owling taciturno, dai modi burberi e la voce stridente e ariosa. Sentirlo parlare era un evento raro, tanto raro che una lingua di disagio sembrò srotolarsi viscida nel petto di William.
– Ma guarda un po' chi è ancora vivo! – esclamò Jeffrey un momento dopo, recuperando il suo abituale ghigno sbilenco.
– Taci, Jeff, fai un favore a tutti – brontolò Gianpancrazio dopo un breve sbuffo. Alzò gli occhi per la prima volta e li incastrò in quelli color nocciola di William, che sorresse stoicamente il suo sguardo – Sire, comprendo il vostro dolore, dico davvero: non c'è nulla che io non farei per proteggere la mia famiglia – fece una pausa, scrollando grave il capo – ma qualsiasi nostro intervento sull'ordine della realtà dell'isola potrebbe condurre a conseguenze ancora più disastrose di quello che lei immagina. Volevo bene a Ninive, ma non lasciate che la vostra sete di vendetta condanni l'armonia del regno.
Isilik, al fianco di William, raddrizzò la schiena in un fruscio e il re lo vide lisciarsi con austerità la lunga gonna di lustro tessuto viola.
– Gian, qualcuno deve pagare per la morte di Ninive – affermò il gith, la voce roca e cavernosa come una roccia scagliata tra le pareti di un baratro – La mia Ninive – aggiunse, un lampo di tristezza a dardeggiare nel gelo del suo sguardo nero – Le conseguenze saranno decisamente più tragiche se non diamo al popolo un colpevole per questa disgrazia.
– Concordo.
Una nuova voce limpida si eresse al fianco di quella sfregiante dello stregone e quei due suoni parvero completarsi.
Tissileus, Capo Congrega dell'Abiurazione, alla destra di William, alzò la testa in direzione del gith e annuì. I suoi ricci brizzolati fluttuarono attorno alla barba curata, i vivaci occhi azzurri scintillanti sotto il ciuffo arruffato. Era l'unico umano nel Consiglio, insieme a William; amico di Isilik fin dai tempi dell'accademia e mago di immenso talento.
A William non sfuggì il brillio sollevato che guizzò sulle iridi scure del gith quando l'amico prese la parola:
– Tengo anche a sottolineare l'evidente attacco alla nostra politica interna – disse l'uomo in tono serio – Stiamo per affrontare momenti complessi.
– Ah! – proruppe Jeffrey, facendo svolazzare le dita agili verso il mago – Ecco un altro cadavere parlante!
– Vi prego, qualcuno lo leghi da qualche parte – esalò Tissileus con rassegnazione, prima di girarsi verso il re – William, lo so che il dolore per Ninive è tanto intenso, al momento; tuttavia è da mettere in luce anche come Hiartu, più che la principessa stessa, abbia messo in pericolo la nostra stabilità politica. Estirpando l'erede al trono, ci ha condannati al caos – mentre lo diceva aggrottò le sopracciglia – Non conoscevo Ninive come altri dei presenti – guardò repentinamente Isilik – ma ho a cuore questo regno, la corona e il re che la onora: non posso lasciare che una divinità mini le basi arcaiche della nostra società. Ci ha lasciati senza futuro – la sua voce riecheggiò sicura sulle pareti di marmo.
Gianpancrazio soffiò.
– Il popolo non si merita tale devastazione, Tissileus – alitò sdegnato – Per piacere, tentate di capire che il popolo non ha bisogno di vendetta. L'unica persona sull'intero territorio di Hurrycane che si sta imponendo per cercare una giustizia inesistente è colui che si proclama nostro sovrano – e guardò arcigno William.
Fu il turno di quest'ultimo di alzare gli occhi al cielo.
– Sei uno dei nostri consiglieri più saggi, Gianpancrazio – iniziò, a denti stretti – ma penso tu stia sottovalutando le forze che sono in gioco. Hiartu potrebbe colpire di nuovo. Potrebbe uccidere ancora e sradicare tutto quello che è stato costruito – aggrovigliò duramente le dita davanti a sé, sentendole sgradevolmente sudate mentre strusciavano tra loro.
L'owling emise uno strano fischio.
– Per la miseria, la punizione di un Dio non vale la salvezza dell'intera isola! – sbottò, liberando le braccia dal petto e ponendo le mani possenti sulla superficie del tavolo, protratto in avanti – La rispetto, Maestà, ma la morte di Ninive non è sufficiente a giustificare l'abolizione delle leggi prime della natura del nostro mondo.
– Gian, per favore, non sai nemmeno quale sia il piano di William contro Hiartu – intervenne Isilik in tono ragionevole.
William sospirò profondamente.
– Imprigionarlo.
E, di nuovo, fu come un meteorite schiantatosi al centro della sala. Il tempo si cristallizzò.
– Maestà...? – Isilik gli gettò un'occhiata prudente, ma ancora una volta William lo zittì.
– Voglio imprigionarlo lontano da qui – disse, quasi urlando, e il fremito sulla sua schiena si intensificò, come se centinaia di ragni gli zampettassero sulla pelle nuda. Si morse il labbro per non rabbrividire – Imprigionarlo dove non gli sia più possibile fare del male a nessuno di noi. Dove non potrà più minare l'equilibrio di questa corte.
Quasi immediatamente Mezularia emise un verso scandalizzato, schizzando nuovamente in piedi.
– È una follia! – strillò, ogni traccia di eleganza abbandonata – Sire, dissento vibratamente! Il divino Hiartu non può essere cacciato in questa maniera senza le dovute prove! Distruggere in questo modo la trinità sarebbe...
– Sarebbe l'inizio di una nuova era di pace per tutti noi – concluse William, glaciale, senza muoversi di un millimetro – Per dimostrare agli Dei che non siamo le loro pedine.
– Ma lo siamo, sire! – replicò Mezularia, la voce vibrante di collera – Non c'è ragione di non crederlo! Ci hanno sempre protetto, ci hanno sempre sostenuti! Mai, nella nostra storia, qualcuno della trinità ha mai attentato in questo modo ai loro fedeli – fece ondeggiare sgraziatamente il capo, in uno sferragliare spiacevole delle collane – Il divino Hiartu non lo merita. William, non hai il diritto di denigrare il divino Hiartu! Non posso permettere che...
– Basta! – William sbatté con violenza le mani sul tavolo, alzandosi in piedi a sua volta per fronteggiare la divinatrice. Il silenzio si abbatté su di loro come una maledizione – Siediti, Mezularia – ordinò William dopo un istante, più calmo di quello che si sentisse davvero, il cuore impazzito nel petto – Hai parlato abbastanza. Il tuo Dio ha fatto abbastanza – aspettò che lei, tremando d'ira, ricrollasse sul seggio prima di imitarla, annodando nuovamente le dita difronte a sé – La storia deve essere riscritta.
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