CAPITOLO 6 - LA SPADA LEGGENDARIA

Gli occhi di Aren si aprirono d'improvviso, mentre il Guerriero riprese a respirare affannosamente. La luce lo accecò per qualche secondo, ma la vista gli tornò dopo qualche secondo. Provava dolore ovunque e anche respirare gli procurava acute fitte. Per un po' si guardò attorno, col cuore che gli rimbombava nelle orecchie ad altissima frequenza, confuso e agitato. Non riusciva a pensare a niente e il suo petto si alzava e abbassava freneticamente, mentre i polmoni cercavano di riempirsi d'aria. Ricordò di essersi gettato dalla parete dietro il getto della settima cascata e il ricordo gli fece affiorare un tremendo senso di sconfitta. "Non hai avuto scelta. Non c'era altro modo." continuava a ripetersi nella mente per cercare di convincersi di non aver fallito, di non aver sbagliato. Il cielo indaco sopra di lui, circondato dalla chioma di alti alberi, gli trasmise lentamente una sensazione di calma e intanto il Guerriero aveva già ripreso a respirare normalmente. La testa gli faceva male in un punto impreciso poco sopra la fronte e non riusciva a muovere il braccio sinistro. Non lo poteva vedere, ma sentiva che il piede destro non era in una posizione normale. Con uno sforzo immenso si toccò il punto sopra la fronte dove gli faceva male e vi trovò un taglio poco profondo, ma da cui usciva un po' di sangue che gli colava sulla parte destra del cranio. Fece una smorfia. Era ancora vivo, ma a quali condizioni? Si chiese come sarebbe potuto andare avanti in quel modo.

Sentì un rumore di passi alla sua destra e in pochi secondi Merran entrò nel suo campo visivo. Aveva la faccia tesa e l'aria provata.

‹‹Sei rinvenuto.›› constatò con sollievo. ‹‹Come ti senti?›› gli chiese poi. Sentendo la cura e l'affetto che Merran provava nei suoi confronti trasparire dalla sua voce, gli occhi di Aren si riempirono di lacrime.

‹‹Mi dispiace, Merran.›› si scusò tra i singhiozzi. ‹‹Non mi è venuto in mente nient'altro, avrei dovuto essere più attento...››

‹‹No, Aren, non c'era nient'altro che avresti potuto fare.›› lo interruppe lo Stregone scuotendo la testa. ‹‹Probabilmente ci sarebbe stato un modo per evitare tutto ciò, ma mentre ti osservavo scendere ho subito capito che la via più evidente era un vicolo cieco. Non ti preoccupare...››

‹‹Merran, scusami...›› continuò Aren, sollevato nel sentire le parole dello Stregone, ma non per questo meno dispiaciuto. ‹‹Hai sempre avuto ragione tu... sono solo un ragazzino immaturo...››

‹‹Rimanderemo a più tardi questa conversazione.›› intervenne Merran. ‹‹Adesso ho bisogno che tu stia calmo. L'impatto con l'acqua è stato forte e sei atterrato sul letto del fiume. Per fortuna l'acqua ha evitato il peggio, però le rocce sul fondo hanno comunque fatto dei danni. Devo intervenire, come ho fatto mentre eri incosciente.››

Detto ciò, si chinò ad esaminare il piede di Aren. Il giovane sentì le sue mani poggiarsi sulla caviglia e un improvviso sentore di caldo, un caldo benefico e ristoratore che gli toglieva il dolore e gli donava un po' di forza, mentre Merran pronunciava parole incomprensibili a mezza voce. Capì che egli lo stava curando con la magia. Il procedimento venne ripetuto anche sulle altre parti del corpo infortunate.

Dopo che ebbe finito, Merran, visibilmente provato, perse conoscenza e si accasciò al suolo di fianco ad Aren. Questi si sentì colmo di gratitudine: Merran aveva impiegato uno sforzo immenso pur di curarlo dalle ferite, pure dopo aver affrontato diverse magie complesse negli ultimi giorni. Aren, dal canto suo, si sentiva ora pieno di energia restaurata, ma esausto emotivamente. Conscio che al risveglio si sarebbe confrontato con il compagno, anche Aren si addormentò.

Quando Aren si risvegliò, il sole era già alto nel cielo, nonostante qualche nube bianca ne oscurasse ogni tanto la benefica luce. Il giovane venne accolto da Phebe e Phrede, che si strusciarono sui suoi polpacci. Intorno a loro regnava la pace: si sentivano solo le conversazioni dei volatili tra le frasche degli ultimi alberi e lo scorrere del Grande Fiume al suo fianco. Il Guerriero si accorse che mentre era incosciente Merran lo aveva portato lontano dall'ultima cascata, che si vedeva poco più indietro, il suo violento boato era solo un rumore in sottofondo tra gli altri. Alzandosi da terra e scuotendo la polvere dai vestiti, Aren vide chiaramente l'imbocco di Val Guerriera da fuori: oltre la cascata si intravedeva la valle scomparire oltre le montagne più basse, che si innalzavano ora dal nulla della pianura. Il terreno lì attorno non era ancora pianeggiante, ma collinare. Il livello del terreno si abbassava sempre più verso quello del mare accompagnando il Grande Fiume del Sud lungo la sua lunga tratta verso la fine del suo viaggio ad Occidente. Le montagne, tuttavia, sembravano comparire dal nulla come una barriera che si estendeva verso Sud all'infinito. Aren si sentiva ora completamente fuori da casa sua.

Un brontolio familiare al suo fianco portò l'attenzione del giovane a Merran, che si stava alzando in quel momento. Qualcosa nel ventre di Aren si strinse: era arrivato il momento del confronto. Intanto Merran notò che Aren era già in piedi.

‹‹Come stai?›› si chiesero i due quasi all'unisono. Merran scosse le spalle con noncuranza e lasciò parlare Aren.

‹‹Grazie per esserti preso cura di me, ora mi sento come rinato.›› cominciò egli. ‹‹Devo porti delle scuse: per tutto il viaggio non ho fatto altro che lamentarmi dei tuoi rimproveri severi. La verità è che non volevo sentirmi dire che non sono ancora del tutto scresciuto, che devo ancora lavorare su me stesso. Le mie reazioni sono state immature e indifendibili. Ti ho fatto perdere del tempo prezioso. Devo ancora imparare molto su come stare al mondo...›› a questo punto Aren stava solo sputando fuori da dentro di sé ciò che lo faceva stare male, ciò che aveva scoperto di odiare di se stesso. Aveva stretto i pugni lungo i fianchi e abbassato lo sguardo, serrando le palpebre per bloccare le lacrime di vergogna che gli rigavano le guance. Dell'orgoglioso Aren non era rimasta quasi neanche l'ombra.

Merran, però, lo interruppe posandogli una mano sulla spalla e lo guardò con fare consolatorio.

‹‹Già solo ciò che stai dicendo indica che sei una persona migliore di quanto tu creda, Aren. È vero, non ti sei comportato da adulto nei miei confronti, ma io non dovevo aspettarmi ciò da te. È normale per i giovani uomini, soprattutto per i Guerrieri, affrontare la crescita a muso duro, cercando a tutti i costi di convincere gli altri e se stessi di essere grandi. La verità è che ognuno deve prendere il suo tempo per capire chi sia e chi vuole essere, a quel punto si può dire di aver raggiunto la maturità, o di aver intrapreso il cammino giusto per arrivarci. Non ripudiare ciò che sei, Aren: orgoglio e caparbietà sono manifestazioni di un carattere forte e sicuro, l'importante è saperle dosare con quanto basta di umiltà. Tu mi hai dimostrato di aver lasciato alle spalle vecchi comportamenti che andavano migliorati e sei sulla giusta strada. Sono orgoglioso di te.›› gli disse.

Aren, colpito dal rispetto con il quale lo Stregone aveva pronunciato quelle parole, ritrovò amore per se stesso. Con immenso affetto e grande commozione, abbracciò il compagno di viaggio e lasciò libero sfogo alle sue lacrime, ora mutate in gioia e sollievo. Merran ricambiò la stretta con altrettanto trasporto. Finalmente tra loro si era trovata un'armonia.

Poco dopo i due si misero a predisporre l'occorrente per riprendere il viaggio. Non appena ebbero finito, sentirono avvicinarsi un rumore di zoccoli. Aren volse lo sguardo verso Oriente e vide Euter e il destriero di Merran che cavalcavano comparsi da chissà dove verso i loro padroni. Il giovane fu felicissimo di poter riprendere a viaggiare con il suo fedele destriero e l'affetto sembrava essere corrisposto, perché Euter stava cavalcando con energia rinnovata, pronto a scortare Aren nel loro viaggio. I due si corsero incontro e quando furono l'uno di fronte all'altro Aren cinse l'ansimante collo di Euter con affetto, affondando il volto nella folta criniera dello stallone. Staccatosi, riequipaggiò il cavallo dell'occorrente per cavalcare e per affrontare il viaggio, quindi montò sulla sua groppa con un agile balzo e, non appena Merran fu pronto a sua volta, partirono in direzione della città che più di tutte Aren aveva sperato di poter vedere: Freithen, la Città dell'Onore, capitale del Regno dei Guerrieri.

Nei giorni successivi Merran si comportò meno duramente del solito: non aveva abbandonato l'abitudine di correggere ciò che in Aren non andava secondo i suoi standard, però la quantità di quei momenti era notevolmente diminuita e inoltre sembrava più che gli stesse dando modo di migliorare con degli spunti. Aren, invece, cercava di essere più ubbidiente e disponibile di quanto non fosse mai stato. Era certo che non avrebbe mai dimenticato come si era sentito nel Thru' Heeda ed era determinato a diventare l'uomo adulto a cui aspirava. Aveva capito che per continuare senza discussioni dovevano comportarsi come in un vero duo e accettare l'uno i difetti del compagno. D'altronde nessuno è perfetto, ma in ogni persona ci sono tantissime buone qualità ed è questo che conta. Dopo aver affrontato la scalata delle Sette Cascate, anche se si sentiva un po' in imbarazzo per essere stato in pericolo di morte per ben due volte, Aren era molto orgoglioso e sentiva in sé una forza rinnovata, adesso affrontava il viaggio con più determinazione e positività, rispetto all'entusiasmo di inizio viaggio. "Ho oltrepassato Val Guerriera l'Impenetrabile!" continuava a ripetersi nella testa, quasi per convincersi che tutto ciò fosse veramente accaduto. Tutto, da quando erano ripartiti, aleggiava in una dimensione surreale nella quale il tempo e gli avvenimenti scorrevano davanti al Guerriero senza che lui potesse accorgersene. A ciò si aggiungeva la strana e completamente nuova sensazione di viaggiare in un ambiente quasi infinito. Confinata tra le montagne della Grande Catena del Sud e il Bosco sul Confine, Val Guerriera si mostrava perfettamente avvolta nei suoi limiti. Aren l'aveva esplorata in lungo e in largo, eppure c'erano ancora posti in essa che non aveva ancora visto e questo era il fascino della valle, per il Guerriero: essa appariva nella sua interezza, ma dentro è più grande di quanto si pensi. Ma per quanto Val Guerriera potesse sembrare infinita nelle sue sorprese, la Pianura Vaeda sembrava definire l'infinito stesso. Essa non era come nulla in cui Aren fosse mai stato: dovunque il giovane estendesse lo sguardo vedeva sempre la pianura fino all'orizzonte. I due viaggiatori si trovavano però in una posizione per la quale si riuscivano ancora a distinguere le montagne, guardando verso Est, e il Bosco sul Confine, sempre oscuro e misterioso a Nord, e questo contribuiva a far sentire Aren meno disperso nel nulla. Inoltre lungo il fiume ci si imbatteva spesso in boschi e vegetazione molto varia. Anche guardando a Sud ogni tanto si potevano scorgere piccoli agglomerati d'alberi e costruzioni rurali abitate da qualche Guerriero contadino. Per Aren era strano trovarsi in una piana tanto grande, ma almeno poteva constatare che dentro di essa ci fosse molta vita.

In men che non si dica, o almeno così lo percepì Aren, giunsero in vista di Freithen. In realtà era passata poco più di una settimana e i due avevano costeggiato il D'Uhn-teenek sul suo argine più a Nord. Non avevano incontrato ostacoli, fortunatamente. D'altro canto quello era un momento difficile per i Guerrieri, senza un regnante e un governo stabile. Ormai il loro era diventato un agglomerato di città-stato indipendenti fra loro, devote solo alla capitale e a un'ideale di regno e comunità così antiche da sembrare di un'altra epoca. Il Regno dei Guerrieri era tenuto in piedi solo dalla nostalgia e dalla speranza che le città e i paesi avevano verso l'antica Famiglia Reale. Tutti brancolavano in bilico su una fune nell'attesa del ritorno al vecchio splendore. Nulla sarebbe tornato come prima se qualcuno non fosse intervenuto in tempo: nessuno garantiva sicurezza in tutto il territorio, nessuno si occupava di portare ricchezze nel regno o di tutelare la stabilità, di comunicare con il resto di Algorab. Il Regno dei Guerrieri si era chiuso in se stesso, ognuno pensava a mantenere la propria famiglia e questo aveva causato una migrazione dalle città alle campagne. Molte fattorie e casolari erano fiorite nella pianura e le famiglie continuavano la loro vita indipendentemente. Antichi lavori di manifattura e artigianato si trovavano ora solo nei soli paesi, offerti ad un commercio tra compaesani. Nulla entrava nel regno e nulla ne usciva, compresi i soldi. Erano fioriti banditi, ladri e malavita, soprattutto nelle città dove la decadenza era maggiormente constatabile e viaggiare non era più così sicuro. Della vecchia fratellanza tra i Guerrieri era rimasta solo qualche briciola, mentre l'egoismo e l'opportunismo si erano impadroniti della gente più furba. Aren aveva ancora un'immagine più ottimista e idealizzata della capitale, forgiata dall'immaginazione più fanciullesca e dai racconti dei vecchi Guerrieri che l'avevano vista ai tempi d'oro. Merran però era consapevole dei rischi e per questo non aveva inizialmente previsto di passare lì, ma l'attraversata del Thru' Heeda aveva consumato più provviste di quanto aveva pensato, perciò era necessario rifornirsi prima di continuare il viaggio. Per non rovinare l'entusiasmo del giovane, però, decise di non raccontargli dei pericoli delle città, in modo da garantirgli la visita dei suoi sogni. Aren era trepidante e impaziente di mettere piede nella città più grande, imponente e fastosa del regno.

Città dell'Onore si presentò come una grande metropoli accerchiata da possenti mura impenetrabili e altissime. La città era situata in un punto strategico: poco prima, infatti, il grande fiume si diramava creando un'isola abbastanza grande sulla quale sorgeva Freithen, e si ricongiungeva più a Est. Sembrava quasi che la città e le sue mura sorgessero dalle acque del fiume. Oltre le mura, attorno alla città si sviluppava un imponente e articolato porto costruito su palafitte. Freithen era stata un'importante realtà commerciale per i Guerrieri prima della guerra contro Kor: dal mare provenivano, risalendo il corso del fiume, tutti i beni commerciali provenienti dal Popolo del Mare e, viceversa, i prodotti dei Guerrieri, che provenivano dalle montagne, seguivano il fiume fino al mare. La periferia della città si sviluppava attorno al fiume ed era costellata di fattorie e campi coltivati. Quando Aren e Merran giunsero in vista, si riuscivano già a scorgere da sopra le mura le guglie di un'enorme cattedrale e il tetto di un palazzo sontuoso. Per Aren fu un'emozione unica anche solo vederla da lontano, all'alba e illuminata dal sole che sorgeva. Dalla città proveniva il rumore caotico degli abitanti e un miscuglio di odori che Aren non aveva mai sentito prima. Fu per lui una sensazione surreale quella di trovarsi sotto le mura davanti alla porta occidentale. Ancora un passo e sarebbe stato dentro a tutto quello. Un solo passo che non aveva mai pensato di riuscire a fare, ma solo sognato. Il Guerriero chiuse gli occhi, inalando l'essenza della città mentre oltrepassò l'ingresso.

Era entrato. Non poteva crederci: era finalmente entrato nella Capitale! Il cuore gli batteva a mille mentre fece i suoi primi passi lungo la via a fianco di Merran, che guardava divertito il suo entusiasmo. Non appena Aren riprese lucidità, i due iniziarono a girare per la città dopo aver lasciato i loro destrieri alle cure della scuderia dedicata ai visitatori. Freithen all'interno era un intreccio di viuzze e stradone in lastricato, o in pietra, dove le case sorgevano tutte ammassate le une di fianco alle altre. Qua e là si scorgevano armerie e locande di ogni genere. Inizialmente, pareva tutto molto semplice e spartano in perfetto stile da Guerrieri, ma a mano a mano che ci si avvicinava al centro la città si riempiva di piazze enormi, fontane magnifiche, antichi palazzi, statue di tutti i generi. E poi l'atmosfera che si respirava... questo senso di essere in una città infinitamente più grande di Saithon, pieno di gente, odori, rumori. Tutto questo fece girare la testa ad Aren, che si sentì schiacciato da queste realtà tutte insieme. Merran lo portò a visitare diverse ville antichissime appartenute a famiglie aristocratiche di vario genere. Il Guerriero fu completamente sopraffatto da tanta sontuosità. A Saithon le uniche costruzioni che potevano ricordare un fasto del genere erano il palazzo del governo, dove il Governatore del paese si occupava delle questioni organizzative e politiche sotto le direttive del sovrano, e la semplice chiesa in pietra dedicata al culto della Divinità del Coraggio, ma essi avevano un aspetto talmente semplice da non essere neanche comparabili a ciò che Aren vide quel giorno. Il castello sorgeva su una piccola altura sopraelevata rispetto al resto della città. Esso era stato costruito dalla famiglia reale prima ancora che il primo re dei Guerrieri fosse incoronato, quindi prima che il Regno nacque. La loro residenza divenne successivamente il Palazzo Reale, che dall'altura del castello poteva essere visto nella sua interezza con i giardini e le immense ali che si intrecciavano tra loro. L'antico castello era enorme e pieno di sale. Aren lo visitò curioso di scoprire come fosse la residenza della famiglia prima del Regno, quando essa era solo signora di una città tra le altre. Esso aveva un fossato profondo tutt'intorno e mura alte anche il doppio. Molte sale avevano un'austera e rustica eleganza e lo guardavano fiere quando lui si permetteva di alzare lo sguardo per coglierne più dettagli possibili, consce di essere ancora in piedi dopo centinaia di anni.

Dopo fu il turno della cattedrale. Anch'essa, come tutto quello che riguardava Freithen, era enorme e maestosa. Lì dentro si venerava la più importante Divinità in cui i Guerrieri credevano: Fremter, la Divinità dell'Onore. L'architettura era semplicemente un parallelepipedo col tetto spiovente ricco di guglie. La facciata era ricoperta di fregi e bassorilievi rappresentanti le azioni che avevano compiuto le Divinità secondo le leggende e la mitologia dei Guerrieri, dalla creazione della guerra alla battaglia contro i demoni del mondo. All'interno un silenzio religioso li avvolse immediatamente. La cattedrale era molto alta e profonda, a tre navate. Sopra di loro il soffitto era decorato con un paesaggio celeste ricco di rovine antiche nel quale stanziavano le principali Divinità del culto. Nelle nicchie ai lati delle navate invece venivano conservate reliquie dalla grande importanza religiosa, come l'elmo che si credeva fosse appartenuto alla Divinità della furia in battaglia, o lo scettro della Divinità della strategia militare. In fondo alla navata centrale, l'altare dove un tempo si svolgevano sacrifici agli dei, ma che ora ospitava invece parte del raccolto di Freithen, si trovava proprio davanti alla statua della Divinità dell'Onore. Armato di spada e scudo, vestito con un'armatura dalle fattezze straordinarie che alzava il braccio che teneva la spada in segno di vittoria. Era Fremter. Ad Aren venne in mente Saimae, la Divinità del Coraggio, e il semplice luogo di culto in pietra che si trovava nel centro di Saithon. Anche lì si trovava l'antico altare, così come in tutti gli altri luoghi di venerazione delle Divinità nei centri abitati dei Guerrieri, e dietro ad esso svettava la statua di Saimae, rappresentata come una fiera donna vestita solo di una tunica e armata delle sue mani che guardava fiera un punto imprecisato, pronta ad affrontare l'ignoto, sulla sua testa una ghirlanda di ranuncoli. Il fascino che emanava lo spirito impavido di Saimae era completamente diverso dalla sensazione di maestosità che traspariva dalle splendide fattezze della Divinità dell'Onore. Aren appoggiò un ginocchio a terra e fece toccare la fronte con il ginocchio rimasto alzato, la mano sinistra sul cuore e la destra sulla spada, il modo che avevano i Guerrieri di pregare gli dei. Aren non chiese nulla a Fremter, volle solo omaggiare la sua grandezza. Merran aspettò rispettosamente che il Guerriero avesse finito e quando Aren fu pronto i due uscirono dall'edificio. Per un intero minuto la sensazione di essere stato in presenza della più importante Divinità del culto fece rimanere Aren in uno stato di trance che svanì quando si ricordò che era giunto il momento del motivo principale per cui era giunto a Freithen: impugnare Vanetar, la spada dei Re, nel palazzo reale.

Il palazzo si trovava vicino alla cattedrale, nella stessa enorme piazza che non sembrava quasi appartenere all'affollata e caotica Freithen che Aren aveva visto quel giorno. Un cancello molto alto costruito in ferro e decorato in oro delimitava un enorme giardino lussureggiante. L'edificio era altrettanto grande, costruito su più piani, con molte finestre decorate con stucchi e statue decorative. Aren oltrepassò i cancelli, dirigendosi verso l'ingresso aperto del palazzo, mentre Merran decise di andare in giro per la città a comprare provviste. I due si ripromisero di trovarsi in quella stessa piazza davanti alla cancellata. C'erano molti Guerrieri, uomini ma anche donne, provenienti da ogni angolo del regno giunti lì per lo stesso motivo. Vanetar era motivo di pellegrinaggio per tutti i Guerrieri, anche solo vedendola si poteva percepire la potenza e la fierezza che emanava un tempo la famiglia reale e quella spada incarnava la speranza che un giorno l'erede al trono sarebbe tornato. Esisteva persino una storia popolana dicente che il vero erede al trono si sarebbe presentato a Freithen, senza svelare la propria identità, e avrebbe preso in mano la spada; nell'istante in cui l'Erede l'avrebbe impugnata, un raggio di sole sarebbe entrato da una finestra e avrebbe illuminato suo il volto. Nel corso degli anni, però, tantissime persone avevano affermato di aver visto la leggenda avverarsi e ogni volta la città entrava in subbuglio per la falsa notizia del ritorno dell'erede quando in realtà il soggetto in questione era solo un povero malcapitato trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La questione si era sempre risolta constatando l'identità della famiglia del Guerriero e nessuno avrebbe nominato più l'accaduto. Questo ormai succedeva così spesso che molte persone avevano smesso di crederci, tra cui Aren stesso.

Oltrepassate le grandi porte in quercia finemente intagliate e decorate in ottone, il Guerriero accese direttamente alla sala del trono, dove in precedenza il re o la regina accoglievano gli ospiti. Essa era una sala enorme e luminosa: molto di essa, infatti, era decorato in bronzo e oro. Come la cattedrale, due file parallele di colonne delimitavano tre navate. Nelle due navate laterali una fila di guardie faceva da sentinella davanti ad un alternarsi di splendidi dipinti, arazzi, mosaici e vetrate. Molti di questi raffiguravano scene di battaglie leggendarie combattute in passato. Aren vide un uomo dalla folta chioma bionda affrontare un enorme mostro che teneva prigioniera una giovane donna, un altro che si batteva a duello con un cavaliere dall'armatura nera e molte altre scene, ma la rappresentazione più commovente era quella del Voto di Sangue pronunciato da Ferdo. Il re era raffigurato come un robusto uomo dalle larghe spalle, vestito di un'armatura di ferro lucente decorata con gemme di topazi e incisioni di bronzo; egli aveva i capelli di un castano che illuminato dal sole sembrava oro, una folta barba ben curata e un azzurro nobile sguardo, sormontato da fiere e folte sopracciglia. Sulla sua testa splendeva una corona a sei punte dall'aspetto semplice, ma regale, forgiata in bronzo e costellata di topazi dal colore giallo-arancione. Era la Corona dei Topazi, ancora sulla fronte del sovrano. La sua espressione era risoluta e determinata mentre con una magnifica spada in mano si feriva un braccio, pronto a sacrificarsi per i suoi sudditi. Vanetar, la stessa spada, giaceva ora su un cuscino di velluto alla fine della navata centrale di fronte al trono del sovrano, dove decine di Guerrieri aspettavano di poterla prendere in mano. Sopra le loro teste, dal centro del soffitto in marmo si calava un enorme lampadario con piccoli pendenti di topazi e diamanti gialli che gettavano riflessi dorati su tutta la sala. Aren notò inoltre che il pavimento marmoreo era costellato da piccoli mosaici coperti da un sottile strato di vetro e rappresentavano ognuno il volto di uno dei sovrani dei Guerrieri; avevano tutti e tutte la stessa fiera espressione, chi più caparbia, chi più generosa, tutti sembravano trasudare regalità. Il trono era intagliato in un legno molto scuro, in netto contrasto con la luminosità della sala, ma ciò sembrava catturare l'attenzione dell'ospite da tutte le distrazioni attorno a lui. Il trono era rivestito di morbidi cuscini gialli e si collegava al soffitto con delle piccole colonne in pietra, a simboleggiare che il sovrano sorregge il suo regno. Dietro al trono due porte conducevano al resto del palazzo.

Mentre Aren osservava la sala con occhi estasiati, giunse davanti al piedistallo che ospitava Vanetar, la spada di Ferdo. Aspettò qualche minuto mentre altri Guerrieri arrivati prima di lui impugnavano la reliquia con un'espressione di gioia e commozione sul volto e poco alla volta la folla di uomini e donne che si frapponeva tra lui e Vanetar diminuiva sempre di più. Il cuore di Aren fece i salti mortali mentre infine si liberò la vista sulla spada leggendaria, ed era proprio lì di fronte a lui! Essa sembrava brillare di luce propria. La lama era lucida come uno specchio, dalla forma sinuosa ma affilata e letale, e decorata con piccole incisioni, delle scritte che rappresentavano il giuramento dei sovrani dei Guerrieri: proteggere la patria e il popolo. Il manico dell'impugnatura era in bronzo e tutto attorno ad esso si attorcigliavano incisioni riempite d'oro fuso e intarsi di cuoio per renderla più morbida al contatto con la mano. La guardia si divideva in due strisce di oro leggermente ruotate verso la lama e nel loro punto di incontro era incastonato un piccolo topazio. Infine il pomolo era come il cuore dell'arma: un enorme topazio brillante di taglio romboidale era incastonato nell'estremità del manico. Aren notò la precisione con cui tutta l'impugnatura era stata forgiata in modo che bilanciasse perfettamente il peso della lama. Di fianco all'arma, il suo fodero non era meno splendente. Anch'esso era fatto in bronzo e in oro e seguiva perfettamente la forma elegante della lama. Quella spada era stata forgiata molti millenni prima per il primo sovrano dei Guerrieri, quando la loro società era appena stata fondata. Da allora Vanetar era stata tramandata in eredità all'ascendente al trono assieme alla Corona di Topazi, nella solenne cerimonia di incoronazione. Era stupenda, la migliore spada mai forgiata. La mano di Aren tremò mentre il giovane la allungava per poter prendere in mano l'arma. Non appena il suo palmo si chiuse sull'impugnatura sentì come se mano e manico si fossero fusi. La spada era come una parte del proprio corpo. Si adattava perfettamente alla sua mano e al suo stile di combattimento. Anche se Neyrost, la sua spada, era di splendida fattura e ormai Aren si sentiva legato ad essa, si percepiva sensibilmente che Vanetar era frutto di un lavoro molto meno rustico, molto più raffinato e studiato nei minimi dettagli. La soppesò: gli sembrava leggerissima. Poi provò un accenno di scherma. Vanetar sembrava prevedere le mosse del Guerriero, come se fosse collegata alla sua mente. Aren riconobbe che quella era un'arma creata per combattere per l'eternità, intrinseca alla scherma fin dalla sua nascita. Alzò la spada per guardarla meglio e il sole lo accecò per un paio di istanti. Il sole... lo stava illuminando.

In un istante la leggenda dell'Erede gli piombò nella mente. Il sole avrebbe illuminato il vero Erede del trono... il discendente di Ferdo. Ma non poteva essere lui! Era solo una coincidenza... Aren non aveva mai avuto niente a che fare con la famiglia reale. Il giovane si accorse di stare tremando incontrollabilmente. Si voltò verso la calca di gente dietro di lui per notare con sconforto che coloro che stavano presso di lui lo guardavano a bocca aperta. Lo avevano notato anche loro. Aren avrebbe voluto urlare loro che era tutto un equivoco, ma la gola era bloccata. Forse una parte di lui, quella parte di Aren che era ancora fanciulla, sperava di essere il futuro re dei Guerrieri e di poter avere così accesso ad un futuro di gloria come l'aveva sempre sognata. Un'altra parte, però, rifiutava l'idea, ancorandosi alle sue umili origini e alla prospettiva di una vita semplice con i valori quotidiani che gli aveva insegnato sua madre. Avrebbe voluto chiedere consiglio a Merran, ma il vecchio non era lì con lui. Non lo avrebbe tirato fuori da quel pasticcio stavolta, Aren doveva cavarsela con le sue capacità. Un uomo di fronte a lui fece per aprire bocca e Aren lo supplicò con lo sguardo di non pronunciare parola, di trattenersi, ma era tardi ormai.

‹‹Sei l'Erede...›› balbettò l'uomo a bassa voce con gli occhi che brillavano.

‹‹No... non è come sembra.›› mormorò Aren tremante, ma l'uomo non lo ascoltò. Era evidentemente talmente sorpreso di aver testimoniato all'accaduto che in un lampo tutto lo scetticismo riguardo alla leggenda, tenendo conto di tutte le volte che essa si era sbagliata, e tutta la capacità di ragionare con logica sembravano essersi volatilizzate. Di fronte alla prospettiva di ristabilire il Regno niente poteva fermare un popolo in disperata richiesta d'aiuto.

Anche attorno all'uomo atre persone sembravano avere gli stessi pensieri nella testa. Fu l'uomo stesso a prendere un gran respiro e urlare a pieni polmoni in modo che si sentisse in tutta la sala.

‹‹L'Erede è tornato! È lui l'Erede! Venite a guardare, è lui! Io l'ho visto!››

Seguendo il suo esempio, anche gli altri vicino ad Aren iniziarono ad esclamare al miracolo, attirando l'attenzione di chiunque si trovasse nei paraggi. Aren non poté fare nulla per evitarlo e fu presto accerchiato da tutti i presenti. Tutti volevano vederlo, toccarlo, parlargli. Aren si trovò completamente a disagio mentre tutti si accalcavano su di lui. Non aveva mai immaginato che sarebbe andata in quel modo.

Cercò di spostarsi verso l'uscita per fuggire dalla gente, doveva scappare. Sapeva che era da vigliacco, ma non gli veniva altro in mente. Non c'era modo di ragionare con quelle persone, non lo avrebbero ascoltato e lui non aveva modo di provare che non era l'erede. Tutti attorno ad Aren gli chiedevano chi fosse, quale fosse la sua storia, ma lui non riusciva a rispondere a tutte quelle domande. Sapeva solo che non sopportava più essere al centro dell'attenzione di tutti.

Fortunatamente riuscì a sgattaiolare oltre la folla. Una volta fuori dal Palazzo corse più velocemente che poteva, mentre la folla che lo inseguiva dietro. Non andò nel punto d'incontro stabilito con Merran, rischiando di attirare ancora più attenzione. Li sentiva ancora urlare apostrofandolo con "Re", "Mio sire" o "Vostra altezza".

Riuscì infine a seminarli nascondendosi in un vicolo laterale, il petto ansante, il cuore in gola, Vanetar ancora stretta nella sua mano.

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