CAPITOLO 4 - I PRIMI SCONTRI

A Ovest di Saithon si estendeva una piccola zona pianeggiante dove il terreno era particolarmente fertile grazie al passaggio del D'uhn-teenek e per questo costellato di piccoli casolari con i propri campi coltivati e pascoli, comunque di modeste dimensioni per via dello spazio notevolmente ridotto rispetto ad un territorio di pianura. Questi appartenevano alle famiglie di quei Guerrieri che dopo aver conquistato l'Onore si dedicavano ad una vita pacifica con la propria moglie. Tra queste famiglie c'era anche quella di Iorec, e, mentre Aren e Merran attraversavano la zona, il Guerriero riconobbe il piccolo casolare della famiglia dell'amico e si chiese ancora una volta se lo avrebbe rivisto o no, sperando che la prima possibilità si avverasse alla fine della sua Missione.

Dopo un paio d'ore di cavalcata, Saithon non era che un puntino all'orizzonte, quasi indistinguibile se si guardavano le montagne nella loro interezza, e ormai le ultime fattorie con i loro piccoli orti erano sparite già da un bel pezzo. Quel pomeriggio era particolarmente soleggiato, ma anche parecchio ventoso e i cavalli facevano fatica ad avanzare in modo spedito perché il vento andava nella direzione opposta alla loro. La criniera di Euter frustava il volto di Aren e il giovane faceva fatica a guardare davanti. Dovettero fermarsi tra i brontolii dello Stregone. Aren, in quel poco tempo in cui aveva viaggiato con Merran, aveva iniziato ad inquadrare il carattere dello Stregone. Egli era molto scorbutico, infatti Aren lo aveva sorpreso spesso a borbottare e brontolare delle incombenze che scombinavano i suoi piani, piani che venivano da lui pensati meticolosamente e organizzati con una precisione quasi maniacale. Spesso mancava di tatto, lanciando commenti secchi ad Aren, per esempio, sul suo modo di cavalcare non preoccupandosi dell'impatto che quei commenti avrebbero potuto avere. Nonostante ciò, Merran era anche generoso e saggio. Spesso dava consigli ad Aren su come cavalcare correttamente Euter, dato che il ragazzo non era specializzato nell'equitazione. Aren preferiva infatti la scherma alla battaglia sui cavalli, non volendo trascinare quelle splendide creature nell'arte della Guerra. Merran si era inoltre dimostrato grande esperto in campo di sopravvivenza, cosa che Aren non avrebbe mai immaginato che il vecchio sapesse, ma ogni volta che gli chiedeva dove aveva imparato quelle cose, lui rispondeva in modo evasivo, spesso dicendo che alla Città Torre di Andellert non si impara solo a fare incantesimi e così lasciava Aren a rimuginare su quale fosse il suo passato.

I due viaggiatori allestirono un piccolo rifugio vicino alla riva settentrionale del Grande Fiume, quella che guardava direttamente al Bosco sul Confine, lasciarono i cavalli ad abbeverarsi al fiume e Aren liberò Phebe e Phrede dalla loro sacca. Infine, il giovane e Merran mangiarono un po' di frutta per rifocillarsi. Guardando il Sole Aren dedusse che erano passate tre ore da mezzogiorno e, considerato che avrebbero cavalcato fino al tramonto, che avrebbero raggiunto il Thru' Heeda entro la fine delle ore di luce, ma con il vento che infuriava senza sosta non sapeva se avrebbero ripreso a viaggiare quel giorno, o almeno se sarebbero partiti entro poco tempo. Il tempo, però, non dava segni di migliorare: le fronde degli alberi fremevano le une contro le altre e i tronchi si piegavano leggermente alla furia dell'aria, non c'era un volatile che macchiasse il cielo. Aren decise allora di allenarsi con la spada mentre si aspettava di poter ripartire, così da impiegare il tempo nel suo modo preferito, intanto Merran stava consultando una mappa dettagliata del Thru' Heeda e un paio di volumi grandi come mattoni. Il Guerriero stava già per mettersi in posizione quando la voce dello Stregone lo fece trasalire.

‹‹Invece che allenarti inutilmente con quella spada, perché non prendi quel tuo bell'arco e lo usi per procurarci del cibo?›› commentò schiettamente senza neanche alzare lo sguardo dalle sue carte.

Le parole giunsero ad Aren come delle frecce, paralizzandolo lì com'era. Una sensazione di fastidio e nervosismo si impadronì della mente del giovane, che alzò gli occhi al cielo, inspirò profondamente per frenare l'impulso di non saltare addosso al collo dello Stregone e ripose riluttante Neyrost nel fodero.

‹‹Mettere il broncio non ti aiuterà a farmi cambiare idea e fissarmi con rabbia non ti farà riavere la spada in mano.›› aggiunse Merran, nuovamente senza distogliere lo sguardo dai suoi studi.

Stringendo violentemente i denti per frenare scatti d'ira, Aren prese arco, frecce e del materiale per fabbricare le trappole e si allontanò il più in fretta possibile per evitare di staccare di netto la testa dello Stregone dal suo collo. Il giovane rispettava l'autorità di Merran e pensava che fosse un uomo buono e saggio, ma quelle sue uscite suonavano come critiche alle orecchie di Aren, critiche che quest'ultimo mal sopportava. Davano a Merran un'aria di presunzione e superiorità che Aren riteneva irrispettose nei suoi confronti. In fondo, ormai Aren era diventato un adulto capace di badare a se stesso. Sapeva decidere per sé cosa fosse meglio fare o non fare. Accettava consigli, ma non ordini, non aveva bisogno di ricevere ordini da nessuno, ormai. Voleva che Merran la smettesse di trattarlo come se fosse un peso, come se fosse sbagliato, come se fosse un ragazzino immaturo che doveva ancora crescere. Aren non si sentiva così, sentiva di essere di più... sperava di essere di più che un ragazzino immaturo. Credeva di meritare un trattamento diverso, se non altro più rispettoso.

Questo pensava Aren mentre entrava con grandi e impetuose falcate nel Bosco sul Confine, dove era sicuro che avrebbe trovato qualche preda e un po' di pace.

Fu quasi un sollievo: lì dentro il vento soffiava meno violentemente e non aveva bisogno di strizzare gli occhi per proteggerli dalla sua furia. Il Bosco sul Confine era diverso dal boschetto dietro la sua casa: mentre l'ultimo filtrava i raggi del sole attraverso le fronde degli alberi, tingendosi quindi di un verde chiaro e luminoso, il Bosco sul Confine era talmente fitto che il sole riusciva a malapena a illuminarlo, e per questo il bosco prendeva una colorazione verde scuro. Ma Aren era abituato ad avventurarsi nel suo interno, perciò era sicuro che non avrebbe avuto alcun problema nell'orientarsi in quel labirinto naturale. Pochi rumori si sentivano sotto le fitte fronde di quegli alberi alti e slanciati. Gli uccelli osavano far sentire il loro cinguettio solo per comunicare tra di loro, come se non volessero disturbare l'entità del bosco con i loro allegri canti. Gli animali non emettevano il minimo rumore e questo dava l'illusione che il bosco fosse completamente disabitato. Mentre Aren si addentrava cautamente e con vigilanza nei meandri di quel luogo, avvertiva una sorta di presenza opprimente che gravava da sopra le fronde degli alberi e quel silenzio reverenziale gli dava l'impressione che una miriade di occhi lo stesse osservando. Il Guerriero seguì il corso di un torrentello che si sarebbe unito alle acque del Grande Fiume non appena fuori dal Bosco. L'aria nel Bosco era pesante e afosa, nessuna brezza filtrava oltre il tetto di foglie e per questo Aren sperava che qualche animale si fosse avventurato fin lì per rinfrescarsi e abbeverarsi.

Ad un certo punto, non troppo lontano dai confini della boscaglia, Aren si ritrovò in un punto dove il torrente formava una pozza: l'acqua, bloccata da una barriera di sassi che lasciava solo uno stretto pertugio al suo passaggio, si raccoglieva adagiandosi sul letto del ruscello, placando il suo irrequieto scorrere; ottima per un animale assetato. Il Guerriero si appostò dietro ad un masso muschioso non troppo distante. Mentre aspettava, cercò di far entrare un po' di calma nella sua testa. Era, infatti, ancora arrabbiato con Merran per come l'aveva trattato. L'irritazione gli annebbiava la mente e non riusciva a concentrarsi perché per ogni azione che compiva sentiva dentro di sé la voce dello Stregone che lo canzonava e disprezzava. Il Guerriero si premette le tempie cercando di frenare quel doloroso veleno.

Dopo un po' Aren sentì un rumore di zoccoli e un bramito avvicinarsi. Il giovane si sporse leggermente dal masso e da dietro un albero vide spuntare un possente cervo maschio che si fermò a bere dalla pozza. Aren non perse tempo: mentre cercava di togliersi dalla testa la frustrazione, incoccò fulmineo una freccia e prese mira. Una volta pronto, inspirò a fondo e lasciò andare la presa. La freccia saettò veloce e silenziosa e si conficcò nel terreno ad appena un metro dal cervo: un pessimo tiro. Il cervo, spaventato, scappò via veloce com'era apparso. Imprecando Aren recuperò la freccia. Se non fosse stato troppo arrabbiato nei confronti di Merran avrebbe sicuramente fatto centro. Questo non fece che aumentare ancora di più il nervosismo del ragazzo, che frustrato lanciò un urlo rabbioso e conficcò Neyrost nel tronco di un albero. Si mise le mani nei capelli e si accasciò con la schiena appoggiata ad un albero, respirando affannosamente. Non ne poteva più. Aveva passato solo poche ore in compagnia dello Stregone, ma il suo caratteraccio non faceva che innervosire Aren. Il giovane era abituato agli ordini e a sottostare alle autorità poiché l'allenamento previsto per i Guerrieri insegnava la disciplina con severità e tirava fuori dai ragazzini il meglio di loro anche se ciò comportava sfiancarli quotidianamente. Tuttavia, sentirsi continuamente criticato aveva ferito l'orgoglio di Aren. Egli respirò profondamente, cercando di regolare il respiro e di calmarsi. Lentamente si alzò in piedi, si scusò con la natura per aver ferito un suo albero e, con un po' di fatica, estrasse Neyrost dalla corteccia dell'albero. Decise di fare un altro tentativo e dopo sarebbe tornato all'accampamento, poiché tra non molto si sarebbe avvicinata l'ora del crepuscolo. Prima, però, piazzò qualche trappola nei dintorni, quindi si appostò nuovamente dietro al masso. Poco dopo apparve un cinghiale. Aren ripeté le stesse operazioni di poco prima, ma prima di scoccare la freccia si svuotò la mente da ogni cosa, così come faceva mentre si allenava con la spada, e questa volta colpì la preda sulla gola. Raggiunse subito il cinghiale agonizzante e gli tolse la vita per risparmiargli altri dolori, quindi prese a scuoiarlo, anche se non gli era mai piaciuto farlo, e a tagliarli pezzi di carne per poi metterli in una sacca. Quando ebbe finito ringraziò l'animale per avergli fornito del cibo e controllò le trappole. Era stato fortunato: aveva catturato una lepre e una tortora. Il dispiacere per avere ucciso delle povere creature venne coperto da orgoglio per il lavoro svolto. Tornò all'accampamento con il petto gonfio.

Intanto era cessato il vento e mancavano due ore e mezza al tramonto. Merran alzò appena il capo quando Aren si avvicinò all'accampamento ed emise un borbottio di approvazione.

‹‹Bravo. Adesso puoi pure allenarti con la spada.›› gli disse mentre intingeva una penna di cigno nero in una boccetta di calamaio. Aren stentava a crederci. In fondo, era andato a caccia solo perché Merran gli aveva detto di farlo al posto di tirare di spada. Aveva pensato che il vecchio reputasse inutile un ulteriore allenamento, eppure ora gli dava il permesso di farlo, come se lo avesse meritato. Aren si trattenne dal rispondergli male e dal saltargli addosso per fargli del male fisico.

‹‹Mi è passata la voglia.›› rispose con scherno. ‹‹Preferisco andare a pescare un po'.›› ed era vero. Dopo quell'ultima batosta non se la sentiva più di tirare un po' di scherma. Merran lo aveva proprio spiazzato, come se gli avesse risucchiato via tutta la vitalità e l'energia. In quel momento gli serviva un'attività rilassante, più rilassante della sensazione dei muscoli in tensione e della percezione dell'armonia nei movimenti calibrati e potenti insieme. Gli serviva un'attività che lo calmasse e lo concentrasse senza un eccessivo sforzo, come la pesca. Inoltre, l'orgoglio del giovane gli impediva di fare come aveva detto Merran.

Così prese un amo rudimentale e un po' di esche che si era portato nella sacca degli attrezzi e si diresse verso il D'Uhn teenek, i cuccioli Phebe e Phrede al seguito. Aren non era per niente bravo a pescare, ma gli piaceva parecchio farlo soprattutto in compagnia di Iorec. Gli era stato insegnato a pescare durante il suo addestramento, ma non era riuscito a padroneggiare la tecnica. Aveva anche preso ulteriori lezioni dall'amico, che invece era molto abile, ma Aren non riusciva ad afferrare le nozioni che l'amico gli dava. Infatti non era mai riuscito a catturare un pesce, anche perché non ne aveva mai avuto la vera possibilità: sembrava che tutti i pesci ignorassero l'esca del Guerriero apposta. Lo storione che Iorec aveva invece pescato da ragazzino e che l'amico esibiva sulla parete della sala del suo rustico casolare lo prendeva sempre in giro. "Chissà se riuscirai mai a catturare una misera acciuga" sembrava che gli dicesse ogni volta. Il problema di Aren era che gli mancava la pazienza di aspettare che l'ignaro pesce abboccasse alla sua lenza: dopo pochi minuti iniziava a frustrarsi e il nervosismo gli impediva di proseguire oltre. In queste occasioni Iorec rideva allegramente, mettendo di buon umore anche Aren, così che tutto si concludeva con nulla di fatto, ma avendo passato un piacevole pomeriggio. Il Guerriero però non poteva negare che era un ottimo modo per distogliere la mente dai problemi che lo affliggevano. Era diverso da quando si allenava, perché nell'ultimo caso la concentrazione non permetteva a nessun pensiero di entrargli nella mente, mentre nel primo semplicemente lasciava che i pensieri scorressero fino a placarsi del tutto.

Mentre "non pescava", come descriveva scherzando Iorec il gettare la lenza nell'acqua e guardare nel vuoto noncurante di ciò che accadesse sotto la superficie dell'acqua, sentendo il graffiare della penna di Merran sulla pergamena ad Aren venne in mente che lui non sapeva scrivere. Praticamente nessuno a Saithon sapeva scrivere, sua madre Adrenea era solo una dei pochi. Per i Guerrieri quell'abilità non era indispensabile per l'addestramento dei giovani e nessuno insegnava loro come saper segnare una pergamena formando una lettera, parola o frase di senso compiuto. Per questo molti Guerrieri non leggevano libri né tantomeno si mettevano a scriverne, infatti anche la lettura del Guerriero era lasciata un po' in secondo piano. Esisteva però un'ampia storia di letteratura legata alla cultura dei Guerrieri. Nella biblioteca di Freithen c'era infatti un'enorme raccolta di volumi scritti in Guerriero da alcuni letterati del passato. Erano anche raccolti nella biblioteca numerosi volumi scritti in altre lingue dai vari Popoli di Algorab, regalati al sovrano dei Guerrieri corrente dagli artisti. Ad Algorab, infatti, ogni Popolo aveva il suo idioma, la propria lingua ufficiale che veniva parlata all'interno del Regno tra i suoi abitanti. Nel Regno dei Guerrieri, ad esempio, esisteva una lingua abbastanza rudimentale, anche se la maggior parte dei Guerrieri parlava un dialetto regionale, che però differiva dal Guerriero solo per qualche espressione e per i diversi accenti e pronunce, così che per due Guerrieri provenienti da luoghi diversi non fosse difficile capirsi. Per fare in modo, però, che ci si potesse capire fra Popoli diversi era stata istituita una lingua universale che veniva insegnata a tutti e veniva chiamata semplicemente Algoriano. Tra i Guerrieri, era insegnato a parlare e leggere, anche se in modo molto approssimativo ed essenziale, questa lingua all'età di sei anni, ovvero quando iniziava l'addestramento. Però non veniva insegnato loro a scrivere né l'Algoriano né il Guerriero. Questo era un grande svantaggio secondo Aren. Sua madre infatti gli aveva sempre insegnato che parte della cultura di un Popolo risiedeva proprio nei manoscritti e che saperli leggere e studiare era un grande arricchimento culturale.

Il giovane sorrise mentre la lenza del suo amo si tendeva. Cercò di strattonarla con tutte le sue forze, ma bastò una leggera tirata per far saltare il pesce fuori dall'acqua. Alla fine venne fuori una piccola sardina, che Aren gettò in pasto a quelle belve feroci altrimenti chiamate Phebe e Phrede. Insolitamente, il giovane non si sentiva orgoglioso del suo primo pesce pescato, né deluso dal fatto che si trattasse di un misero pesciolino. Era semplicemente successo e non c'era nulla di cui andare in giro a vantarsi né di cui sentirsi inferiore agli altri. Una strana pace interiore aveva assopito in lui ogni sintomo di orgoglio e adolescenziale eccitazione, molto simile alla sensazione di non-eccitazione al compimento dei tanto agognati vent'anni. Nella sua mente aleggiava ora solo il genuino desiderio di diventare una persona più acculturata e completa. Con questi sentimenti, Aren ritornò all'accampamento dove Merran era ancora intento a studiare mappe, lettere e scrivere annotazioni su fogli di pergamena sparsi sul tavolo che aveva fatto apparire con la magia analogamente a quando aveva avuto la sua prima conversazione con Aren alle rovine di Eth'ranolui. Lo Stregone non si degnò di alzare lo sguardo dai suoi studi.

‹‹Allora.›› esordì mentre intingeva una penna d'oca nella boccettina di inchiostro, nella sua voce vibrava percettibile il sarcasmo e l'irritazione. ‹‹Hai trovato il passatempo degno di un grande Guerriero quale tu sei? O forse ti è passata la voglia e vuoi trovare un altro modo di soddisfare i tuoi bisogni impellenti?››

Evidentemente, i comportamenti di Aren lo avevano infastidito parecchio. Le sue provocazioni penetrarono dritte dentro l'orgoglio del giovane, alimentando il fuoco del suo temperamento. Il Guerriero sarebbe stato pronto a rispondere per le rime, ma invece incassò il colpo e continuò imperterrito secondo i suoi piani come se niente fosse.

‹‹In realtà volevo chiederti se potessi insegnarmi a leggere e scrivere sia in Guerriero che in Algoriano.›› chiese allo Stregone, che alzò infine la testa, sorpreso.

‹‹Perché vorresti una cosa del genere?›› gli domandò.

‹‹Ecco, mi sono reso conto che nell'addestramento che ci viene impartito la letteratura viene messa in secondo piano, ma è in realtà una parte molto importante del nostro Popolo. Desidero poter avere accesso a ogni angolo della nostra cultura. Questo mi renderà una persona più completa, penso...›› rispose Aren, cercando di esprimere come meglio poteva quello che aveva pensato prima.

Merran rimase per qualche secondo ad osservare Aren.

‹‹Non mi aspettavo da te un simile interesse... e va bene. Ogni sera prima di coricarci possiamo dedicarci per un'ora allo studio della lingua a partire da oggi.›› acconsentì infine, con sommo entusiasmo da parte di Aren.

‹‹Prima, però, è il caso di partire immediatamente. Il vento si è placato e dobbiamo cercare di raggiungere il Thru' Heeda entro l'alba di domani.›› disse Merran guardando il Sole che iniziava ad avvicinarsi alla linea dell'orizzonte, lontano ad Ovest.

Smontarono l'accampamento in poco tempo e si prepararono a ripartire. Appena prima di salire in sella a Euter, Aren aveva riacciuffato Phebe e Phrede e li aveva riaccomodati all'interno della loro sacca. Nel fare ciò, aveva udito Merran borbottare qualcosa pensando di non raggiungere le orecchie di Aren.

‹‹Dopo tutto, potrebbe trattarsi della persona giusta. Forse la Natura non ha sbagliato a portarmi da lui...›› aveva mormorato.

Queste parole risvegliarono in Aren il familiare orgoglio che risiedeva nel suo focoso animo, ma anche una parvenza di vergogna. Nonostante non volesse ammetterlo, una parte sopita in lui riconosceva che i suoi comportamenti erano sbagliati e immaturi. Questa parte di lui, però, veniva scansata dall'Aren ancora ragazzo, ostinato e impulsivo.

Ingoiando un boccone amaro, Aren montò in groppa ad Euter con un agile balzo e subito l'adrenalina e la sensazione risvegliate della brezza sul volto rimpiazzarono ogni amarezza con la voglia di cavalcare verso il tramonto, volare sulle correnti del vento oltre l'orizzonte e sentirsi libero. Anche il destriero era felice di esprimere la sua potenza e i suoi muscoli fremevano di eccitazione. Merran non era ancora salito in groppa al suo destriero: guardava nel vuoto, immerso in ignoti pensieri. Aren entrò nel campo visivo dello Stregone, che sbatté le palpebre una sola volta e si affrettò a montare a cavallo.

I due compagni partirono infine in direzione del tramonto.

Fu una tappa molto tranquilla, in cui vigeva il silenzio. Sia Aren che Merran erano assorti nelle loro riflessioni. Aren in particolare non se la sentiva di rompere il ghiaccio dopo la diatriba che avevano avuto quel giorno. L'autorità austera dello Stregone riusciva a mettere in soggezione persino una tesa calda come quella del giovane. Attorno a loro dominavano ancora incontrastate le montagne della Grande Catena del Sud, massicce e dalle cime innevate stagliate contro il cielo indaco e rosato. Cavalcando a velocità spedita, videro il Sole sparire dritto davanti a loro dietro a una linea lontana: quella era la loro meta, il punto in cui Val Guerriera scendeva bruscamente di quota, creando il canyon ripido e selvaggio nel quale il Grande Fiume si gettava da strapiombo a strapiombo in una serie di sette cascate, una più alta dell'altra. Il cielo divenne a mano a mano di un blu sempre più intenso e scuro, costellato da miriadi di stelle e la luna veniva riflessa nelle acque del Grande Fiume, che, non avendo ancora una grande portata d'acqua essendo poco più che un ruscello, accompagnava i due viaggiatori con un gorgogliare di sottofondo. La luce degli astri riflessa sulla sua superficie guidava i due nel buio. Aren però era abituato ad orientarsi nell'oscurità della notte, perciò non ebbe problemi a guidare Euter lungo il loro percorso.

Dopo aver cavalcato per qualche ora, Aren e Merran seppero che si stavano approcciando all'imboccatura del Thru' Heeda. Lì il letto del fiume aveva iniziato a serpeggiare di più lungo un letto più accidentato e meno lineare di quello che aveva seguito fino a quel momento. A mano a mano che si avvicinavano un rumore assordante ruppe il silenzio che fino ad allora c'era sempre stato, prima presentandosi come un soffuso e distante rombo, per poi crescere di intensità e volume fino a presentarsi come un boato violento. Aren vide davanti a sé il punto più lontano del Grande Fiume avvicinarsi sempre di più... finché non ci fu praticamente sopra. Il letto del fiume, lì, si interrompeva bruscamente, formando una cascata immensa. Era la prima cascata. Il Thru' Heeda iniziava lì.

Era ormai tarda notte e i due si sarebbero dovuti riposare per prepararsi alla grande impresa dell'indomani, così si accamparono addossati ad un albero caduto del Bosco sul Confine. Aren si occupò di cucinare la lepre che aveva catturato qualche ora prima, mentre ai suoi piedi Phebe e Phrede guardavano la carne con occhi lucenti. Una volta pronto, i due mangiarono in velocità e intanto Merran spiegò ad Aren l'alfabeto sia Guerriero che Algoriano. Aren già conosceva qualcosa, ma in quel modo consolidò bene il riconoscimento dei caratteri. Quando ebbero finito, Merran si coricò e non ci volle molto perché si addormentasse definitivamente.

Aren, però, non era affatto stanco, nemmeno dopo quell'intensa giornata. Si sdraiò sul terreno con le mani dietro la testa, lasciando che l'erba gli solleticasse la schiena, e guardò il cielo. La luna quella notte era visibile a metà, ma stava per essere coperta da una cupa nube, sospinta dal soffio del vento che stava innalzandosi nuovamente in quel momento.

"C'è un temporale in arrivo." suppose Aren sovrappensiero.

Non poteva crederci: era in Missione! Da quando era piccolo aveva sognato quel momento ed ora era lì, sei Corone da trovare e Algorab da salvare... si sentiva davvero pronto per tutto quello. Non era una Missione come tutte le altre e ciò lo elettrizzava: se avesse avuto successo sarebbe stato raccontato sui libri di storia e in mille leggende, ricordato da tutti come colui che sconfisse il Male. Così lui si immaginava: l'eroe di tutti i tempi passati, presenti e futuri. Aren già si vedeva acclamato da milioni di persone che litigavano anche solo per vederlo, raffigurato su dipinti, affreschi e arazzi come un affascinante eroe forte, impavido e maestoso. Non poté trattenere un enorme sorriso. Avrebbe avuto una bellissima donna al suo fianco...

Con questi pensieri si addormentò, sognando un roseo avvenire.

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