CAPITOLO 2 - LA MISSIONE

Aren tornò a casa che il sole era appena sorto. Le finestre erano ancora chiuse, segno che la madre dormiva ancora. Ne approfittò per tagliare un po' di legna per lei, visto che non era affatto stanco e aveva bisogno di soffocare i pensieri nel lavoro fisico. Nelle ultime ore aveva pensato molto, doveva prendersi una pausa lavorativa. Perciò prese un'accetta e una carriola e si diresse verso il boschetto. Gli bastarono pochi colpi per liberare la mente e concentrarsi sul lavoro. Fu un toccasana per la sua mente stanca e provata e quando ebbe terminato si sentiva molto meglio di prima.

Finito il lavoro si fece un bagno rilassante nell'acqua gelida del ruscello vicino casa. La freschezza dell'acqua gli risvegliò del tutto le membra e lo riempì di rinnovata energia. Spesso, invece che usare il catino, il giovane si immergeva in una pozza larga e poco profonda del ruscello, lo tonificava molto di più. Durante questi momenti la sua mente viaggiava tra le cime dei monti e lungo le valli, aggrappandosi a ogni appiglio che trovava. Pensò che presto non ci sarebbero più stati quei momenti di pace nel ruscello dietro casa dopo un po' di sana attività per un bel po'. Non ci sarebbero più state serate di divertimento con Iorec o escursioni tra i così ben noti dintorni di Saithon. Da sempre c'era stata in lui una forza che lo spingeva fuori dalla semplicità della vita di paese, per questo spesso esplorava in giro per soddisfare questa bramosia di novità; quella stessa bramosia che in quel momento non gli faceva vedere l'ora di partire per la sua Missione. Eppure, non poteva credere di stare per lasciare tutto per chissà quanto tempo. Avrebbe certo sentito la mancanza delle sue abitudini, di quelle piccole certezze che avevano costituito la sua vita fino a quel momento, ma, d'altro canto, era impaziente di scoprire come lo aspettava Algorab fuori dal piccolo angolo di val Guerriera. Nonostante le sue scorribande, non era mai uscito dai confini del piccolo mondo dove era cresciuto e ormai sentiva palpitare dentro di sé il bisogno di partire all'avventura e scoprire cosa serbasse per lui il futuro.

Si fece mattino inoltrato e il sole era stato coperto da una coltre di candide e soffici nubi, ma qua e là sprazzi di un cielo color azzurro intenso. Come ogni mattina, Aren si recò assieme a sua madre al mercato; non sarebbe andato a lavorare alla Locanda dell'Audace per aiutare sua madre e dedicarle l'ultimo tempo che aveva a disposizione prima della partenza. Era infatti tradizione che i giovani Guerrieri partissero il terzo giorno dopo il compimento dei vent'anni, nel caso fossero già pronti, altrimenti il tempo raddoppiava; in ogni caso, di norma i giovani Guerrieri si preparavo giorni prima del loro compleanno così da non perdere tempo superfluo, e così aveva fatto anche Aren. Da parte sua, Adrenea si comportò come se Aren non fosse in procinto di partire, come se quella fosse una mattina come tutte le altre, e Aren gliene fu grato. Il giovane era abituato agli sporadici momenti di depressione della madre, ma era sempre stato cosciente che la causa c'entrava con suo padre in qualche modo, invece ora sarebbe stato lui a causare a sua madre motivo di pianto e non avrebbe mai potuto sopportare vedere Adrenea soffrire per colpa sua.

Quella mattina vendettero più del solito, probabilmente perché gli abitanti di Saithon sentivano di dovere aiutare Adrenea, visto che a breve il figlio che l'aveva sempre aiutata se ne sarebbe andato, facendo quello che potevano: comprando. Aren fu molto contento di vedere la cordialità della gente di Saithon: tutti si fermavano salutandoli con un sorriso sincero sul viso e spendevano i minuti a chiacchierare con Adrenea di svariate cose, per poi farsi consigliare sull'acquisto migliore. Questo spirito regalò ad Adrenea una timida, ma luminosa espressione di serenità che Aren aveva visto solo poche volte nella vita e la cosa gli fece bruciare nel ventre la rabbia verso qualsiasi cosa avesse devastato la vitalità della donna.

Era quasi mezzogiorno e le nuvole si erano diradate un pochino, facendo picchiare sulla Piazza del Mercato la potenza del sole. Da Est, però, provenivano delle nuvole grigie, non cariche di pioggia, che presto avrebbero riportato un po' di frescura. Si avvicinò alla bancarella di Aren e Adrenea una strana figura avvolta in uno scuro mantello, che teneva un po' calato sul volto in modo che non si potesse scorgere il suo sguardo. Nonostante il mantello dovesse tenere molto caldo, Aren notò la figura non dava segni di minima sofferenza. Dalla corporatura alta e dalle spalle larghe dedusse che era un uomo, ma non riuscì a distinguere il volto e quando il capo dell'uomo si trovò in una posizione dalla quale si riusciva a malapena a intravedere qualcosa, il giovane vide solamente il brillio due profondi occhi neri come la notte. Non era di Saithon, ovviamente, e sembrava venire da molto lontano, perché il mantello che indossava e anche i vestiti che si distinguevano a malapena sotto di esso non davano segni di essere tipici dell'abbigliamento dei Guerrieri. Aren e sua madre accolsero lo straniero, ma egli non rispose. L'uomo rimase a contemplare in completo silenzio la bancarella per un buon quarto d'ora, ma Aren notò che sembrava più interessato a lui che alla merce, poiché ogni tanto alzava lo sguardo, gli puntava addosso quei suoi occhi di pece e lo squadrava dall'alto in basso. Il Guerriero fece finta di niente, ma la cosa lo mise in imbarazzo e lo turbò, tuttavia si sentiva in qualche modo intrigato da quello sguardo e anche quando il Guerriero guardava da qualche altra parte sentiva su di sé quegli occhi scrupolosi. Alla fine, l'uomo comprò un utensile e se ne andò silenziosamente come era arrivato. Aren cercò di seguirlo con lo sguardo e distinse un simbolo ricamato sul retro del mantello, ma non fece neanche in tempo ad esaminarlo che l'ultimo lembo della manta era sparita dietro l'angolo. Aren si alzò in piedi e si guardò attorno per cercare di scorgerlo ancora, ma per quanto allungasse il collo non riuscì a trovarlo. Sembrava essere scomparso nel nulla.

‹‹Che personaggio misterioso.›› commentò Adrenea mentre riponeva i soldi nella sua cassetta di legno.

Aren tornò a sedersi, ormai conscio che non sarebbe riuscito a vedere lo straniero una seconda volta.

‹‹Sì...›› rispose vago alla madre, per poi abbassare il tono di voce, rivolgendosi a sé stesso. ‹‹Mi chiedo cosa volesse da me.››

Aren cercò di scacciare l'episodio dalla mente, ma il pensiero di quell'uomo lo tormentò per tutto il resto della giornata. Anche quel pomeriggio dopo pranzo, mentre si allenava con la spada, la sagoma dello straniero gli appariva davanti agli occhi, il che era strano, visto che Aren riusciva sempre a chiudere la mente a tutto fuori dal combattimento. Provò anche a lavorare duramente per scacciarlo via, cercando di soffocare come al suo solito i pensieri nello sforzo fisico, ma l'uomo era sempre nei suoi pensieri. Alla fine decise che sarebbe stato meglio dormirci sopra, almeno avrebbe riposato la sua mente provata, e già che c'era riposare anche le membra, stanche dell'allenamento con la spada e dall'intenso lavoro. Tornò in stanza, si spogliò fino a rimanere in brache e si mise a letto, senza coperta dato che erano passate tre ore da mezzogiorno e faceva ancora molto caldo. Le mani incrociate sotto la nuca, Aren guardò il soffitto, concentrandosi sulle travi di legno e provando a prendere sonno. Con il pensiero, disegnò linee che andavano ad intrecciarsi in complicate figure; questo era sempre stato il suo trucchetto per svuotare la mente e stancare gli occhi, per poi lasciarsi cadere nell'oblio del sonno. Seguì, quindi, con lo sguardo una linea immaginaria per tutto il suo percorso: dritta, svolta a destra, svolta in alto a sinistra, vai in basso... alla fine ammirò l'insieme. Il forestiero era ancora lì che lo guardava. Il giovane sbatté le palpebre e la figura sparì. Poiché il suo metodo non aveva prodotto il minimo risultato, se non innervosire Aren ancora di più, ci riprovò.

Dopo la sesta volta che lo straniero appariva nella sua mente, il giovane si arrese e, mentre fissava gli occhi immaginari del forestiero, finalmente cadde nel sonno e sognò.

Sognò che si trovava nel solito bosco dietro casa, si stava allenando con la spada, come d'abitudine. Affondo, parata, abbassati, girati, colpisci, salta, ruota, parata, affondo... improvvisamente il piede gli cedette e Aren, cadendo, si ferì ad un braccio. Il sangue sgorgò dalla ferita e si raggruppò, espandendosi... adesso gli arrivava alla caviglia, ora al ginocchio, la vita, petto, mento... stava nuotando in un lago pieno del suo sangue, solo che non era sangue, era acqua, e lui nuotava cercando di raggiungere la riva, ma non ci arrivava. Stava iniziando ad affaticarsi e a ingoiare acqua a fiotti... era troppo stanco, non riusciva neppure a nuotare... affondò e tutto divenne nero... un bagliore... una voce... ‹‹Tra un'ora, alle antiche rovine di Eth'ranolui, non tardare.››

Aren si svegliò tutto sudato, le ultime parole del sogno ancora nella testa. Anche se non conosceva quella voce seppe d'istinto che apparteneva allo straniero misterioso. Si alzò di scatto dal letto. Quello strano sogno aveva risvegliato in lui una carica di adrenalina. Era confuso, ma allo stesso tempo sapeva esattamente cosa dovesse fare. Le rovine di Eth'ranolui, aveva detto la voce dello straniero. Doveva andarci, almeno per capire qualcosa di quel mistero. Doveva scoprire chi fosse quell'uomo, perché si trovasse a Saithon e perché fosse così stranamente e particolarmente interessato a lui. Così si vestì in fretta e furia, afferrò Neyrost e si avviò verso la meta. Sapeva già dove andare: erano le strane rovine che aveva scoperto sulla cima della rocca nel Bosco sul Confine. Ovviamente, non aveva mai sentito quel nome prima, né sapeva che appartenesse a quel luogo, ma lo stesso istinto che gli aveva fatto riconoscere la voce dell'uomo misterioso gli diceva ora che erano esattamente quelle le rovine di Eth'ranolui. Aren sapeva che raramente l'istinto suggerisce il falso e ha sempre una risposta quando la ragione non sa che strada prendere.

Aren attraversò tutta Saithon di corsa. Nei tratti più affollati rallentò per non dare troppo nell'occhio, ma appena la strada tornava deserta ricominciava a correre a perdifiato. Non voleva arrivare tardi perché nel sogno lo straniero lo aveva avvertito con fare intimidatorio di non tardare e Aren non voleva certo incombere nella sua ira, o qualunque cosa lo avrebbe aspettato nel caso. Inoltre, non poteva negare che l'estraneo aveva un certo carisma: nonostante avesse detto solamente una frase, lo aveva immediatamente convinto a seguire le sue indicazioni, lo aveva attratto. Non sembrava niente di umano, piuttosto una specie di stregoneria. A Val Guerriera gli Stregoni non erano mai giunti, se non in rarissime occasioni, poiché essa era molto difficile da raggiungere: a Sud e a Est era circondata da montagne alte, scoscese e prive di qualsiasi sentiero; verso Ovest si apriva un canyon impervio e selvaggio, attraversato dal Grande Fiume, che in quel tratto era ancora un torrente, formando una serie di cascate alte e violente, che avevano scavato il canyon rendendolo quasi impossibile da attraversare; a Nord c'era il Bosco sul Confine, impenetrabile e impercorribile per via della sua vegetazione fitta, a parte nelle sue zone più esterne. Quindi, nessuno oltre ai Guerrieri più coraggiosi poteva entrare o uscire da Val Guerriera via terra. Per questo Saithon era il Paese del Coraggio: simboleggiava il Coraggio che i Guerrieri fondatori del paese avevano avuto per attraversare la selvaggia Val Guerriera. In effetti, pensò Aren, già solo attraversare il canyon della valle sarebbe stato un'impresa non da poco, come avrebbe fatto a uscire vivo da val Guerriera? Era praticamente impossibile da solo e non era concesso ai giovani Guerrieri in cerca di una Missione essere accompagnati da una persona del loro stesso paese. Insomma, Aren sarebbe stato da solo ad affrontare la Grande Muraglia Naturale di Val Guerriera, come la chiamavano i Guerrieri, o Thru' Heeda, nel dialetto di Saithon.

Mentre pensava ciò, Il Guerriero era appena uscito dal paese e stava correndo verso il D'uhn-teenek. A breve lo avrebbe guadato e sarebbe entrato nel Bosco sul Confine, poi avrebbe seguito una pista di caccia degli Occhi di Lince fino ad un masso dalla forma triangolare, sarebbe svoltato a destra costeggiando un rivolo d'acqua fino ad arrivare ad una parete verticale di roccia, la avrebbe scalata e sarebbe arrivato su uno spiazzo non molto grande pochi metri sotto la cima: l'ubicazione delle rovine.

Aveva appena finito di ripassare il percorso che si trovò sullo spiazzo. Erano esattamente come la sera prima, una specie di piazzetta con dei muretti bassi attorno, il lato verso il versante della montagna coperto da una frana... e dell'uomo neanche l'ombra. Aren si guardò intorno, ma non lo vide. Si irritò profondamente. Di solito il giovane cercava di mantenere la pazienza in ogni occasione, ma quando qualcuno si presentava in ritardo ad un appuntamento non riusciva a trattenere il fastidio. In più, lo stesso misterioso straniero lo aveva intimato di non tardare, eppure non c'era traccia di lui; la cosa era ancora più frustrante. Aren iniziò a camminare avanti e indietro, nervosamente. E se fosse stato uno stupido scherzo architettato ingegnosamente? Ma non era possibile, il sogno non era una frottola. Allora, perché non c'era nessuno?

Tutt'un tratto un rumore lo riscosse dai suoi pensieri. Alzò il viso e subito fu abbagliato da una luce improvvisa. Un vento fortissimo gli soffiò addosso e fu solo grazie alla forza nelle sue gambe che il Guerriero non cadde. Sembrava un'esplosione, un'esplosione molto forte. La luce e il vento svanirono in poco tempo e Aren, che fino a quel momento aveva tenuto la testa bassa per via del vento, provò a guardare verso il punto dove credeva che fosse avvenuta l'esplosione. Con suo grande stupore niente a parte qualche foglia spostata dava segno dell'avvenimento di poco prima, ma non ci prestò molta attenzione, perché l'uomo misterioso era nel mezzo della piazza a guardarlo ancora con i suoi occhi profondi.

Adesso Aren poteva vederlo chiaramente. In un primo momento, non portava il mantello come la prima volta in cui si erano visti, ma indossava una sorta di veste larga color giallo ocra dalle maniche larghe e lunghe, in vita una semplice corda di spago fungeva da cintura. Proprio sotto alla corda di spago, portava un'effettiva cintola decorata da strani simboli che conteneva altrettanto strani oggetti e strumenti irriconoscibili. Un secondo dopo, dal nulla ricomparve il mantello nero, che ricoprì la veste. Il cappuccio era calato e Aren poté finalmente vedere il volto dello straniero. Era un viso dai tratti rudi, coperto da una fitta rete di rughe. Era un vecchio, ma il volto marcato lo rendeva più giovane. I capelli erano corti e spettinati, di un colore grigiastro e portava una barba incolta molto folta che gli copriva il mento. Gli occhi, come Aren ricordava benissimo, erano due pozzi oscuri, profondissimi. La corporatura dello straniero era un po' robusta, ma fragile come quella di un vecchio. In testa recava una corona forgiata in stagno lucente, decorata con incisioni dalle trame geometriche e con ambre incastonate perfettamente sferiche al cui interno sembrava vorticare ancora la linfa vitale dell'albero che aveva prodotto la resina dalla quale derivavano le pietre; essa non aveva punte, cingeva le tempie dell'uomo e copriva la fronte, lasciando però la sommità del capo visibile. Era la Corona d'Ambra, la Corona degli Stregoni. Aren sentì il fiato mancargli: percepiva chiaramente il Potere e la saggezza che venivano emanati dalla Corona. Con un grande sforzo di volontà riuscì a non cadere in ginocchio. Non poteva che essere lo Stregone Supremo della Città-torre di Andellert, una città costituita unicamente da una torre altissima dove vivevano e studiavano gli Stregoni; la città era posta in un luogo segreto disperso nel deserto che occupava la zona centrale di Algorab. Il Supremo era eletto tra tutti gli Stregoni per essere il più saggio e guidava il suo Popolo nelle scelte diplomatiche e amministrative, oltre che nella continua ricerca di misteri in cui erano immersi gli Stregoni. Aren si chiese che cosa ci facesse lì.

Ciononostante, Aren mantenne orgoglio e dignità e tese la mano destra allo Stregone.

‹‹Aren di Val Guerriera.›› si presentò. Lo Stregone lo squadrò con occhio critico e sorpreso.

‹‹Lo so.›› replicò. La sua voce era pacata, rilassata, bilanciata, come se filtrasse migliaia di emozioni che provenivano dall'interno. ‹‹Lo Stregone Merran, di Andellert.››

Lo Stregone si presentò a sua volta, ma non strinse la mano di Aren, che tenne ostinatamente il braccio teso. Merran lo squadrò ancora, dall'alto in basso. ‹‹Proprio quello di cui ho bisogno...›› mormorò.

‹‹Bisogno... di cosa?›› chiese Aren leggermente confuso. Merran non rispose subito, prima gli tenne gli occhi addosso così a lungo che Aren pensò non avrebbe mai proferito parola.

‹‹Di te.›› rispose poi evasivo. Aren si trattenne dallo sbuffare. Si era scordato che era solito degli Stregoni essere misteriosi e rispondere in indovinelli. Però era comunque molto sorpreso delle ultime parole di Merran. Si chiese a cosa sarebbe servito lui allo Stregone Supremo, lui che non aveva mai fatto niente di speciale in tutta la sua vita e che era ora in procinto di partire per il suo rito di iniziazione alla società.

‹‹Se non sono indiscreto, posso chiederle a cosa dovrei servirvi?›› chiese Aren, cercando di essere il più educato possibile. ‹‹Insomma, non capisco perché voi avreste attraversato Val Guerriera per giungere fino a me. Io sono solo una persona comune.›› Merran lo fissò ancora. La sua espressione era indecifrabile.

‹‹Sono qui perché ho bisogno di qualcuno che mi accompagni in un mio viaggio e sono quasi sicuro che tu sia più che adatto. Puoi considerarlo come... una Missione.›› spiegò poi.

Aren dovette trattenersi dal gridare per la sorpresa. Aveva già trovato una Missione! Mai nella vita avrebbe pensato di trovare una Missione in così poco tempo. Avrebbe acconsentito già così, su due piedi, ma restava però il fatto che non sapeva che tipo di Missione fosse, quali pericoli e condizioni avrebbe comportato o quanto sarebbe durata. Perciò mantenne il contegno e assunse un'espressione seria e diplomatica per cercare di trattenere un sorriso enorme.

‹‹Ti ascolto.›› disse a Merran. Quest'ultimo si concesse un primo e fugace sorriso, che svanì dopo una frazione di secondo.

‹‹Molto bene.›› disse. ‹‹Meglio sederci.›› E, con un solo battito di ciglia, fece comparire un tavolo e un paio di sedie in legno. Aren si sedette su una delle sedie e Merran fece lo stesso in modo di trovarsi di fronte a lui.

‹‹Innanzitutto c'è da dirti che, nonostante indossi ora la Corona d'Ambra, non sono io il Supremo, perciò non dobbiamo tenere comportamenti distaccati, freddi e puramente falsi. Ovviamente pretendo rispetto, ma niente etichetta.›› gli ribadì guardandolo intensamente. Aren annuì, deciso a seguire le sue indicazioni. Merran, intanto, si tolse la Corona dalla testa. ‹‹Sono stato comunque autorizzato dallo Stregone Supremo a portare la Corona con me e ad indossarla ogni qualvolta ne abbia il bisogno.›› aggiunse poi. Aren non aveva idea di cosa dire, perciò rimase in silenzio.

Merran lo stava ora guardando con serietà.

‹‹La storia che sto per narrarti è antica più di un secolo e occuperà il tempo che deve occupare, perciò le domande devi tenerle per la fine del racconto e non interrompermi per nessuna ragione che non rappresenti un pericolo per le nostre vite.›› disse con tono solenne e severo, quindi strofinò una mano sul tavolo da destra verso sinistra e comparve una mappa. Era girata in modo che Aren la vedesse dritta. Il Guerriero la guardò e con un sussulto riconobbe nell'angolo in basso a destra l'amata Val Guerriera e il Regno dei Guerrieri. Evidentemente era una mappa di Algorab.

‹‹Molto tempo fa, Algorab non era come lo conosciamo adesso: c'erano molte persone più avide ed egoiste, impietose e disprezzanti di quante ce ne siano adesso. Il loro odio sprezzante verso ciò che non concepivano come giusto si condensò fino ad assumere un corpo dotato di intelligenza. Nacque Kor, l'incarnazione del male. Esso era un demonio, sembrava essere venuto dal regno di morti e incuteva terrore dovunque si trovasse. Il suo indomabile odio verso Algorab e le sue bellezze voleva trasformare il nostro mondo in un luogo desolato, pieno di distruzione. Si insediò dove nella mappa che vedi ora c'è il lago Oulania, che si prosciugò per via dell'impurità che manteneva vivo il Demonio, premettendo a Kor di costruire il suo immenso palazzo e di impregnare il terreno del Male come fosse una spugna. Creò un esercito di ogni sorta di creature mostruose provenienti dal regno dei morti, un esercito quasi imbattibile che incarnava gli incubi di tutti noi. Scoppiò la guerra più violenta che Algorab abbia mai visto. Tutti i Popoli si unirono in un unico esercito per sconfiggere il potere di Kor che avanzava su due fronti: quello degli Occhi di Lince e quello Elfico. Quest'ultimo resistette, ma il primo cedette e quasi tutto il Regno degli Occhi di Lince fu conquistato. Il fronte si spostò sul Grande Fiume del Nord...›› gli occhi del vecchio si spostarono su Aren, fissandolo intensamente. ‹‹È stato durante una lunga e sfiancante battaglia proprio sulla sponda settentrionale del fiume che Ferdo, l'allora Sovrano dei Guerrieri, capì che non c'era speranza di vittoria contro la potenza distruttiva di Kor. Il suo esercito non avrebbe mai potuto vincere la battaglia e presto anche gli Elfi a Nord sarebbero stati sopraffatti, così giunse alla più estrema delle soluzioni. Con la sua stessa spada si ferì le braccia e pronunciò quello che viene chiamato un Voto di Sangue: sul suo sangue giurò che finché esso avrebbe continuato a scorrere nelle vene della sua prole Kor non avrebbe potuto in alcun modo nuocere o mettere piede nella terra di Algorab. Quando ebbe finito di pronunciare il suo voto, Ferdo cadde dissanguato e la Corona di Topazi venne dispersa nel D'uhn teenek. La famiglia di Ferdo perse così ogni diritto al trono dei Regno dei Guerrieri. Essa fuggì da Freithen e si disperse per tutta Algorab. Da quel momento nessuno seppe più nulla su di loro. In ogni caso, la purezza e la potenza del sacrificio di Ferdo dissolsero l'esercito di Kor ed esiliarono il Demonio da Algorab. Da allora esso non ha più potuto neanche avvicinarsi alla nostra terra.››

Aren, come tutti, aveva sentito quella storia molte volte. Il sacrificio di Ferdo era sicuramente fonte di dolore e lutto per i Guerrieri, ma si trattava anche del gesto più coraggioso e valoroso della storia dei Guerrieri. Si chiese perché Merran gliel'avesse raccontata, aveva qualcosa a che fare con la Missione? Lo Stregone riprese il discorso.

‹‹Ma ad Andellert, noi Stregoni abbiamo ricevuto la terribile notizia che Kor è tornato ad insediarsi nell'ormai prosciugato bacino del lago Oulania. Questo vuol dire solo che l'unico figlio di Ferdo, dovunque egli fosse, è morto di recente. Ora il Voto di Sangue di Ferdo si è dissolto e Algorab non è più al sicuro dalla furia di Kor!›› Merran abbassò gli occhi. ‹‹Per questo motivo, dopo una lunga discussione nella città-torre, io sono partito da Andellert con la Corona d'Ambra.››

Lo Stregone tornò a guardare Aren negli occhi.

‹‹Per sconfiggere Kor una volta per tutte, dobbiamo formare la Candida Alleanza dei Popoli di Algorab.››

La Candida Alleanza. Aren riconobbe quel nome come un sussurro che gli soffiava nella testa, un'entità presente in antiche leggende di Algorab che parlavano di tempi remoti, di guerra e caos.

‹‹La Candida Alleanza consiste in un gruppo composto da un Guerriero, uno Stregone, un Lautiano, una Ninfa, un Elfo e un Augan.›› Lautiano era la denominazione più usata per un membro del Popolo del Mare, così come Augan per un Occhio di Lince. ‹‹Nella nostra missione, dobbiamo portare con noi tutte le Corone del Potere nell'antica e sacra città di Algorion, dove si trova l'altare presso il quale è possibile compiere il rituale per convocare l'arma più potente mai esistita: lo Scettro di Diamante.›› spiegò Merran mentre la voce gli si spezzò non appena pronunciò quelle ultime parole. Esse sembravano ancora riecheggiare nell'aria, come se gli alberi, le montagne e gli uccelli se le stessero bisbigliando all'orecchio. Aren riuscì a percepire sulla pelle il potere che anche solo il nome dello Scettro sprigionava; tutto il suo essere sembrò tremare a contatto con così tanto potere: i peli gli si rizzarono, le sue membra ebbero degli spasimi e il fiato gli mancò. Non c'era dubbio, se fosse esistito veramente qualcosa che avrebbe potuto sconfiggere il Male, questo sarebbe stato lo Scettro di Diamante.

‹‹Viaggeremo per tutta Algorab, sfruttando antiche vie e passaggi segreti, grandi metropoli e piccoli villaggi, scendendo le montagne, attraversando le grandi pianure, i boschi e i mari. Sarà un viaggio lungo, che potrebbe durare anni, ma sono sicuro che raggiungeremo lo scopo in tempo per il tuo Onore, Aren.›› aggiunse Merran sorridendo ad Aren, che si rilassò un po'.

Lo Stregone indicò col dito un punto sulla mappa a Sud-Est, dove era rappresentata un'immensa distesa d'acqua.

‹‹La nostra prossima tappa è il Regno del Popolo del Mare. Raggiungeremo la capitale Thalatesh e lì incontreremo il nostro primo compagno di viaggio. Da qui attraverseremo Val Guerriera l'Impenetrabile verso Est, procedendo attraverso i Canyon di Thru' Heeda, dopodiché attraverseremo la Pianura Vaeda, o Pianura Piatta, costeggiando il D'uhn-teenek...››

‹‹Posso chiedere se Freithen sarà una tappa?›› interruppe Aren, non potendo resistere. Quando lo Stregone aveva parlato di costeggiare il Grande Fiume del Sud, sulle cui rive sorgeva la Città dell'Onore Freithen, il Guerriero non aveva potuto fare a meno che sperare di poter passare per la capitale. Merran lo fissò un po' irritato.

‹‹Non era propriamente nei miei piani...›› disse muovendo la minima quantità di muscoli possibile.

‹‹È che... ho sempre desiderato visitare la Capitale.›› mormorò Aren. ‹‹E questa è una delle poche occasioni, se non l'unica, che ho per poterla visitare e poter prendere in mano la Spada di Ferdo: Vanetar. Come sicuramente sapete, è il sogno di qualunque Guerriero.››

A Freithen era infatti custodita nel Palazzo Reale la spada che apparteneva ai Re dei Guerrieri. Per i Guerrieri era un privilegio poterla ammirare e prenderla in mano e chi ne aveva la possibilità, soprattutto i giovani in Missione, si recava sempre a Freithen per prendere in mano Vanetar.

‹‹Vedremo... se avremo tempo e se passeremo vicino alla Città dell'Onore allora sarà un piacere farti la guida nella città da Guerra per eccellenza.›› disse Merran rilassando un po' il volto, convinto dalla passione che sprigionava Aren dagli occhi. ‹‹Comunque, costeggeremo il D'Uhn-teenek fino ad arrivare alla sua foce nel Regno sottomarino del Popolo del Mare. Lì attraverseremo il Ponte di Most e raggiungeremo Thalatesh. Ti spiegherò i dettagli delle diverse tappe strada facendo. Dopo che avremo incontrato il nostro compagno di viaggio ti illustrerò la prossima parte del viaggio. Ovviamente, questa non è una Missione come le altre, Aren. Ti sto offrendo la possibilità di salvare Algorab dalla distruzione totale.››

Merran intrecciò le dita tra loro. ‹‹Che cosa ne pensi?›› chiese.

Aren non ci pensò due volte, quella era una vera e propria occasione d'oro e non poteva lasciarsela scappare, però aveva un paio di domande.

‹‹Se è così importante, come mai vuole che venga proprio io? Cos'ho di diverso dagli altri?›› domandò il Guerriero. Merran annuì.

‹‹Ad Andellert abbiamo chiesto consiglio alle entità magiche che reggono la nostra terra e ci hanno mostrato te. Si vede che il destino ha qualcosa in serbo per te. Non vuoi scoprire di più sul passato della tua famiglia?›› gli spiegò sorridendo.

Il cuore di Aren fece un sussulto. Si accorse che fino ad allora Merran aveva parlato come se Aren fosse già d'accordo con lui. Sapeva già che avrebbe accettato. D'altronde, avrebbe finalmente avuto la possibilità di fare luce al misterioso passato di suo padre e completato una Missione allo stesso tempo.

‹‹Che cosa ne penso?›› chiese, anche lui sorridendo. Tese un'altra volta la mano verso lo Stregone e disse: ‹‹Accetto.››

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