CAPITOLO 16 - LA PROMESSA
Era notte inoltrata al Paese della Forza. Il cielo, nero come l'inchiostro, era limpido e la luna, la cui gobba volgeva a levante, brillava di una luce eterea e soffusa, quasi come se non volesse svegliare gli abitanti sotto di lei. Le stelle erano ben distinguibili, piccoli tremolii nell'infinto del buio. Gli unici rumori che si sentivano erano il fruscio delle foglie degli alberi alla leggera brezza notturna e il richiamo dei rapaci che andavano a caccia. Sulla valle stanziava una finissima coltre di quiete. Aren cercava di far entrare quella quiete nel suo cuore. Tuttavia, non riusciva a non stare in pensiero per Danya, che in quegli stessi istanti stava lottando con coraggio contro il caldo e freddo abbraccio della morte. Ignorare quella voce suadente e rassicurante, che ti corrompe l'anima cercando di convincerti a lasciarti andare e smettere di soffrire quell'immenso dolore che gli uomini chiamano vita, finire nell'oblio e non sentire più niente. Come si può pretendere di avere tutta quella forza nel momento in cui ci si sente più deboli, sia fisicamente che mentalmente?
Aren pregava, inginocchiato davanti alla statua della Divinità della Forza, Liegher, che sopportava il peso delle catene che portava con sicurezza, determinazione e un pizzico di disinvoltura; pregava Liegher di donare forza a Danya, forza che l'aiutasse ad affrontare la sua terribile lotta; pregava Liegher di donare forza a lui stesso, per poter sopportare quella terribile attesa, per aiutarlo a sostenere Danya anche se il giovane non aveva forza nemmeno per sostenere sé stesso. Avrebbe voluto piangere, almeno per sfogare quella tremenda frustrazione dovuta al senso di impotenza che gli graffiava l'animo, ma era come se si fosse inaridito. In parte sembrava averle esaurite tutte, le lacrime, in parte era come se non riuscisse a mandarle fuori.
‹‹Che cosa dovrei fare?›› chiese Aren sollevando la testa e guardando la statua. Quella rispose con il suo immobile sguardo sicuro. Solitamente al giovane sembrava che le sculture delle Divinità fossero pervase da una sorta di vitalità, ma in quella situazione Liegher non gli comunicava nulla.
Riabbassando lo sguardo Aren si accorse che due paia di occhi vispi lo stavano osservando. Persino in quel momento, riuscì a tirare fuori un mezzo sorriso: ormai non si stupiva più delle silenziose apparizioni di Phebe e Phrede. I due gatti stavano seduti davanti a lui, senza fare il minimo rumore. Improvvisamente, Aren sentì la paura attenuare la morsa sul suo cuore e una benefica calma gli svuotò la mente. Il giovane si rivolse quindi ai due gatti, visto che Liegher non lo aveva aiutato.
‹‹E voi cosa mi dite? Che devo fare?›› domandò loro ironicamente, non aspettandosi di ricevere un vero e proprio consiglio. Ovviamente questi non risposero e si limitarono ad osservarlo, ma guardando bene nei loro occhi Aren sentì la loro risposta nel suo animo.
‹‹Ricevuto.›› disse alzandosi, rinvigorito.
Uscì dalla chiesa accompagnato dall'eco dei suoi passi e tornò a casa di Maula. Ora che sapeva cosa fare si sentiva meno impotente, e perciò più sicuro di sé, però era ancora tremendamente preoccupato.
Quando entrò nel salotto della casa di Maula, Aren venne accolto da un caldo tepore proveniente dal caminetto acceso. Per qualche secondo, il Guerriero rimase fermo a godersi la calura, finché la padrona di casa non uscì finalmente dalla stanza da letto con fare indaffarato; aveva un'aria stanca, poiché non aveva smesso di occuparsi di Danya da quando erano arrivati qualche ora prima. Non appena la donna vide Aren, gli si avvicinò con fare compassionevole. Per un attimo Aren temette che fosse successo il peggio e immediatamente il mondo sembrò sprofondare in un buco nero, ma con un enorme sforzo di volontà riuscì a relegare quel pensiero in un angolo della sua mente.
‹‹Come sta andando?›› chiese cercando di mascherare l'ansia.
‹‹Non preoccuparti. È ancora viva e risponde alle cure, ma c'è un problema...›› rispose Maula soppesando bene le parole. Rincuorato, Aren tornò a respirare.
‹‹Grazie al cielo.›› sospirò. ‹‹Qual è il problema?›› chiese poi, alludendo alle parole della balia.
‹‹L'infezione provocata dalla ferita si sta espandendo troppo velocemente. Non conosco metodo efficace per fermarla prima che... infierisca troppo. Inoltre, ha perso molto sangue, perciò è troppo debole per riuscire a contrastare l'infezione abbastanza da permetterci di intervenire. Qualsiasi mio intervento sarebbe inutile. Non so più cosa fare: le mie erbe sono efficaci, ma richiedono il loro tempo per dare dei risultati.›› spiegò Maula scuotendo la testa dispiaciuta.
Aren annuì gravemente e il suo pensiero volò immediatamente all'unguento che gli aveva dato Merran prima di partire. Lo Stregone aveva detto che quella mistura avrebbe velocizzato il processo di guarigione di Danya. Chissà se avrebbe funzionato anche nel caso venisse utilizzata quando ancora Danya non era in via di guarigione. Il Guerriero avrebbe preferito non correre troppi rischi, ma non fare niente avrebbe portato solamente all'unica via che non si poteva permettere. Non restava altro che provarci, anche se l'idea di brancolare nel buio con in mano un solo fiammifero non lo soddisfaceva affatto. Il giovane mise da parte i dubbi e le incertezze e si alzò in piedi, tirando fuori il fiasco contenente l'unguento dalla cintura.
‹‹Fammi provare.›› propose a Maula mostrandoglielo, la quale inarcò un sopracciglio in diffidenza.
‹‹Cosa vuoi fare? Non possiamo permetterci di sperimentare, lo sai. Conosci qualcosa che io non conosco?›› domandò. Aren capì che la donna si fidava di lui, ma pensava anche che in quel caso fosse meglio agire con prudenza. Non erano nella posizione adatta per sfidare la sorte.
‹‹Penso di avere un metodo, ma non posso garantirti se e quanto funzionerà. Purtroppo è tutto quello che ho.›› spiegò Aren. Non volle menzionare nulla di Merran per mantenere lo stato di segretezza dell'impresa, d'altro canto Maula sapeva che non doveva intromettersi in certi discorsi.
‹‹Sei sicuro?›› chiese la balia. Aren le posò una mano sulla spalla per rassicurarla.
‹‹Devi fidarti.›› disse soltanto. Maula sostenne lo sguardo per qualche istante, quindi sospirò.
‹‹Mi fido, ma mi preoccupo anche. Fa' quel che devi.›› consentì, per poi accasciarsi su una sedia.
Aren entrò allora nella stanza da letto. Non era mai stato lì dentro: c'era una sola grande finestra, le cui tende erano state tirate per non far entrare troppa luce di giorno, in un angolo si trovava una cassapanca che conteneva i vestiti di Maula e la sua dote, nell'altro angolo c'era un piccolo scrittoio e la sua sedia, mentre al centro un grande letto occupava la maggior parte della stanza. Il mobile era occupato dal corpo di Danya. Nel vederlo, ad Aren venne un groppo alla gola. La pelle della ragazza era pallida come la luna e la sua espressione era aggrottata, segno che non stava passando dei bei momenti. La ferita era fasciata e le bende erano sporche di sangue, quindi non erano ancora state cambiate. Aren posò una mano tremante sulla fronte di Danya: scottava. La situazione non era delle migliori, ma almeno c'era una speranza. Il giovane si mise subito al lavoro. Per prima cosa tolse le bende sporche e le sistemò in un angolo, prendendo poi delle bende pulite dalla scatola delle medicazioni che era stata lasciata aperta sulla cassapanca, quindi si concentrò sulla ferita, che era ancora aperta e profonda, inoltre le sue labbra erano giallastre e perdeva ancora del sangue. Dopo tutte quelle ore di cura da parte di Maula, ancora non era migliorato niente. Il Guerriero si sentì male nel vedere Danya in quello stato e dovette farsi forza per procedere con la cura. Si versò un po' di unguento sulla mano e massaggiò per bene la ferita. Sotto il tocco delicato delle sue dita, Aren sentiva il potere benefico del magico unguento che si espandeva lungo la ferita e curava a fondo l'infezione. La cosa lo rassicurò un po', forse la cura avrebbe funzionato. Continuò a massaggiare la ferita per cinque minuti ancora, finché l'unguento non si fu amalgamato bene sulla pelle. Aren guardò il suo operato: di sicuro l'apertura aveva un aspetto meno malato. Per evitare che la ferita si infettasse nuovamente pensò che sarebbe stato utile cucirla, ma preferì aspettare nel caso servisse applicare nuovamente l'unguento. Il giovane sperava di non dover arrivare a utilizzare la cura magica una seconda volta, perché gli sembrava un espediente troppo facile e potente per poterlo affrontare così alla leggera. Merran era stato chiaro: l'unguento avrebbe solo velocizzato la guarigione. Aren pensava che l'applicazione appena eseguita avrebbe accelerato gli effetti curativi delle erbe di Maula. Sentiva inoltre che fosse più corretto cercare di mantenere le cure al più naturale possibile. Sarebbe stata Maula a decidere se e quando chiudere la ferita, perciò per il momento Aren si limitò a rifasciare il taglio con delle bende pulite.
Quando ebbe finito il lavoro, prese la sedia vicino allo scrittoio e la sistemò di fianco a letto, così da potersi sedere vicino a Danya. Non appena si rilassò su di essa, gli sembrò come se tutta la tensione che aveva accumulato fino a quel momento se ne stesse andando da lui e tutto d'un tratto gli cadde addosso il grave macigno della stanchezza, alimentata ulteriormente dagli avvenimenti della giornata. Il giovane, prima di cedere alle morbide braccia del sonno, si voltò verso Danya. La ragazza sembrava ora meno sofferente, ma forse era solo uno scherzo dato dalla stanchezza. Il Guerriero le strinse la mano con la sua e poi crollò addormentato, non potendo resistere un attimo in più.
La mattina seguente, un piccolo raggio di sole riuscì a filtrare attraverso le tende tirate della finestra in camera da letto. Piccoli granelli di polvere vorticavano all'interno, leggiadri e pesanti, in balia degli impercettibili movimenti dell'aria. Nella stanza non c'era il minimo rumore, se non gli impercettibili respiri dei due innamorati che dormivano beatamente mano nella mano.
Aren si svegliò ristorato dalle fatiche del giorno precedente, nonostante non avesse dormito che per poche ore. Prima di ricordare dove si trovasse ci mise qualche secondo, poi riprese lucidità e con delicatezza lasciò andare la mano di Danya, accertandosi che non si svegliasse. L'ultima cosa che voleva era disturbarla nello stato di calma in cui si trovava in quel momento. Infatti, a differenza della notte passata, la ragazza non sembrava più lottare contro la febbre: aveva il volto disteso, sereno. Questo bastò per tranquillizzare il tormentato animo di Aren, che non si sarebbe dato pace finché Danya non si fosse ripresa del tutto, o almeno fino a che non fosse in via di guarigione certa. Ora che non c'era più urgenza di curarla, la stanza non sembrava più ad Aren una tomba opprimente, scura e aleggiante di morte, anzi, regnava una coltre di pace e tranquillità quasi eterea che faceva sembrare che il tempo fosse rallentato fino a fermarsi quasi del tutto. Contribuiva il fatto che non era più stanco e preoccupato a cambiare così tanto la concezione del medesimo luogo.
Aren si alzò dalla sedia su cui era seduto, massaggiandosi la faccia ancora intorpidita dal risveglio. Al ruvido tocco con la barba, ormai ricresciuta, si rese conto di quanto fosse cambiato da quando aveva lasciato Saithon. Allora era ancora un ragazzo curioso e pieno di entusiasmo, appena catapultato nella vita adulta, impaziente di mostrare il suo valore e, sì, anche parecchio presuntuoso e permaloso. Gli venne da ridere quando ripensò a quanto all'inizio del suo viaggio Merran lo infastidisse dandogli tutti quei severi commenti e comandi, ma adesso capiva quanto gli fossero serviti per affermare il suo carattere. Quanto era passato? Un mese e mezzo, eppure Aren si sentiva cresciuto di anni: rispettoso e decisamente più paziente. Adesso era veramente diventato un adulto, non come aveva pensato la sera del suo ventesimo compleanno, preso dall'ebbrezza di una nuova vita. E pensandoci bene, due erano i principali motivi per cui era cambiato così: l'esperienza della guerra e delle sue terribili conseguenze e l'esperienza dell'amore. Entrambe l'avevano colpito con una velocità e un'intensità tali da plasmarlo nel profondo. Era incredibile come una persona, Danya, fosse riuscita a rendere la vita di Aren così diversa, ma così completa.
Guardando l'amata dormire nel letto, Aren pensò che sarebbe stato meglio lasciarla in solitudine per un po', ma allo stesso faticava ad allontanarsi da lei. Dopotutto, l'aveva quasi persa.
Il Guerriero alla fine si chinò sul volto di Danya e posò con delicatezza le labbra sulla ancora calda fronte della ragazza, poi con un piccolo sforzo di volontà aprì la porta della stanza e uscì per recarsi nella sala della casa di Maula, dove la donna stava preparando la colazione. Sembrava un po' stremata, d'altronde era dalla sera prima che lavorava ininterrottamente. Guardando sul tavolo, infatti, si potevano vedere vari unguenti che sicuramente aveva preparato durante la notte. Aren le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla. I due si scambiarono uno sguardo d'intesa e Maula capì che Danya stava meglio. Con un sorriso carico di sollievo e gratitudine si adagiò sul divano, sfinita. Si addormentò dopo pochi secondi.
A quel punto Aren si dedicò alla colazione che Maula stava cucinando: pane e marmellata di frutti procurati dal bosco vicino a Liethon. C'erano alcune fette già spalmate e due ciotole di latte di capra fresco. Aren finì di preparare le fette, quindi ne prese una e iniziò a mangiarla, alternando a sorsi di quel delizioso latte di capra. Intanto sfoderò Neyrost e la posò sul tavolo, osservandola attentamente. La spada era ancora reduce della sua ultima, terribile battaglia. Le incisioni che le lame nemiche avevano lasciato sul metallo erano ancora abbastanza visibili. In un attimo Aren rivide le immagini di una fiamma rossa davanti ai suoi occhi e sentì di nuovo la sensazione di rottura che sanciva la fine di una follia. Sbattendo le palpebre e riportando il battito cardiaco alla sua naturale velocità, si adoperò per cancellare dalla sua arma il ricordo di quei terribili momenti. Ogni segno cancellato sembrava allontanare i ricordi un passo più in là nella sua memoria e quando ebbe finito quell'episodio era stato relegato in un angolo della sua mente. Certo, Aren sapeva che quella cicatrice non sarebbe mai scomparsa, così come il taglio sul petto che si era procurato quella notte alla locanda dal tetto verde gli avrebbe sempre ricordato la prima vera esperienza della morte, tuttavia portarsi dietro quella terribile sensazione viva nella sua mente lo avrebbe distrutto. Meglio lasciar scorrere l'acqua sotto al ponte. A questo proposito, l'ultimo passaggio per lasciarsi definitivamente dietro il passato sarebbe stato un bel bagno nelle acque del Sereno, che presso Liethon era ancora un piccolo ruscello appena uscito dalla fonte.
Perciò Aren riferì a Maula le sue intenzioni, dopodiché uscì dalla casa e si incamminò fuori dal paesino, dove le pendici della montagna alternavano dolci avvallamenti, come quelli dove si appoggiava il Paese della Forza, a immensi strapiombi. Il Sereno era, a quel punto del suo lungo viaggio, largo circa un metro e serpeggiava tra i prati, formando ora piccole cascatelle ora calme pozze d'acqua abbastanza profonde da potercisi sdraiare dentro. Aren ne scelse una, dove, una volta svestito, si immerse. L'impatto con l'acqua fresca risvegliò i sensi del Guerriero, che ci era abituato: aveva sempre amato il contatto con la natura e spesso assieme a Iorec era andato a fare delle nuotate nei rivoli d'acqua presso il Grande Fiume del Sud. Ripensando a quei momenti di spensieratezza, Aren guardò il cielo mentre i pori godevano del freddo tocco dell'acqua. Ora sì che il peggio era seriamente passato.
La mattina passò in pace e tranquillità. Il clima iniziava a farsi più fresco e le foglie degli alberi si stavano ormai ingiallendo: quella calda estate stava ormai volgendo al termine. Aren, seduto a torso nudo in mezzo al pascolo, godeva della carezza del vento sul suo petto e scrutava ammirato la valle del Sereno oltre i tetti di Liethon, poco più sotto. Ad un certo punto vide dal sentiero che proveniva dal paese avvicinarsi la figura di una persona. Aren riconobbe il Guerriero che si era fatto amico durate la sua prima permanenza a Liethon, Rhog. Alzò il braccio in gesto di saluto, ricambiato dall'uomo che lo aveva ormai raggiunto.
‹‹Gira voce che Aren di Val Guerriera sia tornato in paese.›› disse Rhog sedendosi accanto ad Aren. ‹‹Trest ha avvertito il nostro governatore non appena è finito il suo turno di guardia. Ha riferito anche dello stato di Danya.››
‹‹Ero talmente di fretta che non ho prestato attenzione a nulla attorno a me.›› spiegò Aren, al che Rhog scrollò le spalle.
‹‹Capisco perfettamente. Appena abbiamo saputo la notizia questa mattina io e Breune ci siamo precipitati a casa di Maula per aiutarla. Anche la piccola Faldrit voleva aiutare. Adesso sono entrambe rimaste con Maula, mentre io mi sono fatto dire dove fossi per raggiungerti.›› disse. Aren capì che si stava riferendo a sua moglie e alla loro bambina.
‹‹Hai voglia di dirmi cos'è successo?›› domandò il Guerriero con delicatezza.
‹‹Siamo stati attaccati da dei Guerrieri. Volevano soldi.›› rispose Aren ermeticamente. ‹‹Danya ha fatto scudo ad un attacco diretto a me: mi ha salvato la vita.››
‹‹Maula lo sa?››
‹‹Non so come dirglielo, ho paura che non vorrà più avere a che fare con me.›› rivelò il giovane.
‹‹Maula è leale e comprensiva. Dille la verità con la stessa schiettezza con cui l'hai detta a me e apprezzerà la tua sincerità.›› gli consigliò Rogh sorridendo.
Aren fu grato delle parole dell'amico. Quell'uomo aveva sempre le parole giuste per risolvere le preoccupazioni del giovane. Lo capiva, ma in maniera differente da Danya. La ragazza e il giovane avevano condiviso esperienze simili e per questo si comprendevano a vicenda, mentre Rhog era una persona diversa. Era dotato di una straordinaria sensibilità ed empatia e i suoi consigli suonavano confortevoli alle orecchie di Aren, che sapeva di poter contare sempre su di lui. In lui il giovane poteva trovare una guida, un padre. Con non poca amarezza Aren si rese conto che inconsciamente stava cercando di colmare il vuoto che il suo vero padre aveva lasciato abbandonandolo prima ancora che lui potesse ricordarselo: in Merran riconosceva la severità di un genitore, in Rhog ne riconosceva l'affetto. Il giovane sapeva che entrambi non avrebbero mai preso il posto di suo padre, né lui intendeva ricoprirli di quel ruolo, ma riconosceva ora come la sua mancanza fosse stata incisiva. Aren non aveva avuto nessuno a parte sua madre durante la sua crescita e lui si era sempre fatto forza per andare avanti come se non importasse, ma di fronte a ciò che suo padre avrebbe potuto essere non poté fare a meno che immaginarsi come la sua vita sarebbe stata diversa. E faceva male. Tutta la sofferenza che aveva soffocato e ignorato ora traboccava dai suoi occhi e, senza che potesse accorgersene, si trovò a singhiozzare incontrollabilmente.
‹‹Stai bene?›› chiese Rhog preoccupato, ma Aren non riuscì a rispondergli e si strinse le braccia al petto chinandosi in avanti, dandosi quell'abbraccio che suo padre non gli aveva mai dato.
Rhog fece per consolarlo, ma Aren si ricompose, ingoiando il dolore.
‹‹Tranquillo.›› lo rassicurò, schiudendo le labbra in un sorriso malinconico. ‹‹È solo che sono stanco di soffrire per colpa di una persona così codarda. Non ne vale la pena.››
Detto ciò, si alzò e indossò la camicia, ora che si era asciugato del tutto. Rogh non chiese chiarimenti sulla volutamente enigmatica sentenza del giovane e, in silenzio, si alzò a sua volta.
‹‹Penso che tu abbia bisogno di recuperare un po' di forze. Hai già mangiato?›› commentò cambiando argomento, al che Aren scosse la testa.
‹‹Allora ti offro qualcosa a casa mia.›› propose Rogh appoggiando un braccio sulle spalle del giovane e riconducendolo verso Liethon.
Sulla via, Rogh raccontò ad Aren come il paese fosse rimasto di sasso dopo la sua improvvisa partenza e ancora di più dopo la scoperta che anche Danya si era allontanata con lui. Maula, commossa, aveva raccontato alle sue amiche e ai suoi amici della romantica decisione della ragazza in seguito alla discussione avvenuta tra lei e Aren e da allora si era speculato dove fossero finiti i due. La donna aveva inoltre raccontato il resto della storia tra i due giovani, di come si fossero incontrati e innamorati, così che la loro era diventata la storia d'amore preferita del paese, e il loro recente ritorno avrebbe solo consolidato questa opinione. Tutte le persone che Aren e Rogh incontrarono una volta rientrati a Liethon salutarono i due, soprattutto il primo, con entusiasmo. Per le viuzze si respirava una piacevole aria di serenità che sollevò l'animo di Aren: era bello sapere che, dopo tutto quello che era passato, il Paese era ritornato alla normalità.
La casa di Rogh si trovava più lontana dalla chiesa e dal centro, presso l'imbocco del sentiero che portava ai pascoli. Diversamente da quella di Maula, non era incastrata tra le altre, bensì leggermente isolata ed era dotata di un'aia recintata nella quale brucava beatamente qualche capra. L'edificio era interamente in pietra, snello e suddiviso in due piani. L'aiuola frontale e i davanzali delle finestre erano resi vivaci grazie a fiori dai colori sgargianti.
Rogh lo accompagnò all'interno e lo fece accomodare su una sedia.
‹‹Tu rilassati, io vado ad avvertire mia moglie che siamo qui. Torno subito.›› lo informò. ‹‹Se vuoi, puoi prenderti qualcosa da mangiare in cucina, comunque appena torno preparo qualcosa per entrambi.›› Detto ciò, uscì velocemente e dalla finestra Aren lo vide spiccare una corsa verso il centro del Paese.
Rimasto solo e spinto dalla curiosità, il giovane si alzò dalla sedia poco dopo e gironzolò per la casa. Sia esternamente che internamente, essa era decisamente più rurale di quella di Maula. Se quest'ultima era minuta, compatta, piena di oggetti e cianfrusaglie, ma anche accogliente e intima, quella in cui si trovava ora era ariosa, frugale e disordinata. I locali erano più ampi, gli arredi semplici e spogli. Aren non si sarebbe stupito se tutte le mobilie fossero state costruite da Rogh stesso. Il giovane si alzò dalla sedia, che era accostata ad un tavolo di legno di moderate dimensioni. Attorno al tavolo, adagiate alle pareti, c'erano delle panche coperte da numerosi cuscini. Dall'altro lato della stanza si trovava invece la cucina, ampia e ben fornita di banconi in legno e in pietra, credenze e un focolaio. Sulla parete di pietra opposta alla porta d'ingresso si apriva un grande arco che permetteva l'accesso ad un locale più piccolo della casa nel quale si trovava, sulla sinistra, un grande divano, una rampa di scale sulla destra e una porta proprio di fronte che portava al cortile. Pochi oggetti, per lo più di uso quotidiano, si trovavano sopra ai mobili, ma uno in particolare attirò l'attenzione di Aren. Lasciata su una delle panche attorno al tavolo da pranzo, stava la spada di Rogh. Sembrava quasi che essa fosse stata buttata sui cuscini con noncuranza e trascurata per giorni, come se fosse un attrezzo tra i tanti. Ciò fu di singolare impatto per Aren perché mai il Guerriero avrebbe pensato di lasciare la sua personale e fidata arma abbandonata su una panca, un mero oggetto senza valore speciale. Neyrost era l'orgoglio di Aren, il simbolo della sua forza e di ciò per cui aveva lavorato fino a quel momento; nel suo immaginario Aren non si sarebbe mai visto mettere la sua spada in un angolo. Così il giovane prese in mano l'arma di Rogh e la esaminò chiedendosi come mai non avesse un degno posto dove riposare, in attesa del prossimo combattimento. Il fodero era semplice, sobrio ed elegante, fabbricato in candido cuoio, e sembrava volesse rappresentare il vello di un montone. Estraendo la lama dalla guaina, il giovane notò subito alcuni graffi e piccole contusioni che non erano stati rimossi e, nonostante ciò, essa emanava ancora un'aura intimidatoria. L'elsa era stata forgiata in modo da rimembrare una testa caprina: la guardia rappresentava le corna, al cui centro si trovava il muso e sotto ad esso si sviluppava un semplice manico, che terminava con un pomolo costituito da una gemma color bianco latte. La pietra era eccezionalmente bella, poiché nella sua opacità sembrava essere racchiuso un nucleo di frugalità e purezza. Aren si divertì a immaginare un Rogh giovane e bello che impugnava quella spada per la prima volta con la stessa emozione sul viso che aveva avuto anche lui quando aveva preso in mano Neyrost il giorno del suo ventesimo compleanno. La spada di Rogh sembrava ricordare quel momento di tanti anni prima con nostalgia, e con esso tanti altri ricordi nei quali essa soltanto era al centro delle gioie e delle speranze del giovane Guerriero di Liethon. Eppure ora era stata lasciata da sola su una panca ad aspettare la prossima, lontana occasione di essere impugnata di nuovo per combattere insieme al suo padrone contro nuovi nemici.
Mentre Aren formulava questi pensieri, Rogh rientrò nella casa. Aren rinfoderò la lama e fece per restituire l'arma al proprietario.
‹‹Oh, quella appoggiala lì.›› disse questi distrattamente, mentre rovistava tra i mobili della cucina. ‹‹Perdona il disordine, ma siamo in un periodo di sconvolgimento in questa casa.›› si scusò poi con altrettanta vaghezza.
Aren adagiò delicatamente la spada dell'amico dove l'aveva trovata, amareggiato dal povero trattamento che le era ormai riservato. Intanto, Rogh aveva sistemato sul tavolo due piatti, nei quali aveva preparato delle fette di pane e formaggio fuso, e due bicchieri d'acqua. I due si sedettero e iniziarono a mangiare, Aren con particolare foga. Il formaggio fuso, spalmato sul pane, era di una squisitezza come poche ne aveva assaggiate in vita sua, ma forse ciò era dovuto al fatto che il suo stomaco brontolava ancora per la fame. Rogh, invece, si limitò a dare qualche morso a una fetta e non distolse gli occhi di dosso ad Aren per tutto il tempo. Sembrava soddisfatto.
‹‹Cosa?›› domandò Aren con la bocca piena di cibo.
‹‹Niente.›› liquidò l'altro, ridendo sotto ai baffi. ‹‹E ora, che farai?›› gli chiese poi.
‹‹Rimarrò finché Danya non migliorerà.›› lo informò il giovane. ‹‹Non appena ciò accadrà partirò senza perdere altro tempo.›› Rogh rimase per qualche secondo in quieta contemplazione, mentre Aren finì voracemente il suo pasto.
‹‹Vuoi sapere una cosa strana?›› propose poi l'uomo, al che Aren annuì. ‹‹Pochi giorni prima del tuo arrivo qui a Liethon era arrivato un altro viaggiatore. Era un personaggio davvero misterioso: viaggiava a piedi e teneva sempre su di sé un mantello mimetico. Aveva l'aria di aver corso ininterrottamente per mesi e mesi, ma, a parte una comprensibile stanchezza, era in forze e in salute. Ci rivolgeva la parola in Algoriano, eppure ogni volta che noi usavamo il Guerriero sembrava comprendere ogni parola. Cercava protezione per un paio di giorni, dopodiché si fece dare le indicazioni per raggiungere Norifort, la capitale degli Aegan. Qui viene la parte più strana: l'unica volta che sono riuscito a scorgere il suo viso è stato prima che partisse, gli ho visto due occhi azzurri, schivi e sinceri, spaventati e poco sicuri, come se non lui non sapesse chi fosse...››
Aren non riusciva a capire cosa volesse dire Rogh con quelle parole. A lui non sembrava diverso da un normale e misterioso pellegrino.
‹‹So che ti può sembrare nulla di che, e anche io non ci feci caso allora, ma segui il mio discorso.›› lo assicurò Rogh. ‹‹Poco dopo, saranno stati due, tre giorni al massimo, sei arrivato tu assieme a Danya. Quasi tutto il paese mormorava di voi e poi sono comparsi i Barbari. Prima della battaglia, quando ci siamo conosciuti, è stata la prima volta in cui ho potuto parlare con te e nel momento in cui ti ho visto in faccia... Aren, posso assicurarti che i tuoi occhi erano identici a quelli del misterioso forestiero. Stessa forma, stessa sfumatura, stessa espressione.››
Queste ultime parole attirarono la curiosità del giovane e gli procurarono un ronzio di mille pensieri che si frapponevano tutti tra di loro. In effetti, poteva sembrare una strana coincidenza, ma poteva anche essere che Rogh stesse leggendo troppo fra le righe.
‹‹Non è nessuno che conosci, vero? Nessuno della tua famiglia?›› Aren scosse la testa.
‹‹Me lo aspettavo.›› sospirò l'altro Guerriero. ‹‹Perché, a parte gli occhi, era comunque diverso da te: decisamente meno muscoloso di te, più basso, i suoi capelli erano di colore bruno-dorato e i lineamenti del viso più fini. Ma la cosa che mi dà da pensare sono queste strane coincidenze: due forestieri nell'arco di tre giorni, guarda caso hanno un tratto in comune, e subito dopo l'improvviso attacco dei Barbari guidati da un misterioso cavaliere dall'armatura nera...››
Non ci fu modo di continuare la conversazione perché dalla porta entrò la piccola bambina che Aren aveva visto in braccio a Breune, la moglie di Rogh, alla fine dell'attacco dei Barbari. Aveva attorno ai cinque anni, col tipico viso paffuto dei bambini di quell'età e dei vispi occhi grigi. I ricci capelli neri erano lunghi fino a metà schiena e, poiché la bambina si muoveva con particolare irruenza, le volteggiavano voluminosi tutt'intorno alle spalle.
‹‹Papà! La mamma ha detto che tu e il Guerriero alto e forte dovete venire subito alla casa di Maula!›› annunciò appena entrata, per poi alzare il mento, fiera di aver portato a termine il suo compito. Aren arrossì, capendo che "il Guerriero alto e forte" erano state le parole usate dalla moglie di Rogh per descriverlo alla bambina. Non aiutò il fatto che lei gli puntò gli occhi addosso con schietta curiosità, squadrandolo in ogni piccolo dettaglio.
‹‹Grazie, Faldrit.›› Rogh si alzò e le accarezzò la testa con affetto, prendendola poi per mano. ‹‹Facci strada.››
Il Guerriero si lasciò trascinare per la mano dalla bambina lungo la strada, mentre Aren li seguiva divertito un paio di passi più indietro.
Giunti a destinazione, Faldrit corse tra le braccia della madre, che li stava aspettando nel salotto della casa di Maula. Rogh si accostò a Breune e posò le labbra su quelle della moglie. Aren fu l'ultimo ad entrare, ma probabilmente il primo ad accorgersi del motivo della loro chiamata, perché dalla porta aperta della camera da letto si sentiva provenire una fioca voce. Il giovane sul momento non riuscì a credere alle proprie orecchie e, mentre dentro di lui cresceva la speranza, raggiunse con ampi passi l'entrata della stanza da letto.
Vide Maula china su Danya, intenta ad asciugare la fronte della ragazza con un panno. La ragazza aveva gli occhi aperti e sussurrava parole di ringraziamento nelle orecchie della balia. Davanti a quella scena, Aren perse ogni concezione di tempo. Non esisteva più niente, solo la figura distesa di Danya. Viva. Maula, accortasi di lui, gli fece silenziosamente cenno di entrare, ed il giovane si mosse con cautela, quasi avesse paura di rompere qualcosa di fragile. Nel vederlo, gli occhi di Danya si illuminarono e le pallide labbra sillabarono, mute, il suo nome. Aren s'inginocchiò al lato del letto e si lasciò accarezzare la guancia dalla mano che la ragazza aveva sollevato, si lasciò sciogliere il nodo di emozioni da quel tocco affettuoso. Dopodiché, prese la stessa mano tra le sue e la portò alle labbra. Era calda.
‹‹Non mi dici niente?›› mormorò ironicamente Danya. Illuminata dal sole che filtrava dalla finestra, la sua pelle era pallida come ceramica, ma già pareva stare riprendendo un tenue color rosa. Il cuore di Aren batteva così forte che dalla sua gola non uscì alcun suono, non aveva parole per esprimere quello che sentiva dentro di sé. Si limitò a tenere la mano di Danya stretta nella sua, sotto il tocco delle sue labbra, a percepire la vita scorrere sotto la pelle. Sentiva come se, lasciando andare quella vita, avrebbe rischiato di perderla ancora una volta. Sull'orlo delle lacrime, non riusciva a trovare parole da pronunciare. Danya intuì immediatamente il suo stato d'animo.
‹‹Vieni qui.›› lo incalzò quindi, aprendo leggermente le braccia per accogliere il busto di Aren. Questi, dopo un secondo di esitazione, si lasciò avvolgere dal delicato tepore del corpo della ragazza e il nodo che sentiva dentro di sé si sciolse. In quel momento, aveva un solo desiderio, pur sapendo che col passare dei giorni esso non avrebbe avuto soddisfazione. Eppure ogni fibra del giovane anelava ad esso con la più tenera ed esitante passione, e dalle sue labbra sfuggirono in un sussurro parole dettate dal cuore.
‹‹Resta con me.››
Passarono un po' di giorni, nei quali Aren e Maula si dedicarono completamente alle cure di Danya, che si riprendeva sempre più velocemente, come per miracolo. A Merran andarono spesso i ringraziamenti di Aren per l'unguento guaritore che gli aveva dato. Il giovane non sapeva fino a che punto il rimedio avesse influenzato la guarigione di Danya, ma era sicuro che grazie ad esso il rischio che lei non ce l'avesse fatta si era assottigliato non di poco; tuttavia, non aveva più osato applicarlo dopo quella prima notte e, in effetti, sembrava che il suo effetto perdurasse a lungo. Quando, però, le influenze benefiche dell'unguento di Merran e delle erbe di Maula andavano scemando, il dolore alla ferita si faceva sempre più intenso e Danya lo combatteva con tutte le sue forze. In quei momenti Aren non la lasciava nemmeno per un secondo, porgendole la mano che era diventata rossa a forza di essere stretta forte durante le fitte peggiori, mentre Maula accorreva ad applicare le sue paste di erbe mediche e i suoi sciroppi che sedavano la sofferenza. Per distrarla, Aren si era inventato una storia che le raccontava a episodi, narrante le avventure di una Guerriera che affrontava mille pericoli per trovare la sua sorella perduta. Non era una storia che spiccava per l'originalità, né Aren aveva le migliori doti di narratore, ma Danya apprezzava sempre l'impegno del giovane a rendere le vicende avvincenti. La ragazza manteneva una tenacia e una vitalità che Aren ammirava profondamente.
Quando Aren aveva bisogno di distrarsi dal teso clima della casa di Maula, andava a trovare Rhog. Spesso lo aiutava a lavorare, poiché la moglie dell'amico, da poco rimasta incinta, non riusciva ad assisterlo come era solita fare. Inoltre, in casa, c'era bisogno di forza e manodopera per preparare tutto il necessario per l'arrivo del nascituro ed Aren fu ben contento di prestare i suoi muscoli a servizio degli amici. Rhog era un pastore di capre, perciò, quando non c'era da lavorare in casa, portava Aren nei pascoli sopra Liethon assieme al gregge, mostrandogli quanto amore e cura si dovesse dare ad ogni singolo membro del gregge. Rhog conosceva ogni singola capra, dal più anziano e ottuso montone al capretto appena nato. La passione che legava Rhog ai suoi animali fece capire ad Aren che l'amore è veramente universale e lega ogni singolo essere vivente che sa aprire il suo cuore, lo domina con una forza irresistibile. Rhog sarebbe stato un ottimo padre, Aren ne era certo.
Gradualmente, Danya recuperò sempre più forze e in pochi giorni riuscì a reggersi in piedi, tra le lacrime commosse di Maula e l'euforia di Aren, che il giovane mascherava dietro un burbero sorriso di soddisfazione e a commenti di incoraggiamento. Cercava di trasmettere a Danya un'impressione di serenità e calma; inoltre, stava allenando la sua capacità, al momento ancora poco sviluppata, di controllare le sue reazioni. Aren era impulsivo, si lasciava trascinare facilmente dalle emozioni e ciò gli aveva procurato dei guai durante questa prima parte del suo viaggio. Il giovane era certo che non avrebbe mai perso questa sua caratteristica, ma era altrettanto certo che con un po' di allenamento sarebbe riuscito ad arginare almeno un po' le sue reazioni eccessive. Voleva essere un'ancora di sicurezza per Danya quanto la ragazza lo era per lui. Anche quando Danya fu in grado di sostenere delle passeggiate più lunghe, Aren era sempre pronto a porgerle il braccio per sostenerla. I due andavano spesso a girare per i pascoli o lungo i sentieri tra i boschi ad assaporare ogni momento di pace che la natura gli donava. Con loro, i gatti Phebe e Phrede, che non lasciavano Danya mai da sola. Evidentemente, si erano assunti il ruolo di guardiani della ragazza ed Aren non poteva che esserne felice. Ora che Danya era quasi del tutto ripresa, non sarebbe mancato molto alla sua partenza, che continuava ad essere rimandata. Ci volle Rogh a convincerlo e, finalmente, i due stabilirono una data, che ad Aren sembrava troppo prossima. Il fatto era che, per quei giorni in cui era rimasto a Liethon, aveva lasciato da parte la Missione, pur sapendo che sarebbe dovuto partire al più presto. Per quel poco tempo aveva vissuto come se fosse già tutto finito, come se fosse già tornato a Saithon vittorioso. Una vita tranquilla e pacifica, dedicata alla famiglia e al lavoro. Ebbe tempo di riflettere sulla vita e sui suoi valori. Perciò passò i suoi ultimi giorni a Liethon mettendo la parte il pensiero della partenza, regalando solo sorrisi e allegria alle persone che gli stavano attorno, sentendo ogni minuto scorrere via.
Fu così che si trovò sotto le rosse fronde di un acero, su un terrazzino di terra proprio sopra Liethon, dal quale si poteva vedere il paese nella sua normale attività e, oltre ad esso, l'intera valle, dove il Sereno virava bruscamente verso Ovest. Il cielo era limpido, di un azzurro intenso e sereno. Soffiava una brezza rinfrescante, il caldo afoso se n'era definitivamente andato. Aren era mano nella mano con Danya, ormai in convalescenza e quasi del tutto ripresa. Il Guerriero non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ragazza, che quel giorno, in particolare, splendeva come un piccolo raggio di sole, allegra e saggia come aveva dimostrato di essere durante il loro viaggio assieme. Indossava un semplice vestito giallo e bianco e i capelli rossi erano legati in due code che cadevano sulle sue spalle. Aren soffocò un sorriso spontaneo di felicità in una piccola risata nervosa, pensando per l'ennesima volta che, sì, Danya splendeva per lui. L'aveva portata lì per prendere coraggio e rivelarle infine che l'indomani sarebbe ripartito. Non solo, doveva anche raccontarle del sacrificio che aveva fatto per farsi portare a Liethon da Merran. Esitava, perché ammettere l'accaduto era come rinunciare per sempre al futuro con Danya che aveva sognato per quei giorni. Fu lei a rompere il ghiaccio.
‹‹Grazie per avermi portato quassù, avevo bisogno di uscire dal paese.›› affermò, alludendo al fatto che gli abitanti di Liethon, in particolar modo le amiche e gli amici d'infanzia di Danya, spesso si recavano a casa di Maula per accertarsi della salute della Guerriera. Questa apprezzava le loro attenzioni, ma Aren capiva che ogni tanto lei sentiva il bisogno di stare da sola.
‹‹Pensavo che ti avrebbe fatto bene un po' d'aria, stare nei boschi...›› balbettò il giovane, che sentiva in gola la sua decisione che premeva per essere rivelata, ma che veniva presto bloccata.
‹‹Lo sai che adoro fare queste passeggiate con te.›› aggiunse Danya, ed Aren colse una leggera nota di malizia nella sua voce, ma non ci fece molto caso perché queste ultime parole gli avevano ricordato che non era giusto lasciare Danya all'oscuro. Quella sarebbe stata la loro ultima passeggiata e Danya aveva il diritto di saperlo.
‹‹Ho deciso di partire domani.›› annunciò quindi il giovane, prima che gli venissero ripensamenti.
‹‹Lo so.›› rivelò inaspettatamente la ragazza. ‹‹Sarò ancora debole, ma sono capace di osservare, inoltre ti ho sentito parlare con Rogh l'altro giorno.››
Aren si grattò la nuca in imbarazzo. Sapeva che a Danya non aveva fatto piacere essere rimasta all'oscuro di questa decisione, ma era comunque sicuro che la ragazza avrebbe ascoltato, se non condiviso, le ragioni dietro alla sua reticenza.
‹‹Come mai non volevi dirmelo?›› domandò Danya in completa calma.
‹‹Non è che non volessi dirtelo, semplicemente è un argomento un po' difficile e volevo prendermi il mio tempo. Infatti, non posso andare senza prima... Devi prima sapere di una cosa che ho fatto, e non penso ti piacerà.›› precisò Aren, incespicando un po' con le parole perso com'era nei suoi caotici pensieri. Incalzato da Danya, inspirò profondamente e continuò. ‹‹Per portarci qui da Nuelthen Merran ha dovuto compiere un rituale magico... ecco, per farlo funzionare era necessario che io sacrificassi qualcosa che fosse a noi caro.›› Si interruppe, forse avvertendo davvero per la prima volta le conseguenze di ciò che aveva fatto.
‹‹È stata la prima cosa che mi è venuta in mente, ero molto agitato e mi era sembrata una giusta decisione...›› cercò quindi di giustificarsi, forse per convincere più se stesso, ma Danya lo zittì sfiorandogli le labbra con un dito.
‹‹Aren, tranquillo. Dimmi tutto.›› lo incoraggiò. Aren distolse lo sguardo da quei vispi occhi smeraldini per seguire il volo di un uccello lontano nel cielo. Senza comprenderne bene il motivo, sentì gradualmente emergere il coraggio da dentro il suo petto.
‹‹L'Onore. Ho rinunciato per sempre all'Onore, alla possibilità di sposarmi con te.›› rivelò infine di getto, mentre il peso di quella decisione gli pesava sulla coscienza.
‹‹È questo ciò che ti preoccupa?›› chiese Danya sorridendo. Intanto, col pollice, accarezzava il dorso della mano di Aren. ‹‹Che senza l'Onore non possiamo stare assieme?››
All'annuire un po' esitante del giovane, la ragazza scoppiò in una piccola risata, leggera e spensierata. Aren in un primo momento rimase di sasso, ma poi si lasciò trasportare dalle risa della Guerriera e gli sfuggì un lieve, timido sorriso.
‹‹Che c'è? Perché ridi?›› le domandò arrossendo.
‹‹Quando tutto sarà finito, noi vivremo assieme. Non mi interessa l'Onore, non mi interessano le tradizioni, non mi interessa niente di quello che potranno pensare gli altri. Io so quello che voglio.›› lo rassicurò Danya, ancorando Aren al suolo con l'intensità del suo sguardo. ‹‹Tu rinunceresti a me perché gli altri non ti danno il permesso di sposarmi?››
‹‹No!›› esclamò il Guerriero, arrossendo ancora più violentemente. ‹‹Assolutamente no, però... Vuoi andare contro alla nostra società e alle nostre regole?››
‹‹Sì, Aren. Io voglio stare con te, senza condizioni.›› confermò Danya ed Aren avvertì una calda sensazione crescere dentro di sé. Sapere che la Guerriera era disposta ad uscire dalle consuetudini della loro società perché il loro rapporto valeva per lei di più di vecchie tradizioni gli ribadì quanto lei lo stimasse e supportasse. Sentì crescere dentro di sé un fuoco ribelle che mai aveva sentito prima. Anche lui stimava Danya più di qualsiasi altra cosa e, per la prima volta nella sua vita, pensò che non gli importasse niente delle regole che aveva imparato ad amare e a rispettare fin da piccolo, che le avrebbe infrante per ottenere la felicità che si meritava con la persona che amava. Questa fiamma ardeva di un'intensità tale che il giovane quasi si dimenticò di tutta la sua vita, volta a prepararlo per inserirsi nella società dei Guerrieri, perché la sua mente era tutta proiettata verso il futuro.
‹‹Allora prometto che porterò a compimento la Missione per te.›› affermò con voce vibrante di speranza, stringendo le mani dell'amata. ‹‹Tornerò qui e vivremo assieme da qualche parte... e voglio prometterti che ti tratterò con il mio massimo rispetto, donerò a te tutto il mio affetto e mi impegnerò per rendere la nostra vita perfetta...››
Si interruppe con la sensazione di dover riprendere fiato, ma in realtà si trattava dell'emozione che lo animava da capo a piedi. Le parole non riuscirono più ad esprimere ciò che provava dentro di sé, e semplicemente guardandosi negli occhi, Aren e Danya si scambiarono silenziose promesse. Fu il giovane che, tentando di tenere il cuore fermo con delle briglie, cercò la dolcezza delle labbra di Danya, ed in esse trovò la certezza del loro futuro insieme. Ora il giovane sapeva che dopo la Missione ci sarebbe sempre stata la sua vita con lei, e non era mai stato così felice. I due si strinsero l'uno nelle braccia dell'altro, avvolti in un'aura di sogni e speranze, in una sinfonia di gioia e risate. Dietro di loro, celati dall'ombra delle fronde, i misteriosi gatti Phebe e Phrede vegliavano sui due innamorati per garantire un momento di pace. Il sole brillava austero, il vento soffiava delicato e gli alberi sussurravano tra loro dolci parole.
Quella sera, al tramonto, Aren tornò da solo in quella radura al limitare del bosco per osservare la valle. Si fermò sotto un acero, ripassando con una sensazione di nostalgia ricordi d'infanzia affiancati ad avvenimenti più recenti. In quel momento cadde la prima foglia d'autunno, vorticando sopra la testa di Aren per posarsi infine ai suoi piedi. Prendendola tra le mani, il giovane tornò con la mente a quel giorno d'estate, che sembrava così lontano, in cui un Guerriero poco più che ragazzo aveva detto addio a Saithon, alla sua casa, per affrontare un viaggio pieno di gloria e fantasie. Da Liethon, invece, entro poche ore sarebbe partito un uomo, che ha imparato molto e che ha ancora molto da imparare. Era arrivato il momento di mettere da parte gli epici sogni della sua infanzia, per porsi infine di fronte alla realtà del suo obiettivo e conseguirlo con umiltà e determinazione. Tuttavia, Aren era certo che non avrebbe lasciato spegnere il fuoco che ardeva dentro di lui, alimentato da tutto quello che gli era capitato, da tutte le persone che aveva imparato ad amare. Il Guerriero si vide sfilare davanti agli occhi tutte le persone che aveva lasciato indietro e le promesse che aveva fatto loro, e che avrebbe serbato per sempre nel cuore. Iorec, il suo amico, rappresentava la promessa di non dimenticare mai Saithon e la sua infanzia passata lì con lui; a sua madre Adrenea aveva promesso il suo ritorno con l'Onore, per renderla orgogliosa e ridarle la felicità; a Danya aveva promesso il suo amore e la sua fedeltà. Infine, il giovane decise di fare una promessa a se stesso, di non arrendersi e di continuare a lottare per diventare una persona migliore. E mentre il vento autunnale gli soffiava tra i capelli, Aren volse gli occhi al cielo e capì che la sua vera avventura era appena cominciata.
FINE PRIMA PARTE: IL GUERRIERO
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