CAPITOLO 10 - L'ATTACCO DEI BARBARI

Tutta Liethon era in fermento. Tra le vie del Paese, illuminate da lanterne e torce, tutti correvano da una parte all'altra per prepararsi all'attacco dei Barbari. Gli uomini correvano alle proprie case per attrezzarsi con armi e armature, e una volta lì salutavano la loro famiglia consapevoli che quella poteva essere l'ultima volta che si sarebbero visti. Le donne erano indaffarate a preparare provviste e medicazioni per i mariti; assieme ai bambini e agli anziani che non erano in grado di combattere, sarebbero rimaste nel Paese, pronte a morire combattendo anche a mani nude contro i Barbari. Era certo che nessun Guerriero sarebbe fuggito senza combattere per proteggere la loro casa. Una volta pronti, gli uomini si recavano fuori da Liethon, seguendo il sentiero che scendeva dallo spuntone su cui si poggiava il paese fino al piano della Valle dei Fiumi, dove il terreno si allargava per via del passaggio del Sereno. Lì, i Guerrieri stavano preparando in gran fretta un rudimentale accampamento con tronchi di legno e tende, in modo che i Barbari avrebbero dovuto prima smantellare questo e uccidere ogni uomo che vi stava e poi salire al Paese e combattere con le donne, i bambini e gli anziani che, nonostante la netta inferiorità di forza fisica e armamento, avrebbero difeso le loro case fino all'esalazione del loro ultimo respiro. Anche i Barbari intanto preparavano un accampamento, perciò non c'era ancora pericolo che il loro esercito attaccasse quello Guerriero. Il tempo non aiutava a rendere facile il tutto. Infatti le nuvole che avevano coperto il cielo quella notte si erano rivelate cariche di pioggia e una mezz'ora dopo l'arrivo dei Barbari aveva iniziato a piovere.

Aren era subito corso a preparare l'accampamento con gli altri Guerrieri, coi pantaloni sporchi di fango, la camicia fradicia appiccicata al busto e i capelli grondanti sulla fronte e sugli occhi. Non smise di lavorare neanche quando i muscoli gli bruciavano a furia di issare pali e piantarli nel terreno, perché aveva intenzione di impegnare tutto se stesso nel proteggere il Paese della Forza, la casa di Danya, e la casa di molte altre persone. Poco gli importava che ci avesse passato solo qualche ora, ma il suo palmo era fasciato per mendicare la ferita che lui si era inflitto giurando di combattere fino alla fine; e il bruciore che gli attanagliava la mano lo spronava ad andare avanti ignorando la fatica.

Quando infine l'accampamento fu pronto e ogni Guerriero fu giunto, iniziò l'armamento. Tutti gli uomini di Liethon erano già dotati delle proprie armature, che venivano donate ai Guerrieri una volta tornati a casa dopo aver portato a termine una Missione, e tutti avevano le proprie armi. Molti di loro si erano già preparati a casa loro, perciò Aren era uno dei pochi ai quali bisognava prestare qualcosa. Così gli venne concessa l'armatura di un vecchio Guerriero, ormai zoppo, che da giovane aveva sviluppato una corporatura massiccia come quella di Aren. Il giovane ringraziò più volte il Guerriero, che si era recato all'accampamento per guidare l'esercito di Liethon dalle retrovie, e questo gli disse che la sua armatura non poteva essere più fiera poiché era indossata da un coraggioso giovane dal nobile cuore.

Ormai, comunque, tutti i preparativi erano stati portati e termine e gli uomini di Liethon aspettavano all'interno dell'accampamento l'ordine di attacco da parte del governatore e dei capitani, che si erano ritirati in una tenda per discutere di strategia. I Guerrieri parlavano tra di loro, scherzavano e si scambiavano sorrisi e gesti di affetto. Aren, invece, non riusciva a calmare il battito del suo cuore: il pensiero che stesse per affrontare la sua prima vera battaglia gli soffocava ogni altra sensazione. Stava seduto con la schiena appoggiata alla palizzata e provava in tutti i modi a distrarsi, ma invano. Cercava il contatto con Neyrost, sperando che l'arma gli liberasse quell'enorme peso dallo stomaco, ma questa gli sembrava fredda come la morte al tocco. Continuava a ripetersi che era da tutta la vita che si preparava a un momento simile e che sarebbe stato pronto a qualsiasi imprevisto, ma sentiva nelle viscere che non era così: aveva di fronte l'ignoto e nessun addestramento gli avrebbe mai dato l'esperienza vera di un campo di battaglia. La prospettiva di una morte in combattimento gli incuteva l'animo di puro terrore, e lui se ne vergognava immensamente. In quello stato d'animo, con la mente e il corpo liberi dall'impegno del lavoro come lo erano stati fino a quel momento, non poteva credere di essersi messo in una tale situazione. Non esisteva un paese da difendere, non esisteva Danya: esisteva solo la cruda realtà della morte.

Mentre era immerso in quei pensieri gli si affiancò un uomo robusto sulla quarantina, con i capelli neri bagnati sulla fronte e una folta barba che gli copriva le guance e la mascella. Aveva gli occhi grigi contorniati da lievi rughe, e questi incontrarono quelli di Aren restituendogli uno sguardo paterno.

‹‹È la prima volta?›› gli domandò con una voce profonda e amichevole, e nel mentre si sedette accanto al giovane.

‹‹Si nota tanto?›› chiese Aren di rimando preoccupato di stare dando una cattiva impressione agli occhi degli abitanti di Liethon.

‹‹Un po'.›› rivelò l'uomo con un sorriso. ‹‹Ma è normale.›› Aren rabbrividì per via di una fredda goccia di sudore che gli scivolò lungo la spina dorsale.

‹‹Anche per te è stato così?›› domandò con la voce tremante. L'uomo sospirò, riportando alla mente vecchi ricordi.

‹‹Certamente, ed esattamente come a te un uomo con più esperienza di me mi consigliò su come tranquillizzarmi prima delle battaglie.›› rispose. Aren si chiese in che tipo di battaglia si fosse trovato il Guerriero, e chissà quante altre ne avesse combattute.

‹‹E ha funzionato?›› continuò a interrogarlo. ‹‹Non hai più paura?›› l'uomo rise di gusto.

‹‹Certo che ho paura, ma so come controllarla.›› disse sorridendo. Aren ne rimase stupito: l'idea di poter reprimere la morsa che gli attanagliava le viscere gli sembrava impossibile.

‹‹Come fai?›› chiese avido di sapere. Il giovane iniziava a provare una specie di simpatia e ammirazione verso quel Guerriero così amichevole e generoso.

‹‹Cerco di tenermi occupato, così non penso alla battaglia.›› svelò questi sorridendo.

‹‹È quello che ho cercato di fare fino ad adesso, ma ora non ho niente da fare se non pensare.›› replicò Aren amareggiato. ‹‹Non c'è un altro modo?›› il Guerriero assunse un'espressione pensosa.

‹‹Beh, puoi provare a pensare a dei bei ricordi, ma non credo che in questo momento ne avrai bisogno.›› illustrò l'uomo. Aren ora si sentiva confuso: come mai non avrebbe dovuto cercare di distrarsi? Notando l'espressione di Aren l'uomo provvide a fornirgli una spiegazione.

‹‹Vedi, in questo momento ci sono io a farti compagnia così da distrarti dal pensiero della battaglia. È vero o no che ora ci stai già pensando di meno?›› spiegò l'uomo con il suo sorriso amichevole ancora sul volto, ed Aren con un sussulto riconobbe che effettivamente un po' di quel peso se n'era andato.

‹‹E vedrai che tra qualche minuto starai già meglio, Aren.›› continuò il Guerriero. Aren rimase sorpreso del fatto che il Guerriero sapesse come si chiamava e involontariamente emise un verso di sorpresa. Evidentemente questi se ne accorse, perché rise di nuovo.

‹‹Ora sei famoso, qui.›› spiegò. ‹‹Tutte le donne non fanno altro che parlare di Aren di Val Guerriera, il Guerriero che giurò di proteggere Liethon. Hai lavorato instancabilmente per ore sotto la pioggia senza neanche aver passato più di un'ora scarsa qui da noi prima che arrivassero i Barbari. Inoltre, sei colui che ha riportato Danya a casa.››

Nel sentire quelle parole, Aren si perdette nei propri pensieri. Gli venne in mente che se in quel momento si trovava lì, in bilico tra la vita e la morte, era perché voleva restituire a Danya una vita felice. Durante il loro viaggio insieme, il giovane aveva visto quanta allegria potesse esprimere la ragazza, e lui stesso era finito per innamorarsi di quella sua allegria, perciò ora lui voleva poterla vedere di nuovo allegra come lo era stata in precedenza. Per poterlo fare, aveva messo a rischio la sua stessa vita. Era forse questo il significato dell'essere un Guerriero?

‹‹Ti piace? Danya, intendo.›› intuì l'uomo, riportando Aren alla realtà degli eventi. Quest'ultimo ingoiò brutalmente della saliva dalla sorpresa e finì così per tossire violentemente.

‹‹Come...?›› chiese con le lacrime agli occhi per il troppo tossire.

‹‹Maula è una gran pettegola, Aren, e un'acuta osservatrice. Inoltre te lo si legge in faccia.›› spiegò il Guerriero, mentre il giovane arrossì violentemente. Questo diede conferma alla domanda dell'uomo, la cui espressione si addolcì, come se stesse parlando ad un suo figlio innamorato.

‹‹È una bella ragazza, e una buonissima persona. Ha solo diciassette anni, ma è matura e intelligente, molto più delle sue coetanee. Non tutti la capiscono, qui a Liethon, ma tutti le vogliono bene. Non fartela sfuggire.›› gli consigliò. Aren, ancora una volta, non seppe bene cosa dire, imbarazzato nel mostrare cosa provava per Danya. Era in effetti la prima volta che affrontava l'argomento con chiunque al di fuori di se stesso, perciò non aveva effettivamente idea di come la gente l'avrebbe presa. L'uomo, sorprendentemente per Aren, rise di nuovo e gli diede un'energica pacca sulla spalla, ma ciò non gli diede fastidio, anzi, gli strappò un sorriso.

‹‹Rilassati, tra uomini ci si intende.›› esclamò quindi l'uomo e gli fece l'occhiolino. A quel punto Aren rimane positivamente spiazzato: quel Guerriero lo considerava effettivamente un uomo pari a lui, non un ragazzo un po' cresciuto, inesperto e impulsivo. Persino Aren non si definiva un uomo, perché sapeva che per arrivare ad un punto di completa maturazione gli sarebbe servito ancora del tempo, invece all'uomo tutto ciò non interessava. Per lui anche un Guerriero che non era mai stato in guerra e ancora doveva dichiararsi alla ragazza che gli piaceva, come lo era Aren, si trattava a tutti gli effetti di un uomo. La cosa che lo sorprendeva ulteriormente era il fatto che il Guerriero era un perfetto sconosciuto per Aren, ma questa distanza era come scomparsa. Il giovane si sentì finalmente un po' più confidente con se stesso.

L'uomo, intanto, gli aveva porto la mano.

‹‹Comunque, io sono Rhog.›› si presentò. Aren gliela strinse con energia, sorridendo genuinamente forse per la prima volta dall'inizio di quella lunga notte.

Così, Rhog stette a fargli compagnia senza lasciarlo un secondo, chiedendogli di raccontare qualche aneddoto della sua infanzia a Saithon, e Aren si sentì veramente meglio, poiché grazie a lui non doveva più passare il tempo sperando che la terra sotto di lui svanisse.

Mentre i due Guerrieri parlarono, il sole iniziò a sorgere dietro alle montagne, mentre dal cielo aveva smesso di piovere, e l'accampamento si riempì di sollievo e ottimismo: gli uomini di Liethon avevano finito di sistemarlo infatti prima del mattino, mentre i Barbari erano ancora alle prese con le ultime sistemazioni. I nemici, perciò, non erano stati pronti per sferrare un attacco nel momento in cui i Guerrieri erano più vulnerabili, sfruttando l'effetto sorpresa e una notte piovosa e senza luna. Proprio nel momento dell'alba, il Governatore e i capitani uscirono dalla loro tenda.

Il corno che annunciava l'inizio dell'offensiva contro i Barbari suonò poco dopo, al che tutti i Guerrieri di Liethon si recarono alla porta tra le palizzate esterne dell'accampamento pronti per dare battaglia. Anche Aren e Rhog si alzarono da terra e raggiunsero gli altri Guerrieri. Ora che non mancavano che pochi minuti all'inizio dei combattimenti, Aren non aveva più nulla che riuscisse a distrarlo dal pensiero che presto avrebbe dovuto uccidere altri uomini. I suoi occhi si riempirono delle immagini della lotta contro l'assassino, quella notte nella Locanda dal tetto verde. Ormai aveva superato la crisi, ma non avrebbe mai scordato la prima vita che aveva tolto, il senso di colpa che gli aveva offuscato la mente, e gli occhi dell'uomo che si spegnevano inesorabilmente davanti al suo sguardo impotente.

Un eccitante senso di adrenalina serpeggiava invece tra gli uomini di Liethon in attesa che il Governatore iniziasse il suo discorso esortativo. Quest'ultimo si stava sistemando in testa all'esercito, proprio di fronte alle porte ancora chiuse dell'accampamento.

‹‹Uomini di Liethon, i Barbari attaccano la nostra roccaforte! Avranno armi più forti del passato, ma noi li abbiamo sempre sconfitti grazie alla nostra superiorità in qualità di tattica. Non spezziamo la tradizione!›› urlò infine ai Guerrieri.

Fu un discorso molto breve e conciso, ma questi riposero comunque con un fortissimo ruggito collettivo, al quale si unì l'eco di un altro grido proveniente da lontano: quello delle donne e degli altri abitanti di Liethon, che dal Paese osservavano ogni cosa che accadeva giù nella valle. La voce delle mogli, dei figli e delle figlie, dei padri e delle madri, gonfiò di ulteriore coraggio il petto dei Guerrieri, i cui occhi si riempirono di lacrime. Anche Aren si sentì rinvigorito dal coraggioso incitamento del Paese e, pensando che tra quelle voci c'era anche quella di Danya che urlava per lui, ogni preoccupazione svanì, rimpiazzata dal più determinato obiettivo di combattere per lei. Finalmente le porte si aprirono e le truppe uscendo si schierarono secondo i dettami del Governatore, per poi avanzare a passo di marcia in direzione dell'accampamento dei Barbari. Il paesaggio era costellato qua e là da piccole collinette, un po' scomodo per una battaglia, ma vantaggioso per i Guerrieri, poiché in questo modo la valle permetteva ai nemici una sola via di fuga: quella da dove erano venuti. Aren, in prima linea, fremeva dall'eccitazione. Davanti a lui, infatti, una spessa linea nera si ingrandiva sempre di più a mano a mano che i Barbari si avvicinavano a loro volta.

Quando i due eserciti furono abbastanza vicini da potersi guardare in cagnesco, il campo di battaglia si riempì di un pesante silenzio. Da una parte i Barbari, selvaggi, rozzi e disorganizzati, dall'altra i Guerrieri, fieri e addestrati fin dall'infanzia. Il morale dei Guerrieri era alle stelle, sicuri della vittoria. I due eserciti si fronteggiarono silenziosamente per un po' e i Barbari iniziarono presto a cedere alla pressione. Si trattava, questa, di una tipica strategia Guerriera: annientare la tattica del nemico confondendolo in partenza; in questo modo i Barbari, non capendo quando i Guerrieri li avrebbero attaccati o quali fossero le loro intenzioni, non si sarebbero scagliati subito contro gli uomini di Liethon. Alla fine la situazione si sarebbe potuta risolvere in due modi: o i Barbari avrebbero attaccato per primi, mettendosi in situazione di svantaggio poiché i Guerrieri avevano una posizione molto più favorevole rispetto alla loro, oppure sarebbero stati i Guerrieri ad attaccare cogliendo di sorpresa l'esercito nemico. Ogni mente dell'esercito Guerriero era infatti concentrata al massimo e gli uomini erano pronti a scattare al minimo segno del comandante. Invece, i Barbari non ne potevano più perché quell'attesa li innervosiva e ben presto molti soldati nelle retrovie deposero le armi, spazientiti.

Finalmente, ad un certo punto, il Governatore di Liethon diede il segnale e un coro di voci si levò dall'esercito Guerriero, che si avventò con vigore contro i Barbari. Questi, presi alla sprovvista, faticarono a respingere i Guerrieri e ruppero la formazione dopo pochi minuti di combattimento. La battaglia sembrava vinta non appena cominciata: i Barbari perdevano uomini ad una velocità impressionante. Aren, ormai nel vivo dei combattimenti, non pensava più a niente. Come quando si allenava, la mente risuonava come vuota, cosciente solo della tecnica di combattimento e della tattica concordata. Uccideva Barbari senza neanche pensarci, come se fossero grano da falciare. Nessun nemico sfuggiva alla sua lama e i nemici iniziarono a temerlo per la sua fredda furia.

I problemi si presentarono quando i Guerrieri si resero conto che, pur uccidendo molti dei Barbari, questi venivano subito rimpiazzati da nuovi e freschi combattenti, mentre le truppe di Liethon, dopo ore di battaglia, iniziavano a stancarsi e ormai gli uomini rimasti nell'accampamento che potevano dare manforte iniziavano a diminuire. Il morale Guerriero si abbassò pericolosamente e crollò infine quando, nel furore dei combattimenti, comparve nelle file nemiche uno strano guerriero dall'armatura nera come la notte e la spada lucente di uno strano materiale nero, simile a quello dei Barbari, ma più resistente e tagliente. Il soldato non poteva essere un Barbaro, era infatti molto alto e slanciato. Non era neanche un Guerriero, perché non sfoggiava tecniche tipiche Guerriere, né un Elfo, troppo robusto per esserlo. Il Popolo del Mare era un popolo estremamente pacifico perciò i Lautiani entravano in guerra solo in situazioni di estrema necessità, mentre gli Occhi di Lince evitavano completamente l'uso dell'elmo per avere un più completo campo visivo, quando invece del misterioso nemico non si riusciva a distinguere nemmeno il volto. Insomma, non sembrava appartenesse a nessuna delle razze presenti in Algorab e ciò innescò il panico nei soldati Guerrieri, che si trovarono ad affrontare un formidabile guerriero di una razza completamente sconosciuta. Persino Aren si accorse che affrontarlo sarebbe stato un suicidio, perciò non osò avvicinarsi. Non potendo permettersi di perdere troppi uomini, il governatore ordinò una ritirata immediata.

Gli uomini rientrarono nel loro accampamento col morale a terra. Non avevano subito ingenti perdite, ma quei pochi Guerrieri che erano caduti sarebbero stati compianti da tutto il Paese quella stessa sera. Ormai il sole era alto nel cielo. I Guerrieri avevano combattuto per tutta la mattinata, ma, nonostante la ferrea disciplina impartita loro e la forte costituzione del loro Popolo, erano completamente distrutti. C'erano un po' di feriti, ma pochi gravi per fortuna, e per tutto l'accampamento i Guerrieri si guardavano in giro per ritrovarsi con i loro amici e controllare che stessero tutti bene. A turni, gli uomini ottenevano il permesso di ritornare in Paese e raggiungere le loro famiglie per assicurarle che stessero bene. Anche Aren, una volta restituita temporaneamente l'armatura, ottenne il permesso di recarsi a Liethon; il giovane pensava di passare dalla casa di Maula, dove sperava che si trovasse anche Danya. Mentre il Guerriero percorreva il sentiero in salita, si risvegliò come da una specie di sonno. Solo ora percepiva tutta la paura e lo sgomento che aveva provato in battaglia, ma che la sua mente aveva tenuto sopiti fino a quel momento. Più di ogni altra cosa, si rese conto che i Guerrieri avevano subito una pesante, anche se non schiacciante, sconfitta.

Maula lo accolse in casa sua non appena Aren bussò alla sua porta. La donna raccontò che lei e Danya erano restate in piedi tutta la notte per preparare Liethon ad un'eventuale sortita nemica. Danya e molte altre Guerriere di Liethon non erano riuscite a chiudere occhio, così tutti si erano aiutati a vicenda. Maula spiegò che in quel momento Danya si era recata alla chiesa di Liethon per pregare e intanto iniziò ad armeggiare in cucina per preparare ad Aren un sostanzioso pasto, così da aiutarlo ad affrontare la prossima battaglia, stabilita dal governatore per quello stesso pomeriggio. I Guerrieri avevano quindi poche ore per mettere in piedi una strategia vincente conto il Combattente Oscuro, così denominato dagli abitanti di Liethon il misterioso capitano dell'esercito Barbaro.

Non appena terminato di mangiare, Aren volle fare un salto veloce alla chiesa per parlare con Danya prima di tornare all'accampamento. Il giovane aveva già visto, anche se solo con una rapida occhiata, la piccola chiesa in mattoni quando era corso al palazzo governativo proprio di fianco, ma ora poté vederne bene l'interno. Questo, proprio come la chiesa di Saithon, era spoglio, con poche file di panche in legno e una statua di pietra in fondo alla navata, illuminata da un piccolo rosone sulla parete dietro ad essa, che si ergeva altera e solitaria, quasi come se da sola proteggesse l'intero paese. Era la Forza, Liegher, la Divinità venerata a Liethon. Essa era rappresentata come un uomo possente dal corpo pieno di muscoli, coperto solo da un leggero drappo sulla vita; aveva i polsi legati da pesanti bracciali di ferro collegati da una catena a delle enormi sfere anch'esse di ferro. Danya era prostrata di fronte alla statua, con la fronte appoggiata a terra e con entrambe le mani sul petto, pregando alla maniera femminile. Anche Aren volle rendere omaggio a Liegher inginocchiandosi, appoggiando la fronte sul ginocchio alzato e toccando con la mano destra Neyrost e con la sinistra il petto. Finita la preghiera Danya si alzò e il Guerriero la imitò. A quel punto la ragazza si accorse della sua presenza, così si gettò su di Aren abbracciandolo con gli occhi lucidi di commozione.

‹‹Sei vivo...›› mormorò sollevata. Il cuore del giovane ebbe un sussulto dovuto a quell'azione inaspettata, ma Aren riuscì a nascondere i suoi sentimenti.

‹‹Pochi di noi sono morti. Siamo stati abbastanza accorti da ritirarci in tempo.›› spiegò Aren in un sussurro, abbandonandosi tra le braccia di Danya, cercando di memorizzare il suo tocco come se fosse qualcosa di effimero che avrebbe potuto svanire da un momento all'altro.

Danya intanto si fece spiegare le dinamiche della battaglia e pianse per quei pochi caduti come se fossero suoi familiari; nonostante tutte le divergenze, Liethon era sempre e comunque casa sua.

Infine, Aren tornò all'accampamento lasciando una Danya più sollevata. Percorse il sentiero con grandi passi perché era suonato il corno che annunciava l'imminente inizio della discussione della strategia per la prossima battaglia. Il giovane si diresse verso lo spiazzo aperto al centro dell'accampamento, dove lo aspettava il resto dei Guerrieri di Liethon e si affiancò a Rhog, che per fortuna era riuscito a sopravvivere alla battaglia. Una volta riunito tutto l'esercito iniziò la riunione. Si decise che bisognava rimanere uniti, mantenere una muraglia compatta per rimbalzare ogni attacco dei Barbari senza ricevere troppi danni; con la separazione delle loro forze, infatti, i Guerrieri sarebbero andati in contro alla disfatta, poiché il Combattente Oscuro avrebbe sicuramente sbaragliato chiunque avesse trovato alla sua portata.

Con queste direttive in mente, gli uomini di Liethon uscirono dall'accampamento per affrontare la loro seconda battaglia; intanto dal cielo la pioggia continuava a scendere inesorabilmente. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, la battaglia di quel pomeriggio si rivelò un disastro: le truppe Guerriere, giù di morale, erano state sbaragliate dal sempre più numeroso esercito Barbaro, guidato dallo spietato Combattente Oscuro, che era riuscito a rompere la muraglia di Guerrieri. Ancora una volta, l'esercito di Liethon si ritirò per limitare i danni. Questa volta, però, le vite troncate furono molte di più rispetto a quella mattina, anche se per fortuna non si trattò di una grande quantità di morti in totale; quella sera i corpi dei Guerrieri caduti furono bruciati tutti insieme in un immenso rogo, tra le urla e i pianti strazianti delle famiglie dei morti, mentre gli uomini e le donne intonarono un canto funebre dai toni gravi e cupi. A Liethon ormai non rimaneva più speranza e il paese sembrava ormai perduto. Le donne, i bambini e gli anziani fortificarono le porte di Liethon con i mobili delle loro case e si armarono con qualunque arma disponibile, ormai decisi a sacrificare la loro vita assieme ai loro mariti e padri, in caso di sconfitta di questi ultimi. Venne stabilito che se i Guerrieri avessero perso la battaglia stabilita per il mattino seguente, tutti avrebbero cercato di difendere Liethon fino alla morte, sapendo che in tal caso nessun Guerriero sarebbe rimasto in vita. Dopo questa notizia Danya cadde in uno stato di tristezza che somigliava terribilmente a quello in cui si era trovata prima di incontrare Aren, che dal canto suo cercava di starle vicino e di infonderle tutto il coraggio e la forza necessari per affrontare la situazione. Tuttavia lui stesso temeva per la sorte di quel piccolo, ma meraviglioso paese. In quei due giorni trascorsi a Liethon aveva conosciuto delle persone fantastiche, alcune delle quali erano in quel momento ridotte in cenere, e si era ritrovato come nel mezzo di una grande famiglia; esattamente come aveva detto Danya, il paese si era aperto nei confronti di Aren, riconoscendo la sua determinazione nel difendere la loro casa, così il giovane si era infine sentito come se fosse a Saithon. Non poteva credere che tutto stesse per essere cancellato e che il Paese della Forza sarebbe stato preso dai Barbari, senza lasciare nessun superstite. Dopo tutto, Aren aveva giurato col sangue di difendere Liethon fino alla morte, perciò non avrebbe permesso a nessuno di oltrepassare le sue mura e di sopravvivere per raccontarlo.

All'alba i Guerrieri si erano ritrovati ancora una volta alle porte del loro accampamento per prepararsi ad affrontare l'ultima battaglia, quella definitiva. Il sole nascente era ancora coperto da nuvole nere, che stavano rovesciando la loro acqua sulla valle. I Guerrieri erano svogliati, spaventati e pessimisti. Dopo le due sconfitte del giorno prima, le perdite subite che ancora pesavano sui loro cuori e la consapevolezza che alla loro sconfitta sarebbe seguita la morte di tutte le loro famiglie e la distruzione delle loro case. Con questa situazione psicologica era chiaro che nessuno di loro avrebbe combattuto con determinazione, quel mattino; nella loro mente quella era una battaglia già perduta. Solamente Aren non condivideva quello stato di malinconia. Egli camminava tra gli uomini, irritato dal loro senso di sconfitta. A lui quella situazione incitava invece a dare tutto se stesso per difendere la loro causa, a gettare la spugna solo dopo aver dato il suo ultimo respiro e non poteva credere che proprio coloro che avevano sempre vissuto a Liethon non provavano la stessa determinazione.

‹‹Avanti, su col morale!›› cercava di incitarli, ma l'effetto non fu quello sperato. Gli uomini lo guardavano con occhi tristi e gli dicevano che non aveva senso quello che faceva, che tutto era inutile e che l'unica loro prospettiva era quella di morire.

‹‹Oh, ma insomma, che avete tutti quanti?›› sbottò infine Aren. ‹‹Non si tratta solo di Liethon, si tratta delle vostre famiglie, delle vostre mogli, dei vostri figli. Volete lasciarli tutti andare incontro ad una morte certa senza neanche cercare di opporvi? Cercate di vincere per loro, che vi aspettano con ansia nelle vostre case, che hanno fiducia in voi!›› guardò con severità i presenti, che erano tutti con gli occhi puntati su di lui, ma nessuno di loro sembrava condividere le idee di Aren.

‹‹Ma il Combattente Oscuro? Ci ucciderà tutti.›› disse una voce tra la folla ed un mormorio di assenso si alzò tra i Guerrieri.

‹‹Non vogliamo andare incontro a morte certa.›› disse qualcuno.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso e Aren perse la pazienza.

‹‹Andate al diavolo!›› urlò Aren e si diresse da solo a grandi passi verso le porte, sorvegliate da Trest e da un altro Guerriero che lo guardarono straniti.

‹‹Fatemi uscire.›› ordinò Aren furente, ormai fuori di sé. Quelli si guardarono stupiti.

‹‹Ma, Aren...›› cercò di dissuaderlo Trest, che in quel frangente non si preoccupava più della sua rivalità con Aren per il cuore di Danya, ma si preoccupava sinceramente dell'esito della battaglia.

‹‹Fatemi uscire!›› urlò di nuovo Aren. Non aveva più intenzione di sentire ragione e ormai stava seguendo completamente quello che gli diceva l'istinto. I due Guerrieri decisero di non discutere oltre ed obbedirono esitanti. Così Aren si ritrovò fuori, con gli occhi increduli dei Guerrieri puntati sulla sua schiena.

Iniziò a camminare verso la linea nera all'orizzonte, il fronte nemico. Sentiva dietro di sé il mormorio scettico e sorpreso degli uomini di Saithon e davanti a sé il rumore delle truppe Barbare che si preparavano alla battaglia. Ormai poteva vederli, i Barbari che gli si avvicinavano velocemente a ritmo di marcia. Quando poté distinguerli con chiarezza prese un gran respiro. Gli venne in mente Danya, quanto la prospettiva di vedere Liethon morire la rendeva triste e quanto amore provava per lei. Avrebbe lottato per lei, quel giorno più che mai; avrebbe affrontato chiunque per tenerla al sicuro anche se ciò lo avrebbe avvicinato terribilmente alla morte. Capì così che questo era lo scopo di un Guerriero: un Guerriero combatte per proteggere le persone che ama. Spinto da questa nuova consapevolezza, cominciò a correre sempre più velocemente verso i nemici, mentre sopra di lui le nuvole si aprirono e lasciarono il sole libero di splendere sulla valle. I Barbari infine lo notarono, infatti il ritmo della loro avanzata vacillò un po' non appena lo avvistarono. Ormai Aren non poteva più arrestarsi, il suo istinto lo spingeva ad andare avanti. Sguainò Neyrost, che splendette al sole come una fredda lama argentata, e lanciando un terribile urlo si avventò contro i Barbari. Questi non contrattaccarono perché completamente sconvolti. Non riuscivano a comprendere quello che stava succedendo, se si trattava di una strategia guerriera oppure no. Intanto, Aren aveva già ucciso un'ingente quantità di Barbari e la sua furia inarrestabile continuava a far vittime ad una velocità impressionante. I Barbari non riuscivano, sconvolti, a contrastarlo: i loro colpi erano poco precisi e privi di convinzione, così che nessuno di loro riuscì a scalfire la pelle di Aren, che invece uccideva un Barbaro dopo l'altro. Nell'accampamento i Guerrieri guardavano Aren con sorpresa e ammirazione e, vedendo che da solo riusciva a tener testa ai nemici, presero coraggio e si unirono a lui con un boato.

La battaglia fu vinta sotto il sole cocente e al termine di essa il campo di battaglia vedeva solo cadaveri di Barbari, neanche un Guerriero. Il Combattente Oscuro non si era neanche presentato e molti Barbari erano fuggiti per sfuggire all'armata Guerriera. Liethon era salva.

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