CAPITOLO 1 - AREN DI VAL GUERRIERA
Il sole si stava innalzando oltre la linea dell'orizzonte, risvegliando tenui colori dal blu indaco che era il cielo tipico di una notte limpida e taciturna, una notte che volgeva ormai al termine, e gettando un timido calore estivo in una stretta e lunga valle chiamata Val Guerriera. Essa era un'apertura selvaggia e impervia che si allungava tra gomiti stretti e spiazzi di pascoli ai piedi delle svettanti montagne che si trovavano nella regione settentrionale della Grande Catena del Sud, le imponenti catene montuose che dominavano il Sud-Est della terra chiamata Algorab. Nel mezzo di Val Guerriera sorgeva un unico villaggio dalle modeste dimensioni, con una piccola chiesa pagana in pietra e un palazzo governativo che davano su una piccola piazzetta che ospitava il mercato. Tutt'intorno a questo nucleo si diramavano stradine e viuzze che serpeggiavano tra un caotico agglomerato di case in legno e pietra.
Esso era Saithon, l'insediamento del Popolo dei Guerrieri che si trovava più a Nord nel loro regno; infatti a Nord di Saithon scorre il letto torrentizio del ruscello che diventerà nel corso del suo viaggio il D'uhn-teenek, ovvero il grande Fiume del Sud. Questo fiume nasceva dalle montagne a Est di Saithon, quasi al confine sudorientale di Algorab, percorreva tutta Val Guerriera dritto verso Ovest, per poi svoltare verso Sud-Ovest e attraversare il Regno dei Guerrieri fino a sfociare nel mare. Per la maggior parte della sua corsa, il D'uhn-teenek costeggiava sulla riva settentrionale un bosco che si estendeva da Est a Ovest per svariati chilometri, facendo da confine tra il Regno dei Guerrieri e il Regno degli Occhi di Lince, un altro Popolo che abitava Algorab. Per questo esso si chiamava Bosco sul Confine. Saithon, appunto, poteva scorgere il Bosco dall'altra parte del Grande Fiume del Sud rispetto ad esso.
Spostandosi nella parte meridionale del paese, si incontra un piccolo boschetto proprio attaccato alle ultime abitazioni del borgo. L'ultima casetta prima del boschetto era di legno e pietra proprio come tutte le altre, aveva un piccolo giardino con i servizi proprio come tutte le altre, un capanno per attrezzi proprio come tutte le altre e un carro di legno proprio come tutte le altre. Da essa usciva un giovane ragazzo che si dirigeva verso il capanno degli attrezzi. Il suo nome era Aren. Aren era un ragazzo quasi adulto dagli ondulati capelli castano scuro tagliati corti, ma non rasati; i suoi occhi avevano il colore del cielo di una soleggiata giornata d'estate a mezzogiorno, sormontati da delle sopracciglia poco folte e leggermente corrucciate. La linea della mascella era squadrata, ma leggermente a punta e le guance erano coperte da una rada barba rasata. Era molto alto e aveva la corporatura molto robusta, come tutti i giovani Guerrieri del resto.
I Guerrieri erano uno dei sei Popoli che abitavano Algorab; gli altri erano gli Occhi di Lince, il Popolo del Mare, le Ninfe, gli Elfi e gli Stregoni. I Guerrieri erano come normali uomini, ma devoti all'arte della guerra e della cavalleria. Per questo fin da piccoli vengono addestrati ad impugnare diverse armi e a padroneggiare ogni stile di combattimento fino al compimento dei vent'anni, che era considerata la soglia dell'età adulta. E Aren, proprio quel giorno, compiva venti anni. Quel giorno ci sarebbe stata una grande festa in tutto il paese, perché era proprio una soglia importante quella dei vent'anni: ad ogni Guerriero che diventava adulto veniva donata un'arma propria, che dipendeva dalle sue attitudini maggiori, e da quel giorno, il giovane Guerriero doveva cercare di conquistare almeno una delle grandi Virtù, una serie di doti che secondo i Guerrieri erano la base dell'esistenza di un vero e proprio combattente. Ogni insediamento dei Guerrieri, infatti, recava nel proprio nome una delle grandi Virtù; per esempio Saithon significava Paese del Coraggio e il Coraggio è una delle grandi Virtù. La Virtù più importante per i Guerrieri era l'Onore, infatti la capitale del loro Regno era Freithen, ovvero Città dell'Onore. L'Onore era la Virtù necessaria per essere considerati parte della società e per questo ogni Guerriero dai venti ai trent'anni doveva cercare conquistare l'Onore partecipando e uscendo vincitore da una Missione, che poteva essere qualsiasi cosa che dimostrasse il valore del Guerriero: salvare un villaggio da una bestia pericolosa, sconfiggere un tiranno che sfruttava una città e così via. Conquistato l'Onore, il Guerriero poteva chiedere a una giovane donna di diventare sua sposa e vivere così una vita felice come parte integrante della sua città. Chi non conquistava l'Onore non poteva sposarsi e non veniva considerato come un compagno dai suoi concittadini; gli veniva comunque offerto un posto dove vivere e un lavoro, ma non il rispetto. Per quanto riguarda le donne, venivano considerate troppo pure per scendere in battaglia e uccidere. Venivano comunque addestrate ad autodifendersi e a sopravvivere fuori dalla civiltà, nel caso si fossero trovate in pericolo, ma per il resto veniva loro insegnato come prendersi cura della casa e della famiglia e come soccorrere e sorreggere un marito. La donna veniva vista come colei che permetteva al Guerriero di essere sempre in forma, una colonna portante e un aiuto su cui contare, oltre che a una compagna di vita, guardiana della casa e della famiglia; agli uomini era inoltre vietato recare danno ad una donna. Le donne non dovevano conquistare nessuna Virtù, poiché possedevano già dentro di loro quelle necessarie al loro ruolo di guardiane.
Tornando ad Aren, il ragazzo aveva preso un'accetta dal capanno e si dirigeva verso un tronco d'albero. Una volta arrivato, prese ad assestare colpi potenti e precisi sul tronco. Poiché la famiglia di Aren era un po' povera, il giovane aiutava spesso nei lavori che richiedevano la sua forza. Egli viveva con sua madre e non aveva mai conosciuto suo padre. Spesso Aren da piccolo aveva chiesto a sua madre come mai suo padre non ci fosse, ma lei non volle mai parlargliene. Era comunque una madre amorevole e teneva molto a suo figlio, nonostante spesso fosse taciturna, solitaria e schiva. Era una donna che un tempo dovette essere bellissima, ma che si era consumata nel dolore a causa di un misterioso trauma del passato; per vivere intagliava il legno e vendeva le sculture al mercato del paese e in quel momento Aren le stava procurando il materiale da lavoro. Il ragazzo era molto impaziente ed emozionato e cercava di sfogarsi nello sforzo fisico, in modo da impegnare mente e corpo in un unico scopo. Era estate e il caldo non tardò ad arrivare, tanto che piccole gocce di sudore scivolarono giù per la schiena di Aren, che dovette togliersi la camicia che indossava, mostrando delle spalle larghe e muscolose, pettorali prominenti, addominali sviluppati e muscolose braccia toniche, oltre che una carnagione abbronzata per le tante ore spese a lavorare sotto il sole. Tutto questo era il frutto del suo severo addestramento, ma anche della passione e determinazione del giovane. Aren era molto portato per il combattimento, tra i migliori della sua età, anche se lui non amava affatto vantarsene. Certe leggende dicevano che tali talenti naturali per il combattimento si incontrassero solo nella famiglia reale dei Guerrieri che aveva regnato in passato, ma quella dinastia di eroi leggendari e soldati onorevoli era stata spezzata da tempo.
Ad Algorab ciascuno dei regnanti dei Popoli portava in testa una corona. Esse furono create in tempi remoti che solo gli Stregoni ricordavano ed erano intrise di puro potere; furono consegnate alle famiglie dei Popoli che più avevano dimostrato di saper regnare con giustizia, e così quelle famiglie erano state legittimate al trono. Le Corone del Potere erano talmente potenti che chiunque le indossasse sarebbe stato il sovrano del Popolo di cui portava la Corona, per questo i regnanti le avevano conservate molto gelosamente fino a quel momento. Ma circa un secolo prima Algorab era stata sconvolta da una guerra violentissima nella quale parteciparono tutti i Popoli di Algorab. In una battaglia sul confine tra il Regno dei Guerrieri e il Regno degli Occhi di Lince partecipò il sovrano dei Guerrieri, Ferdo, portando con sé la Corona di Topazi, la Corona dei Guerrieri, ma nella battaglia la Corona cadde nelle acque del D'uhn-teenek e non fu più ritrovata; da quel momento la famiglia reale dei Guerrieri perse il diritto di regnare e i membri della famiglia reale si dispersero. Da un secolo a Freithen non c'era un governo stabile e il Regno era caduto in miseria, chiudendo i rapporti con gli altri Popoli e i Guerrieri chiedevano a gran voce un sovrano che li governasse anche senza una Corona del Potere. In tutto il regno si cercava, quindi, di capire dove fossero i discendenti di Ferdo, considerati i legittimi eredi al trono. A Saithon alcuni pensavano che Aren potesse essere uno dei discendenti dell'antico re dei Guerrieri per via della sua bravura nel combattimento, ma ogni volta Aren negava sempre. Una volta il ragazzo aveva affrontato l'argomento con sua madre, ma lei si era scurita in volto e gli aveva detto che nulla era certo in quei momenti bui e che i pettegolezzi paesani non andavano mai presi sul serio. In fondo Aren non ci aveva mai creduto, poiché non era certo l'unico ragazzo con talento a Saithon.
Ormai le giunture di Aren iniziavano a gemere e i muscoli bruciavano intensamente, così il ragazzo smise di tagliare la legna e rientrò in casa per portarla nella stanza che la madre adibiva al lavoro.
‹‹Di già alzato?›› chiese una voce chiara e soave, ma venata da una nota di tristezza. Aren si girò. Sulla porta della stanza c'era sua madre. Si chiamava Adrenea ed era una bella donna che si approcciava alla mezza età, come sottolineavano le sottili rughe sul suo volto, che era magro e pallido. Anche appena sveglia, aveva i capelli corvini che le cadevano dolcemente sulle spalle in morbidi boccoli e che risplendevano, illuminati dalla luce che filtrava nella stanza da una piccola finestrella.
‹‹Non potevo dormire un minuto di più.›› rispose lui. Il volto malinconico della donna si distese in un sorriso. La donna andò verso di lui e con una mano esile gli accarezzò una guancia. Dovette alzarsi in punta dei piedi, perché suo figlio era molto più alto di lei. Aren sentì il tocco amorevole della madre calmare il suo animo emozionato come un antidoto ad un veleno. Gli assomigliava molto, ma aveva i tratti meno marcati e più dolci e gli occhi di lei erano di un nero profondo come la notte più buia, così diversi da quelli di Aren che ogni tanto, quando ci si soffermava su, gli facevano venire una voglia irrefrenabile di conoscere suo padre, ma questa svaniva quasi subito. Aren non sapeva come sentirsi nei confronti di suo padre, poiché non sapeva niente di lui, perciò aveva sempre mantenuto una sorta di indifferenza a riguardo.
‹‹Ancora una volta mi accorgo di quanto tu sia cresciuto, figlio mio.›› sospirò Adrenea, e una lacrima le rigò il volto. Aren gliela asciugò, non capendo se fosse di gioia o tristezza. Esitò quando sentì la morbida pelle della guancia di Adrenea sul dorso del dito indice, il contrario della guancia ruvida che aveva il giovane per via della barba rada che portava.
‹‹Oggi è il tuo gran giorno.›› sussurrò Adrenea nell'orecchio di Aren. Si poteva percepire l'emozione che provava, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che cercava di reprimere. ‹‹Grazie per la legna, adesso devo lavorare.›› disse poi. Aren capì che doveva lasciare la stanza, sua madre preferiva lavorare da sola. Mentre si allontanava dalla porta sentì i singhiozzi della donna oltre l'uscio.
Circa due ore dopo Aren e Adrenea si incamminavano su una strada sterrata che portava alla Piazza del Mercato di Saithon, lui trascinava un carro colmo di statue di legno: il frutto del lavoro della madre. Quando arrivarono in piazza, già alcune bancarelle erano state montate. Aren e sua madre si stabilirono nello spazio a loro dedicato e montarono la loro bancarella, esponendo le statue della madre in modo che attirassero lo sguardo delle signore interessate. Tutti i passanti fecero gli auguri ad Aren e salutarono educatamente Adrenea.
Terminato il lavoro, Aren salutò sua madre con un abbraccio e si diresse verso la Locanda dell'Audace, la locanda più prestigiosa del paese, dove il giovane lavorava occasionalmente per aiutare economicamente la madre nel mantenere la famiglia. La locanda era situata a Nord di Saithon; metà di essa era costruita sul D'uhn-teenek con un sistema di palafitte, perciò godeva di una vista spettacolare del fiume e del Bosco sul Confine. Ma non solo. In quella locanda si era sposato l'ultimo possessore della Corona di Topazi, Ferdo, probabilmente perché sua moglie era originaria di Saithon. Ovviamente, per l'occasione al piano terra era stata allestita una terrazza speciale. Essa era circolare e interamente costruita in marmo bianco, attorniata da una ringhiera e ornata con piante rampicanti sempre in fiore; le colonne che sorreggevano il soffitto di vetro erano attorcigliate da rose di tutti i tipi. Il pavimento era coperto da un semplice tappeto rosso circolare. Siccome i Guerrieri erano uomini rudimentali, costruivano soprattutto in pietra e legno, ma per quella volta era stata fatta un'eccezione, per questo la balconata veniva detta "lo strappo alla regola". Anche se ormai la terrazza non veniva più usata, ogni giorno Aren la curava nei minimi dettagli; d'altronde era un'enorme fonte di orgoglio per il paese.
Durante il viaggio Aren si illuminò quando vide un ragazzo poco più giovane di lui venirgli incontro. Era Iorec, il suo migliore amico. Anche lui era di corporatura robusta, ma era meno massiccio di Aren e aveva la pelle più chiara, capelli morbidi color miele e occhi castani. Era fianco a fianco con una tra le più belle ragazze del paese, Grelia, una benestante figlia di un tessitore; era abbastanza alta ed aveva forme ampie e prosperose, lucenti capelli castano chiaro raccolti in delle trecce e occhi a mandorla di colore marrone con striature verdi. I due ridevano e si sorridevano a vicenda. Aren, dal canto suo, non aveva né trovato né cercato con foga un'anima gemella a Saithon, nonostante tutti volessero che si trovasse una compagna. Iorec e Grelia salutarono Aren con grandi abbracci.
‹‹Tanti auguri, amico!›› gli disse Iorec tra le risate. Aren rise a sua volta e gli diede delle energiche pacche sulle spalle, ringraziandolo.
‹‹Io e Grelia abbiamo pensato di farti un regalo. Niente di che, ma...›› disse Iorec tirando fuori dalle tasche dei pantaloni un paio di guanti da combattimento di cuoio che lasciavano scoperte le dita. Erano di ottima fattura e Aren arrossì, bofonchiando che non avrebbero dovuto scomodarsi in quel modo.
‹‹È il minimo che il tuo migliore amico potesse farti, Aren. Ormai sei un Guerriero a tutti gli effetti e ti meriti qualcosa di speciale.›› liquidò Grelia sorridendo e dando un buffetto a Iorec sulla guancia. ‹‹Questo eterno indeciso starebbe ancora brancolando nel buio senza di me.››
Il ragazzo arrossì e affondò il volto nei capelli di lei, baciandole la testa. Anche Aren arrossì, sentendosi terribilmente d'intralcio.
‹‹Grazie mille, ragazzi, comunque devo scappare o arrivo in ritardo al lavoro.›› mormorò cercando di uscire dall'imbarazzante situazione. Iorec annuì.
‹‹Vediamoci stasera un'ora dopo il tramonto sulla collina a Sud del paese, passiamo la notte fuori.›› gli propose.
‹‹Non mancherò.›› rispose Aren.
‹‹Molto bene!›› disse Iorec rasserenato.
A mezzogiorno Aren aveva già finito di lavorare e tutto il paese si era radunato nella piazza principale del paese. Al centro era stato allestito un palchetto di legno che tutti stavano fissando con trepida agitazione. Su di esso Aren guardava nervoso il pubblico e un Guerriero sulla cinquantina accanto a lui che teneva in mano un pacchetto deforme e un po' lungo. Egli era il Governatore di Saithon, stanziava nel palazzo governativo e si occupava di ogni questione del paese.
‹‹Siamo tutti qui riuniti...›› stava dicendo. ‹‹... per festeggiare il ventesimo compleanno di Aren, e quindi il suo passaggio nell'età adulta.›› il pubblico esplose in un applauso. Quando si zittì l'uomo continuò il discorso.
‹‹Come tutti sapete, Aren dovrà partire da Saithon per trovare una Missione e uscirne vincitore entro i trent'anni di età. Se tra dieci anni esatti, a mezzanotte, Aren non sarà tornato, non verrà più considerato parte della nostra società. Se, al contrario, tornerà prima dello scadere del tempo, allora conquisterà la più importante delle Virtù: l'Onore, e potrà unirsi in matrimonio con una giovane donna di sua scelta, con il consenso della ragazza, s'intende. Come dono per i vent'anni, i Guerrieri di Saithon vengono premiati con l'arma che preferiscono, forgiata dal fabbro del paese. L'arma sarà decorata con simbolo e maggiore caratteristica della famiglia del possessore. Ora, non si sa molto della famiglia del padre di Aren, ma la famiglia di sua madre Adrenea è da generazioni conosciuta per la padronanza dell'arte dell'intaglio del legno. Ricordiamo tutti i genitori di Adrenea e la loro recente scomparsa, ma oggi mettiamo da parte la tristezza per celebrare Aren. La sua arma verrà decorata ricordando il lavoro di artigiani del legno della sua famiglia. Aren...›› disse poi voltandosi verso il giovane. ‹‹Prendi questa lama come tua arma e come tuo dono.›› e gli porse il fagotto. Aren lo prese delicatamente e lo scartò. All'interno c'era una spada di straordinaria fattura. La lama era lucente con vaghi riflessi dorati e piccole e precise incisioni a forma di ramo d'albero partivano dalla guardia fino alla punta della lama. Il manico era d'oro ricoperto di pelle a forma di tronco d'albero e, dove iniziava la guardia, esso si diramava in due grandi rami adorni di foglie, che fungevano appunto da guardia. Sotto il tronco d'albero, le sue radici formavano una sfera, al cui interno si scorgeva una splendida sfera d'ametista, come se fosse il nucleo dell'albero. Il giovane saggiò il peso della spada, la prese in mano, mimò un corto combattimento per constatare se fosse effettivamente la sua spada. Quando ebbe finito, la conclusione era una sola e inconfutabile: era perfetta. L'uomo gli porse il fodero, che era stato modellato in modo da sembrare dei rametti intrecciati. Aren se lo legò in vita e ci mise dentro la spada.
‹‹La tua spada si chiamerà Neyrost, ovvero Lama dei Boschi, che possa farti vincere tutte le battaglie. Da questo momento, la ricerca della Missione ha inizio. La cerimonia è finita!››
Aren non poteva crederci, finalmente aveva una spada tutta sua! E che spada! Era a dir poco magnifica, ogni dettaglio, ogni piccolo particolare era stato curato con la massima cura. Più Aren la guardava in cerca di qualche difetto, più si convinceva che proprio non ce n'erano, non poteva chiedere di meglio per il suo ventesimo compleanno. Era nella sua stanza, disteso sul letto a fissare Neyrost. Erano passati dieci minuti da quando era rientrato in casa, ma aveva già voglia di uscire ad allenarsi con la spada, così, dopo aver riferito alla madre della sua uscita, si diresse verso il Grande Fiume del Sud.
Aren amava molto l'avventura e gli piaceva andare nei dintorni di Saithon a esplorare. Quando aveva dieci anni si era spinto particolarmente a Nord, oltre il D'uhn-teenek, in una zona del Bosco sul Confine vicina alle montagne meridionali del Regno degli Occhi di Lince. In quella zona del bosco si trovava una piccola rocca che l'incosciente Aren di dieci anni aveva scalato fino alla cima. In quel momento Aren si trovava proprio lì. Si godeva una vista spettacolare degli ultimi alberi orientali del Bosco sul Confine, del D'uhn-teenek e di Val Guerriera. Quel posto piaceva tanto ad Aren perché ospitava le rovine di un antico villaggio che, per quanto ne sapeva Aren, non apparteneva a nessun popolo di Algorab. Le rovine, però, non sembravano tanto un villaggio, quanto un accampamento. Era strano, Aren aveva esplorato in lungo e in largo quella zona, ma aveva trovato solamente una piazzetta attorniata da muretti alti fino all'ombelico, nient'altro. Le proporzioni erano molto più piccole del normale e una parte dei muretti, quella più attaccata al fianco della cima della rocca erano coperti da una zolla di terra, probabilmente era franato il fianco della rocca fino a lì. In ogni caso, Aren aveva smesso di investigare sulle rovine da tempo. Lui veniva lì ogni volta che voleva allenarsi con la spada da solo e sentirsi tutt'uno con la potenza della natura.
E fu proprio quello che fece appena arrivato. Non appena sfoderò Neyrost ne sentì la brama di azione e quando iniziò a sferrare le prime mosse rimase senza fiato. La spada sembrava leggere nel suo pensiero, era come un'estensione del proprio braccio, come parte di sé, era incredibile quanto fosse perfetta per lui. Aren quindi svuotò la mente da ogni pensiero, respirando profondamente, poi prese a combattere contro nemici immaginari. Si esibiva in una danza mortale che avrebbe ammaliato chiunque lo avesse guardato. Movimenti così fluidi, eleganti e precisi sembrava quasi prendessero in giro i nemici; una cosa così perfetta non poteva essere letale come la morte. Aren, mentre combatteva, sembrava essere nel suo posto, perché era nella battaglia la sua vera casa, lo poteva sentire nel sangue che pulsava nelle sue vene, bramoso di combattimento.
Il sole stava calando sempre di più verso l'orizzonte. Aren aveva il corpo madido di sudore e i muscoli doloranti, ma era più tranquillo e sereno. Tornò a casa con passo disteso, tanto aveva tempo. Si fece un rapido bagno fresco e rientrò in camera sua per scegliere cosa portare quella notte all'incontro con Iorec. Prese poche cose: una casacca per quando comincia a fare fresco, un po' di spuntini, un sacco a pelo e la sua Neyrost. Mise tutto nello zaino tranne la spada e partì in direzione della collina.
Quando arrivò il sole era tramontato da un'ora e Iorec lo aspettava. Si abbracciarono calorosamente, dandosi grandi pacche sulle spalle, ridendo. Appoggiarono le loro cose sotto un albero e si sedettero accanto ad un fuocherello, poiché iniziava a fare freddo.
‹‹Allora, come ci si sente a vent'anni?›› gli chiese Iorec, pieno di euforia.
‹‹Sai, prima pensavo che mi sarei sentito al settimo cielo, e lo sono, ma in realtà... non cambia molto. Ho solo la consapevolezza dei miei prossimi obiettivi.›› rispose Aren con sincerità, la fronte leggermente corrucciata. Era strano, si sentiva al tempo stesso febbricitante e glaciale a riguardo.
‹‹Non capisco come tu faccia, io sarei euforico. Venti anni! È il mio sogno.›› rispose Iorec, con gli occhi sognanti.
‹‹Anche io pensavo questo fino a questa mattina...›› mormorò Aren pensieroso.
Scese una cupola di imbarazzante silenzio. Iorec stava sicuramente pensando a come sarebbe stato il giorno del suo ventesimo compleanno, Aren invece rimuginava sulle parole dell'amico. Era veramente rimasto lo stesso? Aren era sempre stato abbastanza impulsivo e incosciente, ma si rese conto che non era più così, era cambiato, non era più il ragazzo che era prima. Era diventato più maturo. La consapevolezza gli piombò addosso come un macigno: era diventato un uomo. Iorec invece era ancora spensierato e irruente come lo era Aren pochi giorni prima. Il Guerriero concepì pienamente quanto era sottile il confine tra la sua età e quella dell'amico, bastava così poco per renderli così diversi e così lontani. Ed era bastato superare un misero traguardo d'età.
Fu Iorec a rompere il silenzio. ‹‹Posso vedere da vicino la tua spada?›› gli chiese con un sorriso tirato sul volto. Aren sorrise a sua volta e gli porse Neyrost. Gli occhi dell'amico brillarono quando se la trovo sotto gli occhi.
‹‹È proprio una bella spada.›› disse con ammirazione.
Ed ecco che partì così un discorso spropositato su armi e spade di vario genere. Ritrovarono l'armonia che avevano sempre avuto, tornarono ad essere i ragazzi che si davano pacche sulla schiena ridendo di poco prima. Ed Aren capì che non importava il confine che divideva lui e Iorec, loro sarebbero stati sempre e amici, perché gli amici ci sono per sempre, e ci sono sempre quando ne hai bisogno. Capì che Iorec era proprio un grande amico e percepì il loro sentimento come se fosse palpabile: era un sentimento potente, ma fragile come vetro. Doveva stare attento a non infrangerlo, ma a coltivarlo e a rafforzarlo. Sì, Iorec era proprio un amico. Ancora una volta Aren si sorprese di quanto fosse maturato in così poco tempo, non era più padrone del proprio corpo e della propria mente, gli sembrava tutto estraneo. Era ancora Aren? Non riusciva a capirlo. Era smarrito e aveva bisogno di trovare una sua identità. Sentì che doveva partire al più presto, non solo per la Missione, ma anche per fuggire dalla quotidianità, viaggiare il mondo, scoprire nuove cose, incontrare la persona giusta con cui vivere assieme... era questo che gli mancava, quel senso di smarrimento era dovuto dal fatto che gli mancava una persona da amare, con cui confidarsi. L'amore gli mancava. Quei pensieri gli riportarono in mente l'immagine dell'amico abbracciato alla fidanzata.
‹‹Tu e Grelia siete molto felici.›› constatò, reprimendo un po' di amarezza. Gli occhi dell'amico si riempirono di tenerezza, al pensiero di Grelia. Aren sentì di essere geloso di quello sguardo, voleva provare anche lui quei sentimenti per una persona.
‹‹Sì, è fantastica, ha un carattere magnifico, e quegli occhi...›› Iorec aveva un'aria sognante, si vedeva che era veramente innamorato e per questo Aren era geloso dell'amico: lui tra un anno sarebbe diventato adulto e sarebbe partito per la sua Missione, ma al contrario di Aren non doveva cercare l'amore in giro per Algorab, lui ce l'aveva a portata di mano. Senza farlo apposta si rabbuiò e Iorec se ne accorse.
‹‹Non preoccuparti, prima o poi anche tu troverai l'amore. Insomma, con un fisico come il tuo ci sarà qualche ammiratrice a Saithon.›› lo rassicurò. Aren sorrise.
‹‹Ce ne sono, ma sono io il problema. Ancora nessuna mi ha conquistato.››
‹‹Algorab è grande...›› replicò Iorec. Aren si limitò ad annuire. Represse i suoi rimorsi e si limitò a mettersi in testa di aspettare e basta. Certe cose arrivano quando meno ce le si aspetta.
La luna era alta nel cielo e le stelle più brillanti che mai. Doveva essere passata la Mezzanotte da almeno un'ora, giudicò Aren. Decisero che era ora di coricarsi.
Ma per quanto stanco poteva essere, Aren non riusciva a prendere sonno. Continuava a rigirarsi nel sacco a pelo mentre Iorec russava della grossa. Era stata una giornata veramente calda. Erano in piena estate, il caldo aveva sopraffatto anche le fresche zone di montagna di Saithon. Presto, però sarebbe arrivato l'inverno, e con esso il freddo. Il ragazzo pensò con nostalgia che quel giorno lui sarebbe stato lontano da casa. Si sedette guardando l'orizzonte. I pensieri che lo avevano attraversato quella sera gli ripiombarono addosso. La sensazione di smarrimento, la consapevolezza del crescere e diventare adulto, tutto così in fretta che dovette tenersi la testa tra le mani, gli sembrava di avere una forte emicrania, ma era solo una sensazione. Quando si riprese si distese a pancia in su, le mani sotto la testa. L'erba gli solleticò la schiena. Riprese a quel punto a soffiare un piccolo venticello, non era fresco né caldo, che mosse i peli del petto di Aren, facendogli il solletico. Il ragazzo si guardò il petto. Sì, era cresciuto e maturato, ma era sempre lui, non era cambiato più di tanto.
L'alba lo sorprese intento nei propri pensieri. Aren si alzò col cuore più leggero e la mente riposata, anche se non aveva dormito affatto. La consapevolezza di essere cresciuto non lo spaventava più, anzi, lo rinvigoriva. Era deciso a trovare una Missione al più presto. Era tornato l'Aren di sempre. Guardò Iorec: dormiva ancora. Si sorprese a pensare di non volere aspettare che si svegliasse, così si rivestì, prese le sue cose e scese la collina verso Saithon.
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