Persone come me non dovrebbero avere sogni - parte IV

Fade venne sottoposta a vari esami e, due giorni dopo, il medico andò a darle un responso. Una tac aveva rilevato danni celebrali di natura ignota, le fece domande inerenti all'assunzione di droghe o a eventuali malattie congenite, alle quali diede risposta negativa. Le chiese quindi come avesse intenzione di procedere e lei si prese un giorno per pensarci.

Quando Jag l'andò a trovare e venne a conoscenza della situazione, come sempre, non si meravigliò.

"È senza dubbio causa degli psicofarmaci che ti 'sparavano' in clinica. Ho visto le cartelle mediche durante il processo: fra clorpromazina, ansiolitici e chissà quale altro farmaco sperimentale, mi stupisce come tu non sia diventata un vegetale" disse senza nessun tatto.

Lei fece spallucce, apatica "Mi hanno detto che la degenerazione delle cellule potrebbe portarmi, nel peggiore dei casi, a demenza; se invece mi andasse bene potrei schiattare da un momento all'altro"

"Quindi cosa pensi di fare?"

"Non posso permettermi di curarmi, continuerò a vivere come ho sempre fatto."

"Lo dirai a Nef?"

"Ovviamente no"

"Allora inventati una storia credibile, perché non è facile ingannarlo come pensi. Ci vediamo fra qualche giorno" e se ne andò come se la cosa non lo toccasse minimamente.

La ragazza trovava ironica la sua situazione: alla fine la punizione per quello che aveva fatto l'aveva ricevuta davvero e probabilmente sarebbe anche stata la sua salvezza. In fondo morire non sarebbe stato male: era stanca di vedere come stava andando il mondo, con le sue cose frivole, con gli eventi che le sfrecciavano accanto come se stesse fissa a guardare un punto nel vuoto, in mezzo a una tangenziale trafficata. Era stufa di vivere e non le importava più di niente. Né del suo coltello, né dei suoi pattini o del suo diario e nemmeno di Nef. «In fondo quando si muore certe cose non hanno più importanza» pensò.

Venne trattenuta ancora qualche giorno per verificare la stabilità delle sue analisi. Il dottore le chiese per un'ultima volta di ripensarci prima di farle lasciare definitivamente l'ospedale, ma lei era ferma sulla sua decisione.

Lo scorrere dei pattini sull'asfalto le sembrò diverso quel pomeriggio. La riattraversava quella sensazione di costante contatto con la morte che anelava mesi prima, ma adesso non avrebbe più dovuto cercarla, le sarebbe stata sempre accanto fino a che, nefasta, non si sarebbe manifestata. Sorrise nel pensare come le cose che prima sembravano essenziali, improvvisamente perdevano importanza di fronte a questioni più gravose e come i sentimenti siano, in fondo, derivati da un unico grande flusso. Non riusciva a spiegarsi, infatti, come potesse scambiare per esaltazione quel sentimento che provava, quando sarebbe dovuta essere più propriamente una sensazione di disperazione. Vi inserì anche il suo concetto sull'amore; l'essere vicina alla morte le procurava vampate di passione e più si avvicinava agli studi, più le veniva voglia di sfogarle su Nef.

Entrò dalla porta del seminterrato con cautela, Jag le aveva raccontato che non sarebbe stata la benvenuta, anzi che probabilmente la sua vista avrebbe scatenato il panico, quindi decise di rimanere nella sua camera fino a notte fonda.

Notò che dal privè provenivano dei rumori, si entusiasmò all'idea che l'uomo potesse essere là. Avvicinandosi silenziosa, lo intravide trafficare con delle bottiglie dietro al bancone del bar.

"Nef!" disse col cuore in gola.

"Sorellina! È durato poco il giro intorno al mondo! Che mi dici?"

La ragazza si gettò su di lui e lo baciò cingendolo al collo.

"Vediamoci stasera."

L'uomo rimase con due bottiglie nelle mani. "Ehm, mi piacerebbe, ma stasera ho un impegno, monella." Rispose preso in contropiede "Visto che tu te la stavi spassando, anche io ho invitato qualche amica, nel frattempo."

Rimase per un momento di stucco, ma capì perfettamente.

"Va bene, allora mi prenoto per la prossima notte, o hai già tutto il mese impegnato?"

"Guarderò la mia agenda" rispose sfottendola.

Uscì dal privè e si rinchiuse nella sua camera.

La notte stessa udì ripetuti rumori soffusi e vocii. Nef ci stava dando dentro alla grande, probabilmente non lo sfiorava nemmeno il pensiero che lei fosse nella stanza a fianco. Si domandò se, per lui, farlo con lei o con quella donna facesse differenza, se anche quella fosse stata abbindolata da discorsi profondi creati a hoc per la sua situazione personale. Non aveva importanza, si sarebbe riscattata il giorno seguente e tutti quelli che il buco nel cervello le avrebbe concesso.

Seduta a gambe incrociate sul letto scrisse sul suo diario.

03 Luglio 2002
Dopo tutti questi anni passati a fuggire
mi ritrovo qui ad affrontare il mio presente
e mi domando che cosa ne sarà di me.
Ma forse un giorno di questi
a questa stessa ora
avrò già smesso di chiedermelo.

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