Pagine di esistenza strappate alla vita - Parte III
Nella sala colloqui Sherry raccontò la novità a Fade. Era stato aperto un fascicolo per indagare su alcune procedure illecite della A.S.E. e la ragazza era stata chiamata a testimoniare.
"Se collaborerai, è probabile che i giudici ti riducano la pena" concluse. Ma lei non aveva per niente voglia di rivangare quei giorni, rimase in silenzio a guardare il pavimento.
"Io non ho più niente da perdere, Sherry" parlò infine "Non ho una vita al di fuori di queste mura e non saprei da dove ricominciare" confessò.
"Non essere sciocca."
La donna si alzò dalla sedia, mentre la porta in fondo la stanza si aprì e venne fatto entrare Nef. La ragazza provò un vuoto al cuore, si portò una mano davanti alla bocca, incredula.
Sherry andò incontro all'uomo prima di lasciare la sala. "Che Dio ti benedica, figliolo!"
"La prego milady, non credo sia il caso" rispose divertito.
La ragazza scattò in piedi. Non capì bene perché, se per scappare o per riflesso incondizionato, ma non si mosse, nonostante lui si stesse avvicinando.
"Ciao monella" disse poggiando una mano sul vetro "Come te la passi?"
Lei poggiò la mano in corrispondenza della sua "Come hai fatto?"
"Il moccioso aveva una gran voglia di rivederti. Sta facendo carte false, e non lo dico per scherzo, per tirarti fuori di qui. Certo dovrà sborsare un bel po' di grana, ma è necessario che tu testimoni, in modo da ricevere delle riduzioni sulla pena e dare meno soldi a questo tuo governo di ladri!" le spiegò.
Passarono diversi giorni e il processo arrivò a una conclusione; la clinica fu dichiarata non colpevole nonostante le diverse testimonianze d'accusa. Jag spiegò successivamente come i dirigenti avessero comprato il loro scagionamento a suon di bustarelle, guidandolo attraverso un 'processo lampo' con lo scopo di insabbiare tutto nel più breve tempo possibile. Alla ragazza fu comunque dato uno sconto sulla pena che si tramutò, grazie a elaborati processi burocratici, in arresti domiciliari. La tutela venne riconsegnata a Nef. Lei pretese che il bassista ascoltasse quello che aveva da dirgli, prima di accollarsi quel compito.
Lo incontrò un giorno fra un processo e l'altro e cercò di spiegargli, nel breve tempo che avevano, il suo trascorso.
"Non è vero che i miei genitori sono morti in un incidente" cominciò a spiegargli con remora "Li ho uccisi io. E l'ho fatto nel modo più vile che potessi scegliere: mentre stavano dormendo."
Lui non riusciva a credere che parole così forti fossero dette con tanta fermezza, ma non la interruppe.
"Quella notte presi un coltello dalla cucina, andai da loro e li ammazzai. Non riuscivo a fermarmi, anche se le urla mi straziavano i timpani."
"Perché?" chiese vedendo che la ragazza esitava.
"Li odiavo. Semplicemente li odiavo. Quando ero piccola loro non avevano mai tempo per me. Preferivano mandarmi in un collegio gestito da suore, dove rimanevo parecchi mesi l'anno. Avevo cinque o sei anni quando venni chiamata nell'ufficio della direttrice che mi disse che mi avrebbero trasferita in una stanza nuova e avrei dovuto saper dire bene le mie preghiere quando me le avrebbero chieste. Quella sera entrò un uomo nella mia stanza, io ero spaventata perché non avevo mai visto nessun prete in quel convento finora, ma lui mi disse di non preoccuparmi, che il Signore ci avrebbe assistito e poi mi costrinse a fare delle cose che un bambino non dovrebbe nemmeno immaginare."
Nef ricollegò subito la reazione che lei ebbe quella sera e si sentì uno stupido ad averla giudicata un'insana di mente.
"Le suore del convento svendevano i ragazzini a quei porci in cambio di favori. Li facevano entrare attraverso delle gallerie sotterranee e gli adibirono quella stanza per consumare i loro peccati. Mi venne detto di non dire niente, che se avessi parlato sarei andata all'inferno. Ero terrorizza. Lo eravamo tutti, ma nessuno aveva il coraggio di parlarne. Quando tornai a casa per le vacanze, i miei non si accorsero che ero cambiata. Non ridevo più, non parlavo più e i sensi di colpa mi divoravano; nonostante tutto loro continuarono a mandarmi in quell'inferno e il mio odio per loro cresceva ogni volta che un altro uomo entrava in quella stanza.
Quando si è piccoli il tempo aiuta a cancellare certi ricordi, ma dentro qualcosa mi stava consumando. Crebbi, e quando diventai adolescente cominciai a soffrire d'insonnia, le emicranie mi uccidevano e capitava che spesso, di notte, mentre i miei dormivano beatamente, io giravo per casa come uno zombie, maledicendo il loro menefreghismo.
Poi lo vidi, il coltello. Brillava di una luce strana, come se mi chiamasse. Non potevo più sopportare quella situazione e l'afferrai.
Quella notte fu un inferno. Dopo averlo fatto, mi sedetti sul letto. Avevo schizzi di sangue dappertutto e le urla che mi rimbombavano in testa. Indossavo i miei pattini e tenevo il mio peluche preferito aspettando che arrivassero. Sapevo che sarebbero venuti a prendermi, lo sapevo. Ma non avevo paura, non ne avevo più. Quando gli agenti arrivarono e mi trovarono lì, si preoccuparono per me, dicendomi di non aver paura, che andava tutto bene. Ma quando confessai che ero io l'artefice di quel casino i loro occhi cambiarono, mi squadrarono come se fossi una bestia assassina e sentii il gelo dentro di me. Fu una sensazione che mi piacque: finalmente ero colpevole di qualcosa che avevo davvero fatto.
Mi sbatterono in clinica chiamandomi pazza, psicopatica, mentre la gente mi additava come la figlia ingrata che aveva trucidato i suoi genitori.
Qualche mese dopo venni trasferita alla A.S.E. e lì lo sai cosa mi fecero. Scappai e arrivai alla capitale con dietro solo qualche gioiello di famiglia e il coltello con cui avevo ucciso i miei genitori. Adesso forse capisci perché era così importante per me. Quando l'ho perduto ho creduto di impazzire, ma adesso non ha più importanza. Forse merito davvero di marcire in prigione e non ti biasimerei se cambiassi idea dopo aver sentito questa storia, ma era giusto che la conoscessi."
Il racconto della ragazza terminò proprio alla fine della visita. La guardia entrò dalla porta per accompagnare fuori l'uomo che non fece in tempo ad aggiungere altro.
Fade era all'aeroporto accanto a Nef, con indosso i suoi pattini e un piumino leggero mentre Sherry la salutava calorosamente.
"Addio Fade, spero tanto che troverai la felicità dove stai andando" disse porgendole il suo peluche.
"Tienilo" rispose "Ti sei presa cura di lui molto meglio di quanto abbia fatto io" lasciò intendere.
"Arrivederci giovanotto" si rivolse al bassista "Anche se non capisco perché indossi degli occhiali da sole anche di notte, sei comunque un bravo ragazzo!"
Nef alzò un sopracciglio: non poteva credere che la donna non avesse la minima idea di chi lui fosse e del perché andasse in giro camuffato come una spia. Si limitò a salutarla con un sorriso.
"Dov'è Jag?" chiese la ragazza mentre salivano sull'aereo.
"Aveva delle cose da sbrigare, ci raggiungerà col suo jet privato."
Mentre l'aereo decollava, fiamme purificatrici si levarono alte in cielo. Jag osservava l'inferno innalzarsi fra le mura storiche di un vecchio convento, mentre le persone all'interno urlavano e fuggivano. Il rosso e il giallo avvampavano la sua pelle e si riflettevano nei suoi occhi lucenti. Sembrava davvero un diabolico demone punitore venuto in Terra per portare vendetta. Rise di gusto prima di risalire nella macchina dai vetri scuri che lo portò via da quell'immondo posto.
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Angolo autrice.
Grazie per aver letto fin qui! Vi piacciono i lieti finali? Peccato! La storia non è ancora conclusa! Arrivederci al prossimo capitolo!
JFM
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