Le cose che non sai di me - parte II
La notte stessa, stranamente, i passi di Nef ripresero a solcare il corridoio.
Fecero avanti e indietro un paio di volte per accertarsi di essere uditi, poi tutto ricadde nel silenzio.
Fade era nella sua stanza intenta a pensare come affrontare il discorso. Aveva studiato mille possibili prologhi, ma sapeva che arrivata di fronte a lui ne avrebbe iniziato uno del tutto imponderato. Si fece coraggio e schiavò silenziosamente la serratura per evitare di venire udita e battere in ritirata nel caso avesse cambiato idea durante il tragitto dalla sua stanza al privé.
Arrivò fin dietro lo stipite e spiò dalla porta semiaperta. Vide un'immagine del tutto inaspettata di Nef seduto sul divano, con le braccia distese sullo schienale, le gambe accavallate sulle quali aveva appoggiato un libro che stava leggendo. Giocava con uno stecchino, facendolo rigirare nella bocca, probabilmente lo aiutava a concentrarsi. Improvvisamente, a causa dell'equilibrio instabile, il volume cadde a terra sulla moquette, facendo un rumore ovattato. Fade trasalì lasciandosi scoprire.
"Ciao monella" disse lui apparendo non sorpreso. Il modo in cui la interpellò era quasi paternale, lontano da quello che le aveva detto il moccioso. Non rispose. Nef per non far ricadere il silenzio disse "Mi faccio un drink. So già che non ne vuoi, quindi non te lo chiederò. E non preoccuparti non ti farò lo scherzo dell'altra volta" disse posando il libro e alzandosi per dirigersi al bancone "Se me lo concedi potremmo parlare un po'...".
Dopo un attimo di esitazione la ragazza scivolò dentro e si sedette in un posto sul divano bel lontano da dove si era alzato lui.
Mentre si versava da bere, lei osservò il libro ma non riuscì a leggerne il titolo per via delle luci troppo soffuse.
Ritornando a sedere al suo posto, l'uomo posò il bicchiere e appoggiò i gomiti sulle ginocchia mettendosi le mani fra i capelli e tirando un lungo sospiro. Dopo quel rituale riprese il discorso. "Allora, come stai?"
Curioso, quello era un prologo a cui lei non aveva minimamente pensato. Cominciò a vedere la situazione da un altro lato, ovvero che anche lui, magari, non fosse uscito del tutto illeso da quella notte.
"Bene." rispose in maniera meccanica. 'Bene' era ciò che aveva imparato a rispondere sempre, per non dover essere costretta a...
"Io invece sto male" l'uomo interruppe un flusso di pensieri a cui lei, forse, non avrebbe saputo dar margini "quello che ho fatto non è perdonabile. Da quando è successo quel casino non faccio che ripetermi che pezzo di merda sono stato. Avevi pienamente ragione quando hai detto quelle cose..."
Lei non capiva a cosa si riferisse il musicista: non ricordava molto di cosa fosse successo quella notte.
"Da quel giorno ho abbandonato qualsiasi riferimento al satanismo e ho cominciato a documentarmi sulla sua storia" disse accennando al libro davanti a sé "Solo per capire i meccanismi che si celano dietro quegli esaltati..."
Fade si accostò e prese in mano il grosso volume. In effetti aveva inciso in copertina il titolo a caratteri cubitali Magia Nera - Dossier.
Sfogliò alcune pagine non curandosi che si perdesse il segno: tra una moltitudine di parole scritte, c'erano disegni di schemi e raffigurazioni di incisioni che non riusciva a comprendere, si limitò quindi a posare il libro al suo posto e rimanere immobile a fissare la moquette.
Nef capì che il tentativo di avvicinamento da parte di lei non sarebbe andato oltre e spettava a lui fare il resto. Cautamente posò la mano sulla testa della ragazza a sfiorarle i sottili capelli rossi. Lei si voltò a guardarlo mentre lui scrutava nei suoi occhi in cerca di consensi. Sentendosi troppo pressata, si rannicchiò sul suo petto a nascondere la faccia, mentre il braccio di lui si permise di cingerla più forte, donandole un inaspettato conforto.
Fade osservò i ciondoli che sbucavano dalla sua camicia nera semiaperta e vide che all'appello mancava la croce d'oro rovesciata a conferma di ciò che aveva sentito prima. Non sapeva bene cosa fare in quel momento. Il calore della mano di lui sul suo viso la confortava; le congetture che aveva fatto nella solitudine della sua stanza si ripresentarono all'improvviso, ma amplificate all'ennesima potenza. Non riusciva a credere che il suo cuore potesse sopportare tutte quelle sensazioni, mentre lui scivolava con le mani sotto la sua maglietta ad accarezzarle la schiena. Gli permise di spogliarla, mentre teneva gli occhi chiusi per non far trasbordare le sue paure. L'uomo si ritrovò a carezzare un corpo minuto ed estremamente magro, dalla pelle bianca lattea. Anche slacciandole il piccolo reggiseno, non poté fare a meno di notare quanto i suoi seni fossero differenti da tutti quelli in cui aveva affondato il viso fino a quel momento, tanto da fargli pensare che tutte quelle tette del passato fossero rifatte, senza eccezioni.
Smise di divagare concentrandosi sulla ragazza, la sua pelle era estremamente liscia al tatto, non come quelle troppo abbronzate e screpolate delle sue svirgolate fan e i suoi capelli gli solleticavano piacevolmente le mani. Preso da un impeto di eccitazione la strinse e la baciò, lei rannicchiata come un pulcino spaventato non seppe fare altro che seguire i suoi movimenti esperti mentre la stendeva sul divano e finiva di spogliarla.
Fallendo il tentativo di far riemergere il suo spirito cinico da star, mentre si sfilava la cinta pensò: "Speriamo che non sia minorenne..."
[...]
La mattina seguente salutò Fade donandole un feroce mal di testa.
Si svegliò nel suo letto con indosso solo la maglietta della sera precedente, mentre un dolore fastidioso le divampava nel bassoventre. Le sembrava di vivere in una sorta di sogno che si tramutò in incubo non appena ricordò quello che era successo.
Osservò intorno in cerca dei suoi vestiti ed ebbe l'intuizione che i pezzi mancanti fossero rimasti nel privé. Entrò di soppiatto nella porta che era stata lasciata socchiusa, il divano era senza cuscini e i suoi vestiti erano stati piegati e disposti sul tavolino. Evitando di farsi domande, li afferrò e ritornò nella sua stanza, poi decise di fare un giro per gli studi per vedere che aria tirasse. All'apertura dell'ascensore che portava al piano zero, incontrò la manager del gruppo che la salutò semplicemente con un'alzata di sopracciglio inquisitoria. Stesso discorso per Sushi che, incrociandola, staccò per un attimo lo sguardo dal suo cellulare per squadrarla e poi riprese la sua direzione. La ciliegina sulla torta fu l'incontro con Ted e Jess che bisbigliavano e ridevano fra di loro.
"Ehi Fade!" urlò Jag cogliendola di sorpresa "Ci hai dato dentro la scorsa notte!"
Lei a momenti ci rimase secca, si girò e aggredì il bambino tappandogli la bocca "Che cazz... Ma che vai dicendo?! E poi ti sembra questo il modo di parlare?"
Jag si liberò dalla morsa "Eddai lo sa tutto lo studio!" rincarò la dose.
La ragazza sentì il sangue andarle al cervello per la rabbia e la vergogna. Lui spiegò con un ghigno d'intesa "Nef ci ha raccontato tutto a colazione."
Non volendo sapere altro, si allontanò prima che il marmocchio potesse aggiungere ulteriori dettagli. Prese l'ascensore per il primo piano e si diresse alla stanza del bassista calciando con i pattini sulla porta per farsi aprire. Si stagliò sull'uscio uno smagliante Nef che, prima che la ragazza potesse aprir bocca, la apostrofò "Ehi monella! Allora è vero che eri vergine! Hai fatto un casino sui cuscin..." lei lo afferrò per la catenina stingendo pericolosamente "Ma che cazzo! Hai raccontato tutto a tutti!" urlò.
"Vacci piano..." replicò lui con la voce strozzata "Non te la prendere piccola, è tradizione degli studi raccontare quando uno se la spassa!" minimizzò.
"Sei un coglione!" concluse mollando la presa e andandosene.
Intanto tutti di sotto erano stati avvisati da Jag di evitare pettegolezzi data la furia con cui la ragazza aveva reagito alla notizia. Lei, dal canto suo, scivolava via dagli occhi indiscreti. Aveva realizzato come anche Jag non fosse dalla sua parte, troppo ossessionato dal successo della band. Poteva anche essere comprensibile, ma in fondo non cercava il sostegno di nessuno, aveva sempre vissuto contando solo su se stessa e poteva continuare a farlo.
Così, quella notte, ricominciò a uscire di nascosto per vagabondare nelle strade della città. Riprese anche a rubare nonostante non le servisse veramente, ma non voleva più dipendere dalla 'servitù' degli studi. Aveva cominciato a rifiutare i vassoi di cibo posti di fronte la sua porta, fino a che gli inservienti, capita l'antifona, smisero di portarglieli. Nell'angolo della sua camera aveva adibito la scrivania a tavolo da pranzo e cucina e si era procurata tutte quelle cose che, nel minimo indispensabile, le servissero per mangiare. L'acqua potabile la prendeva dal bagno, usando bottiglie vuote, proprio come quando viveva nel suo vecchio rifugio. Col passare del tempo riuscì anche a costruirsi la nomea e l'alone di timore che la caratterizzavano nel suo vecchio quartiere, più che altro confrontandosi in piccole scaramucce e minacciando con il coltello chiunque l'avvicinasse. Dopo la serie d'eventi che l'aveva travolta, qualcosa era cambiato nella sua personalità, sentiva il bisogno di portare le cose all'estremo e ricercava il brivido provato nell'essere vicini al perdere la vita. Aveva ricominciato pure ad acconciarsi i capelli in lunghe falci, cosa che aveva smesso di fare dalla notte della cerimonia, ridiventando una sorta di decadente icona dei quartieri malfamati. Tornata nella stanza, appuntava sul suo diario i pensieri che le erano scorsi in testa, accompagnati dallo scivolare delle rotelle. Da quando lo faceva le emicranie erano meno frequenti, il nervosismo che le faceva digrignare i denti nel sonno si era attenuato, ma non si sentiva meglio, quello no.
13 Marzo 2001
INSOFFERENZA
Quando senti quella sensazione
Quando senti che non resterai
Se cambiassi vita
Non potrai sapere se l'apprezzerai
Non è tempo di amarlo
Non è tempo di rinnegarlo
Solo
tieni aperto il cuore e scrivi
Scrivi tutto ciò che ti passa per la testa
Non ci sono pensieri nella mente
Solo una stupida sequenza di parole
È il cervello che comanda la mano
Tic tac tic tac tic tac
Fino a che la testa non esploderà.
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