L'incubo - parte IV
La ragazza girò piano la serratura e fece capolino dalla fenditura della porta. Il corridoio della clinica era buio, illuminato solo da alcune sporadiche luci d'emergenza. Il bagliore tremolante di un televisore proveniva dalla sala infermieri, mentre in sottofondo si sentiva una musica smielata di telenovela da quattro soldi. La ragazza uscì e richiuse la porta silenziosamente, poi con un veloce colpo di pattini si nascose nell'ombra della parte opposta del corridoio. Si avvicinò cautamente all'infermeria e rimase in silenzio. Dalla televisione proveniva un surreale dialogo fra due innamorati che sembravano proprio non accettare di aver scoperto che l'altro avesse un amante ma che, in fondo, si resero conto di amarsi più di prima. Si sentiva anche il singhiozzare sommesso dell'infermiera, commossa dalla struggente storia di passione.
"Mi piacerebbe sapere su che regole scientifiche si basano gli esperti per decretare che gli svitati siamo noi!" pensò.
Slittò lungo il corridoio e arrivò alle scale, per evitare di far rumore salì a cavalcioni sul corrimano e si lasciò scivolare giù. Prese troppa velocità e atterrò con un secco rumore dei pattini sul pavimento che riecheggiò per tutto l'atrio. La ragazza trattenne il fiato aspettandosi il peggio, ma nessuno arrivò. Corse verso l'ultimo ostacolo alla sua libertà. Si intrufolò in uno scantinato dove aveva adocchiato una finestra lucernario che dava proprio al cancello d'uscita. Le furono necessari parecchi sforzi per infilarsi in quella stretta fessura, per fortuna la ragazza non aveva problemi di sovrappeso; si fece male in diversi punti per riuscire a passare, ma alla fine fu fuori.
L'ultimo sforzo consisteva nell'oltrepassare la recinzione della clinica, Fade confidava in un cancello di servizio per le infermiere che qualche volta veniva lasciato aperto. Lo vide da lontano, non riuscì a controllare la frenesia di prendere il volo e, incurante della prudenza, cominciò a correre a rotta di collo verso quel piccolo spiraglio di libertà. All'improvviso vide qualcuno approssimarsi e si fece prendere dal panico. Era troppo tardi per nascondersi, doveva raggiungere il cancello prima che la beccassero, a costo di travolgere chiunque le si parasse davanti. Cercò di correre più forte, malediceva quella persona che le veniva incontro "Non chiudere quel cancello, stronzo! Cazzo, non lo chiudere!" voleva urlare, ma alla fine frenò bruscamente proprio di fronte all'uomo che era semplicemente un passante e si offrì, oltretutto, di spingerle il cancello per invitarla a uscire. "Prego signorina" disse un minuto vecchietto con appresso un cane, anch'esso minuto.
"Grazie, è molto gentile" balbettò la ragazza, pentendosi di tutti gli insulti che gli aveva appena mandato.
"Dove sei stata, a un party?"
"Ehm, sì" rispose lei rendendosi conto che forse anche l'uomo non ci stava tanto con la testa "Ma adesso devo andare, è passata la mezzanotte! Addio!" e si dileguò fra le strade aggrappandosi a un autobus che passava proprio in quel momento, lasciandosi trascinare il più lontano possibile.
Dopo parecchi minuti il veicolo svoltò in una via laterale e la ragazza lasciò la presa per continuare da sola la sua strada. Percorse parecchie vie secondarie e arrivò presso un isolato agglomerato di casette. Si diresse furtivamente verso una di esse intrufolandosi nel giardino sul retro.
La casa era disabitata, il vento muoveva sinistramente dei nastri di plastica rossi e bianchi che sigillavano le porte e le finestre. Passò accanto a un cartello che intimava il divieto di accesso per ordine della polizia.
Si avvicinò a una piccola finestra seminascosta da un cespuglio, la spinse e quella si aprì. Era l'entrata di emergenza per quando dimenticava le chiavi di casa.
Sgattaiolò nel seminterrato dell'abitazione; tutto era silenzioso e il respiro le si fece più forte. Si avvicinò alle scale che portavano al piano superiore mentre delle voci cominciarono a penetrarle nella testa, sempre più forti, fino a diventare schiamazzi e urla.
"Basta!" gridò la ragazza stringendo il capo fra le mani e tutto tacque.
"Grazie" sussurrò mentre saliva di sopra.
Arrivò alla porta che conduceva al piano terra; appena aperta si trovò di fronte lo specchio dell'ingresso. Per un attimo trasalì. La superficie era ricoperta di polvere, vi passò sopra la mano e scoprì il suo viso riflesso, poi scrisse il suo nome con un dito.
Andò in cucina e istintivamente accese la luce. Premette il pulsante un paio di volte ma non ottenne risultati: la corrente non c'era. I mobili erano stati accatastati in un angolo per permettere di fare spazio. Le finestre erano state lasciate socchiuse e, all'esterno, si intravedeva la banda di plastica che sbatteva al vento. La ragazza affrontò una seconda rampa di scale che portava alle camere.
Le voci nella sua testa ripresero a spadroneggiare, andando fuori dal suo controllo.
"Basta! Basta! Basta!" ma quelle non smettevano.
Salì le scale di corsa, anche se con difficoltà per via dei roller, si trovò di fronte una porta sigillata, girò l'angolo e si chiuse dentro al bagno a riprendere fiato, le voci rimasero al di là della porta, come attenuate.
Dopo qualche istante alzò lo sguardo e fissò il lavandino. In quello stesso posto, un anno prima, aveva fatto scorrere l'acqua che lavò via le macchie di sangue dal suo coltello e dal suo viso.
Rimase a fissare il lavello per qualche minuto, poi udì una sirena e si allarmò, staccò due mensole affisse nel bagno e aprì una finta parete. Infilando il braccio in una cavità del muro ne tirò fuori un sacchetto con dentro dei gioielli; fece un profondo respiro e rinfilò il braccio cercando più a fondo, prese un coltello da cucina, nascosto lì la sera stessa che vennero a prelevarla, lo mise nel sacchetto e scappò dalla casa, lasciando dietro di sé quelle urla di disperazione.
Raggiunse la stazione ferroviaria e vi si intrufolò dal retro, scivolando fra le carrozze vuote e i grandi macchinari fermi. La ghiaia fra le rotaie non le permetteva di pattinare, quindi procedeva a tentoni, scrutando furtiva, alla ricerca di eventuali guardiani da evitare. Tentò di aprire la porta di un lungo treno merci ma non ebbe successo, continuò la sua ricerca fino a che non trovò un vagone semiaperto, vi si nascose dentro e attese la partenza del convoglio. Quel treno la portò nella città in cui, otto anni dopo, avrebbe incontrato Jag.
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Il cerchio si chiude!
Al prossimo capitolo!
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