Gli incancellabili segni del passato - Parte III

Dopo una notte passata nel dormiveglia, Fade si alzò al sorgere del sole, infilò al volo i roller e andò a controllare se il bambino fosse ancora lì o se ne fosse andato. Mentre sfilava il paletto di sicurezza, non riusciva a comprendere bene quale delle due opzioni le fosse più congeniale.

Aprendo con molta cautela la porta, scrutò intorno e trovò il ragazzino in un angolo, raggomitolato come un gatto per il freddo della notte precedente. Non provò nessuna pietà a quella vista: troppe volte le era capitato di dormire in quelle condizioni e aveva visto centinaia di altre persone fare lo stesso. "Forza, preparati!" ordinò svegliandolo.

La giornata non era cominciata bene per la ragazza: per la fretta di accompagnare Jag dove voleva andare - e finalmente liberarsi di lui - non si era potuta acconciare i capelli al solito modo, quindi se ne andava in giro con indosso un cappello abbastanza largo da raccoglierli tutti e un paio di occhiali da sole per non farsi riconoscere, tentativo forse vano considerato che continuava a indossare i suoi logori rollerblade viola e neri.

Distrattamente seguiva il moccioso che camminava dinanzi a lei portando a due mani un'ampia cartina stradale. Il bambino continuava a parlare da solo leggendo i nomi delle vie e alzando il naso per aria cercando qualche riscontro fra le targhe poste sui muri delle strade.

La storia andò avanti per un po' quando, all'improvviso, Jag si arrestò con la cartina ancora aperta in mano. Così all'improvviso, che a momenti lei gli andò addosso.

"Che c'è? Siamo arrivati?" chiese.

Lui non rispose, si limitò a restare immobile nel centro della via. Poi finalmente sentenziò: "Mi sono perso..."

Fade, attonita in un primo momento, esplose in un attacco d'ira: "Come ti sei perso? Sono ore che giriamo per la città e ti rendi conto solo ora che... Da' qua!" comandò strappandogli la cartina di mano per individuare dove si trovassero. Dopo un attimo di smarrimento, capì: "Idiota! Hai in mano la mappa di un'altra città! Come pensi di orientarti con questa?!"

"Com'è possibile?" chiese il marmocchio con lo sguardo perso nel vuoto di chi non capisce cosa stia succedendo.

"Questo lo devi sapere tu! È perfino di uno Stato differente!"

"Ecco perché parli con quell'accento strano" rispose secco, senza minimamente dare peso all'errore madornale che aveva commesso.

A quell'ennesima dimostrazione di totale distacco dal problema, lei acciaccò con un solo colpo la cartina fra le mani e gliela sbatté al petto. "Ho chiuso con te! Me ne vado!" concluse allontanandosi veloce verso la direzione da cui erano venuti.

"Aspetta!" la richiamò prima che fosse troppo distante per essere udito. La ragazza si fermò, anche se sapeva di star facendo un errore, e rimase immobile senza nemmeno voltarsi indietro.

Rincuorato, il bambino la raggiunse correndo con, sottobraccio, la cartina appallottolata in malo modo.

"Sei stata gentile con me" le disse appena la raggiunse "Lascia che ti ricompensi."

Abbandonò la mappa a terra e prese dalla tasca posteriore dei pantaloni un ridicolo - a parere di Fade - portafogli con dei disegnini manga stampati sopra. Con gran stupore di lei, era colmo di banconote di grosso taglio.

Jag ne sfilò una e gliela porse. "Ecco, tieni."

"È uno scherzo, vero?" fu tutto ciò che riuscì a dirgli, senza il minimo accenno a volerla prendere.

"Certo che no!" continuò lui "Mi pare il minimo per quello che hai fatto..."

Fade rimase a fissare la banconota. Certo, quella le sarebbe bastata a tirare avanti per un bel po' senza dover arrabattarsi e rischiare l'osso del collo o la prigione per accaparrarsi un misero pasto, ma dentro di lei c'era qualcosa che glielo impediva: decisioni prese, catene mentali che bloccavano le sue azioni, giuramenti, divieti e doveri che ogni giorno le bombardavano il cervello per ricordarle perché si trovasse lì.

"Addio" concluse sfilandosi da quella scomoda situazione. Questa volta il ragazzino non la fermò, si limitò a guardarla allontanarsi, mentre placidamente abbassò la mano che impugnava la banconota. Rimase lì, con la sua solita espressione neutra; poi sbuffò in un sorriso eccessivamente inquietante: "Umph! Incorruttibile."

Fade correva fra i vicoli come presa dal panico, come se stesse cercando di sfuggire alla tempesta di congetture che le rimbombava in testa. Correva per scapparne, correva perché lo scivolare lineare sull'asfalto le permetteva di rientrare in sintonia con i suoi pensieri più neutri. Ma non funzionò, tornò a casa a stento e si gettò sul letto tenendosi la testa, ormai ostaggio di un turbinio di strilli, rumori assordanti e raffiche di immagini che si accavallano impazziti in uno spazio troppo stretto per contenerli. Accartocciata come una lattina si lasciò andare a uno straziante urlo di dolore, per poi collassare sul materasso del suo misero monolocale.

Il mattino seguente si risvegliò completamente stordita. Le sembrava di aver dormito a lungo senza effettivamente rendersi conto per quanto, rimase ancora un po' inerte sul materasso, poi girò a fatica la testa verso la stanza.

Jag era seduto all'angolo opposto, con un blocco da disegno sulle ginocchia e delle cuffiette alle orecchie. Appena notò i suoi movimenti si tolse gli auricolari e rimase a fissarla.

"Come cazzo hai fatto ad entrare?" chiese lei con un filo di voce muovendo a stento la bocca impastata.

"Mi sei sembrata strana e ti ho seguita. Ti sei precipitata qui senza nemmeno chiudere la porta. Che ti è successo?"

Fade sussultò a quell'affermazione: non avrebbe mai dimenticato di chiudere la porta, ma in realtà non ricordava molto della sera precedente.

"Un po' di mal di testa" fu la risposta.

"Mal di testa? A me sembrava una vera e propria emicrania" ribatté lui con un tono più maturo dell'età che dimostrava.

"Non sono affari tuoi, vattene o..." ma non riuscì nemmeno a terminare la frase tanto era stata pesante la sua crisi e ricadde nel sonno.

Jag si rimise le cuffie e continuò a scribacchiare sul suo blocco da disegno.

Verso l'ora di pranzo la ragazza si svegliò, destata dai rumori molesti che il moccioso stava facendo nell'intento di aprire delle scatolette sul piano cucina accanto al letto. Si tirò su con movimenti scoordinati, ma non riuscì ad andare oltre il sedersi con le braccia appoggiate sulle ginocchia. Fissò per un po' i rollerblade che aveva ancora ai piedi. "Non ti avevo detto di andartene?" chiese con la testa reclinata verso il pavimento.

"Non ti ho ancora ricompensata" fu la risposta del bambino.

"Allora come ricompensa voglio che tu ti tolga dai piedi" replicò secca.

"Non essere sciocca" ridacchiò lui riuscendo finalmente a scoperchiare una scatola di zuppa pronta "Io ricompenso sempre chi mi aiuta." Detto ciò versò la brodaglia in un piatto, la inserì in un microonde premendo il pulsante start.

"Che diavolo è quello?" chiese reclinando appena la testa.

"Zuppa dai mille colori, è buona! L'unica roba alle verdure che mangio perché in realtà..."

"Non intendevo quello" lo interruppe "Che ci fa quell'aggeggio a casa mia?"

"Ah, mentre dormivi ho approfittato per portare un po' di comfort a casa tua! Con questo puoi scaldarti il cibo, ho anche preso un piano cottura elettrico, un forno, delle lampadine e, naturalmente, ho fatto in modo di aggiustare l'impianto e allacciarlo a una rete, poi..."

"Ma sei scemo?" urlò lei alzandosi di scatto come se improvvisamente fosse rinvigorita "Come pensi che pagherò la bolletta?"

"Bolletta? Non c'è bisogno di pagarla, ho pensato a tutto io" rispose placido. La ragazza stava per controbattere, ma venne interrotta dal segnale acustico del microonde che aveva terminato il suo ciclo. Jag aprì lo sportello e afferrò il piatto fumante per poi posarlo sopra una tovaglietta di cannucce che aveva appositamente comprato per l'occasione.

"Ecco a te" disse invitandola a sedersi sullo sgabello accanto al suo. Fade tacque, allettata dall'idea di mangiare qualcosa di caldo, si sedette, prese il cucchiaio e mangiò la zuppa, mentre il bambino, accanto a lei, sgranocchiava uno dietro l'altro dei salatini da aperitivo.

Finito di mangiare, riprese con fare meno sprezzante del solito "Beh, direi che adesso ti sei sdebitato, ti auguro fortuna nella tua ricerca, di qualunque cosa si tratti!" e rimase in silenzio, come se si aspettasse che la storia non sarebbe finita lì. Stranamente, invece, il moccioso scese giù dallo sgabello con un piccolo salto e si avviò verso la porta.

"Allora ti saluto..."

Sfilò il paletto di sicurezza da solo e uscì chiudendo la porta dietro di sé.

Il gran silenzio lasciato da quell'ultimo gesto le lasciò in bocca un gusto dolce-amaro: di soddisfazione per aver riconquistato la sua indipendenza e di insoddisfazione, come se le mancassero le risposte per riuscire a capire cosa fosse veramente successo.

Nell'esitazione del momento, il suo sguardo cadde sul piano cucina dove, accanto alla scatola semivuota di salatini, il bambino aveva lasciato il suo blocco da disegno. Lo tirò a sé e sollevò la copertina scoprendo un primo soggetto.

Il disegno era schizzato e sporco, ma solido nella struttura e con un lieve cenno di chiaroscuro nelle parti in cui l'autore aveva trovato interessante far venir fuori dei volumi. Rappresentava un cantante avvitato su se stesso durante un concerto. Il viso e le mani, più curati del resto del corpo, sembravano sprigionare la pura energia della musica che si incanalava nel corpo, appena accennato e teso, per irradiarsi poi tutt'intorno.

Continuò a sfogliare l'album. Nelle pagine successive trovò vari studi di musicisti, dettagli in chiaroscuro di mani in varie posizioni e strumenti musicali, per lo più moderni. Si soffermò sul disegno di un pianista: il foglio era ombrato per via del forte chiaroscuro, probabilmente reso con una matita morbida, che ricreava l'effetto di nero lucido dello strumento. Su alcuni punti, delle cancellature di gomma simulavano i riflessi. Il viso dell'uomo era assorto in un'espressione pacata e malinconica, come se stesse suonando una musica di ricordi passati. Le fu arduo credere che un ragazzino così giovane fosse in grado di disegnare in maniera così accurata.

Fade sfogliò ancora alcune pagine, arrivando all'ultimo soggetto, disegnato, stavolta, con una sanguigna rossa. Rappresentava il profilo di una ragazza nuda, in ginocchio a terra. La linea formata dal suo corpo ricordava la morte lenta di un cigno che si accascia su se stesso. Aveva le mani intrecciate, appoggiate fra le ginocchia e lunghi capelli che le cadevano davanti al viso lasciando intravedere solo l'occhio, colmo di rabbia e disperazione, che guardava fisso verso chi l'osservava. Sulla sua gamba sinistra, una lunga cicatrice spezzava la delicatezza dei suoi tratti.

La ragazza si sentì come se qualcuno le avesse appena raschiato l'anima con un cucchiaio arrugginito. Rimase a contemplare il disegno, affacciandosi, per la prima volta, sull'abisso dei suoi pensieri. Il bussare alla porta la ripiombò nella realtà.

"Fade sono io! Apri ho dimenticato una cosa!" esclamò Jag dall'altra parte.

Una vampata d'ira la colse e si precipitò come una furia alla porta, spalancandola. Lui non fece in tempo a dire niente che venne preso per il bavaglio, sollevato di peso e sbattuto contro il muro dell'atrio.

"Hai visto il mio blocco da disegno, vero?" concluse strozzato dalla spinta sul muro.

"Che cazzo fai, mi spii? Che vuoi da me? Chi sei?" chiese a raffica, tenendo stretto nell'altra mano il manico del suo coltello, ancora infilato nella fodera della cinghia.

"No, lasciami spiegare..." sibilò il ragazzino con la voce sempre più spezzata.

"Io ti..." lo fissava con occhi vacui, mentre la stretta si faceva più serrata sul coltello che stava per sfoderare.

Il rantolo di lui, causato dal pugno premuto sulla laringe, la fece rinsavire. Mollò la presa, lasciandolo accasciare a terra.

Rientrò nel suo appartamento e ne uscì poco dopo con in mano il blocco da disegno. Dopo aver assicurato la porta con il lucchetto si avvicinò al moccioso e gettò l'album ai suoi piedi. "Non farti più vedere" furono le sue ultime parole prima di scivolare lungo il corridoio e lasciare l'edificio.

Vagò a lungo per le vie della città senza sapere bene dove andare, aveva voglia di correre ma non sentiva più l'irrefrenabile desiderio di scappare. Si sentiva svuotata e, per la prima volta, capì che doveva affrontare una questione lasciata in sospeso da tempo.

Infilò un vicolo semi-nascosto della città quando il sole ormai era al tramonto e si fermò in corrispondenza di un piccolo slargo che era la zona carico-scarico di alcuni magazzini abbandonati da anni. La sporcizia tutt'intorno, il tenebroso silenzio interrotto solo dal traffico lontano della strada principale e la luce che variava tutte le cose in una tonalità arancio-rosato, faceva sembrare il posto quasi surreale.

Fade fissava un particolare punto del luogo, rimanendo in riflessione alcuni minuti.

"Che cos'è questo posto?" chiese una voce familiare da dietro le sue spalle. La ragazza sussultò per l'inaspettata domanda, poi si voltò. Jag era seduto con le gambe penzoloni su un piccolo davanzale sporgente di una finestra murata.

"Come diavolo fai a seguirmi dappertutto?" gli chiese senza più astio nei suoi confronti.

"Ho dei poteri magici" scherzò il bambino mostrando un sorriso aperto.

Lei spezzò la sua solita espressione cupa con un mezzo sorriso "Sì, certo..." poi tornò seria.

"Qui" riprese dopo un attimo di esitazione "È dove è successo."

Si avvicinò al punto che stava fissando. "Questo è un posto abbandonato da tutti, dove persino i delinquenti hanno rinunciato ai loro affari, perché di notte si trasforma in una sorta di arena per la resa dei conti. Su quest'asfalto si è versato molto sangue e, quella sera, c'eravamo io e quello stupido ragazzo che continuava a provocarmi." Prese una pausa, poi proseguì con sforzo: "Era un moccioso ma aveva la lingua tagliente; ha detto cose che mi hanno fatto perdere la testa..."

"Che genere di cose?"

"Insultava i miei genitori, ma non è andato avanti per molto: gli ho spaccato il naso con un calcio..."

"Ouch..." commentò il bambino immaginandosi il dolore che può inferire un calcio dato con dei rollerblade.

"Ma non mi bastava, io lo volevo morto: ho preso il mio coltello e l'ho assalito mentre era steso a terra a piagnucolare per il suo naso rotto. Ha cominciato a supplicarmi, a dirmi che non voleva morire, che avevo vinto e che voleva andarsene a casa... Non so cosa mi sia preso ma d'un tratto la mia rabbia è sparita. Mi sono fermata e lui ne ha approfittato per prendere a sua volta un coltello, mi ha squarciato una coscia e poi mi ha spintonato indietro, saltandomi addosso. Ho alzato istintivamente le braccia e l'ho trafitto allo stomaco."

La ragazza esitò un attimo, come se temesse di andare incontro al resto del racconto.

"Ricordo ancora la sua espressione, gli occhi che mi fissavano mentre si spegnevano, le parole che gli morivano in gola e il sangue che gli usciva dalla bocca e mi colava addosso a macchiarmi per quello che avevo fatto...

È morto così, quando io non desideravo più ucciderlo." confessò sommessamente. "Ho dovuto scrollarmelo di dosso e cercare di scappare nonostante la gamba ferita e il dolore che mi faceva quasi svenire."

"Come ti sei salvata?" chiese fremente il ragazzino.

"Ho un amico, o forse dovrei dire un salvatore" mormorò a se stessa "che ho incontrato i primi tempi che sono venuta a stare qui. È un medico e, per quanto possa sembrare assurdo, mi ha preso sotto la sua protezione senza fare troppe domande. Quella sera sono riuscita a raggiungere casa sua e a farmi dare una ricucita. Poi" concluse "c'è stato un violento temporale che ha cancellato le tracce di sangue e la polizia lo ha trovato un ottimo deterrente al proseguimento delle indagini: queste strade sono da tempo alla mercé dei disgraziati e la legge non le visita volentieri..." lasciò intendere.

Prima che Jag avesse la possibilità di chiedere altro, Fade sentenziò: "Ora andiamocene, questo posto non sarà molto sicuro tra breve."

Il bambino annuì, saltò giù dal suo posto di spettatore improvvisato e si avviò verso il vicolo da cui la ragazza era venuta. Lei lo seguì mesta, si sfiorò con la mano la gamba e si voltò a guardare per l'ultima volta quel posto. Puntò una pistola immaginaria formata dall'indice e dal pollice della sua mano.

"Bang" disse sottovoce mimando uno sparo verso qualcosa di ignoto e poi se ne andò, come se avesse chiuso il capitolo di un libro di cui, da tempo, cercava un finale convincente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top