Gli incancellabili segni del passato - Parte II
"...e non toccare niente" fu l'ultima di una serie di raccomandazioni che fece al bambino prima di aprire la porta del suo monolocale. Il ragazzino entrò in silenzio nella stanza portandosi dietro le buste della spesa. Si guardò intorno senza commentare, non lasciando per nulla trasparire la sua impressione riguardo il misero arredamento. Semplicemente posò le buste a terra e attese in silenzio istruzioni. La ragazza si avvicinò slittando sui rollerblade. "Allora, che cosa hai lì?"
Lui si sedette a terra fra le due buste, e con un'euforia mai mostrata fino a quel momento, cominciò a tirar fuori la mercanzia e a descriverla minuziosamente, posandola poi tutt'intorno: "Spaghettini cinesi, carciofini sott'olio, burro in panetti, fiocchi d'avena, latte, snack al cioccolato, gassosa, noccioline, patatine, panini per hamburger, succhi di frutta alla pera e albicocca, würstel..."
La ragazza aveva già perso il senso di tutto quello che stava accadendo e non ascoltava più la lunga lista dei prodotti comprati. Le era scoppiato un tremendo mal di testa, troppo presa dal valutare quanto assurda potesse essere quella situazione e ancora intenta a scoprire cosa c'era che non andasse in quello stranissimo moccioso.
"Ed ecco il top!" gridò il bambino alzandosi in piedi e sfoggiando una grossa bottiglia dal liquido scuro "Bibita gassata al caramello e coloranti!" Detto ciò si apprestò ad aprirla, ma appena svitato il tappo, la bottiglia, evidentemente sollecitata per tutto il tempo, cominciò a spruzzare incontrollatamente il contenuto, innaffiando tutto intorno.
Fade cessò il suo turbinare di pensieri. Annaffiata dalla testa ai piedi dall'appiccicoso liquido e vedendo il bambino immobile che continuava a tenere la nefasta bottiglia in mano senza fare assolutamente niente, urlò con voce stridula per ridestarlo. Lui reagì, come se si fosse svegliato da un incanto, ma la bottiglia oramai aveva esaurito tutto il suo contenuto.
La ragazza raccattò per la collottola il moccioso, zuppo anch'egli di bibita, e lo sbatté fuori dalla porta imprecando per il disastro combinato. Lui rimase immobile con ancora in braccio la bottiglia vuota, mentre sentiva da dietro la porta la ragazza che lo insultava e il rumore di mobili spostati e cose che si rovesciavano.
Improvvisamente la porta si spalancò. Fade, furibonda, gli porse un cestino di bottiglie vuote e ordinò: "Va' a prendere dell'acqua alla fontana qui sotto! Subito!" Il bambino non rispose, afferrò il cestino e con le scarpe zuppe si avviò per il corridoio buio.
Nel frattempo la ragazza, alla meno peggio, si sciacquava i capelli utilizzando l'acqua di alcune bottiglie di riserva che teneva in bagno. Odiava lavarsi i capelli, per prima cosa perché doveva farlo con l'acqua fredda - gelata, se inverno - secondo perché era costretta a rifare la sua elaborata acconciatura, cosa piuttosto impegnativa, soprattutto con la testa in preda a un coro di anime dannate.
Poco dopo sentì un timido bussare alla porta. Con i capelli avvolti in un asciugamano andò ad aprire, non prima, però, di essersi accertata di chi fosse. Il bambino entrò nella stanza portando a fatica il cestino con le bottiglie ricolme d'acqua. Lei ne afferrò una dando istruzioni: "Per prima cosa prendi quella spugna e lava tutti i mobili che hai impiastricciato con quella maledetta bibita, per finire, con quello straccio, lava il pavimento. Io vado in bagno a cambiarmi, e non fare il furbo, se scappi ti riacchiappo!"
Detto ciò, chiuse la porta dietro di sé lasciando il moccioso da solo, il quale, mesto, si mise all'opera.
Seduta su uno sgangherato mobiletto, la ragazza passò lentamente una spugna bagnata sulla sua pelle chiara. Il contatto con l'acqua la fece rabbrividire; oramai era lontano il giorno in cui, per l'ultima volta, aveva avuto il piacere di lavarsi con dell'acqua calda, ma si consolava: almeno adesso conosceva e apprezzava il valore delle cose che sembrano dovute, fino al momento in cui le perdi.
Per l'ennesima volta ripassò a mente i principi su cui era basata la sua esistenza: "Rubare solo l'essenziale per vivere, non disprezzare le cose e non sprecare niente, riutilizzare il più possibile qualunque cosa..."
Il distrarsi ripetendo le permetteva di patire meno il freddo. La spugna passava ora su di una lunga cicatrice incastonata nella sua gamba sinistra. Come una sorta di inquietante strada fantasma, nel percorrerla Fade rallentò il suo moto; la ragazza seguì la lunga traiettoria passando sopra i segni trasversali delle cuciture ormai cicatrizzate, e nel farlo contò in silenzio: "Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette...". Sette punti di sutura erano stati necessari per risanare lo squarcio inflittole. "Non nuocere alla vita altrui" fu l'ultimo punto della lista, mentre rigagnoli freddi le percorrevano le gambe per andare a morire nel piatto doccia.
Messi i vestiti sporchi in ammollo in un secchio, Fade uscì con indosso un lacero pigiama e i rollerblade ai piedi, trovando tutto pulito. Quell'inaspettato ordine la fece riflettere sul fatto che non avesse nemmeno permesso al bambino di asciugarsi; guardandolo meglio, però, notò che i suoi vestiti non sembravano bagnati, né tantomeno sporchi.
"Ma come...?"
"È una stoffa sintetica: non si bagna né si macchia" la anticipò lui.
Lei rimase perplessa, ma rendendosi conto che era da un po' che non seguiva più la moda, non ebbe argomenti per ribattere.
"Dove sono i tuoi genitori?" chiese alla fine.
"In un paese lontano" rispose vago il bambino. Dopo un istante di silenzio, riprese: "Devo andare in un posto, mi aiuterai?"
"A me basta vederti fuori da qui" replicò lei con fare sprezzante.
"Bene, ora mangiamo qualcosa."
Quel tono fra il deciso e l'autoritario, a lei non piacque per niente, ma si limitò ad afferrare qualche pacchetto di cibo e a sedersi sul letto che, fortunatamente, era stato risparmiato dall'inondazione precedente.
Il bambino si sedette a terra e aprì un pacchetto di patatine alla paprika.
"Strani gusti" pensò lei.
Dopo averne mangiate un paio, chiese: "Quale è il tuo nome?"
Lei esitò un attimo: non era più abituata a entrare in confidenza con qualcuno, men che meno con una persona così inquietante.
"Non ho più un nome in questa città. La gente si limita a chiamarmi Fade" rispose.
"Allora tu puoi chiamarmi Jag" disse il bambino per nulla incuriosito dalla frase appena sentita.
Un altro istante di interminabile silenzio si incuneò fra i due.
Finito il lauto - e decisamente ricco di zuccheri - pasto, Fade si alzò e si avvicinò alla porta; scostò il paletto e, con un elegante quanto sarcastico cenno della mano, lo invitò ad accomodarsi fuori: "Non ti dispiace, vero, dormire nell'atrio? Di sicuro qui dentro non c'è posto per te!"
"Niente da ridire" rispose il bambino alzandosi per raggiungerla. "Prima, però..." si soffermò un attimo "Posso usare il bagno per lavarmi le mani?"
"Niente da ridire" rispose lei con la sua stessa voce atona "ma non consumare più di mezza bottiglia d'acqua" gli raccomandò.
Pochi minuti più tardi Jag fu di ritorno e, senza dire niente, si avviò alla porta per poi richiuderla dietro di sé; la ragazza si limitò a inserire il paletto di sicurezza e a captare gli spostamenti del ragazzino nell'atrio, per poi andare a stendersi sul letto appena tutto tacque.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top