Gli incancellabili segni del passato - parte I


Prima di rientrare nel rifugio che si era scelta come casa, Fade faceva sempre due o tre giri dell'isolato per sincerarsi che nessuno la vedesse intrufolarsi nell''entrata segreta', cosa che poi eseguiva con sbalorditiva celerità.

L'entrata segreta non era altro che uno sgangherato portone di un fatiscente palazzo abbandonato. Una volta dentro, la ragazza percorreva un lungo corridoio in penombra che andava ad aprirsi su un atrio in cui si stagliavano quattro porte. L'unica porta fornita di un grosso lucchetto incastonato in malo modo sulla maniglia, era l'ingresso del monolocale adibito a suo rifugio.

Varcata la soglia, la ragazza si assicurò di serrare bene spostando un paletto di sicurezza. La stanza era illuminata solo dalle luci che provenivano dai lampioni della strada, ma poco le importava perché era abituata da tempo a muoversi nel buio.

Con un colpo di pattini si avvicinò alla zona adibita a camera da notte, nient'altro che un materasso buttato a terra rivestito da lenzuola stropicciate, e si lasciò cadere sfinita sul letto. Per alcuni minuti fissò il vuoto davanti a sé, intenta a pensare solo alle cose strettamente necessarie, per coprire il rimestarsi di voci che si accavallavano nei bassifondi della sua mente.

Decise che era giunta l'ora di cenare.

Tirò fuori le scatolette dalle tasche, si alzò e si avvicinò a quello che una volta doveva essere un grazioso angolo cucina, buttò il bottino sul ripiano e aprì un cassetto in cerca dell'apriscatole. Nonostante la povertà di mezzi a sua disposizione era abituata a rispettare alcuni canoni basilari di comportamento. Dopo aver apparecchiato il piano con un pezzo di straccio sottratto da chissà quale negozio, vi posò sopra un piatto e delle posate, si sedette su uno sgabello alto e mangiò. Lentamente, anche se il pasto era misero e poco appetibile.

Solitamente si procurava dell'acqua riempiendo delle bottiglie in una fontanella a pochi passi da casa e beveva da un bicchiere ricavato da un vasetto vuoto di marmellata. Finito il pasto, metteva le stoviglie sporche in un cestino da supermercato, assieme a una bottiglia vuota, scendeva alla fontanella per lavarle e rifornirsi di nuova acqua.

Stava giustappunto preparandosi a uscire, quando sentì due colpi di nocche alla porta. Per un istante si paralizzò, da quando viveva lì non era mai capitato che qualcuno la trovasse. Trattenendo il respiro posò le stoviglie senza far rumore e istintivamente portò la mano dietro la schiena, afferrando l'unico compagno che aveva accettato di far parte della sua vita. Sotto la maglietta, in una fodera agganciata a una cinta a tracolla, teneva nascosto un coltello da cucina appuntito, arma che aveva deciso di usare più come strumento di difesa che di offesa.

Un altro paio di colpi di nocche risuonò lugubre nel silenzio della stanza.

"Chi è?" Domandò cercando di mantenere la voce più ferma che poteva.

"Sono io" rispose una voce da bambino al di là della porta.

"'Io' non è una risposta! Vattene!"

"Ti ho portato qualcosa da mangiare" insistette.

"Nessuno te lo ha chiesto! Vai via o..." Fade smorzò in gola la fine della frase.

"È tardi, fuori è buio e io mi sono perso" frignò lui.

"Arrangiati!" rispose abbassando l'arma, già sfinita dalla sciocca conversazione.

Per un lungo istante prevalse il silenzio, interrotto poi da passi che si allontanavano.

La ragazza rimase immobile, in attesa, pronta a captare qualsiasi rumore che potesse provenire dall'esterno, dopo svariati minuti si convinse che il moccioso se ne fosse andato. Riprese il suo rituale interrotto afferrando il cestino con le stoviglie sporche, dopodiché spostò il lungo paletto di sicurezza e dischiuse la porta sull'atrio per controllare che non vi fosse effettivamente nessuno.

Diede un'occhiata intorno e sussultò nel vedere il guizzo improvviso di due cerchi riflettenti in un angolo dell'atrio del palazzo. Per un secondo pensò a un gatto, ma i due cerchi erano troppo grandi per appartenere a un felino domestico. Guardò meglio e scorse il ragazzino del market, seduto in un angolo con la testa fra le ginocchia: il riflesso proveniva dagli occhialoni che portava in testa. Accanto a sé aveva due grosse buste ricolme di spesa.

"Sei ancora qui!" sbottò.

Il bambino alzò improvvisamente la testa e lei trasalì nel vedere che anche i suoi occhi ebbero un guizzo riflettente, come quelli di un felino.

I due si studiarono a vicenda. Lui aveva la faccia di chi si era appena svegliato da un sonno profondo. Lei lo guardava con un misto di diffidenza e timore, con la mano pronta a sfilare il coltello. "Giusto per intimorirlo" pensò.

Il ragazzino si alzò stropicciandosi un occhio. "Ciao" fu l'unica parola che uscì dalla sua bocca, rimase poi in attesa di una risposta.

"Che ci fai ancora qui?" domandò lei, dopo un'attenta analisi.

Il marmocchio allora prese in mano le buste ai suoi piedi. "Il cibo, ricordi? Ho portato qualcosa da mangiare!"

"Ho già fatto da me, ora smamma! Ti accompagno all'uscita" replicò, pentendosi di quell'ultima frase nel momento stesso in cui la pronunciava.

"Mai essere troppo gentili" si rimproverò facendo strada a ritroso nel corridoio.

Nel percorso dall'atrio al portone, la ragazza non poté fare a meno di riflettere su quella strana situazione. Arrivati all'uscio principale si voltò verso il bambino e, con tono di chi in realtà non è per nulla interessato a ciò che sta chiedendo, chiese: "Quanta diavolo di roba hai comprato in quel market?"

"Lo stretto indispensabile per cena! In questa busta..." illustrò il ragazzino alzando la pesante busta che teneva nella mano destra "...ci sono tutti i cibi alla base della piramide alimentare, e in quest'altra..." stesso discorso per la busta nella mano sinistra "...bevande e succhi!"

"Io con tutta quella roba ci andrei avanti per settimane" sbuffò sdegnata.

"Ho preso qualcosa anche per te, tienila pure!" continuò il moccioso imperterrito.

A quell'ennesima tiritera la ragazza sbottò: "Non voglio niente da te! Si può sapere perché mi hai seguita fin qui?"

"Mi sono perso" seguitò guardandola di nuovo con quegli occhi sbigottiti di cui Fade non sopportava la vista "...e quando ti ho incontrata ho capito subito che eravamo simili." Puntò l'indice alla sua stramba pettinatura. "Ecco perché ti ho seguita" concluse.

Lei fece un sospiro di rassegnazione, presa dall'indecisione se sbatterlo fuori a calci o indagare ulteriormente. Guardandolo meglio, quel caschetto rosa, quegli occhialoni rossi in fronte e il camice da scienziato suscitavano in lei più voglia di approfondire che di liberarsene. "Fa' vedere un po' che hai preso!" concluse sforzandosi di non sembrare una che si arrende alle situazioni e, mestamente, si riavviò verso la porta del suo rifugio.

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