Fade out - parte II
Nei minuti successivi, Nef era seduto al pronto soccorso con in mano un foglio da compilare. Aveva riempito alcuni campi, ma per gli altri non aveva idea di cosa scrivere. Non sapeva che sintomi avesse avuto e nemmeno quello che avesse potuto bere o mangiare. Voleva solo capire cose fosse successo e l'attesa lo snervava. Si alzò e andò alla reception sbattendo il foglio sul bancone di fronte l'infermiera.
"Allora quando si può sapere qualcosa?" alzò la voce. La donna prese il foglio e rispose timidamente che c'era da aspettare; nel frattempo le altre persone in sala avevano cominciato a bisbigliare fra loro avendo riconosciuto in lui il componente dei Momuht. C'era persino chi, di nascosto, tentava di scattargli delle foto col cellulare.
"Fantastico, ci mancava solo un bell'articolo di gossip per coronare la situazione!" pensò ritornando a sedere.
Dopo un'ora finalmente la dottoressa ritornò e, prima di dare un responso, chiese all'uomo il loro legame di parentela.
"Lei è..." si interruppe "...sotto la mia custodia" disse solamente. Al medico bastò per dargli l'autorizzazione a oltrepassare le porte che lo separavano dall'area ospedaliera.
"La ragazza ha dei forti danni celebrali" iniziò il discorso "Le erano già stati diagnosticati la settimana scorsa, ma, da quello che mi hanno riferito, aveva deciso di non sottoporsi a terapia."
L'uomo seguiva il medico fra gli indaffarati corridoi della clinica, incrociando infermieri, parenti e visitatori in un viavai cadenzato. Alcuni lo riconoscevano rimanendo interdetti a fissarlo, molti gli passavano accanto come fantasmi tormentati dalle loro personali maledizioni. Non si sentiva molto diverso da loro, era disorientato, le parole del medico lo trapassavano senza lasciargli nessun appiglio su cui agganciare un ragionamento. La dottoressa si fermò di fronte una porta chiusa e lui ripiombò nel presente.
"È in coma" disse con un tono che al bassista sembrò crudelmente distaccato "Potrebbe risvegliarsi, ma non sarebbe più la persona di un tempo."
Le chiese ulteriori delucidazioni su eventuali interventi, ma sarebbero risultati inutili, c'erano solo due possibilità per la ragazza: che morisse o che si risvegliasse, ma in quel caso sarebbe stata del tutto incapace di intendere.
Gli fu proposto di vederla e lui accettò. Venne fatto entrare in un'anticamera dove gli fecero indossare un'uniforme sterile sopra i vestiti, i capelli e le scarpe, poi ebbe accesso alla stanza dove l'avevano ricoverata.
Si avvicinò al letto circondato di macchinari complessi e, per la prima volta in vita sua, non seppe cosa dire. Osservò il volto pallido che spiccava fra i capelli rossi adagiati sul cuscino. Si rese veramente conto di quanto fosse minuta vista accanto le austere strumentazioni che lavoravano scandendo la sua vita. Le sfiorò la fronte e lei si mosse. La dottoressa lo aveva avvisato che sarebbe potuto accadere a causa di riflessi incondizionati del sistema nervoso. Sperò in una sorta di miracolo, che però non avvenne.
"Piccola..." provò a parlarle, ma non riuscì ad aggiungere altro. Sapeva che non esistevano parole di rabbia, commiserazione o dispiacere che potessero prendere il posto di un addio. Stette quindi in silenzio a guardarla carezzandole i capelli, fino a che si forzò di troncare quella tortura.
Uscendo gli vennero restituiti i suoi oggetti personali e ringraziò le infermiere, andandosene. Le donne ricambiarono il saluto con lo sguardo vitreo di chi lotta tutti i giorni per non lasciarsi sopraffare da quelle situazioni. Quello fu l'ennesimo calcio nello stomaco per il bassista: non importavano la fama e il successo, non importava che fosse toccato a lui; di fronte a situazioni del genere tutti diventavano inesorabilmente uguali.
Accese il cellulare prima di avviarsi all'uscita e ricevette subito una telefonata dagli studi. "Nef, ma dove sei?" lo interrogò l'ansiosa manager "Mi hanno telefonato dei giornalisti chiedendo perché sei in ospedale!" L'uomo diede un'occhiata fuori dalla finestra e vide nel cortile un gruppetto di paparazzi con fotocamere e microfoni "Cazzo! Ti richiamo dopo!" rispose interrompendo la chiamata.
Il bassista non poté fare a meno di uscire allo scoperto per riprendere la macchina, fu subito assalito dalla stampa.
"Neffen Shaw, come mai si trova qua?" "Chi è la ragazza dai capelli rossi?" "C'è qualche legame fra voi?" lo investivano di domande insulse a cui non rispose. Non aveva nemmeno la forza di insultarli, salì sulla macchina e partì sgommando mentre i reporter battevano sul vetro per strappargli una dichiarazione.
Arrivò agli studi esasperato, chiuse la macchina e si diresse nella sua camera. I suoi compagni e la manager gli andarono incontro per sapere cosa fosse successo, finalmente l'uomo ebbe la possibilità di sfogare la sua rabbia "Sarete contenti ora che la psicopatica è schiattata! Andate a festeggiare e non rompetemi i coglioni!" urlò al gruppo che rimase paralizzato da quelle affermazioni. Con uno sguardo, tacitamente si dissero che era meglio non chiedere altro.
Nella sua stanza camminava nervosamente fumando una sigaretta dietro l'altra. Qualcosa lo stava aggredendo, forse la disperazione, forse i sensi di colpa, ma che cosa ne sapeva lui? Come avrebbe potuto salvarla da una cosa che concepiva a malapena? Si buttò sul letto passandosi una mano sulla fronte e afferrandosi i capelli. Non c'era niente da fare, si ripeteva cercando di calmarsi.
Passò la notte in un dormiveglia intercalato di congetture, la mattina successiva venne svegliato dal cellulare che squillava sul comodino. Si sentiva uno straccio e desiderava solo riposare più a lungo ma venne precipitato brutalmente nella realtà, quando rispose. Era l'ospedale che lo informava dell'avvenuto decesso della ragazza, la mattina alle 6:45.
Nef chiuse il cellulare stordito. Poi finalmente reagì inveendo e prendendo a calci i mobili della camera, ma per quanto forte colpisse si rese conto che non sarebbe servito a scacciare la sua frustrazione. Rimase per tutta la mattinata in camera a pensare sul da farsi.
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