Messaggi in codice

Angolo autrice
Olè, in questo capitolo l'autrice si è cimentata in una scena hard più avanzata dei suoi miseri standard... inutile dirvi che ci ho messo un mese a scriverla per quante volte l'ho cancellata AHA!
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Jane era riversa sul suo letto, del tutto priva di forze. Aveva passato le successive 24 ore dall'incontro con Nef chiusa in casa. Si era data malata e aveva chiesto tre giorni di permesso dal lavoro.

Osservava, sullo schermo del suo cellulare, un sms che giaceva nella cartella 'bozze', un sms che aveva corretto e riscritto mille volte, senza aver mai avuto il coraggio di inviarlo. Non ce la faceva, non poteva lasciar cadere così la questione. Svuotò la mente e spinse il bottone dell'invio.

Il messaggio arrivò sul cellulare di Nef a notte fonda, l'uomo lo vide solo il mattino successivo.

'Y'

Una singola lettera. La ragazza aveva cominciato a ripagarlo con la sua stessa moneta.

«Why...*» pensò l'uomo fra sé. Una domanda tanto semplice quanto universale.

Rimase contemplativo a guardare il soffitto, col cellulare appoggiato sul petto. Avrebbe dovuto aspettare fino al pomeriggio per trovare una qualsiasi cosa da rispondere, quando Rebecca sarebbe andata a 'svaligiare' quel povero negozio con la sua gold card.

*La lettera Y, in inglese, si legge 'uai' che fa assonanza con 'why' (perché). [nda]

Appena dopo pranzo Jane ricevette una chiamata. Andò nel panico. Non si aspettava di venire contattata così direttamente, forse lui si era arrabbiato per quel messaggio stupido. Ad ogni squillo che passava sentiva affievolirsi le possibilità che lo avrebbe risentito ancora. Rispose proprio sul filo del rasoio. "Pronto?"

"Ciao. Oggi ho il pomeriggio libero. Tu lavori?" chiese diretto come al solito.

"No, sono in malattia fino a lunedì..." balbettò confusa.

"Fra un'ora vengo da te, ci stai?"

Lei non rispose, colpita da quell'irruenza.

"Ti spiego tutto. Solo questo."

"Va bene."

La chiamata si chiuse con un click.

Poco dopo le tre, Nef scese dalla macchina posteggiata qualche isolato più indietro rispetto l'abitazione della ragazza..

Camuffato per coprire il viso, si diresse a passi veloci verso il portone d'ingresso. Suonò il campanello cercando di non guardarsi troppo intorno e si infilò su per le scale con l'ansia di chi sta per affrontare un esame di maturità.

La ragazza lo attendeva sulla porta. "Ciao" gli disse, invitandolo ad accomodarsi dentro.

La casa era pulita e in ordine, e profumava di buono. Sicuramente si era scapicollata per renderla presentabile in così poco tempo. Lei si era vestita in maniera semplice, con una maglietta a maniche lunghe e dei jeans a sigaretta su delle scarpe da tennis bianche. Le stesse che portava la sera del concerto.

"Posso sedermi?" disse togliendosi il camuffamento.

"Certo" lo invitò a sedersi sul divano, mentre lei rimase in piedi di fronte a lui.

L'uomo posò i vestiti accanto a lui e capì che lei stava spettando una risposta alla sua domanda.

"Prima del mio incidente, c'era una ragazza che viveva agli studi con tutta la band" cominciò a spiegare.

"Era capitata fra capo e collo per una coincidenza che preferisco non raccontare per non sviare troppo il discorso in meandri complessi... Dopo qualche mese ho cominciato a frequentarla. A frequentarla nel mio modo, intendo. Capisci?"

Lei non disse nulla, tirò gli angoli della bocca in una smorfia di consenso.

"Quella ragazza era Fade. È morta il giorno prima del mio incidente. Anzi è stata lei la causa del mio incidente, se devo dirla tutta. Ecco tu..." L'uomo si fermò, bloccato dal ricordo delle parole di Jag. "Tu me la ricordi molto. Anzi, se devo essere sincero, credevo fossi lei, la prima volta che ti ho visto."

"L'amavi?" chiese lei, e quella domanda era tagliente come la lama del più affilato dei rasoi.

"Non lo so." Vide che era sincero.

"Come si fa a non sapere se si ama o no una persona?" si appoggiò al tavolo di fronte a lui.

"Dovrei andare per ordine. Per prima cosa, io ero molto diverso da come sono ora, immagino l'avrai letto da qualche parte..."

Annuì.

"Anche lei non era una ragazza facile. Era la prima a considerare il nostro un rapporto esclusivamente di sesso. Forse è solo morta troppo presto per farmi rendere conto di qualsiasi cosa che io abbia potuto provare per lei."

"Forse capisco cosa provi." lo interruppe "So di aver amato una persona, ma non me lo ricordo, non ricordo nemmeno cosa si prova ad amare, se devo dirla tutta..." si rabbuiò confusa per quella strana sensazione. "Io guardo quella foto e non riesco a provare nulla, se non il rimorso di essermi dimenticata di lui."

"E se..." All'uomo si fermò il respiro, tanto era assurda la cosa che stava per dire, ma gli occhi interrogativi di lei lo spinsero a continuare "E se fossi io quel ragazzo?"

Anche a lei si fermò il cuore.

"Se tu facessi finta che io sia Mark..."

Lei si divincolò da quella conversazione e raggiunse la finestra "Ma che cazzo dici?" rispose amareggiata.

Nef la raggiunse e l'abbracciò da dietro accostandole il viso al collo, notò che lei non si oppose.

"Chiudi gli occhi e immagina che sia lui."

La ragazza sentiva il suo respiro vicino, calmo, regolare. Aspettava solo un accenno di consenso da lei.

"E tu immaginerai che io sia Fade?" chiese con la voce spezzata.

"Non immaginerò niente. Ci sei tu qui, Jane."

Lei chiuse gli occhi e posò le mani su quelle del bassista che le cingevano la vita. Sentiva il respiro farsi affannoso per la paura. Si concentrò meglio, voleva riuscire a ricordare quelle sensazioni che sapeva di aver provato, ma che erano sprofondate in qualche angolo remoto dei suoi pensieri. L'uomo la voltò verso di sé, baciandola e al contempo lasciandole spazio per reazioni di qualsiasi natura. Lei rispose alle sue labbra umide tenendo le mani sul suo petto, forse l'avrebbe respinto da un momento all'altro, ma non gli importava. Sapeva che non doveva essere facile per lei. Non aveva appigli di un passato su cui fare presa nei momenti di incertezza, peggio ancora, quei pochi che le erano stati concessi non erano veritieri, ma frutto di un'equipe di medici, strizzacervelli e terapeuti. Il moccioso però aveva ragione: ora aveva la possibilità di avere una vita normale da cui partire, dei genitori a cui ritornare, nuovi amori da vivere. E mentre pensava a quelle cose, si accorse che le mani erano scivolate sotto la sua maglietta ad accarezzare la sua schiena delicata. Sollevò i lembi e lei accompagnò il gesto alzando le braccia, assaporò la fragranza che si era messa sulla pelle.

Jane teneva gli occhi chiusi, ma era chiaro dal corrugamento delle sue sopracciglia che non andava fiera del suo corpo. Nef non ci badò, lo sfiorò il pensiero che forse era stato a causa sua e del suo continuo scherzarci sopra, se lei era così insicura, nel profondo.

La ragazza aveva indosso un reggiseno nero con delicati pizzi e questo gli bastò a pervaderlo di desiderio. Lo slacciò ritrovandosi di fronte i suoi seni piccoli e fieri. L'uomo posò la bocca su uno di essi ruotando la lingua intorno al capezzolo facendole provare uno strano brivido, strinse la sua camicia fra i pugni, sfilandogliela dai pantaloni per poi ripercorrere la schiena a ritroso e conficcargli le unghie all'altezza delle spalle. Era una cosa che Nef adorava, sentì l'eccitazione salirgli fino alla base della nuca.

La ragazza era sospesa in un mare di niente, cullata solo da istinti primordiali che non riusciva ad agganciare a nessun pensiero o ricordo. Forse doveva smetterla di cercare di dare a qualsiasi cosa una spiegazione razionale. Passò le dita sulla schiena di lui e ne sentì le imperfezioni, piccoli granelli che passavano fra i solchi dei polpastrelli. Sentì un fremito quando l'uomo passò la bocca sull'altro capezzolo per riservargli lo stesso trattamento.

La ragazza gli slacciò la cintura, mentre si toglieva le scarpe aiutandosi coi piedi. Scariche di piacere le arrivavano dritte al cervello annullando qualsiasi possibilità di fare congetture, deglutì, tentò di regolarizzare l'affanno.

Mentre con un ginocchio era già sul letto, l'uomo era passato a leccarle il collo. Si slacciò i pantaloni da sola, appena Nef prese una pausa per spogliarsi del tutto. La guardò e vide che ancora aveva gli occhi chiusi, ma non gli importava, se era questo che voleva lo avrebbe permesso. Forse anche lui avrebbe dovuto chiuderli, forse avrebbe dovuto immaginare di star facendo l'amore con Rebecca. Sentiva tutti i suoi sensi di colpa acquattati dietro la porta del suo egoismo, pronti a sfondarla non appena sarebbe uscito da quell'appartamento. Lasciò che la ragazza si togliesse i pantaloni da sola, aveva un paio di mutandine in pizzo nero coordinate. Sorrise compiaciuto: quindi anche lei si aspettava che andasse a finire a quel modo. Fece scivolare le mani sui fianchi per preannunciarle la sua intenzione di sfilarle, poi il musicista salì sul letto e si mise a sedere con la schiena contro la spalliera guidandola verso di sé.

"Aspetta" disse lei e cominciò a tastare intorno. Trovò un cassetto del comodino e aprendolo tirò fuori una scatola di preservativi. "Non voglio combinare casini" disse porgendogliela.

L'uomo sorrise ricordando le centinaia di scatole che Fade aveva rubato quando erano stati in tournée e quante ne avevano consumate insieme. In fondo non le aveva mentito: lei e Fade erano la stessa persona e non poteva non mischiarne i ricordi con la ragazza nuda che aveva di fronte . La fece sedere sopra di lui.

Lei si irrigidì, forse provava dolore, lo vide dal corrucciarsi della sua fronte e dall'assottigliarsi delle sue labbra. La trasse a sé, avvicinando la bocca alla sua per baciarla, fece scorrere una mano sulla sua coscia, in corrispondenza della cicatrice. In quel momento la ragazza aprì gli occhi.

Si distanziò per padroneggiare meglio i movimenti, la sua bocca si dischiuse leggermente.

Entrambi si guardavano negli occhi, erano parte unica di quel movimento ondulatorio che li estasiava e cullava al contempo, senza parlarsi, senza domandarsi a cosa stesse pensando l'altro in quel momento, continuarono fino a che la ragazza sentì il piacere esploderle in corpo. Non emise nessun gemito, lui se ne accorse solo dalle dita sottili che si chiudevano sulla sua pelle, graffiandolo. Le prese i fianchi per non farla fermare, per prolungare il più possibile quel momento di piacere, si richiuse su di lui, aspettando che finisse, che anche lui avesse la sua parte.

Jane si divincolò quasi subito, raccattò i vestiti a terra e si chiuse in bagno. "Scusami" disse, lasciandolo solo sul letto.

L'uomo tentò di capire il da farsi, guardò se in giro ci fossero dei fazzoletti, poi vide un rotolo di carta assorbente sul piano della cucina. Lo andò a prendere notando che sul divano i due gatti lo guardavano con occhi allampanati, pronti alla fuga nel caso di un passo falso da parte dello 'straniero'.

"Guardoni..." li apostrofò divertito, ma anche un po' a disagio nel sapere che c'erano stati degli occhi puntati su di loro per tutto il tempo. Si rivestì e aspettò che la ragazza uscisse, mentre le congetture cominciavano ad aprire brecce nel muro che le separava dalla sua coscienza.

"Tutto bene?"

"Sì" e il silenzio calò su di loro. Nef si avvicinò a lei, rimasta piantata al suo cospetto senza sapere che dire o fare.

"Ci sei riuscita?" chiese riferendosi ai suoi ricordi, ma il telefono cominciò a squillargli in tasca, interrompendoli.

Lo prese e controllò il nome sullo schermo. "Cazzo. Rebecca..." gli scappò detto sottovoce, ma era chiaro che lei aveva sentito.

La guardò con espressione agitata. "Vai pure" gli disse, e gli diede i vestiti che aveva lasciato sul divano.

L'uomo uscì scompostamente sulle scale, cercando di aumentare il più possibile lo spazio fra quella chiamata e l'appartamento della ragazza.

"Pronto!" disse trafelato, chiudendo appena in tempo il portone d'ingresso dietro di lui.

"Hey Nef, ma dove diavolo sei?!" la voce dall'altro capo del telefono lo rimbeccò.

"Sono uscito a comprare i fazzoletti!" fu la prima scusa che gli venne pensata, per poi darsi mentalmente dell'idiota.

"I fazzoletti? Guarda che sono sotto il mobile del bagno!"

"Ah..." la mente non gli suggeriva altro.

"Ci sono Terry e Susan qua con me, volevamo fare un aperitivo. Vieni? Daiii!" supplicò lei, con il suo solito modo di fare che non prevedeva rifiuti.

"Dove? Al solito posto?"

Alla risposta positiva della donna, chiuse il telefono. Aveva una mezz'ora per andarci e non aveva la possibilità di lavarsi di dosso le colpe di quello che aveva appena fatto, almeno aveva l'abbigliamento adatto per andare in giro in incognito.

Raggiunse la sua compagna e gli altri in un locale abitudinario, abbastanza discreto e costoso da essere frequentato solo da poche persone. Rebecca si alzò dal tavolo e gli andò incontro salutandolo con un bacio. Nef salutò tutta la combriccola e si sedette ordinando una birra media. Le ore passavano fra discorsi che non interessavano l'uomo se non quando gli venne chiesto dei progetti della band. Sentiva ancora il profumo dell'altra salirgli alle narici e pregò che Rebecca non si accorgesse di nulla. Per questo motivo, usciva spesso a fumare.

Tornando a casa in macchina, la donna gli chiese come mai fosse così nervoso. Rispose di non esserlo, ma di essersi comportato come al solito, quando la noia mortale per i discorsi delle sue amiche prendeva il sopravvento. Lei fece un risolino divertita: era vero, avevano parlato di cose non proprio coinvolgenti per un uomo, quindi non indagò oltre.

Nel suo appartamento Jane cercava di rimettere a posto i mille frammenti dei suoi pensieri. Dopo aver sistemato il disordine, si era stesa sul letto con le mani premute sugli occhi. Non sentiva né rimorso, né delusione, niente ricollegabile alla sfera razionale. Forse doveva solo prendere ciò che era successo per quello che era: era stata a letto con il suo idolo.

Milioni di altre ragazze sarebbero impazzite di gioia al posto suo, però, se non fosse stato per la sua somiglianza con quella 'Fade', probabilmente non starebbe lì a rimuginarci sopra.

Era sempre stata fin troppo razionale, i suoi genitori glielo dicevano spesso: per ogni cosa che doveva affrontare, faceva sempre complessi ragionamenti logici per sviare da quello che le potevano suggerire i ben più immediati sentimenti.

Lo doveva ammettere però, sentiva le scariche di piacere salirle solo al ripensarci. Rivedeva gli occhi scuri del bassista fissarla, lo stesso uomo che aveva conosciuto e adorato attraverso notizie e gossip.

Si alzò e incrociò lo sguardo di Mark che le sorrideva dalla foto, non le era tornato in mente nulla di lui, per il fatto che non si poteva certo chiamare amore quello che c'era stato fra lei e l'uomo che era tornato di corsa dalla sua ragazza.

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Angolo autrice 2
Vi ricordo che l'autrice condanna il tradimento sotto ogni sua forma (amoroso, amicizioso e di fiducia verso gli animali). In questa storia si affronta questo argomento solo per fiction.

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