Indelebile
Come di rito, Nef fece passare una settimana prima di ricontattare la ragazza. Finalmente aveva avuto un'occasione che aspettava da tempo. Rebecca doveva dirigersi fuori città per discutere di un probabile ingaggio della band come testimonial per una marca di vestiti. La CEO della griffe voleva incontrarla di persona per i dettagli.
Nef aveva sperato con tutto il cuore che non gli chiedesse di accompagnarlo e, del tutto inaspettato, lei aveva annunciato che sarebbe andata solo con Jag: la proposta da discutere era troppo importante per permettere che lo stress, generato dall'astio fra lui e il marmocchio quando viaggiavano insieme, prendesse il sopravvento su di lei.
Il musicista si mise in disparte e mandò un messaggio: '51°29'03.7"N 0°15'38.5"W 12/2 7PM'
La ragazza non lo vide fino a che non finì il suo turno lavorativo. Quando uscì, spossata dalla giornata pesante, prese il telefono e notò l'icona a forma di busta. Fu quasi infastidita: la voleva incontrare con un solo giorno di preavviso. Non stava ai comodi suoi ma si trattenne, in fondo se l'era cercata.
'Mi spiace ma domani lavoro fino alle 19' scrisse con le dita veloci e rimise il cellulare in tasca.
Il messaggio di risposta arrivò subito, tanto da costringerla a fermarsi di nuovo, perdendo il semaforo verde che vide muovere un'enorme massa di pedoni da un lato all'altro della strada.
'Dimmi dove lavori, ti vengo a prendere'
'Ma che dici? Non puoi venire a prendermi!'
'Sì che posso, fidati di me'
Jane era mentalmente troppo stanca per poter immaginare cosa avesse architettato l'uomo. Con gran riluttanza scrisse il nome del luogo che giornalmente si portava via un po' della sua esistenza.
Poco dopo le arrivò un messaggio con delle coordinate. La curiosità la spinse a controllare subito di che posto si trattasse: era una strada secondaria ad un paio di isolati dal suo posto di lavoro.
Il giorno dopo, il tempo scorreva particolarmente lento per la ragazza, tanto anelava la fatidica ora in cui il suo orario di lavoro volgesse al termine. Era distratta, confusionaria e la sua supervisor la sgridava di continuo. Arrivò alla fine della giornata distrutta.
Andò allo spogliatoio a cambiarsi e si chiuse in bagno per osservare il suo aspetto: uno schifo. Aveva le occhiaie e i capelli erano sporchi e scomposti. Proprio l'aspetto ideale per incontrare una popstar, pensò con sarcasmo, ma almeno si era preoccupata di vestirsi bene. Indossò un paio di pantaloni neri di taglio dritto, che sfioravano il terreno a coprire i tronchetti indossati la volta precedente. Lavorando da poco non aveva molta possibilità nell'acquisto di vestiario, ma andava bene lo stesso.
Per la parte superiore indossò una camicia bianca coperta da un giacchetto di raso nero abbottonato al centro. Forse era vestita fin troppo elegante, ma non aveva idea di cosa avesse in serbo il bassista, quindi per qualsiasi evenienza voleva essere abbigliata decentemente.
Si infilò il soprabito e prese la borsa, affrettandosi all'uscita prima che troppi dei suoi colleghi la vedessero in tiro e facessero domande.
Appena uscita tirò un sospiro di sollievo e afferrò il cellulare per trovare la direzione da imboccare. Attraversò un paio di strade trafficate e si infilò in una strada più stretta dove passavano poche macchine e qualche motorino. Cominciò a camminare a passo incerto, non capendo di preciso dove doveva andare, fino a che raggiunse una macchina nera dai vetri scuri. Non appena si trovò al suo fianco, le quattro frecce si illuminarono a richiamare la sua attenzione. Lei cercò di sbirciare dentro ma non vedeva niente. Provò a tirare la maniglia e la portiera si aprì permettendole di affacciarsi dentro. "Beccato" disse lui scherzoso. Lei aveva ancora qualche remora, ma entrò richiudendo la portiera.
"Ciao monella" la guardava. Lei si imbarazzò ricordandosi del suo aspetto terribile e chinò la testa in avanti, sperando che i capelli le coprissero buona parte della faccia. "Ciao."
"Allora dov'è casa tua?"
Sussultò per l'imbarazzo "Casa mia? Ma come ti viene in mente?!"
"Piccola, sono una star, non ti aspetterai mica che ti porti in qualche posto pubblico dove ci possano vedere tutti? O forse pensavi che ti avrei portato a casa mia?"
Come al solito si era fatta troppi film.
"Va bene, ma non chiamarmi più 'piccola'" si arrese e gli disse l'indirizzo di casa che lui impostò sul navigatore.
Passarono il tempo del viaggio in silenzio. Lei aveva notato il buon profumo del suo dopobarba e che si era messo un pochino in tiro. Indossava una maglietta nera a V che lasciava intravedere il laccio con appesi i suoi ciondoli. Le fece uno strano effetto vedere quel dettaglio dal vero; scoprire che gli elementi che delineavano la sua icona fossero in realtà oggetti di uso comune, ma che, come nei quadri antichi, caratterizzavano il soggetto rappresentato.
Sopra a tutto indossava un cardigan grigio che sembrava proprio ben rifinito. Probabilmente costava più di tutti i suoi vestiti messi insieme. Lasciò di nuovo che i capelli le coprissero il viso.
Dall'altra parte Nef osservava di sfuggita la ragazza. Erano insieme in macchina, proprio come quel giorno, anni addietro, quando lui e Fade avevano litigato e lei gli aveva raccontato per la prima volta la verità sul suo conto. La ragazza seduta ora al suo fianco non reagiva, non sembrava affatto interessata a quel dettaglio. L'uomo si sentiva come se stesse vivendo in una realtà fittizia, una realtà dove l'aveva ritrovata, ma lei non era più lei.
Parcheggiò in un viale poco distante dal punto di arrivo e spense il motore. Jane era visibilmente nervosa, si mordeva il labbro, intrecciando le mani. Anche quel dettaglio gli riportò alla mente il comportamento di Fade. Era sempre più deciso ad andare in fondo alla storia.
Lei uscì dalla macchina e si avviò per prima, mentre rovistava nella borsa in cerca delle chiavi.
"Scusa, se mi avessi accennato che volevi passare qua, avrei dato una sistemata..." Era proprio in imbarazzo e la cosa lo fece sorridere. Salirono tre rampe di strette scale di legno, prima di arrivare ad una porta bianca con il numero 3 appeso sopra. Nef sentiva strani rumori provenire dall'interno e quando la ragazza aprì la porta capì da cosa provenissero. I due mici si erano subito avventati su di lei. "Via, via, via!" li incitava, senza successo, ma quando videro lo sconosciuto, si andarono a rintanare dietro a un divano.
Jane raccattava cose sparse a terra, pretendendo che quello bastasse a fare ordine.
Nef entrò nel piccolo monolocale, lo investì l'odore acre che veniva dalla lettiera in bagno, di cui Jane si affrettò a chiudere la porta.
"Scusa." si girò alla fine verso di lui, rossa come un sole al tramonto.
"Non fa niente. Carino qui."
"Siediti ti faccio un caffè" lo invitò. Gli prese il soprabito e lo appoggiò, insieme al suo sul letto.
Si fermò un attimo rendendosi conto che poteva essere visto come un messaggio malizioso, ma ormai era troppo tardi. Il volto le si avvampò ma evitò di farlo notare, precipitandosi all'angolo cucina.
L'uomo ammirò il gusto elegante dei vestiti che si era messa, assai distanti da quelli logori e poco femminili che era abituato a vedere su Fade. Poi si guardò intorno: non vi era molto da osservare nella stanza, c'erano solo il letto disfatto nel lato opposto dell'angolo cucina, una scrivania su cui poggiava un pc portatile, una piccola libreria a fianco, con accatastate sopra poche cose, e il divano su cui era seduto. Niente tende, niente, quadri, niente che potesse delineare la personalità della ragazza.
"Immagino stai pensando che l'arredamento fa schifo. Purtroppo il padrone di casa ha vietato qualsiasi tipo di decorazione" si giustificò mentre metteva la miscela nella caffettiera.
"Che incidente hai avuto?"
Lei si bloccò. Non poteva dire che ci girasse intorno... ma perché voleva sapere i particolari della sua vita? Di una questione che oltretutto non le piaceva rivangare?
"Dimmelo. E io ti spiegherò perché ti sto chiedendo tutto questo."
Le sembrava uno scambio ragionevole. Mise la caffettiera sul fuoco e si sedette accanto a lui.
"Ho avuto un incidente d'auto" cominciò.
"Come me."
"Esatto. Sono stata in coma per parecchi mesi, mi hanno raccontato che i medici mi davano per spacciata, ma alla fine l'ho 'sfangata'"
"Come è successo?"
"Non lo so, non ricordo. I miei genitori..."
"Hai i genitori?" la interruppe.
"Sì, perché me lo chiedi?"
Nef annaspava. Troppi particolari lo portavano lontano dalla sua verità, troppi. Cazzo ma lei era uguale, era Fade. Il cuore e il cervello viaggiavano su due binari troppo diversi per capire quale seguire. Si riprese. "Scusa, niente, continua pure."
"I miei genitori mi hanno detto che alla guida c'era il mio ragazzo, che purtroppo non ce l'ha fatta."
Osservò i suoi occhi vitrei fissi sul parquet chiaro.
"Il tuo ragazzo..." ripeteva incredulo con la testa ormai in subbuglio.
"Sì eccolo là" indicò una piccola foto incorniciata sulla libreria che mostrava un ragazzo moro e sorridente, sullo sfondo di un parco in estate. "Si chiamava Mark, i miei dicono che ci amavamo molto..."
"Dicono?"
"Sì, sono stati loro ad aiutarmi a ricordare parecchi particolari che avevo dimenticato, ma io... ancora non riesco a ritrovare me stessa. So di aver amato una persona di cui non mi ricordo nemmeno le espressioni, o i movimenti..." strinse i pugni appoggiati sulle ginocchia. Stava per crollare ad un rimorso soppresso per troppo tempo.
Nef la scrutò e le scostò i capelli che le coprivano il viso. A quel gesto lei si voltò repentina e lo baciò, afferrandogli la testa, per impedirgli di sviare. L'uomo si sorprese ma non si oppose. Assaporò le sue labbra, la sua lingua che accarezzava la sua. Non fece in tempo a pensare quello che stavano facendo che trovò le sue mani sui suoi fianchi, mentre il caffè traboccava dalla caffettiera, bruciandosi.
Jane si staccò, correndo ai fornelli. "Scusa! Scusa!" ripeteva girata di spalle mentre toglieva la caffettiera dal fuoco e la metteva nel lavandino. Tirò un grosso sospiro.
"Devo farti io una domanda, ora." Si girò verso di lui con gli occhi rossi e sconvolti.
"Il tuo incidente... ti ha lasciato cicatrici?" e mentre poneva quella domanda, strinse la stoffa dei pantaloni in corrispondenza della sua gamba sinistra.
"Molte, ma non nel corpo... anche se l'avrei di gran lunga preferito" rispose notando quel gesto microscopico.
Lei sbuffo, quasi sorridendo a quella frase.
Il bassista si alzò e andò verso di lei. Riprese da dove avevano lasciato e la sopraffò con un bacio, dato alla sua stessa maniera. Le cinse il viso con le mani per impedirle di scappare e sentì l'eccitazione salirgli in corpo. Lei tremava, non capiva se di paura o di piacere, ma non reagiva col corpo, rispose solo alle sue labbra umide, permettendo alla sua lingua di insinuarsi nella sua bocca, nel disperato tentativo di capire se quel bacio le ricordasse qualcosa del ragazzo che aveva amato.
Sentì quasi di voler piangere ma non si arrese. Neanche quando lui le aveva cinto la vita per condurla verso il letto, non aveva minimamente accennato ad un ripensamento.
La ragazza cadde all'indietro sul materasso sfatto, attese che lui condusse il gioco. Nef si era tolto scompostamente le maglie ed era rimasto a torso nudo. Pervaso da una strana eccitazione mista a timore, slacciò il bottone dei pantaloni della ragazza e glieli tirò giù in un solo colpo. Si fermò un attimo ad osservare incredulo, quasi trattenendo il respiro.
Una cicatrice, quella cicatrice, percorreva spettrale la coscia della ragazza. Lei si accorse della sua reazione e la coprì con la mano, "Non guardarla" disse vergognandosene.
"È bellissima. Credimi." Scostò la mano e cominciò a baciare i punti di sutura come se fossero oggetto di venerazione, poi spostò la sua bocca sul resto del corpo. Le insinuò le mani sotto la camicetta, allungandosi su di lei fino ad allineare gli occhi ai suoi, dando risposta a tutti i suoi dubbi. "Fade" la chiamò.
"Ma perché continui a chiamarmi in questi modi strani? Che significa 'Fade'?" si ribellò lei con gli occhi frastornati e colmi di lacrime.
Nef si fermò. Si rese conto che non stava rispettando quella ragazza per chi era, ma si intestardiva a cercare in lei il fantasma di colei che aveva perduto anni indietro. Lasciò la presa e lei si divincolò dal letto, ricomponendosi, per poi chiudersi in bagno a riorganizzare i suoi pensieri, mentre l'uomo rimase seduto sul letto, meditativo.
Forse anche con Rebecca aveva fatto lo stesso. L'aveva usata come rimpiazzo, come sostituta della sua perdita, illudendosi di riuscire a soffocare in eterno l'amarezza di non aver ceduto ai suoi sentimenti quando ne aveva avuto possibilità. Mascherando la sua codardia da risolutezza.
Stava per tradirla senza pensarci due volte. Avrebbe tradito la donna che gli aveva leccato le ferite quando era a pezzi anche mille volte, se quella ragazza non lo avesse fermato.
Ma adesso, cosa ne rimaneva di lui?
Diviso fra Fade, Rebecca e Jane, gli ritornò alla mente una frase che gli era stata detta una volta. 'L'amore è una concezione', forse era davvero così.
Chiusa nell'angusto bagno del suo monolocale, Jane cercava a stento di soffocare i singhiozzi. Cosa c'era che non andava? Da un punto di vista oggettivo, lui non aveva fatto niente di male. Se non voleva che finisse in quel modo avrebbe dovuto dirgli subito che a casa sua non potevano andare.
Ma lei lo voleva, aveva sognato quel momento dalla prima volta che aveva ricevuto il suo sms. Era attratta da quell'uomo, ma si rese conto che era un desiderio scaturito solo dalla sua fama. Dov'era l'amore? Dov'era quel sentimento che aveva provato per Mark, di cui non ricordava? Non rammentava nulla del suo ragazzo, se non delle immagini sporadiche ricostruite dai racconti dei suoi genitori.
Uscì dal bagno dopo una ventina di minuti, si era sciacquata la faccia ma restavano ancora vividi i cerchi rossi attorno agli occhi.
Nef si era rivestito e aspettava seduto sul letto, tendeva l'indice puntato verso uno dei mici che si era avvicinato curioso per annusarlo. Paradossalmente era un gatto nero. L'uomo, ormai, si era arreso dal fare nuove congetture.
Appena la ragazza si ripresentò i due gattini corsero verso di lei reclamando la cena che si era scordata di dargli.
"Stai bene?" prese forza l'uomo.
"Sì, scusa per prima io..." si interruppe per andare a prendere le crocchette nella credenza.
Lasciarono che il silenzio sceso fra loro fosse riempito da miagolii acuti e insistenti.
Quando tutto tacque Jane prese coraggio. "La tua ragazza. La ami?"
Il musicista alzò lo sguardo e lei vide nei suoi occhi il suo stesso sgomento: non lo sapeva.
"Sì." rispose, ma lei non gli credette.
"Allora forse è il caso che torni da lei. Che senso ha perdere tempo con una che non conosci, o che credi di conoscere per chissà quale motivo" disse fredda.
"Io avevo promesso di spiegarti il perché del mio comportamento."
"Non ha più importanza, sono troppo stanca adesso..."
Capì che era giunto il tempo di congedarsi, si alzò e le si avvicinò prendendole il volto per rivolgerlo verso il suo. Lei cercò di fare resistenza, ma era troppo debole per riuscirci.
Osservò bene il suo viso, conscio che forse non l'avrebbe mai più rivisto. Incubo lucido. Allucinazione vivida. Si sentiva come durante il coma, con le cose che succedevano senza che lui ne avesse il controllo.
"Scusami" si sentì di dirle. E quando lo disse si riferiva a entrambe le donne che aveva ferito.
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Angolo autrice
NB: L'autrice di questo libro condanna severamente il tradimento sotto qualsiasi forma, da quello amoroso, a quello di un amico, all'abbandono di un animale. È solo fiction! =D
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