Capitolo 4

Non so se era la migrazione di tutto quel sangue tra le gambe ma mi sentivo leggermente confuso e mi resi conto che non ricordavo cosa avessi fatto la sera prima.

Cercai il telefono ma non era nel solito posto e compresi che forse avevo bevuto un goccetto a casa di Fukuda.

Avevo una forte emicrania e quella nebbia che aleggiava sui miei ricordi mi era molto familiare.
Ma non importava, la cosa più importante era che finalmente l'equilibrio era stato ristabilito.

«Sì! Sì! Sì!» saltai giù dal letto al settimo cielo, lo sapevo che avrebbe funzionato!
Ero su di giri e non vedevo l'ora di rivedere Fukuda!

Mi spogliai per festeggiare ma appena guardai l'orologio del corridoio mi resi conto che avrei dovuto rimandare il mio momento intimo. Era già l'orario di timbrare il cartellino e io ero ancora a casa a trastullarmi, o almeno avrei tanto voluto!

Mi fiondai in bagno e mi precipitai sotto il getto della doccia, nella triste speranza che la mia più
grande gioia appassisse e invece no.

Dopo due anni di tregua aveva deciso di darmi la morte.

Nulla più sembrava scalfirlo e come un vero guerriero, il mio soldatino si apprestava a combattere insieme a me le avversità della vita...

Fanculo a tutto! Ero in ritardo, avevo difficoltà a camminare e tutti per strada mi guardavano il pacco.

Corsi per quello che potevo e mi sorprese vedere che neanche le urla dei rimproveri del lumacone mi aiutarono a farlo calmare. Dovevo porre rimedio a quella situazione, subito. Non potevo passare la giornata con le mani sul cavallo per nasconderlo.

Indossai la divisa facendo attenzione di non farmi beccare la bandiera alzata e decisi che appena possibile avrei risolto la questione con le mie stesse mani, ma il lavoro era tanto e Lynna non era mai nei paraggi quando c'era da sgobbare!

Arrivato l'orario dell'uscita della scuola avevo ancora l'erezione del mattino che scalpitava nelle mutande ed era un problema. Nel mio immediato futuro vedevo presto una denuncia per molestie.

Cosa potevo fare io se non avevo controllo del mio corpo?

«Devo dire che la tua fama è ben meritata» sghignazzando Lynna mi prese soprassalto.

«Ma guarda un po' chi si vede adesso, ci credo, non c'è più nulla da sistemare! Della merce appena scaricata me ne sono già occupato io!» rimarcai il mio disappunto irritato dalla situazione. Cominciavo a sentire dolore a tutti i muscoli e una spossatezza non indifferente.

«Oh ma come la fai lunga! Non conosci davvero mezze misure» alzò ritmicamente le sopracciglia abbassando appena gli occhi alla mia cinta.

«E basta! Non ti ci mettere anche tu, ti prego!» portai subito le mani davanti per oscurarle la vista e mi accasciai sul nastro automatico «È una tragedia, non ce la faccio più. Ho bisogno di andare in bagno ma non posso lasciare la cassa incustodita».

«Non puoi comunque andare, guarda, vuoi perderti l'arrivo della mandria?» indicò l'inizio del fiume di ragazzi che passava davanti al nostro negozio, la campanella della scuola era evidentemente suonata.

Le cose andavano di male in peggio.

«Ti prego, occupati tu di loro mentre io mi barrico dietro la cassa» i primi clienti cominciarono ad entrare e con lo sguardo supplichevole cercai quello di Lynna ma lei era di nuovo scomparsa.

 Segno che dovevo cavarmela da solo.

Presi un grosso respiro e cercai di fare del mio meglio senza spostarmi da dietro al bancone. Era l'unico modo per nascondere lo stronzo in bella vista.

Cercai di fare del mio meglio ma ogni ragazza aveva qualcosa che accendeva la mia fantasia amplificando allo sfinimento quel disagio.

Poi arrivò lei, Fukuda, ridendo e scherzando nel suo gruppo di amiche, era bellissima e mi sentii accendere ancora di più quando mi rivolse lo sguardo.

Mi dovetti chinare per prender un po' di respiro.

«Okamoto-kun...» attirò la mia attenzione ma io ero in crisi mistica, dopo quasi dieci ore di erezione l'unica cosa che volevo fare era masturbarmi davanti a lei, oppure fare sesso con lei direttamente sulla cassa del negozio.

«È tutto a posto?» mi domandò preoccupata.

«Perdonami, non mi sento in forze oggi» mi risollevai e subito sorrisi per non farla sentire a disagio.

«C'è un posto isolato dove possiamo parlare?» mi domandò impacciata «Lo so che stai lavorando ma... è una cosa che avrei voluto dirti già ieri... » non avrei potuto allontanarmi ma Fukuda si mordicchiava le labbra e si torturava le dita in ansia.

Qualsiasi cosa volesse dirmi, aveva trasmesso anche a me l'ansia. Dovevo sapere e avevo diritto ad una pausa.

«Sì» le dissi facendo segno di seguirmi poi mi voltai verso la zona posteriore e urlai a Lynna di sostituirmi per un po'. Non le facevo mai pesare le sue fughe, per una volta me lo doveva! Senza neanche prendere un attimo di respiro, e con il sangue che mi pompava come un pazzo in tutto il corpo, dissi a Fukuda di seguirmi nello spogliatoio.

«Perdonami, ma non avremo molto tempo. Cosa volevi dirmi?» presi subito parola per rompere la tensione del momento.

«Ieri ho riflettuto molto, ho avuto paura che non venissi per via di quello che è successo al parco. Non sai quanto sia mortificata, è stata tutta colpa mia» la sua affermazione mi confuse alquanto.. lei si riteneva responsabile per l'accaduto?

«Ma no! Non è stata colpa tua! Sei una bellissima ragazza...» Lei mi interruppe scuotendo la testa in imbarazzo, si apprestò a prendere una cartellina dallo zaino e me la porse.

«Per colpa mia ti è successa una cosa sgradevole, sei stato anche inseguito dalla guardia e tutti adesso ti additano come maniaco. Ti ho rovinato la reputazione, ti prego accetta questo» continuò facendo un profondo inchino.

«Ma non devi, è solo tutta colpa mia!» non capivo tutta quella sua apprensione ma aprii con curiosità il plico e riconobbi subito di cosa si trattava, un contratto di lavoro con degli esorbitanti zeri. L'azienda contraente era la Goldenrice spa, la multinazionale che ultimamente aveva aperto il combini 24h a Seikan.

«Ne ho parlato con mio padre, cercava da un po' uno con la tua preparazione a cui assegnare la sicurezza informatica della sua azienda. Spero che questo possa riparare in parte il danno che ti ho causato. »

«Aspetta... vuoi dirmi che tuo padre lavora alla Goldenrice?» ero molto sorpreso.

Lei scosse subito il capo «È il suo fondatore.» si interruppe cambiando argomento «Ma questo non importa, sono stata incauta quella sera ma speravo che con te sarebbe stato diverso.... I ragazzi della mia età sono spaventati dalla mia intraprendenza, anche quando provo a trattenermi sono influenzati dalle voci e... e...» sembrava non trovare le parole «Sì insomma, non si intrattengono mai in rapporti intimi con me perché non gli viene duro!» finì la frase quasi urlando e io tentai di farle contenere la voce. «Ho pensato che con te sarebbe stato diverso, che tu saresti riuscito dove gli altri avevano fallito e invece, l'ho fatto ammosciare anche ad Akio il duro!» strillò ancora, ma questa volta scoppiando a piangere.

«Fukuda-chan... ehi Mariko!» osai chiamarla per nome riuscendo a catturare la sua attenzione per calmarla «Sei una bellissima ragazza, la più bella che abbia mai incontrato, sei capace, volitiva e molto sensuale, e chi pensa il contrario è solo uno stupido» l'abbracciai per consolarla ma così facendo avvicinai i nostri volti, una parte di me avrebbe voluto essere impulsivo e provarci subito con lei, avevo ancora il sangue che mi ribolliva nelle vene e che stranamente neanche tutta l'apprensione che provavo per lei aveva spento.

«Possibile che non ti sei accorta di nulla?» le sussurrai spostando qualche ciocca di capelli dal suo volto, la guardai con sguardo intenso e quando mi ricambiò la baciai dolcemente, cercando di essere meno irruento possibile.

Le presi lentamente la mano e gliela spostai sul cavallo dei miei pantaloni. Appena le sue dita mi sfiorarono il rigonfiamento che perdurava dalla mattina, entrambi tremarono.

«Akio...» sussurrò complice e commossa allo stesso momento, sembrava fosse l'inizio dell'ennesimo pianto così decisi di smorzarlo sul nascere. Mordicchiai il lobo del suo orecchio e lei si voltò per lasciarsi andare a me. Scesi il collo baciando quella pelle senza imperfezioni e lasciando dei leggeri segni del mio passaggio.

Ormai al culmine dell'eccitazione, alzai la gonna della sua divisa e con mani esperte mi insinuai nel suo intimo, arrivando nella sua zona del piacere, ogni mio gesto la faceva fremere e quando le sfiorai il centro della sua femminilità emise dei piccoli gemiti invitanti. Si coprì la bocca con la mano e crollò sulla panchina dello spogliatoio.

«Akio...» chiamava il mio nome ansante, aggrappandosi alla spalliera di metallo. Mi guardava con occhi pieni di meraviglia, emozione e un pizzico di timore ma nei miei movimenti non c'era più esitazione.

Sfilai le sue mutandine completamente bagnate e portai il viso tra le sue gambe. Comprendendo il mio intento lei cercò di chiuderle, negandomi l'accesso ma la rassicurai con qualche carezza e, sciogliendo i suoi dubbi. 

Le allargai le cosce e mi apprestai a dischiudere le sue labbra con la lingua. Ogni volta che la sfioravo aveva adorabili sussulti, seguiti da languidi mugolii. Il suo ventre si muoveva seguendo il suo affannoso fiato, era così sensuale osservarlo da quella prospettiva che mi venne spontaneo spostare una mano per accarezzarlo con possessione ma a quel gesto ebbe un sussulto e i suoi fianchi scivolarono, facendo finire la sua intimità completamente sul mio viso. Lei trasalì in estasi e io ne approfittai per essere più incisivo. 

Mossi la lingua con tutta la superficie sulla sua piccola e rosea apertura, ormai completamente rilassata sotto le mie attenzioni, e giocherellai con movimenti circolari finché non riuscì più a trattenere la voce. 

«Akio... oh no, Akito... Akio!» chiamò il mio nome, mi supplicò portando le mani sul mio capo e stringendo tra le dita ciocche dei miei capelli finché non lo urlò, inesorabilmente.

Mi sentii in estasi, pronto a spaccare il mondo ma quando il mio sguardo cadde tra le mie gambe, lo sgomento mi prese d'assalto. L'erezione che mi aveva torturato per tutta la giornata era scomparsa. 

Avevo tra le mani le tremanti gambe di Mariko, il suo corpo era ancora scosso dai brividi dell'orgasmo, il suo languido sguardo posato di me, supplichevole, e io non sapevo come dirle che non sarei riuscito ad andare oltre. 

«Akio...» sentii la sua voce smorzata invocare nuovamente il mio nome, provai a dirle qualcosa ma lei raccolse le mutandine dalla panca, si raddrizzo e scusandosi strinse lo zaino a sé scappando, proprio come fece al parco la sera del goukon.

In quel momento non sapevo se ringraziare gli dei per averla fatta fuggire e avermi risparmiato l'umiliazione di dirle che ero ufficialmente impotente, o maledirli per avermi messo di nuovo in quella situazione critica.

Cosa c'era che non andava in me? Perché proprio quando era il momento di concludere, il mio entusiasmo si spegneva? Mi sistemai i pantaloni e la rincorsi cercando di capire che problema ci fosse. 

La fermai appena fuori al negozio e le chiesi di aspettarmi, promettendole che l'avrei semplicemente accompagnata a casa. Dopo una iniziale indecisione, acconsentì. Fece aderire la gonna alle gambe e con un lungo sospiro si sedette sulla panchina esterna, si fece forza schiaffeggiandosi il viso dagli occhi umidi e mi rivolse un sorriso assenso.

Tornai allo spogliatoio, ignorando gli insulti che Chomei mi lanciava dalla cassa, e mi svestii alla velocità della luce. Quella piccola stanza ancora odorava di lei e mi riportava alla mente quel momento appena passato con la ragazza, arrossii appena ma dopo aver indossato i miei indumenti aprii la finestra per far cambiare l'aria viziata e, dopo essermi assicurato che non avevamo lasciato segni del nostro passaggio, lasciai il mio turno con qualche ora in anticipo.

Vestii il mio sorriso più brillante e con faccia tosta che avevo sempre avuto uscii attirando la sua attenzione.

«Sono pronto!» esclamai facendole l'occhiolino, volevo che si sentisse a suo agio anche nei momenti più imbarazzanti. Un po' mi sorprese sapere che anche le ragazze potessero avere problemi intimi, soprattutto una come lei, desiderata da tutti. 

Mi faceva sentire meno solo nella mia lotta contro quella strana impotenza che mi infliggeva. 

Magari il nostro incontro era stato segnato dal destino, qualcuno mi stava dicendo che solo con lei avrei potuto ritrovare la mia virilità, e volevo dare un'occasione a quella goffa relazione tra noi.

«Tieni» le allungai i fogli del contratto «li avevamo lasciati nello spogliatoi».

Lei abbassò lo sguardo poi li spinse verso di me.

«Questo è per te, la proposta è ancora valida pensaci su in questi giorni».

«Non è stata colpa tua quello che è successo» cercai di tornare sul discorso per convincerla che non era responsabile e che non mi doveva nulla. Mi fece sorridere il fatto che si stesse dando la colpa senza neanche pensare minimamente che il problema potesse provenire da me «Non posso accettare questo lavoro, non ho mai finito gli studi all'università H e senza laurea non posso ricoprire questo ruolo».

Lei a quel punto fu costretta a riprendersi i fogli, un po' titubante e dispiaciuta.

«Non lo sapevo» si agitò mentre camminavamo «Perdonami, farò riadattare il contratto»

«Ti ho detto che non ti devi preoccupare» ricalcai ancora «Certe cose si fanno in due, non devi sentirti in colpa».

«Quindi ieri non sei venuto perché hai fatto davvero tardi?» mi chiese scrutandomi con gli occhi di un cucciolo, implorante, credevo scoppiasse di nuovo a piangere.

«Ieri... non sono venuto?» ripetei incredulo. «Ti ho aspettato anche se la diretta si è interrotta, che paura ero terrorizzata» si agitò scuotendo il corpo.

Mi fermai, sconvolto dalla sua affermazione e provai a ricordare la sera prima, ero convinto di averla passata a casa sua eppure, adesso che mi soffermavo a pensare, non avevo nessun ricordo di ciò che era successo.

«Akihito... il telefono ti suona, non rispondi?» mi chiese improvvisamente.

Da una manciata di secondi, in sottofondo alla nostra chiacchierata, c'era una sottile canzone che non era la mia suoneria, e avevo pensato che fosse il suo telefono. Ma a quella sua domanda infilai velocemente la mano nella tasca e mi resi conto di avere le cuffiette bluetooth fuori dalla custodia.

«Oh, come al solito. Mi scordo di metterle a posto e mentre cammino i sensori touch le accendono e fanno partire la riproduzione delle canzoni» con l'altra mano tastai la seconda tasca della giacchetta alla ricerca del telefono ma poi ebbi un flash.

Io non avevo il telefono, quella mattina la sveglia non era suonata e avevo fatto tardi proprio perché era nascosto chissà dove.

Fissavo i dispositivi nella mia mano e una strana sensazione di disagio si aprì nel mio stomaco come una voragine.

«Akihito... qualcosa non va?».

Provai a risponderle, balbettando qualcosa ma non ci riuscii. Le cuffiette si collegavano esclusivamente al mio cellulare, non c'era possibilità di connettersi ad altri dispositivi e questo voleva dire che il mio telefono era nei paraggi. Alzai lo sguardo verso di lei e poi mi voltai di scatto alle mie spalle.

La gousoshun...

«Akihito, che succede... mi stai facendo paura».

Quando avevamo preso quella strada? Perché le cuffiette si erano collegate in quel luogo? Non riuscivo a spiegarmelo.

Presi subito la custodia delle cuffiette e le infilai negli appositi alloggiamenti in modo che si dissociassero e appena chiusi la scatolina la musica che fino a qualche secondo prima si stava riproducendo nelle mie mani cominciò a diffondersi chiara e forte dal cancello della villa.

Il sangue mi si raggelò nelle vene e le immagini del sogno che avevo fatto quella notte mi passarono nuovamente nella mente.

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