Storia di una giornata qualunque.


Manuel ama ogni cosa, del suo Simone.

Ama il suo sorriso.

Ama la gioia e l'entusiasmo che mette in ogni cosa.

Ama il modo di cui ascolta la musica ogni volta che è al volante, stonando come un matto e storpiando le parole.

Ama il suo lessico, la sua eleganza, il modo in cui gesticola quando parla e come stringe le parole quando le parole sembrano scorrere talmente veloci da non riuscire ad afferrare.

Ama la sua bontà, il suo essere sempre gentile e quel modo di fare cordiale e pacato che non perde mai.

Ama il modo in cui lo riempie di piccole sorprese ed attenzioni.

Ama il modo in cui, con fierezza, lo presenta ai colleghi come "mio marito", con quel moto d'orgoglio che lo fa sentire un essere speciale.


Ama davvero ogni cosa.
Tranne la sua incredibile, snervante, estenuante lentezza.


É mattina ed in casa Balestra- Ferro si susseguono quelle che potremmo definire storie di ordinaria amministrazione.
Nell'aria c'è ancora profumo dei cornetti caldi che Manuel ha portato a casa la sera prima.
Li aveva scaldati brevemente nel microonde qualche ora prima, per renderli mangiabili, riempiendo casa di un'ottimo profumo che aveva fatto svegliare all'istante Simone e il piccolo Jacopo. 

Erano anche riusciti a stare nei tempi, durante la colazione. 

Ma ora eccolo lì, Manuel. In piedi davanti la porta d'ingresso, lo zainetto di Jacopo in una mano e la manina del piccolo stretta nell'altra.

«Simò, te voi sbrigà?!» 
«Sto arrivando! » urla in risposta il compagno, ancora chiuso nel suo studio, intento a recuperare i fogli della presentazione che deve assolutamente portare in ufficio. 
Avrebbe dovuto prepararli la sera prima ma una volta rientrato a casa Jacopo gli era corso incontro, balzando tra le sue braccia, con buona pace del senso del dolore che era stato messo a tacere in un istante. 

«Simò, te prego. Famo tardi anche oggi!» non riesce a non lamentarsi.
E quasi piagnucola quando pensa alle infinite code lo attendono, prima di arrivare in officina. 
«Devo fà un giro immenso p'accompagnà te in ufficio e poi Jacopo a scola- avà Simò, te prego!!»


Passa poco più di un attimo prima che Simone appaia dalla porta del suo studio, una mano alzata in segno di resa e un fascicolo sottobraccio.  

«Eccomi! Sono pronto! Lo vedi che sò pronto?!»
Manuel lo guarda di sottecchi, strizza gli occhi in una fessura. C'è qualcosa di strano. 
«Come mai non te sei messo la giacca?» 

Ecco cos'era.

Simone strabuzza gli occhi «Giusto! La giacca!»  porta una mano alla fronte dandosi una leggera pacca per la dimenticanza «Questo perché me distrai sempre!»

Lascia cadere l'enorme fascicolo sul letto del marito che lo recupera appena in tempo, per evitare che cada rovinosamente a terra; fa un piccolo giro su se stesso e scappa su per le scale per recuperare la giacca del completo. 

Manuel rimane lì, con quel nuovo macigno sul petto, lo zainetto di Jacopo tenuto a stento con il mignolo. 

«Ma perché cazzo non me sto mai zitto!?» si maledice sottovoce e a denti stretti, per censurare il più possibile la parolaccia che gli è scappata. 

Sa perfettamente che Jacopo, anche quando sembra assorto nei suoi pensieri, ascolta ogni singola parola detta, potrebbe sentirlo e ripetere. 
Si morde la lingua, ha promesso di non utilizzare mai, per alcun motivo, un linguaggio non consono ad un ambiente adatto ad un bimbo.
Si impegna con tutto se stesso, ma Simone- davvero- gli fa dare di matto.
Per non ricadere nell'errore, emette solo un verso esasperato mentre si gira verso lo stipite della porta e inizia a colpirlo ripetutamente ma lentamente con la fronte.
«Perchè- non- me- sto- mai- zitto!?»

«Papi, ma non ti fai male così?» 
La sottile e dolce voce di Jacopo lo riporta alla realtà, strappandolo all'esasperazione. 
Il piccolo lo guarda dal basso, con i suoi occhioni grandi in parte coperti dai ricciolini che ricadono sulla fronte.
È imbronciato e triste, probabilmente perché da un lato si annoia- è fermo lì immobile da qualche minuto- e dall'altro perché si è davvero preoccupato per la salute del suo papà. 

«Ma no amore, non me  faccio niente! Lo vedi? Papà stava a fà finta!» 

Vorrebbe chinarsi a baciare le sue guance paffutelle ma i suoi movimenti sono davvero impediti. 
Ed è troppo rischioso provare a chinarsi ugualmente sulle ginocchia, con il rischio che il fascicolo cada sulla testa del piccino. 

«Sono qua!» annuncia Simone, raggiungendoli giù per le scale più rapidamente possibile. 
«Finalmente oh! Ripigliate 'sto macigno!»
«Scusami, hai ragione» allunga subito le braccia a liberarlo da quel mucchio infinito di fogli, lo rimette sotto braccio, mentre Manuel tira sù il piccolo Jacopo, che si aggrappa stretto al suo collo.

«Andiamo và. Chiudi tu! » gli ordina prima di muoversi con passo svelto verso l'auto.

Apre con una mano lo sportello passeggeri per poi sistemare il piccolo sul passeggino, per poi piazzarsi al lato guida. 


 «Se nun te movi te lascio qua!»
La minaccia sembra funzionare, in meno di un secondo Simone sale in auto e finalmente sono tutti in auto, pronti ad iniziare la giornata.


Alle 14.30 spaccate, timbrato il cartellino e salutati i colleghi, Manuel si rimette in auto. 
Dovrà rifare la stessa strada percorsa la mattina, ma a ritrovo. 
Passa infatti a prendere il piccolo Jacopo a scuola, che appena lo vede arrivare lo raggiunge correndo, gli si lancia diretto al collo e poggia la testolina sulla sua spalla in cerca di coccole che non si fanno attendere neanche un istante.

Lo sbaciucchia mentre con un cenno saluta le maestre del nido e si avvia verso la macchina. 

«Mò andiamo a prendere papà Simone, Jacopì! Sei contento?»

Il piccolo, seduto sul seggiolino e ben legato nelle cinture di sicurezza che Manuel ha cura di controllare almeno sei volte prima di partire, si limita a rivolgergli un sorriso grande per poi riprendere a giocare. 


«Sai che facciamo Jacopì? Lo avvisiamo ora, de fasse trovà fuori!» esclama come fosse un piano ingegnoso ed infallibile «-così non lo dobbiamo aspettare come ogni volta!»
Rivolge un sorriso al figlio, sollevando le sopracciglia come a convincerlo quella fosse l'idea del secolo. 
«Papà tuo è 'n genio! Non pensi Jacopì?» 
Arruffa i ricciolini del figlio con una carezza e il bimbo scoppia a ridere quando inizia a solleticarlo un po' con dei grattini sulla pancia e ad altezza  dei fianchi. 

In realtà, Manuel sa che quel messaggio inviato non produrrà l'effetto sperato, ma ci prova lo stesso, soprattutto per Jacopo che generalmente sa gestire i momenti di attesa, ma dopo un po' si spazientisce e inizia a soffrirne. 


Schiaccia freneticamente le lettere sul display del cellulare come se arrivassero al destinatario con più foga, nella sua mente sta componendo una sorta di strillettera digitale . 

"Stiamo arrivando. Fatti trovare fuori. Due minuti e siamo lì" 

Ma - come volevasi dimostrare- arrivati davanti lo studio, del marito non c'è neanche l'ombra. 

«Dio mio, come te la faccio pagà Simò» mormora, furioso, mentre guarda il portone dello studio ancora ben chiuso. 

Per fortuna, passano solo due minuti prima che Simone faccia capolino da quel grande e logoro portone e li raggiunga in auto sbracciandosi, per salutarli. 

Apre lo sportello per salutare il figlioletto, slacciando rapidamente le cinture e se lo tira addosso per stringerlo più forte che può, sono rimasti distanti solo sei ore ma gli sembra essere passata un'eternità. 

Bacia le guanciotte del piccolo come se da quei baci dipendessero le sorti del mondo intero, che alla fine è davvero così, dal momento in cui Jacopo rappresenta a tutti gli effetti il mondo, per i suoi due papà. 

«Amore di papà! Quanto me sei mancato!»  sussurra mentre stringe il piccolo e china la testa per baciarlo sul pancino.
È un gesto che ha preso in prestito da Manuel, quello di dare bacini sulla pancia.
Lui glieli ha sempre dati e adesso, per Simone, ritraggono perfettamente la sua idea di amore.

«Scusami se ho fatto tardi, amore.» si giustifica con Manuel, che è sceso dall'auto e li osserva.
«Non ti preoccupare. Ormai ce semo abituati, non fa niente» risponde l'altro.
Con una smorfia di sufficienza, si stringe nelle spalle. 

« E poi me basta questo, per perdonatte.»
«cosa?»
«Vederti così, con Jacopo. Vi guardo e me scordo tutto, me scordo del tempo che passa.»
«Vieni, abbracciaci»
Manuel non se lo fa ripetere due volte, si avvicina e li avvolge con le sue braccia. 

«Ora sì che si può fermare il tempo.»
«Mh?»
«Ora che ci sei anche tu. »





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