Latte e biscotti.


Dalla vecchia casa Balestra, Manuel e Simone avevano portato via poche cose, quando avevano scelto la loro nuova casa in cui vivere.

Giusto qualche libro, rubato dallo studio di Dante, i cimeli di Simone legati al rugby, qualche foto e, sotto espresso e categorico e indiscussibile ordine da parte di nonna Virginia, il tavolo del salotto.

Non c'era stato davvero verso di far cambiare idea a nonna Virginia.
Simone le aveva provate tutte, per farle capire no, non c'era spazio davvero spazio per quel tavolo a casa nuova.
Ma si sa come funziona.
Virginia Villa è un'ottima attrice.
E sa essere molto, molto insistente e persuasiva.

In un caldo pomeriggio di Luglio, armato di tantissima pazienza e buona volontà, Simone si era arreso.
Aveva chiesto un giorno di ferie dallo studio nel quale ormai lavorava già da tempo, per recarsi a villa Balestra e portare via quel tavolo.

Per sua fortuna, aveva trovato Dante pronto ad aiutarlo.

Smontati quindi tutti i pezzi e caricata la macchina, era arrivato nella sua attuale villetta, dove aveva trovato Manuel, a braccia conserte e con un'espressione truce in volto.

Nella sua mente, balenò la mezza idea d'ingranare la retro marcia e scappare via, per evitare quell'ennesimo litigio che gli prospettava davanti e che prevedeva un Manuel più accanito del solito, data l'entità delle occhiatacce che sembravano trapassare così forte il parabrezza e prenderlo a schiaffi.

Sapeva pure di meritarsele, quelle occhiatacce.

Non era mica la prima volta che, senza consultarlo, portava a casa pezzi d'arredamento più o meno ingombranti per poi lasciare all'altro l'onore di montarli e trovargli una sistemazione in casa.

Aveva quindi chiamato a raccolta quanto più coraggio, si era preparato psicologicamente alla strigliata che avrebbe subito ed aveva aperto la portiera dell'auto.

Manuel lo raggiunse a grandi falcate, senza dargli nemmeno il tempo di scendere dall'abitacolo.
Una mano sullo sportello per impedirgli la fuga, non che lui ne avesse davvero programmata una.

«Simò, tu sei pazzo. Ma te ne sei accorto di com'è casa nostra o è 'a prima volta che vieni?!» lo incalzò subitò il maggiore.
«Non lo so! Vuoi che te faccio fà 'n giro? » spalancò le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.

«Senti.» lo bloccò Simone.
Chiuse gli occhi per poi massaggiarli lentamente con pollice ed indice della mano sinistra.
La destra ancora ancorata al volante.
«Se tu fossi stato al mio fianco oggi, come ti avevo chiesto, forse- dico forse - saremmo riusciti a dissuaderla! E invece no! »

«Ma stavo a lavorà Simò! Manco pensavo fossi serio quanno m'hai mandato l'audio in cui me dicevi che stavi andando a prende veramente 'sto tavolo»

«E invece ero serio. »

«E ho visto! Ma la casa è piccola. Ndo lo mettiamo 'sto tavolo? »

«Non lo so, Manuel! Va bene?» balbettò appena.
«Mi ha detto di portarlo qui e io le ho detto di sì. Tutto qua!»

«E t'è sembrata 'na cosa normale questa.
Tu nonna mò te dice di portarti via a ringhiera der balcone e tu je dici sì: manco me chiami per chiede se a me sta pure bene.
Diretto: vai là, 'a stacchi e te la porti. Famo così? »

«Manuel, è solo un tavolo.»

«Che è grande quanto il nostro letto, fai te!» sbattè la mano aperta sul tettuccio dell'auto.
Simone si strinse nelle spalle sotto quel rumore sordo.

Si pentì immediatamente di quel gesto, si passò la stessa mano tra i capelli per poi mordersi la guancia.
Gli veniva più facile e meno doloroso sfogarsi su sé stesso, piuttosto che su Simone.

«Vabbè, ho esagerato. Scusami. Scarichiamo 'sta machina và .»

E così, armatosi di pazienza, ma pur sempre tra un'imprecazione e l'altra, aveva iniziato a sfilare piano quel tavolo che gli era sempre sembrato immenso dall'utilitaria che ancora doveva finire di pagare.

«Damme 'na mano a portarlo dentro e montallo almeno.»

Senza farselo ripetere due volte, Simone era balzato fuori dall'abitacolo per aiutarlo.

«Ammazza quanto pesa. Ma l'hai portato da solo?»

«No. M'ha dato una mano papà»

«Anvedi che gentile quanno vole !»

«Noto del sarcasmo»

«Sarcasmo solo, Simò?!»

Il più piccolo sbuffò una risata, stentata a causa dello sforzo fisico dato dal peso appena caricato.

«Ti amo.» soffiò, guardando dritto degli occhi l'altro, all'estremo di quella superficie piana che li separava.

«Ti amo anch'io Simò. Altrimenti 'sto coso già stava nella monnezza»

«Che scemo sei. Avanti, dai.»

«E sò un cretino, sì. Guardame. Più cretino de me non ne trovi!»

«E non ne voglio trovà. Io voglio solo te.»

Si erano guardati per un attimo negli occhi. Sorrisero di quell'ennesimo guaio ed entrarono in casa.

Ed eccolo lì, adesso, quel tavolo.

Con il tempo, si era rivelato anche utile, seppur ingombrante.

Era su quel tavolo che pranzavano, era su quel tavolo che si fermavano a chiacchierare su ogni possibile argomento- dai progetti, ai sogni alle bollette da pagare.

Ed era da quel tavolo che, pur restando seduti, potevano controllare Jacopo.

La sua posizione strategica, infatti, permetteva ai due di avere una visuale completa sugli spazi preferiti da quel piccolo terremoto instancabile che da due anni riempiva le loro vite: il tappeto di gomma sul quale passava le ore a giocare, la piccola libreria con i suoi libri preferiti che a turno, i due si fermavano a leggergli prima delle nanne, la giostrina sotto la quale quale era solito passare le ore.

Quella mattina, come tutte le mattine, Simone e Manuel sono seduti a quel tavolo, intenti a fare colazione.


Simone ha preso l'abitudine di preparare tutto la sera prima, per la mattina.
Lo rilassa.

Approfitta del momento in cui Manuel prova a far addormentare Jacopo.
La casa rimane in silenzio e lui raccoglie i suoi pensieri e li rimette in ordine mentre dispone sul tavolo i barattoli con i cereali- muesli al cioccolato per lui e muesli alla frutta per Manuel - e i biscotti a forma di animali per Jacopo, i suoi preferiti.

Ne avevano provati almeno un miliardo, di biscotti.
Ma solo quelli a forma di animale avevano conquistato quel nanerottolo esigente.

Perchè ad ogni biscotto corrisponde un animale e ad ogni animaletto corrisponde una storia raccontata dai papà ed un mondo nuovo da esplorare con la fantasia.

Sono quindi seduti, Manuel con la testa china sulla sua tazza ricolma di cereali che tira sù di tanto in tanto con il cucchiaio, i ricci spettinati a coprirgli completamente gli occhi.

Simone è più vigile del compagno.
Tiene in mano una tazzina di caffè fumante, mescola un cucchiaino raso di zucchero al suo interno.
Lo sguardo però è diretto su quel fagottino scatenato e pieno di energia.

Lo segue con attenzione e di tanto allunga la mano sul braccio del compagno e picchietta piano con le dita, per attirare la sua attenzione.

Lo fa ad ogni sensazione di pericolo, ad ogni piroetta troppo azzardata del piccolino e ad ogni sua mossa buffa.

«Manuel..»

«mh?» biascica l'altro, mentre porta alla bocca una cucchiaiata di latte e cereali.
Si gira a guardare il compagno, con le guance ancora piene come una sorta di criceto che ha appena fatto scorta di semi di girasole.

Simone non distoglie lo sguardo dal bambino tutto riccioli che è in piedi, di fronte alla libreria da tre scaffali nella quale sono riposti i suoi libri preferiti.
Si alza sulle punte, allunga un braccio e con la manina cerca di recuperarne uno.

«Manu..»

Picchietta con ancora più frenesia sul braccio di Manuel che si volta, spazientito

«Amore che c'è? Me stai a fa un buco sur braccio- che c'è?!»

«Jacopo si sta arrampicando sulla libreria. Guarda guarda»

«mhmh. L'ho visto.»

«Fidati che tra poco cade»

«Nah che non cade. Devi avè fiducia! Guardalo, sa quello che deve fà» indica il bimbo con il cucchiaio ancora stretto in mano, qualche goccia cade sulla tovaglia,macchiandola.

«Manuel, ti ricordo che ha due anni.» si gira a guardarlo di sottecchi, quasi stizzito dalla sua tranquillità
«Va bene tutto, ma ha due anni! »

«Embè? Io a due anni facevo già 'e meglio cose, me trovavi appeso al lampadario co 'na mano sola.» lo canzona l'altro, ridacchiando della sua espressione sempre più basita.

«Amore- rilassate. Non se fa niente, davvero»
É un tentativo di rassicurare il compagno, che sa essere vano. Ma ci prova lo stesso.

«Ce penso io , dai» Si alza, strisciando i piedi e raggiunge lentamente il figlio. Lo prende in braccio.

«Jacopì, vieni qua. Andiamo a fare colazione dai. E tranquillizziamo pure quel fifone de tu padre.»
Si avvicina al tavolo con il bimbo ancora in braccio.

«Vuoi latte e biscotti, Jacopì?»

«Si!» con l'entusiasmo immenso di un bimbo della sua età, si spancia sul tavolo, puntando i piedi sulla coscia di papà Manuel, sotto lo sguardo divertito e innamorato di Simone.

Allarga le braccia e recupera il pacco di biscotti, con l'altro la sua tazza con la giraffa stampata che tanto ama.
Passa il pacco di biscotti a papà Simone, la sua tazza a papà Manuel.

«O vedi Simò? Noi funzioniamo così per lui» si cala a lasciare un bacio tra i ricciolini profumati del figlio che intanto si è accoccolato sulle sue gambe.

«Così come?»

«Come latte e biscotti.
Insieme tutto quello che famo diventa più buono e per lui è giusto così. Funzioniamo meglio, insieme. »

Un sorriso si allarga sul volto del più piccolo, gli occhi grandi e pieni d'amore per quei due ometti che ama più di ogni altra cosa al mondo.

«Come siamo dolci stamattina.»

«Sarà l'amore.»
Lascia ancora un bacio tra i riccioli del piccolo.
Bacia poi il compagno.

«Siete la famiglia che ho sempre sognato, 'o sai vero, sì?»

«E che voi siete la mia- questo tu lo sai?»

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