Decidere insieme.


«Simò! Sò sette ragazzini, 'ndo li mettiamo sette ragazzini?!?» 

Il vecchio salotto, adibito ormai a studio, si riempie in un istante della voce strozzata e lievemente isterica di Manuel. 
È in piedi di fronte al marito, che lo guarda dal basso, seduto sul divano. 

È stato proprio quest'ultimo a chiamarlo, qualche minuto prima, per quello che ha definito un necessario scambio di idee in vista dei prossimi giorni. 

Lasciato quindi Jacopo a giocare con nonna Anita nella stanza accanto, i due si sono chiusi nello studio di Simone per discutere sul da farsi. 

Sono giorni importanti quelli, il compleanno di Jacopino si avvicina. 

Hanno già acquistato tutto il necessario per decorare la casa in ogni sua parte- o meglio- Simone ha acquisto ogni cosa sia capitata sotto il suo sguardo dentro quell'immenso negozio dedicato esclusivamente al tema delle feste.

Manuel si è solo trovato alla cassa, con aria estremamente confusa, a pagare lucine, festoni, piattini e bicchieri di carta colorata e perfino un enorme palloncino a forma di dinosauro che non sa ancora dove posizionare esattamente. 

La conversazione ha previsto, come al solito, una progressiva intensificazione dei toni, senza mai alzare davvero la voce. 

È una loro regola non scritta: Jacopo non deve sentire urla. 

Regola che entrambi rispettano, tanto da aver ormai questa strana abitudine di relegare qualsiasi discussione a quel piccolo studio, tenendosi ben distanti dalle orecchie curiose e sempre attente del piccolo.

«Dobbiamo solo prenderli da scuola e portarli qui, Manu. Non è che dobbiamo-»

«Hai detto niente! » lo rimbecca subito l'altro
«Non so se hai mai notato ma abbiamo 'na Fiat punto Simò, no 'a Station Wagon!» 

«Non lo so, Manuel! Va bene?» confessa nervosamente il più piccolo.
«Jacopino vuole i compagnetti alla sua festa - e io glieli porto!
Sul come fare per portarli ancora non c'ho pensato! »

«E quando mai tu fai le cose pensandoce prima, Simò» 

Porta entrambi la mani al viso, stirandone verso il basso la pelle.
Con ancora il volto trasfigurato quella smorfia, scuote piano la testa, prima di lasciar ricadere lo sguardo di nuovo sul più piccolo. 

«Amò e non me guardà così, te prego!» sbuffa esasperato.
 Si avvicina, strisciando i piedi, al divano sul quale è seduto il compagno.
Con una piccola giravolta su sé stesso  si lascia cadere sulla morbida pelle che lo riveste, poggia il volto sulla spalliera, guardando di sottecchi l'altro. 

«Amore - dai.» 

Allunga una mano a sfiorare piano il volto del marito, con due dita sotto il suo mento fa sì che i loro occhi s'incontrino.

«Non è che me puoi diventà sempre così ogni volta che te dico che 'na cosa non se po fà»

Il tono si fa più calmo e pacato. 

«Te ti immergi in 'sti progetti senza pensacce e poi tocca a me provare a sbrojà tutto.
 Ma che- che te pare normale?»

«Non te la prendere sempre con me, però.»

«Simò, però, voglio dì- » scatta di nuovo nel risistemarsi sul divano
 «-Qua siamo due e me sembra che l'unico tra noi due che sta facendo uno sforzo per evitare che io ti meni sono sempre io, la stessa persona che poi- prima o poi- ti menerà!»

Simone sbuffa una risata, ama il modo di fare teatrale di Manuel.
L'ha sempre amato alla follia.

« Senti. » lo interrompe, lasciando andare l'ennesima lieve risata.
«La verità è che tu parli, parli, parli ma avresti fatto la stessa cosa mia!»  

«Jacopo mi ha guardato con quegli occhietti bellissimi che se ritrova e m'ha detto testuali parole-»  incrina la voce per imitare quella del figlioletto «- m'ha detto "papi io voglio i miei amichetti alla festa, mi porti i miei amichetti alla festa?"» 

«S'è messo così Manuel!» sfodera gli occhioni più supplichevoli del mondo, li punta sul marito seduto al suo fianco e porta le mani in preghiera vicino al viso

«Così! Con le manine così!» 

Un primo segno di cedimento delle convinzioni si palesa sul volto del maggiore.
Lascia schioccare la lingua sul palato prima di inspirare rumorosamente.

Resistere agli occhioni di Jacopo è difficile. Lo sa bene.
Resistere alla combo occhioni e manine è impossibile.
La combo occhioni e manine è proprio la Fatality di ogni possibile volontà genitoriale.

Si ferma a guardare un punto nel vuoto, probabilmente immaginando il visino del figlio che lo supplica di organizzargli la più bella festa abbia mai sognato. 
La prima della sua vita con gli amichetti, tra l'altro. 

«Eddai sù! Lo vedi? E che gli dicevo? "No"!?» 

« Avresti potuto dirgli che noi- in quanto papà- avremo fatto il possibile, Simò »

«Si vabbè. Certo.» lo canzona l'altro, scattando in piedi.

Con le mani sui fianchi si piazza di fronte al marito per inscenare lo scambio di battute avuto con il figlio.

« Poi me alzavo- così- e gli dicevo "Cordiali saluti, figliolo." e me ne andavo! Tanto -»
L'ennesima pausa teatrale interrompe la scena per dare ancora più enfasi al discorso
 «-meglio togliergli subito ogni speranza e basta! »

«Ma falla finita, Simò! Ma quale togliere speranza?! Lo aiutiamo a capì che non tutto si può avere- se non ce stanno i presupposti» 

Facendo leva con le mani sulle proprie ginocchia, anche Manuel si alza.

«Mò domani mattina si sveglia, ti dice papi io voglio conoscere- che ne so- Obama e noi subito via-»
Si blocca lì, in mezzo alla stanza, con il pugno alzato e puntato verso l'orizzonte, in un'indefinita posa alla superman e un sorriso isterico sul volto «-Alla conquista delle Americhe!»

Contro ogni aspettativa, nessuna risata di gusto raggiunge le labbra di Simone. 
Corruccia, al contrario, le labbra, in una piccola smorfia, mordendosi il labbro inferiore in un'espressione di pieno imbarazzo. 

Abbassa il volto a guardare le proprie mani, intrecciate tra loro.

«Simò, me devi dire qualcosa?»

Il tono lascia trasparire tutto il suo sospetto. Ha notato immediatamente il cambio d'espressione nel volto del marito e ormai lo conosce troppo bene. 
Gli nasconde qualcosa, ne è certo. 

«Simone, avanti, parla!» 

«Ecco Manu-» mormora il più piccolo, la voce ben ovattata dalla barriera che si è creata con il tessuto della felpa che indossa «in merito a questa cosa, c'è una cosa di cui dovrei parlarti.»

«Che hai fatto mò? Hai contattato Obama, seriamente?»

«No, cretino! Però potrei- potrei aver fatto una promessa.»
La voce ridotta ad un bisbiglio diventa un groviglio informe di suoni che giunge confuso alle orecchie del maggiore.

«Cretino l'ho capito. Me sfugge il resto! Che hai fatto tu? »

«Una promessa! Ho fatto una promessa! P r o m e s- »

«Ho capito! E che - che gli hai promesso?»

«Un viaggio.»

«Un viaggio!?»

«Un viaggio, Manuel! Un viaggio!»

«Quindi facciamo un viaggio? un viaggio - noi tre?»

«Si. Ho pensato che potremmo prenotare, l'avrei pure fatto ma è una cosa importante e voglio che ci sia anche tu a decidere, insieme a me.» 

«È un'idea bellissima Simò! Ma ce pensi!? Un viaggio! Noi tre!» si lancia tra le braccia del più piccolo, intrecciando le proprio intorno al suo collo per avvicinare le labbra alle sue.

«Il primo viaggio con nostro figlio! Te rendi conto? Potremmo portarlo in Spagna, Inghilterra. Oppure in America! Lo portiamo a vedè il mondo!» 

Il suo entusiasmo travolge il più piccolo come un'onda. Gli sorride, prima di stringerlo ancora di più e baciare quelle labbra che tanto ama.

«Me perdoni per la storia della festa, ora?»

«Non me sò mai arrabbiato.»



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