01 - 12 - 2021
Erland si spinse il fazzoletto sul naso sanguinante, poteva andare peggio.
Era riuscito ad arrivare a dicembre senza avere una delle sue crisi, era un ottimo risultato.
Uscito dalla classe, si diresse verso il banco dei bidelli per controllare la mappa dell'edificio che gli stava davanti: l'infermeria era al piano terra, vicino all'ingresso, nel corridoio a destra del portone, o forse a sinistra.
Erland strizzò gli occhi verdi dietro alle lenti degli occhiali, sbuffando nella sua condizione di non-ancora-lateralizzato alla propria veneranda età, poi decise di infischiarsene, e che avrebbe improvvisato come suo solito, dopotutto la scuola non era così grande e non si sarebbe perso in ogni caso.
Si strinse nelle spalle e scese le scale con noncuranza: i muri erano stati recentemente dipinti di giallo, come il corrimano, causa la ristrutturazione dell'edificio principale che, contrariamente alle previsioni di tutti, era stata messa in atto e aveva veramente migliorato le condizioni della vecchia scuola.
Sfortunatamente per lui, la sua classe era nella vecchia ala. Oh be', che dire.
L'atrio era bellissimo, ampio e luminoso, con le porte e le finestre di vetro che facevano filtrare i raggi bianchi e pigri del sole, e in onore del primo dicembre un grande albero sorrideva nelle sue lucine colorate.
Non era proprio presto, quindi non c'era già più nessuno davanti al portone: cercando di ricordare la mappa che aveva visto sul suo piano, Erland si infilò nel corridoio buio a sinistra, affollato di porte.
Entrò in quella su cui era disegnata una croce rossa, supponendo che fosse l'infermeria, e in effetti era una stanzetta bianca, con una scrivania, un paio di lettini e armadietti alle pareti, ma senza l'ombra di qualcuno.
Erland controllò il fazzoletto con cui si tappava il naso e, visto che la situazione non accennava a migliorare, cercò di arrangiarsi a cercare del ghiaccio secco; visto che non lo trovò, e visto anche che anche l'atrio era vuoto, si limitò a un sospiro rassegnato e si sedette su uno dei lettini, nell'attesa fiduciosa che qualcuno arrivasse.
Si guardò intorno senza troppo interesse, tanto tutto ciò che avrebbe potuto vedere l'aveva già visto, ne era sicuro: nient'altro che una monotona infermeria deserta.
Suonò la campanella d'inizio e di fine ricreazione mentre lui aspettava invano, così, come se non avesse di meglio da fare; poi sentì delle grida, schiocchi e un forte rumore, si affacciò preoccupato e venne immediatamente rispinto dentro, con una certa violenza, da un ragazzo alto e cereo che si teneva il naso con una mano e un punto indeterminato sulle costole con l'altra.
«Ehi, ma che diavolo-»
Il ragazzo lo interruppe bofonchiando con rabbia una sfilza di parole in una lingua che non Erland non riconobbe, ma che non era difficile identificare come imprecazioni, mentre rovistava negli armadietti come se stesse cercando i biscotti nella cucina di casa, si sistemava un pacco di ghiaccio secco sulle costole e si procurava un fazzoletto per tapparsi il naso.
Erland si ricordò di controllare lo stato del suo, naso.
Il ragazzo si accasciò seduto sull'altro lettino con un lungo sospiro di rassegnazione, e diede all'altro la possibilità di osservarlo meglio: a parte la pelle color cera sciolta, aveva anche i capelli chiarissimi, che dovevano essere stati corti ma si erano allungati parecchio, gli occhi dal taglio particolare, allungati, e di un colore tra il grigio e l'azzurro, ed era molto probabile che in passato si fosse rotto il naso.
Ah, zoppicava anche un po'.
Sospirava annoiato, e sembrava più che abituato a quel luogo: probabilmente ci aveva avuto parecchio a che fare.
«Scusa,»
«Hm?» il ragazzo alzò gli occhi chiari su di lui, ed Erland indicò col mento il ghiaccio, «Non è che ne daresti anche a me?»
«Sta nell'armadietto là,» gli rispose con noncuranza lui.
Erland, dopo un'occhiata obliqua al compagno, prese del ghiaccio e se lo sistemò sul naso; e dopo un po', osservandolo, anche il ragazzo biondo spostò il ghiaccio dalle costole al naso.
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