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Nella cucina oltre il bancone preparavano pollo e patate al forno; se solo non avessero aggiunto anche delle verdure a bollire su qualche fornello con la loro puzza latente, l'odore sarebbe stato migliore. Anche così però lo stomaco di Leean fece un paio di piroette su se stesso all'idea di addentare un cosciotto, magari rosolato nel grasso durante la cottura.
Abbassò gli occhi sul proprio carrello mezzo vuoto e sospirò: soltanto cibo assurdo come germogli di soia, frutta stravagante di cui non ricordava nemmeno il nome e insalata. Poi si chiedeva perché ogni tanto si ritrovasse con le mani affondate in un pacchetto di patatine senza nemmeno rendersene conto. Le mancava il cibo con un gusto, questa era la verità.
«Signora, lei che numero è?» La ragazza al banco si sporse per attirare la sua attenzione. Una ciocca castana le ricadeva sul viso e, ondeggiando, si sdoppiava riflessa sul vetro che la separava dai clienti.
Un sorriso smagliante, il suo, capace di evocare altri suoi simili sui volti di chi era al suo cospetto. Così Leean provò a imitarlo, e le tirarono le guance, perché tutto sommato non c'era nulla di naturale nella sua espressione, niente di genuino. Dopotutto l'altra l'aveva appena chiamata signora, come avrebbe potuto sorridere per davvero?
«Non sono in fila,» borbottò alla fine, e la ragazza rivolse la propria lucentezza altrove.
Leean tornò nella sua solita penombra, isolata in mezzo alla folla. Spinse il carrello in avanti, bofonchiò un paio di scuse a una signora – forse anche lei si sarebbe sentita offesa nel sentirsi chiamare così? – che le bloccava la strada e raggiunse il reparto del latte.
Le confezioni posate sugli scaffali proiettavano ombre lunghe dietro di sé. I nomi e i prezzi dei prodotti apparivano sul piccolo schermo sotto ogni fila; Leean cercò il numero più basso. Novantanove centesimi per un litro di latte di soia. Non male, pensò, e fece cadere un paio di cartoni nel carrello.
Uno le cadde a terra. Si chinò a riprenderlo e incontrò le sue stesse occhiaie riflesse sul pavimento.
Si portò una mano all'orecchio per spingere un pulsante sullo Psych. Una singola nota ne segnò l'accensione, poi davanti a lei si stagliò la lista della spesa in caratteri digitali. Cereali, presi. Germogli di soia, presi. Latte, preso. Carta igienica, presa. Non mancava nulla.
Premette ancora il pulsante, e le scritte scomparvero, lasciandola di nuovo fra i reparti sterili del negozio di alimentari.
C'era fila in entrambe le casse aperte. Leean ne scelse una casuale e attese il proprio turno, concentrata sulla musica lenta e dolce che cullava il negozio in sottofondo. Una cantante dalla voce angelica piroettava sulle note più alte con delicatezza.
Al suo turno, Leean estrasse la carta di credito dal portafogli e la porse al commesso. Si chinò subito a raccogliere la sua roba per metterla nella busta.
«Signora, mi scusi,» disse il commesso – e lei si fermò con il cartone del latte in una mano. Ancora signora. Si poteva sapere quanti cavolo di anni dimostrava? «La sua carta non va bene, non ha più credito.»
«Eh?»
Il significato delle sue parole impiegò un paio di secondi di troppo a raggiungerla.
«Mi dice che la sua carta non ha più credito. Ne ha un'altra, per caso?» Le porse indietro quello che ormai era solo un inutile pezzo di plastica.
«No. Ma è impossibile.» Leean la ripose nel portafogli. Nella tasca delle banconote trovò solo un vecchio scontrino. Strano, eppure ci sarebbe dovuto essere ancora qualcosa, quand'era rimasta a secco?
Ah, già. La casetta di Spuntone le era venuta a costare più di quanto si era aspettata e aveva dovuto utilizzare i soldi delle scommesse. Si rese conto dell'immensa cazzata soltanto adesso, e nel mentre continuò ad aprire e chiudere le varie tasche del portafogli come se sperasse che una banconota magica spuntasse da qualche parte.
«Mi dispiace, signora,» disse il commesso. «Non li ha spicci?»
Se ce li avesse avuti, di certo non se ne sarebbe rimasta come un'allocca ad aspettare in qualche miracolo che la salvasse, la signora. Anziché sputargli in faccia quelle parole, Leean chiuse gli occhi e prese un bel respiro. «Non fate credito, qui, vero?»
«Mi spiace,» ripeté lui.
Fantastico. E adesso? La spesa le serviva, e poi l'aveva già messa in busta.
«Posso sapere perché la fila è ferma da mezz'ora?»
Una ragazza aspettava il proprio turno con la merce ben disposta sul banco. La mano, dal dorso ben nascosto da un guanto bianco, posava su una confezione d'acqua. Con l'altra si sistemò una ciocca bionda dietro l'orecchio; gli esili bracciali che le ornavano il polso tintinnarono fra loro nel seguire il movimento.
Il commesso spostò lo sguardo da lei a Leean. «Sembra che la signora abbia qualche problema con la carta di credito.»
Leean strinse il portafogli che aveva fra le dita così forte che la pelle le sbiancò. Le mani le tremavano, si accorse. «Non ho altri soldi,» ammise.
La sconosciuta fece schioccare un'unghia contro l'altra. «Stai scherzando? Te ne vai in giro senza un centesimo in tasca?»
«Avevo la carta.»
«Ecco perché dico sempre che chi se ne va in giro solo con la carta è un deficiente.»
«Li ho solo scordati,» mentì Leean. Dimenticare i soldi a casa, dimenticare di averli spesi, non erano due cose poi tanto diverse.
«Be', signora, allora potrebbe,» cominciò il commesso.
«Non sono una signora.» Non solo le mani le tremavano ancora, adesso le sudavano anche. Un pizzicore sottopelle le chiedeva di lanciargli il portafogli in faccia e urlargli di tenersi tutta la roba, tanto lei cosa ci doveva fare con quel cibo di merda che la zia la costringeva a comprare?
La sconosciuta la fissava con il sopracciglio inarcato; il commesso prese a grattarsi il mento.
Leean distolse lo sguardo. Stava facendo la solita figura del cazzo. «Non sono una signora, non sono sposata,» spiegò.
«Allora, signorina, se vuole può passare un attimo a casa e tornare, le tengo la spesa da parte.»
Un'ottima offerta. Peccato che Leean non avesse un soldo nemmeno a casa.
«Oh, lasciate perdere!» La bionda si scostò ancora i capelli dal viso, questa volta con un gesto secco, sprezzante. «La pago io, basta che ci diamo una mossa, vado di fretta.»
Leean perse la presa sul portafogli, che le cadde dentro la busta aperta della spesa. «Cosa? No, non serve...»
«Non lo faccio per te,» la zittì l'altra. Allungò un paio di banconote al commesso.
Leean la ringraziò e lasciò il negozio con la sua busta piena di cibo che nemmeno voleva.
✺
Brie non andava davvero di fretta. Busta della spesa nella mano, sguardo perso sulla fila di lampade nella vetrina, si fermò a metà del corridoio per controllare il prezzo. Una in particolare attirava la sua attenzione: aveva la forma di un tulipano in un vaso. Peccato costasse così tanto. Non che non potesse permettersela, ma come sua madre le ripeteva giorno e notte, "i beni materiali non colmeranno mai il vuoto che senti dentro".
Perciò forse non valeva davvero la pena di comprarla. Fissarla però non le avrebbe fatto male, no? Sarebbe stata così bene nel suo soggiorno...
Riflesse sul vetro, le persone sedute al bar alle sue spalle si sporgevano sui tavoli, concentrate in conversazioni educate; una signora di una certa età si portò la tazza alle labbra, distese in un sorriso caldo, materno. La sua figura si frapponeva alla statua decorativa di un cigno.
Brie grattò il pollice guantato contro la stoffa della busta che teneva in mano.
La lampada non avrebbe riempito il vuoto che sentiva nel petto. Se lo ripeté. E se lo ripeté ancora, fino a che non divenne altro che una litania priva di senso, nient'altro che un mucchio di suoni; e la base delle credenze di una vita svanì così, a furia di ripeterla, e Brie si ritrovò a fare un passo verso l'entrata del negozio.
Ma si bloccò. Non fu la consapevolezza dell'errore che stava per commettere, bensì una visione, una semplice visione riflessa nella vetrina. Dei capelli scuri, legati in una coda morbida che ricadeva sulla spalla. Mani affusolate che circondavano una tazzina posata sul tavolo. Pelle dorata. Anche se non li vedeva, non faticò a immaginare il luccichio degli occhi che accompagnava il suo sorriso.
Nayana.
Brie puntò i piedi nella sua direzione, non più sull'immagine speculare sulla vetrina. Verso la realtà. Lì dove colei che aveva provato a riempire il suo vuoto adesso chiacchierava con un'altra donna, più giovane di un paio di anni, più silenziosa. Una donna che annuiva e basta, ma nella sua espressione appariva l'interesse per le parole dell'altra.
Non erano intime, né vicine. Ognuna al lato opposto del tavolino, si fronteggiavano e si sorridevano e a volte sogghignavano. Poi la sconosciuta disse qualcosa, parole che si persero nelle chiacchiere che le circondavano, e Nayana rise. Di gusto. Abbassò il capo e si coprì la bocca con la mano, in quel suo modo pacato ma genuino.
Brie cercò di nuovo la lampada. All'improvviso capì quanto sua madre avesse ragione: un oggetto non poteva cancellarle il dolore. Perché quello stesso oggetto che aveva creduto di volere non possedeva più il fascino di prima. Qualsiasi incantesimo le avesse lanciato, ormai si era sciolto.
Doveva andarsene da lì. Tornare a casa, prepararsi per la lezione da tenere il giorno dopo. Doveva ancora trovare un modo per aiutare Zoey con il suo problema di concentrazione.
Invece camminò verso il tavolo di Nayana. Note malinconiche e nostalgiche riempivano i muri, e la accompagnarono. Ogni parola cantata sembrava un sussurro che le avvolgeva il cuore e lo animava, donandole in regalo dei battiti tanto forti quanti incerti.
«Nayana!» esclamò quando fu abbastanza vicina. Finse gioia nel suo tono. «Da quanto tempo.»
Nayana trasferì il sorriso rivolto alla sua amica su Brie, come se fosse davvero felice di vederla. Fece stridere la sedia contro il pavimento mentre si alzava; una stirata all'orlo dell'abito e poi la sua mano le accarezzò gentile il braccio. «Brie! Che piacere rivederti. Ti vedo in forma.»
In formissima. Il trucco copriva le occhiaie, dopotutto, perciò Nayana non poteva immaginare quante ore Brie trascorresse a rigirarsi sotto le coperte.
«Anche tu non te la passi male. E vedo che hai anche trovato una nuova amica.» Brie instillò una punta di odio nel sorriso che rivolse alla sconosciuta. Sperò che lei se ne accorgesse perché, in fondo, che senso aveva fingere?
Lei alzò il sopracciglio e la salutò agitando una mano. Non aggiunse altro.
«Sì, ci siamo conosciute a un corso di canto,» disse Nayana. «Jane, ti presento Brie.» Non aggiunse nessuna spiegazione. Solo Brie. Non la mia vecchia amica Brie, solo Brie.
«Ma non mi dire? Non avrei mai detto che una come te cantasse.» Si rivolse direttamente a Jane. Nessun indizio nella sua capigliatura senza senso e nella sua mancanza di trucco le suggeriva se fosse un'Oro, un'Argento o una Ferro.
Jane fece una risatina nervosa. Si pizzicò la pelle pallida del polso. «È un mio passatempo.»
«In realtà è una psicologa,» spiegò Nayana. E, nel dirlo, la indicò con il palmo aperto.
Brie afferrò le maniche della busta con entrambe le mani. Un'Oro, quindi. E per giunta con una grande conoscenza della psiche umana.
Ecco come avevano legato, fra una conversazione sulla musica e una sulla psicologia. Nayana non poteva trovare un'amica più adatta a lei.
Brie annuì e si appoggiò allo schienale della sedia libera. «E quel gruppo di amici con cui cantavi, non lo vedi più?» cambiò argomento. Non che non le interessasse, scoprire la natura di questa misteriosa Jane, ma ogni singola parola su di lei sembrava ingrandirle il vuoto nel petto.
«Ah, no.» Nayana si accomodò di nuovo. Accarezzò il bordo della tazzina sul tavolo, lo sguardo sperduto nei meandri del caffè ormai non più fumante.
«Meglio per te, te lo avevo detto che erano gente tossica.»
«Mi hanno aiutata a capire tante cose di me,» ammise Nayana. Della sua gentilezza non restava nulla, se non il vago ricordo nel suo sorriso sbiadito. Quella che aveva assunto era la stessa espressione di allora, di quando aveva iniziato ad allontanarsi. Di quando non le parlava più con franchezza. Di quando non l'ascoltava nemmeno più. «Ma alla fine non credo di essere una che ama i gruppi. Sai, troppi drammi, e mi sono stancata dei drammi.»
Rialzò la nuca e per un attimo sembrò che la stesse sfidando. E Brie continuò a credere fosse proprio così, mentre l'altra si bagnava le labbra con il caffè.
«Avevo ragione io, allora,» insistette.
Il modo in cui Nayana guardò Jane le fece rivoltare lo stomaco; l'alzata di spalle di Jane, la comprensione nel suo sorrisetto divertito, furono una nuova macchia di nero che si aggiungeva al vuoto. Brie aggrottò la fronte e scivolò indietro, senza nemmeno desiderarlo, lo fece e basta, perché la visione dell'intesa di quelle due la respingeva.
«Diciamo che erano le persone che dovevo incontrare in quel periodo della mia vita,» rispose Nayana. «Te l'ho detto, mi hanno aiutata molto, a modo loro.»
«E Thomas come sta?»
Un momento di esitazione, poi Nayana scosse la testa. «Ci siamo lasciati.»
Brie si morse l'interno del labbro, nel punto ruvido e già pieno di feritine. Quante cose erano cambiate. Si chiese se quella che aveva davanti fosse ancora la stessa Nayana che conosceva. «Peccato. Stavate bene insieme.»
«È stato un piacere incontrarti.» Jane si alzò e le porse una mano. Educata. La sua stretta però era molle e sudaticcia. «Ma ora dobbiamo andare, il corso inizia fra poco.»
«Oh, sì, giusto.» Nayana finì il caffè in un solo sorso. «Vero, me ne stavo quasi scordando, che sbadata.»
Una bugia, e anche detta male. A Brie tremarono le labbra. Non sapeva nemmeno lei quale delle due cose rappresentasse la goccia di oscurità più grande, pronta a ingrandirle il buco nel petto: se la bugia stessa, o il fatto che non si fossero nemmeno impegnate nel dirla. «Non c'è bisogno,» azzardò. «Tenetevi pure la scusa, tanto non avevo intenzione di fermarmi con voi.»
Si aspettava di provare un moto di sollievo, alla vista del cipiglio di Nayana e Jane. Ci sperava. Ma quando le loro espressioni di finta cordialità si sfasciarono, tutto ciò che ne ottenne fu solo un proiettile dritto nello stomaco.
Il tavolo chiamava il suo pugno, le chiedeva di picchiarlo, le prometteva un briciolo di sfogo. Brie si limitò a stringere ancora più stretta la manica della busta.
«Allora, ciao, Brie,» disse Nayana. Tornò a sedersi e non aggiunse nulla. Nessun "scusa", solo una stalattite di ghiaccio da conficcarle nel petto.
Mentre si allontanava, Brie si ricordò della lampada. Nessuna voce questa volta cercò di fermarla.
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Angolo autrice:
Qui ho voluto presentare la seconda protagonista, che per ora immagino sia abbastanza ambigua xD la scoprirete meglio nel tempo comunque. Sperando che non ci metta un secolo per il prossimo aggiornamento, ma lo scopriremo vivendo!
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