29
Non ci volle molto, prima che le conseguenze le colpissero.
Riportato il messaggio, Ebony si allontanò dallo schermo. Torse il busto e, con i capelli più scarmigliati di prima, allargò le labbra in un sorriso caldo: la sua fiamma si espanse, il calore la irradiava e la faceva brillare di una luce a sé, diversa da quella asettica del neon sul soffitto.
Leean ne fu trasportata. Lasciò che il fuoco della zia bruciasse la consapevolezza del suo tradimento e di ciò che avrebbe portato.
Che venissero, pensò. Che provassero a fermarci. Ce ne andremo di qui insieme.
In quel momento ci credette davvero. Portò il dito sul grilletto del fucile, pronta ad affrontare il pericolo. Ebony mosse un passo verso di lei. Le stalattiti annidate nel cuore di Leean, di un azzurro intenso come la pelle di Celes, si sciolsero al contatto con la sua fiamma.
E poi arrivò un'esplosione.
Pezzi di muro volarono davanti al volto di Ebony. Leean la vide, arcuare le sopracciglia e spalancare la bocca in una O confusa mentre si voltava; si stirò per prendere la zia e attirarla a sé, ma qualcosa la colpì alla tempia. Il mondo si fece sfocato, poi si tinse del rosso del sangue che le gocciolava sulle palpebre.
Ed ecco che giunse un nuovo boato.
Una forza incredibile la scaraventò dall'altro lato della stanza, contro uno schermo ancorato al muro. Le scintille caddero a terra, la accerchiarono. Lo schermo, o ciò che ne era rimasto, le crollò sulla schiena.
«Ho aspettato a lungo. Finalmente,» una voce troppo metallica per essere umana e troppo naturale per essere un robot si sollevò dal centro della stanza. Si spostava. Si avvicinava, calpestando i detriti. «Finalmente è il mio turno di ricordare.»
Leean risollevò il busto. Lo schermo le scivolò giù dalla schiena. Zia Ebony si stringeva un braccio al petto, poco lontano da lei, la testa poggiata contro il muro. Digrignava i denti e un fiotto di sangue le impregnava la manica, scendendo fino a inzupparle le dita. Aprì la bocca per chiamarla, ma cambiò subito idea: serrò la mascella e si puntellò sulle braccia.
La cosa camminava con lentezza, trascinava i piedi metallici come se pesassero troppo per sollevarli. Il ferro di cui era composta le si attorcigliava addosso, mimando delle fasce muscolari umane. La testa, ricoperta di strane spine che scendevano lungo la schiena, sfiorava il soffitto.
Leean strofinò l'occhio insanguinato. Smise di respirare, non perché non riuscisse, ma perché la sola idea di permettere all'aria e alla polvere di entrarle nei polmoni la terrorizzava.
Era una Divora Anima, quella di fronte a lei. Tinteggiata dal filtro rosso del sangue che scendeva ancora dal sopracciglio di Leean, trascinava in avanti la sua forma dinoccolata con la placida sicurezza del predatore.
«Dove sei?» chiese, spostando da una parte all'altra la testa. Non possedeva tratti, la faccia non era altro che un intricato e asettico disegno di metallo. Gli occhi, però, quelli ce li aveva eccome: illuminavano la stanza con la loro luce aranciata, una luce che prometteva distruzione, morte e dolore.
Leean provò a deglutire; perfino la saliva però si rifiutava di scenderle giù per la gola. Con le braccia che tremavano al punto da rischiare di cedere e farla cadere con il muso a terra, tastò il pavimento attorno a sé.
Il fucile. Doveva ritrovare il fucile.
«Dove sei?» Il fascio di luce arancione la puntò.
Leean si immobilizzò. Le piccole contratture sulle gambe tornarono a tirarle i muscoli, a irrigidirla.
Questa era la punizione mandata da Celes. Aveva sempre sospettato che Leean non avrebbe collaborato. Doveva essere per forza così.
«Lee.» Il richiamo della zia le arrivò in un sussurro disperato.
«Dove sei?» chiese ancora la Divora Anima. Poi voltò il capo. Impiegò un'eternità. Il tempo rallentò, e Leean vide ogni singolo filo di metallo del suo collo tendersi. Gli occhi luminosi si posarono su Ebony. «Eccoti.»
E balzò. Balzò, flettendo i fasci di muscoli sintetici di cui erano composte le sue gambe snelle. Balzò, la schiena incurvata e la spina dorsale metallica che frantumava il soffitto. Balzò, e atterrò proprio di fronte a Ebony, ripiegata in una posa distorta, disumana.
«Zia!»
L'urlo di Leean si perse, sovrastato dalle grida di Ebony.
La Divora Anima distese il braccio. Il palmo si chiuse sulla bocca spalancata di Ebony, assorbì la sua voce terrorizzata. La sollevò da terra. «Eccoti.»
✺
Non appena Brie mise piede nella tana di Celes, un boato lontano la fece sobbalzare. Si strinse fra le braccia e riempì i polmoni dell'aria stantia nella stanza.
Subito dopo arrivò uno schianto, più vicino. Troppo vicino. Una scarica di scintille zampillò dal braccio teso di Celes. L'immagine sullo schermo di fronte a lei si dileguò, rimase solo il buio di un marchingegno rotto.
Brie premette le labbra. Delle leggere scariche elettriche le percorrevano la spina dorsale, e la schiena le si raddrizzò in un brivido. Era abituata alla flemmatica compostezza di Celes, non si era mai resa conto che quel suo corpo fatto di metallo avrebbe potuto schiacciarle la testa solo stringendola fra le dita.
Si guardò alle spalle, dove la porta si era già richiusa. Che volesse o meno, ormai la cazzata di entrare l'aveva fatta, non poteva più tirarsi indietro.
«Brie,» la chiamò Celes, e solo dopo si voltò. «Hai finalmente capito che il vuoto non può essere colmato, se prima non liberi la macchina? Per questo sei qui?»
La domanda le regalò dei brividi nuovi. Freddi, questa volta. Brie scivolò indietro di un paio di passi. «Come fai a sapere del vuoto?» Lo chiese, ma la risposta arrivò prima ancora che l'altra le rispondesse: le balenò nella testa, con tanto di luce rossa e sirena assordante.
Celes possedeva un pezzo della sua anima. La spirale di vuoto che si portava dentro, ormai, la condividevano.
«Hai compreso la verità che si cela dietro quel nulla?»
Brie aggrottò la fronte. L'aveva compresa? Pressò le dita sul petto. Non era ancora colmo, restava un buco d'aria, una soffocante bolla d'acqua; la spirale però si era dissolta, almeno per il momento. Il perché le sfuggiva.
«Non ho fatto tutta questa strada per farmi rincoglionire dalle tue stronzate filosofiche,» sbottò allora. Picchiettò l'unghia del pollice con quella dell'indice. «Che cosa ne hai fatto di Jane?»
«Ah. Jane.» Celes reclinò il capo. Chiuse gli occhi. Le sue palpebre emanavano un bagliore azzurrino, quasi impercettibile. «Ti ostini ad accollare il peso del tuo vuoto su un'altra persona. Cerchi ancora l'approvazione della tua amica.»
L'approvazione di Nayana. Certo. Come no.
Le possibilità che le rivolgesse di nuovo la parola erano prossime allo zero. Brie non meritava neanche le sue parolacce. Aveva bruciato ogni possibilità della sua approvazione, e andava bene così.
Scosse la testa, con una convinzione che stupì perfino lei. «No. Non lo faccio per lei. Non più.»
Gli occhi di Celes si riaprirono e la schiacciarono sotto il loro peso. Un secondo di riflessione. Un secondo di perplessità. Poi, le labbra si arcuarono in un mezzo sorriso. «Ma certo. Lo fai per te stessa ora. Vuoi combattere il senso di colpa.»
«Dimmi solo dov'è,» sibilò in risposta.
Stupido, da parte sua, aspettarsi una spiegazione. Non avrebbe dovuto nemmeno sperarci, eppure quando Celes incrociò le dita dietro la schiena e si mise a passeggiare lungo i bordi della stanza, la frustrazione le risalì le pareti dello stomaco; come uno scalatore armato di picconi, le piantava la punta delle piccozze nelle viscere, ancora e ancora e ancora.
«Sai perché ho divorato la mia prima anima?» Ed eccola, una delle sue domande senza senso.
«Non mi interessa.»
«Quel ragazzo, possedeva un'anima così affine alla mia. O meglio, a quella che risiedeva dentro di me.» Celes le rivolse un'occhiata curiosa, la testa inclinata. «Lee ti ha raccontato la mia storia?»
Brie si morse le labbra. «A grandi linee.»
Annuendo, Celes riprese a camminare. «La fame mi artigliava ogni singolo giorno della mia vita, eppure non avevo mai nemmeno pensato di cedere. Non fino a che non ho conosciuto lui. Era come un richiamo, il suo. La sua anima mi sussurrava una nenia oscura a me troppo familiare, sebbene non lo capissi. La verità è che per ricordare, credo non ci basti divorare un'anima qualsiasi. Deve essere un'anima affine, che risvegli quella sepolta dentro di noi.»
«Ti ho chiesto solo dov'è Jane,» le fece notare Brie.
Celes mosse appena il capo. «La tua richiesta, te la ricordi? Cosa mi hai detto di farne, di lei?»
«Di rapirla.»
«Mi hai chiesto di farle assaggiare la solitudine.»
Il ricordo la colpì con la furia di un pugno. Brie serrò le palpebre, ritirò il mento e incurvò le spalle. Nella furia del momento, le parole le erano uscite di bocca senza alcun filtro. La rabbia per Jane si era riversata fuori in tutta la sua velenosa sete di vendetta.
Il piccone affondò un nuovo colpo. Le si contrasse lo stomaco.
Celes le comparve di fronte. Il suo corpo non emetteva calore, era solo un freddo ingombro, come un qualsiasi elettrodomestico. «E io l'ho fatto. L'ho costretta all'esistenza più solitaria che io stessa abbia mai conosciuto.»
I loro occhi si incontrarono. Una molteplicità di ombre si susseguiva in quelli di Celes: fantasmi, che si alternavano fra loro alla ricerca della luce che li avrebbe liberati. Anime divorate. Anime intrappolate.
Lì c'era anche la sua. Lì c'era anche quella di Leean.
Brie abbassò lo sguardo. Non ce la faceva, a scrutare troppo a lungo in quel mare infestato. «Hai divorato la sua anima?»
«Non io.» Celes alzò il petto in un finto sospiro. «Le ho regalato un corpo nuovo, tutto per lei. Vuoto. Isolato. È un esperimento, un tentativo di replicare una tecnologia che avete cercato di distruggere.»
Un'altra picconata. Questa volta lasciò un'intera voragine.
Brie deglutì. «L'hai trasformata in un Divora Anima.»
✺
I piedi di Ebony si agitavano, distanti da terra. La mano afferrava quella metallica della Divora Anima, la spingeva, cercava di liberarsi; l'altro braccio le penzolava lungo il fianco, intriso di sangue.
La cosa accostò il volto al suo. La sfiorò, come se la stesse annusando, benché non possedesse un naso. «Eccoti,» disse un'ultima volta. «Anche io voglio ricordare.»
Leean si passò una manica sull'occhio, nel tentativo di pulirlo, senza successo. Ormai non riusciva più nemmeno a tenerlo aperto, il sangue le si era incrostato sulle ciglia, le pesava sulla palpebra. «Cazzo,» sibilò fra sé e sé.
I muscoli non le rispondevano. Se ne stavano lì, immobili, dei tronchi troppo rigidi per spostarsi. Che creatura inutile, che era. La solita, patetica inutile. Che senso aveva combattere, se nel momento del bisogno il corpo si rifiutava di agire?
La Divora Anima spostò la mano dalla bocca di Ebony; la fece scivolare sulla gola e la tenne inchiodata contro il muro. «Sei tu,» diceva, ed Ebony lanciò un grido straziante. «Sei tu, sento il tuo richiamo da giorni. Tu mi libererai.»
I filamenti metallici del suo volto si aprirono, le lasciarono un solco, una ferita, che si distese come un paio di labbra sorridenti. Agì al rallentatore, come se fosse nel bel mezzo di un rituale sacro. Avvicinò quella ferita a forma di labbra alla bocca di Ebony; nel mentre ne assaggiò il respiro, corto e affannato.
E allora Leean si riscosse. Dapprima un solo dito, il mignolo. Si sollevò appena, ma abbastanza per scontrarsi con il gelo del ferro: il fucile. Ecco dov'era finito. Il resto del corpo si sbloccò a pezzi. La mano agguantò il manico dell'arma. Il braccio la sollevò all'altezza del petto. Una gamba strisciò lungo il pavimento. Un piede spinse verso l'alto.
Sparò un paio di colpi, senza preoccuparsi di prendere bene la mira. Il rumore le rimbombò nelle orecchie, mentre i proiettili rimbalzavano sui muscoli d'acciaio della Divora Anima; Leean strinse i denti e continuò a fare fuoco, finché non ottenne la sua totale attenzione.
La Divora Anima allungò il collo e la fissò. La fessura sul suo volto si allargò per un secondo. «Hai scelto di lottare?» La sua voce le si conficcò sottopelle, come una miriade di spilli. «Complimenti. È la scelta giusta. Peccato sia anche inutile.»
✺
«Echo,» disse Celes, tornando a circondarla nella sua passeggiata senza fine. «Questo è il suo nome, adesso. Come te, è alla ricerca disperata di un'anima affine che la aiuti a combattere la solitudine. Che definisca la sua.»
Le parole, i pensieri stessi le scomparvero dalla mente. Si volatilizzarono, trasportati da un vento immaginario; si allontanarono in groppa a un aquilone che non sarebbe mai più tornato.
Brie si massaggiò la gola, dove l'acido le risaliva in un fiotto caldo e soffocante. «Non era quello che ti avevo chiesto,» mormorò, attingendo agli ultimi residui di parole che erano rimaste bloccate da qualche parte dentro di lei. Sebbene fossero solo parole confuse, false.
Celes s'impuntò al suo fianco. La sua presenza restava ingombrante e vuota. Un mobile parlante, privo di affetto, privo di calore. «L'ha trovata giorni fa. Non un'anima qualsiasi, sai? No. Mi hai consegnato un'anima speciale, quella di Jane, e in quanto tale desidera un'anima altrettanto speciale.»
Brie la osservò, in silenzio. Celes era immobile, eppure il suo corpo ondeggiava avanti e indietro. Anche il resto della stanza, gli schermi, i muri, ogni cosa ondeggiava. Brie premette il palmo contro la fronte e chiuse gli occhi. Pregò che il mondo si fermasse, che smettesse di vorticare senza sosta.
Celes continuò, senza nemmeno badarle: «Una Guardiana. E non una Guardiana qualsiasi. Ebony, la favorita di Aném. Ho dovuto tenerla buona, perché voleva divorarla subito. Temo che i nostri nuovi prototipi non siano molto bravi, a resistere agli impulsi. Così l'ho rinchiusa, con la promessa che l'avrebbe avuta una volta che non mi sarebbe più servita. Anche se contavo di non accontentarla mai, in realtà.»
Brie ingoiò la bile che le bruciava la trachea. «A cosa ti serviva?»
«Ad attuare la seconda fase del mio piano, per liberarvi tutti. Ma Leean mi ha tradita.»
Leean. C'era lei, dietro il messaggio di Ebony? Nel petto di Brie, una piccola fiamma prese vita. Lì, nel punto in cui ci sarebbe dovuto essere il nulla, il vuoto incolmabile. Era una sensazione peculiare, nuova, che le lasciò nel palato un sapore dolciastro.
Orgoglio, pensò. Brie era orgogliosa di Leean.
Allo stesso tempo, il ricordo di un boato non troppo lontano affievolì l'intensità della fiamma. «È da lei ora? La sta attaccando?»
Celes scosse il capo, un movimento lento e appena accennato. «Non ho avuto modo di fermarla. Echo ha una forza immensa. Gliel'abbiamo data noi, certo. Ci servivano tutte le armi possibili per compiere il nostro piano.»
«Dov'è?» gridò Brie. Incapace di trattenere l'ardore della fiamma, la rigettò fuori assieme alla frustrazione.
«Chi? Echo?»
«Lee. Dov'è Lee?»
Celes sollevò un solo sopracciglio. La sua espressione mimava così bene quelle umane. «Cosa vuoi fare? Andare a salvarla? Come? Non puoi affrontarla, Brie. Non potevi affrontarla quando era solo una persona comune, ecco perché sei venuta da me. Cosa speri di fare adesso?»
Niente. La verità era che non sperava di fare proprio niente. Eppure, restare lì a chiacchierare non le sembrava la risposta giusta. Jane... No. Echo. Echo esisteva per colpa di un suo stupido capriccio.
«Non temere,» continuò Celes. «Non temere, Ebony è solo l'inizio. Echo è la prima della nuova generazione di Divora Anima. I Guardiani saranno i prossimi.»
«La prima?»
«Non crederai mica che io e gli altri dureremo per sempre, vero?»
Brie aprì e chiuse le mani, in un moto di estrema confusione. Perché non avrebbe dovuto crederlo?
Non disse nulla, ma Celes comprese. «Anche io voglio la liberazione. Vivo da così tanto che ormai ho perso il conto degli anni che passano. Ma non posso lasciare la città senza qualcuno che vi controlli, o tornereste a implorare per una seconda possibilità di vita, senza nemmeno godervi la prima. Cerchereste nuovi modi per estraniarvi dalla vita terrena.»
«Perciò cosa farai? Ti ucciderai?»
La scrutò a lungo, Celes, con i suoi occhi intensi, azzurri quanto la sua pelle. Per la prima volta, Brie ebbe il coraggio di fissarli abbastanza da notare come cambiassero colore, come si scurissero per poi tornare a schiarirsi a poco a poco; la notte e il giorno si susseguivano nelle sue iridi.
«Non lo so ancora,» ammise Celes, e sollevò le spalle. Sorrideva con un'aria spensierata, da bambina. Una visione disturbante, su quel corpo metallico, eppure si nascondeva una nota dolce dietro quell'infantilità. «Forse.»
✺
Qualsiasi cosa accadde dopo, Leean non capì nulla di più di un dolore lancinante. Qualcosa di duro – un gomito – le si conficcò nello stomaco. Ma quando l'aveva raggiunta la Divora Anima? Solo un istante prima teneva zia Ebony contro il muro.
Ebony invece giaceva a terra, reggendosi il braccio. Puntini bianchi ne coprivano la figura. Leean strizzò gli occhi; la Divora Anima le agguantò la maglia all'altezza dello stomaco e la scaraventò via. Arrivò il muro, proprio contro la sua schiena. Le tolse la capacità di respirare. Un fiotto di lacrime le scese lungo le guance, le offuscò quel poco di vista che le rimaneva.
«Sei contenta, adesso?» I fasci di luce aranciata della Divora Anima le puntavano proprio agli occhi. «Hai agito. Hai affrontato la tua debolezza, ancora. I tuoi traumi sono pronti a sparire, non trovi?»
Una risata intrisa di sangue le salì lungo la gola. Leean sputò il liquido vermiglio ai suoi piedi, e rise, e poi sputò ancora, e rise di nuovo, così fino a che non arrivò la tosse a interromperla. E anche allora, rischiò di soffocare, ma non riuscì a fermarsi.
Aveva agito, vero. Ma continuava a fallire. Perciò, perché avrebbe dovuto trovare salvifica la consapevolezza di essere un'incapace? Un'inetta?
«Risata isterica,» disse la Divora Anima e, in quel momento, la sua voce assunse lo stesso tono petulante di Benjamin durante le sedute. «Non è la paura di agire che ti blocca, ma la paura di fallire. La paura di sbagliare. Perciò hai finito per romperti, qui, adesso.» La bocca, o la fessura inquietante che si ritrovava al suo posto, si chiuse. «Mi spiace,» aggiunse in un mormorio. Umana, per la prima volta.
Si diresse da Ebony. La sollevò da terra, come se non fosse altro che un misero ramoscello.
«Lasciala stare.» Leean si tenne appoggiata al muro. Barcollò in piedi. Dall'essere troppo rigidi, i muscoli avevano finito per diventarle di gelatina.
La Divora Anima spalancò di nuovo la bocca. «Mi spiace. Non prenderla sul personale.» Trovò le labbra di Ebony.
Leean se lo ricordava bene, il dolore dell'anima che veniva risucchiata. Vederlo accadere però fu ancora più aberrante.
L'intero corpo di zia Ebony si contorse. Gli occhi si spalancarono. Le pupille fissavano dritte. La luce arancione della Divora Anima le si rifletteva sulle iridi. Le uscì un gemito strozzato; subito dopo, un grido soffocato.
Leean incontrò il pavimento, si sbucciò le ginocchia crollando a terra. Il fucile giaceva lì, a meno di un braccio di distanza. Lo prese, tremante.
Un bagliore candido illuminò Ebony, il suo viso, le sue labbra, premute contro il ferro del volto della Divora Anima. La fiamma che le bruciava all'interno, quella che la rendeva così calda, scivolavano via da lei, secondo dopo secondo.
Leean premette il grilletto. Niente. L'arma emise solo un click. Nessun proiettile.
Ebony spinse via la testa della Divora Anima. Senza forza, eppure tentò comunque, mentre gli occhi le si rovesciavano e le gambe smettevano di scalciare.
Un passo alla volta. Leean si avvicinò un passo alla volta. Scalciò i detriti, incapace di sollevare i piedi abbastanza da scavalcarli.
Quanto rimaneva ancora di sua zia?
Non avrebbe fatto in tempo.
Ma continuò ad avanzare, finché la Divora Anima non fu abbastanza vicina. E allora, le schiantò il manico del fucile sulla spina dorsale. E funzionò.
Lasciò andare Ebony. La lasciò accasciarsi a terra. La Divora Anima prese il fucile, lo scagliò lontano, contro il muro già frantumato.
«Zia!»
Leean cadde ancora sulle ginocchia. Trattenne una smorfia di dolore. Sollevò la testa di Ebony, che le ciondolava pesante sul palmo. «Zia?»
Lo capì dalle labbra violacee. Lo capì dalla pelle troppo pallida. Lo capì dal suo calore, che svaniva piano piano. Lo capì dalla mancanza di respiro.
Era troppo tardi.
Di sua zia non rimaneva che un corpo privato della sua fiamma.
✺
La porta dietro di lei si aprì. Improvvisa. Brie non osò voltarsi, non si mosse, attese che, chiunque fosse, le comparisse davanti. A passarle a fianco fu un corpo freddo e ingombrante, proprio come quello di Celes.
La riconobbe subito. Forse l'anima che albergava quell'ammasso di metallo la chiamava. Forse, una parte di lei, sentì la voce flebile e frustrante di Jane che le chiedeva aiuto, o che la salutava.
Non provò stupore, quando Echo si arrestò davanti ai suoi occhi, in tutta la sua altezza, la magrezza, l'imponenza. Da persona timida e impacciata, Jane si era trasformata in una macchina da guerra, un robot con le sembianze di un assassino.
«Brie,» le disse.
«Jane,» disse Brie.
Terminò lì, perché nessuna delle due dovette aggiungere altro. Una corda fatta di non detti le collegava l'una all'altra. Partiva dal polso pieno di bracciali di Brie e si allacciava a quello metallico di Echo.
Poi, una mano si aggrappò alla spalla di Brie. La spinse verso il basso nel tentativo di tenersi su, ma rischiarono di cadere in due. Le dita le inzupparono la maglia di sangue.
Leean le afferrò anche il braccio e si tenne a lei, il volto un miscuglio di dolore e lacrime. Nemmeno lei osò parlare. Fissava Echo, poi Celes, poi di nuovo Echo. Chiedeva risposte. Chiedeva un perché. Chiedeva il silenzio.
«Lee?» Brie le infilò il braccio sotto la spalla. La aiutò a tenersi in piedi. «Andiamo via,» le propose, e l'altra non si oppose. Nessuno si oppose.
Così entrambe zoppicarono verso l'uscita, rimasta spalancata.
✺
Spazio autrice:
Capitolo abbastanza pieno di... cose. Non aggiungerò altro, dico solo che siamo finalmente arrivati alla terza parte.
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