19

     Il livello di mal di testa superava quello di una sbronza – o almeno, così immaginava, non aveva mai avuto il piacere di scoprire la sensazione di accesso di alcol. Dalla finestra alla sua sinistra entravano pochi, pigri raggi di sole. Per la maggior parte, le nuvole ingrigivano il cielo con la loro atmosfera depressa.

Con il polso premuto contro la fronte, Brie voltò appena la testa sul cuscino. Un paio di fazzoletti appallottolati giaceva sul comodino. La lampada a forma di tulipano la osservava, spenta, più lugubre di quanto ricordasse. Lo Psych si affacciava sul bordo, un triangolino di plastica lampeggiante.

Qualcuno cercava di raggiungerla. Nayana, pensò prima. Leean, subito dopo.

Non trovò nemmeno la forza di allungare il braccio per prenderlo. Si girò in direzione del soffitto, la mano appoggiata sullo stomaco. Prendeva respiri lenti e profondi, ma ogni volta che espirava il petto le tremava e le bruciava. Se avesse ingoiato il sole, sospettava che la sensazione sarebbe stata la stessa.

Il ventilatore da soffitto girava con un ritmo letargico.

Brie chiuse gli occhi. Il riverbero giallino del lampeggiare dello Psych le comparve oltre il rosa delle palpebre. Accesa. Spenta. Accesa. Spenta.

Giallo. Buio.

Giallo.

Buio.

In un sospiro, Brie tastò il comodino alla cieca. Le dita le si chiusero subito attorno alla plastica. Si portò lo Psych all'orecchio e premette il pulsante per ricevere i messaggi.

Brie? Vorrei parlarti di quella cosa di Ben, se hai tempo.

Leean. Il fuoco nel petto diramò le proprie fiamme in ogni direzione, spargendo un calore malinconico. Brie si aspettava quella chiamata, sapeva sarebbe arrivata, dopotutto gliel'aveva chiesto lei, di tenerla aggiornata sulla questione. E allora perché si sentiva così? Non vuota, piena, ma piena di un calore che la feriva.

Forse si trattava solo di un effetto collaterale di quello che le aveva fatto Celes.

Pigra, riportò il dito allo Psych e rispose al messaggio.

Ti mando il mio indirizzo. Ti aspetto qui.

Tempo una manciata di secondi, e una singola parola le comparve all'angolo della visuale: Ok. Brie lanciò lo Psych sul comodino e sprofondò di nuovo sul cuscino.

Quando suonò il campanello, sobbalzò. Sollevò il busto di scatto, e il bruciore nel petto si trasformò in un gigantesco coltello intento a girare e rigirare nella carne. Si prese un paio di istanti. Poi poggiò entrambi i piedi, nudi, sul pavimento. Era ancora lucido dopo le pulizie del giorno prima.

Barcollò fino alla porta d'ingresso. Non si preoccupò di darsi un'aggiustata allo specchio né di controllare che fosse Leean ad aspettare dall'altro lato. Aprì con la convinzione di trovare Lee, invece Nayana giocherellava con il manico della borsetta.

Brie strabuzzò gli occhi. Pensò di salutarla, di dirle qualcosa, chiederle cosa ci facesse lì, ma nessun suono le uscì dalle labbra.

«Posso entrare?» chiese l'altra.

Brie si fece da parte. Nayana la superò, i tacchi picchiarono sul pavimento con troppa forza. Girò su se stessa un paio di volte, come alla ricerca di qualcosa; le dita si attorcigliavano al manico della borsa fino a cambiare colore.

Alla fine, si guardarono. Negli occhi grandi e scuri di Nayana aleggiava una nebbia febbricitante.

«Stai bene? Hai l'aria sconvolta.» Nayana le sfiorò la spalla. Un tocco veloce, inconscio forse, ma Brie si scansò.

Nemmeno lei se la passava granché. I capelli restavano impeccabili, le unghie lunghe e ben smaltate, però si comportava in maniera insolita. I tacchi emettevano un ticchettio continuo, perché lei non smetteva di passare il peso da un piede all'altro. I denti tormentavano il labbro inferiore, dove una punta di rosso segnava una ferita fresca.

Brie tentò di appiattirsi i capelli sulla nuca, nella speranza che acquisissero una parvenza di senso. «Sto bene,» mentì. Il fuoco dentro di lei scoppiettò una volta di troppo. «Che è successo?» Avrebbe potuto tergiversare, prendere tempo, e sapeva che lei avrebbe ballato in tondo all'argomento assieme a lei. Ma non ne valeva la pena.

Nayana incastrò una ciocca dietro l'orecchio. «Io credo... Credo che Jane sia in pericolo.»

Certo.

Che stupida. Che stupida, doveva capirlo subito. Dopotutto, era stata lei a...

Brie ordinò alle proprie labbra di aprirsi, di fingere stupore. Invece mantenne un'espressione piatta. «Perché? Cos'è successo?»

«Avevamo appuntamento al bar, più di tre ore fa. Ma non si è presentata. E non mi ha nemmeno chiamata per avvisarmi.» Respirava troppo veloce. Le guance le si colorarono di rosso. Goccioline di sudore le imperlavano la fronte. «Così sono andata a casa sua, e non... non c'era... è sparita... sparita e basta... Nessuno l'ha vista...»

Brie la afferrò per le spalle. Nayana sussultò, ma non si oppose; abbassò la testa, evitando il suo sguardo. «Va tutto bene. Inspira.» Si riempì i polmoni e gonfiò il petto in modo esagerato, per mostrarle come fare. Nayana la imitò. «Ora espira. Piano.»

Entrambe cacciarono l'aria dalle labbra, un soffio alla volta. Poi ricominciarono da capo. Coordinate, perché nonostante il tempo passato lontane, i momenti trascorsi insieme non potevano cancellarli. Esistevano ancora, e il ricordo di quello stesso momento era vivido nella memoria di tutt'e due.

Dopotutto quella era ancora la Nayana che Brie conosceva. Lo sarebbe sempre stata.

Altri tre respiri, e la sentì rilassare i muscoli. Altri due, e si calmò del tutto. Brie si allontanò. Sotto le dita, ancora le restava la sensazione del corpo di lei che si riempiva di aria e si svuotava a un ritmo costante.

«Sei sicura che sia sparita?» le chiese. Il vuoto tornò, più spietato e vorace di prima. Brie strinse i denti.

La risposta la conosceva, eppure voleva sentirglielo dire. Una parte di lei continuava a non crederci.

Nayana lasciò scivolare la borsa verso il pavimento. La tenne sospesa a pochi centimetri. «Lo so che di solito mi faccio prendere dall'ansia senza motivo.» Lo ammise con un sorriso tanto ferito che Brie dovette distogliere gli occhi. «Però questa volta è diverso. Non sparisce mai senza avvisarmi. Non dimentica mai un appuntamento. E poi, con tutto quello che sta succedendo, io...»

Si sarebbe preoccupata alla stessa maniera, se fosse stata Brie a sparire?

Scosse la testa per scacciare subito quel pensiero, ma il vuoto si ingrandiva. Una matassa nera e bruciante.

«L'ultima volta che l'ho sentita,» riprese Nayana, «stava andando a un concerto. Al concerto dove ieri mattina, sai...»

L'ultimo caso di suicidio. Sì, Brie l'aveva visto al notiziario, mentre vomitava quel che restava della sua anima in un sacchetto. «Hai paura le sia successo qualcosa?» Le uscì in un tono piatto.

«Se non torna, denuncerò la scomparsa, ovviamente, solo che... Tu hai detto che stai indagando, no? Mi chiedevo se avessi qualche informazione utile.»

Quindi per questo era andata da Brie. E lei che, da brava stupida, aveva creduto di essere una spalla su cui potesse piangere. L'accusa di Jane le gravava ancora sul petto.

Brie era una manipolatrice? La risposta non le sembrava più così scontata, non davanti alla disperazione di Nayana; non davanti alla consapevolezza che quella paura esisteva solo per colpa sua.

«No, non ancora,» mentì. «Se dovessi scoprire qualcosa però te lo farò sapere. Tu tienimi aggiornata.»

Nayana annuì. La circondò fra le braccia e la strinse con troppa foga. Sapeva di shampoo e pino, con un retrogusto di sudore fresco. «Grazie, Brie. Dico davvero.» La sincerità nella sua voce le tolse la capacità di respirare.

Si salutarono. Quando Nayana fu sparita oltre la porta, Brie corse al bagno a vomitare.

Brie impiegò una buona decina di minuti ad aprirle. Quando comparve sulla soglia, con gli occhi rossi, delle occhiaie vistose e il colorito pallido di un fantasma, Leean aggrottò la fronte. «Stai bene?»

Non ottenne una risposta. Brie le lasciò lo spazio per entrare.

Casa sua era particolare. Quadri appesi ovunque. Mensole piene di oggetti decorativi. Manteneva una sorta di ordine maniacale, nonostante sembrasse che le pareti sarebbero esplose per l'eccessiva quantità di roba inutile.

Brie si massaggiava la gola. Al contrario della casa, lei era in totale disordine. I capelli sembravano implosi. I vestiti erano sgualciti. I polsi stranamente nudi. «Cos'è che mi devi dire?»

Fu strano per Leean scoprire, tutto sommato, di essere quella che se la passava meglio.

Infilò le mani nelle tasche. «Si può sapere che hai fatto? Sembri di ritorno da una festa della zona profana.»

Brie si afferrò i capelli fra le dita. Provò a districarne una ciocca, ma l'indice le rimase incastrato. «Se la metti così, non hanno l'aria molto divertente.» Tirò fino a ritrovarsi un ciuffo arruffato in mano. Lo lasciò cadere a terra, incurante.

«Sono divertenti, se eviti un'overdose.» Leean alzò le spalle.

«Ci sei mai stata?»

«Una volta. Diciamo che non è finita benissimo.» Si era risvegliata su un divano a casa di non sapeva bene chi. Per fortuna, i vestiti ce li aveva ancora tutti addosso; persone che non conosceva russavano, addormentati sul tavolo, per terra o sulla poltrona. Poi era arrivata la sbuffata di fumo, e uno sconosciuto – Duke – l'aveva salutata come se fossero vecchi amici.

Brie annuì senza troppa attenzione. «Quindi? Che c'è?» Aveva la voce roca.

Leean si limitò a fissarla.

«Guarda che sto bene,» sbottò. Si tormentava il polso con le unghie. «Ho solo un po' di nausea e mal di gola.»

«Non ti credo.»

Brie resettò la propria espressione, rilassò i muscoli del viso e alzò appena le sopracciglia. Dischiuse le labbra. Le richiuse. Le aprì di nuovo. «Credo di aver fatto una cazzata.»

Lo sospettava. Riconosceva i sintomi. Riconosceva lo sguardo di una persona che sapeva di aver rovinato tutto. La vedeva ogni mattina allo specchio. «Vuoi parlarne?» le chiese.

«Ieri.» Brie levò il mento per lanciarle un'occhiata veloce. Le pupille schizzarono via subito dopo, incapaci di fronteggiarla. «Ero andata a spegnere le candele, sai, quelle che tu mi hai fatto lasciare accese?» Suonò acida. Forse voleva essere un attacco. Leean lo ignorò. «Ed è venuta l'amica di Nayana.»

«Chi?»

Uno sbuffo. «Nayana. L'amica di cui ti ho parlato. Jane è il mio rimpiazzo.»

Temeva di conoscere già il resto della storia. Leean si morse l'interno della guancia, inghiottendo la risposta. Le fece un cenno del capo per intimarla a proseguire.

Brie strusciò i palmi contro i pantaloni, poi si circondò il busto con le braccia. «È venuta a dirmi delle... cose. Ha cercato di psicanalizzarmi, anche se non le avevo mai fatto nulla.» Aveva chiesto a un Divora Anima di toglierla di mezzo, pensò Leean, ma evitò di farglielo notare. «E mi ha dato la colpa di tutto.»

«La colpa di cosa?»

«Di tutto,» ripeté. In uno sfarfallio di ciglia, la osservò dal basso. «Ma non startene lì come un'imbecille, vieni di là, ti offro qualcosa da bere.»

La condusse nell'altra stanza, dove una figura eterea le aspettava, accanto al divano. Leean perse un battito prima di capire che era solo una statua. Evitò una gara di sguardi con la scultura – tanto non poteva vincere – e si accomodò al tavolo, di fronte a Brie. Una teiera se ne stava già posizionata sulla tovaglia, assieme a una tazza piena e fumante.

Brie estrasse una seconda tazza da una credenza. La riempì senza fare domande. «Mi ha detto che sono una manipolatrice,» disse, passandole il tè.

Leean lo accettò con un «grazie» e una smorfia. Avrebbe tanto preferito una bevanda con un gusto. In alternativa, perfino l'acqua andava bene. Ma ormai ce l'aveva davanti, con il suo rivolo di fumo che si sollevava al soffitto e la superficie di un giallino rivoltante, e non poteva più rifiutare. Accarezzò il motivo di foglie disegnato sulla tazza per prendere tempo.

«E che sono io a fare del male a Nayana. Io. Non il contrario.»

«Brie,» la interruppe.

Lei non la sentì nemmeno. «Sono io quella rimasta da sola. Sono io quella che non ha più nessuno, non certo il contrario.» Cadde sulla sedia con un tonfo esagerato. La teiera sul tavolo sussultò.

Leean soffiò sul tè. «Brie. Sei quella che ha cercato l'aiuto di un Divora Anima per convincerla a esserti di nuovo amica.»

«Esatto!» Batté il palmo sul tavolo. «Perciò sono io quella che sta male, no?»

«Come la chiameresti una persona che vuole costringerti a fare qualcosa che non vuoi fare?» Prese un sorso.

«Una stronza.»

Il tè le risalì su per il naso. Lo rimandò giù per puro miracolo. Le si formarono delle lacrime agli angoli degli occhi. «Anche,» le concesse. «Non era la parola che avevo pensato, ma rende l'idea.»

«Secondo te sono una manipolatrice?»

«Le tendenze ci sono.» Forse non stava a lei dirglielo. Si pentì di aver aperto bocca, nel vedere il labbro fremerle. Provò a immaginarsi la rabbia che le montava dentro, a sentirsi dare della manipolatrice da una persona conosciuta da poco. Decise che se le fosse arrivato un pugno in faccia, l'avrebbe accolto.

Brie però restò in silenzio. Carezzava la maniglia della tazza. Solo dopo un lungo sospiro si decise a parlare. «Sono andata da Celes. Ero furiosa. Volevo fargliela pagare.»

Leean affogò i pensieri nel tè senza sapore. Il ricordo del bruciore al petto, le preghiere silenziose perché finisse, le lacrime versate: tutte memorie vivide nella sua mente. Posò la bevanda e la allontanò da sé. «Cosa le hai chiesto?»

«Di rapirla.»

Sempre meglio che ucciderla. «E ora?» chiese, perché glielo leggeva negli occhi, che aveva capito.

«Nayana è sconvolta. Mi ha chiesto aiuto, crede che la sua sparizione abbia a che fare con loro.» Non specificò chi fossero loro, non c'era bisogno. «Pensavo... pensavo un sacco di stronzate. Pensavo che senza Jane lei sarebbe stata sola e sarebbe tornata da me.» Scosse la testa. Una lacrima le scivolò lungo la guancia. «Invece quella sono io. Sono io quella sola. Sono io quella che vive nella solitudine da tutta la vita.»

Leean infilò l'unghia nella fessura lungo il bordo del tavolo. Ne percorse l'intera lunghezza.

«Non ho mai avuto amici, a parte lei.» Brie tirò su col naso. «Da ragazzina, mi evitavano tutti. Ero troppo saccente, mi dicevano. Troppo antipatica. A casa, i miei si aspettavano sempre il massimo dei voti, si assicuravano che studiassi, ma non mi hanno mai detto come si facesse a fare amicizia. Mi dicevano solo di non sprecare la mia intelligenza.» Si interruppe per bagnarsi le labbra con il tè. «Nayana è stata la prima, no, l'unica, ad avvicinarsi a me. Mi disse che gli altri non mi capivano, ecco perché mi evitavano. Lei vedeva oltre la mia corazza.»

Una corazza più fragile di quanto Brie stessa credesse. Questo però Leean lo tenne per sé.

«Eravamo sempre insieme. All'inizio credevo fosse come me. Mi illusi che fosse come me. Poi arrivarono altri amici. Lei iniziò a far parte di gruppi in cui non ero la benvoluta. Credo...» Abbassò la testa. «Credo di aver avuto paura. Non volevo che si dimenticasse di me. Ho cominciato a comportarmi come una psicopatica, la convincevo a non frequentare nessuno oltre me e il suo ragazzo di allora. Forse, in un certo senso, sì, ho provato a manipolarla.»

La sua intera figura tremò nel pronunciare quell'ultima parola. Azzardò un sorriso, che si sgretolò in pochi attimi. Rimase solo il peso della sua confessione, e lei, schiacciata dalle sue stesse considerazioni, che si ripiegava sempre di più su se stessa.

Forse un abbraccio sarebbe stata la soluzione ideale. Leean però si tenne contro lo schienale e cercò il viso della statua nella semioscurità. Restava un ornamento inquietante, tuttavia intravide un significato diverso, nel suo sguardo vuoto: solitudine. Isolata fra il muro e il divano, nient'altro che un pezzo di pietra con una forma umana, rappresentava benissimo la solitudine del racconto di Brie.

«Io non sono mai stata licenziata,» disse, e Brie alzò velocemente il capo. «Dopo quel giorno, al museo, non ho più trovato il coraggio di metterci piede. L'arte mi ricordava solo il sangue. Perciò ho lasciato il ruolo, ma mi vergognavo troppo per ammetterlo. Per questo ho detto a tutti che mi avevano licenziato.»

Un odore di frutta esotica le solleticò le narici. Brie si sporse con il busto sul tavolo, verso di lei, aggiustandosi i capelli.

Leean riportò la tazza vicina a sé. La afferrò con entrambe le mani e la tenne così, a scaldarsi le dita. «Odiavo ogni forma d'arte. I quadri. Le sculture. Ogni cosa. Per evitarla ho cominciato a frequentare la zona profana. Ho perso tutti i miei soldi giocando d'azzardo.» Sbuffò un sorriso. «Non sono mai stata un granché brava.»

Brie si tormentava il labbro con le dita. «Per questo ti sei rivolta a Ben?»

«No. Per questo mi sono rivolta a Celes. Più di una volta. Non riuscivo a smettere di accumulare debiti, e mi servivano soldi. Pensavo di non voler più nemmeno esistere, quindi non mi preoccupai più di tanto di quello che facevo. Sono dovuta arrivare al mio ultimo respiro per capire che dovevo fermarmi.»

«Quanto ti rimane?»

Leean agitò la tazza. Dei cerchi si formarono sulla superficie del tè. «Se non muoio prima, arrivo a settant'anni al massimo.»

Brie si premette una mano sul petto. «Io un paio d'anni in più di te.»

«Siamo due cretine.»

Scoppiarono a ridere nello stesso momento. Le lacrime restarono agli occhi di entrambe, troppo testarde per arrendersi, ma adesso potevano fingere che fossero colpa delle risate. Il dolore al petto e il ricordo di una gola bruciante invece rimasero immutati.

«Dovresti scusarti,» disse Leean, sollevando la tazza.

Brie scosse la testa, frenetica. «E dirle che cosa? Scusa se ho fatto rapire la tua migliore amica?»

Una scrollata di spalle. «Potrebbe essere un inizio. E magari dirle che ti dispiace per come ti sei comportata, adesso che hai capito i tuoi errori.» Dubitava che Nayana si aspettasse delle scuse. Magari poteva essere un buon modo per chiudere i rapporti in maniera pacifica. Forse poi entrambe sarebbero andate avanti.

«E come faccio con Jane?»

Buona domanda. Non ci aveva pensato. Ma non trattenne un sorriso: lo squilibrio mentale di Brie aveva dei confini, allora. Voleva rimediare.

«Ti aiuterò io a trovare una soluzione,» le promise. Come se lei fosse capace di trovare una soluzione a qualsiasi cosa.

Brie però si illuminò. Si versò dell'altro tè, senza nemmeno guardare; il liquido raggiunse l'orlo. Alcune gocce traboccarono, scivolarono lungo la tazza e si riversarono sul tavolo. «Cos'è che mi dovevi dire?» Si fermò prima di rovesciare l'intero contenuto della teiera. La rimise a posto, borbottando un «cazzo» a denti stretti.

Leean si torse le dita. Doveva aiutarla ad asciugare? «Si tratta di Ben. Si è preso tutta la colpa dei libri rubati in biblioteca.»

«Se ne sono accorti.» Brie prese una manciata di tovaglioli di carta riposti accanto alla teiera; li usò per tamponare il lago sul tavolo. «Certo che se ne sono accorti,» aggiunse subito dopo.

«Il problema è che adesso l'hanno convocato per un interrogatorio con i Gestori. E Nicholas ha già venduto i libri, quindi non possiamo nemmeno restituirli per rabbonirli.»

Brie agguantò altri fazzoletti. «Ecco perché l'ha chiamato proprio quel giorno. Voleva che si prendesse la colpa. Dicevo io che la sua richiesta non aveva senso.»

Leean si grattò la spalla, lì dove il foro del proiettile ancora le prudeva di tanto in tanto. «Quindi te ne sei accorta anche tu. E io che mi sentivo intelligente per averlo capito.»

«Ben l'ha capito?»

«No.»

«Allora complimenti, sei più intelligente di lui.» Della vulnerabilità mostrata solo pochi minuti prima non restava nulla. Quella intenta a ripiegare i tovaglioli intonsi e a passarli un'ultima volta sul tavolo era la solita Brie.

In un mezzo sorriso, Leean abbandonò il mento sulla mano. «Detta così non lo fai sembrare un grande complimento.»

Perché non lo è, la immaginò rispondere. Invece Brie si allontanò con i fazzoletti sporchi in mano, in silenzio; tornò con un panno asciutto. «Se la caverà.» Asciugò gli ultimi aloni di tè.

«Sì.» Lo disse, ma non sapeva quanto crederci. «Sì, hai ragione.»

«Lo accompagnerai.» Non suonava come una domanda, eppure alzò gli occhi su di lei, in attesa. Si aspettava una replica.

Leean sospirò. «Sì. Domani.»

Un cenno di assenso, e Brie se ne andò di nuovo. Riapparve sulla soglia pochi secondi dopo, un braccio posato sullo stipite, l'altra mano premuta contro il fianco. Mostrava un cipiglio strano, una novità, nel suo arsenale di espressioni schifate. Interpretarlo le riuscì impossibile, così Leean bevve ciò che restava del suo tè – si bruciò la lingua e trattenne a stento un'imprecazione.

All'angolo della stanza, a pochi passi da dove si trovava Brie, un ragnetto zampettava allegro sul pavimento. Girò in circolo per un po', prima di decidersi a nascondersi sotto il divano. Nel silenzio che le circondava, le sembrò di sentire perfino i suoi passetti.

«Hai...» iniziò Brie, e Leean voltò il capo della sua direzione, di scatto. L'altra si conficcava l'unghia nel labbro. «Hai da fare, questa sera?»

Una domanda tanto inaspettata che le suscitò una mezza risatina. «Cos'è, vuoi chiedermi un appuntamento?»

Il suo verso stizzito servì solo ad accentuarle il sorriso. «Imbecille.» Lo mormorò, come se, per una volta, nemmeno lei ci credesse fino in fondo. Si scansò i capelli dalle spalle. «No, volevo chiederti se potevi restare a dormire qui. Non...» Le pupille schizzarono verso la statua. Le guance riacquistarono un minimo di colore. «Non me la sento, di restare sola.»

Leean picchiettò il dito contro il tavolo. La tensione degli ultimi giorni le si accumulava sulle spalle. I muscoli le tiravano – e non solo per colpa degli allenamenti – e avrebbe dato qualsiasi cosa per un bagno caldo e una notte in solitudine con le proprie emozioni. Con le luci spente, sarebbero arrivate le lacrime anche quella sera.

Scostò la sedia per alzarsi. «No,» disse, seria. La vide fremere. «Non ho niente da fare,» specificò.

Per la seconda volta in una sola giornata, fu testimone di una trasformazione radicale di Brie. In un battito di mani, si sollevò, come se un palloncino la tirasse verso l'alto. «Ottimo! Preparo un posto per dormire.»

Compì una decina di viaggi, portando con sé una quantità industriale di cuscini e coperte. Li sistemò ai piedi del divano, uno dopo l'altro, con una cura maniacale. Rifiutò l'aiuto di Leean, o qualsiasi sua protesta sull'eccessività del tutto. Farneticava frasi sconnesse - «potremmo fare una maratona di qualche serie», «forse ho un gelato nel congelatore», «questa coperta non l'ho mai usata, l'ho comprata in offerta» – mentre terminava la sua opera d'arte.

Alla fine, la rimirò dall'alto con un ghigno soddisfatto. Leean ne approfittò per avvicinarsi e dare un'occhiata.

Un fortino. Aveva dato vita al prototipo del fortino perfetto: delle lucine appese ai bordi del divano illuminavano il bianco delle coperte distese a terra. Una fila intera di piumoni, accatastati uno sopra l'altro, dava l'aria del letto più confortevole che esistesse. I cuscini si poggiavano contro il divano, ne seguivano la linea, formando un angolo retto.

Se fosse stata un'adolescente, Leean avrebbe spalancato la bocca dall'eccitazione. A ventisei anni suonati, invece, sollevò il sopracciglio, trattenendo a stento una risata.

«Che ne dici?» Le pupille di Brie luccicavano troppo, per una che quel giorno aveva rovinato la sua esistenza per il più futile dei motivi. La sua leggerezza però, per quanto sbagliata, si rivelò contagiosa.

Leean distese un angolo delle labbra. «È figo. Ma non sapevo avessi sedici anni. Senza offesa, ma te li porti proprio male.»

Questa volta se la aspettava, la botta sulla spalla, perciò si scansò in tempo. Brie nemmeno se ne accorse. «Non c'è mica un'età per fare un fortino.» Annuì. «Il fortino non ha età.»

«Credevo fosse l'amore, quello.»

«No, stronzate. L'amore ce l'ha eccome, l'età.» Si lisciò i pantaloni prima di accomodarsi. Si sedette soltanto su uno dei cuscini, piano, con la faccia di una che temeva di cadere con il sedere per terra da un momento all'altro. Emise un sospiro rilassato quando si fu sistemata. Tolse le scarpe e si distese sulle coperte.

Leean si accucciò di fronte a lei. «Attenta a non schiacciare Ginger.»

«Chi?»

«Ginger. È il nome che ho dato al ragno che si è rintanato sotto il tuo divano.»

Brie si puntellò sui gomiti. «Dai un nome ai ragni?»

«Perché, è così strano? Do un nome a tutti gli animali.»

«Anche ai vermi? O alle formiche?»

Leean gattonò sulle coperte per stendersi accanto a lei. Abbandonò la testa fra due cuscini. Chiudendo gli occhi, immaginò di fluttuare nel cielo, affondata nel morbido soffice di una nuvola. «Una volta avevo un ragno gigantesco in casa, uno di quelli con il corpo ciccione. Era davvero bruttissimo. Aveva fatto la ragnatela in un punto sfigato per terra. Non riusciva mai a catturare niente, perciò un giorno ho cercato di mandargli una mosca fastidiosa. L'ha afferrata al volo, ha fatto davvero impressione.» Il ronzio isterico della mosca le era rimasto nelle orecchie per giorni. Per una notte intera aveva pensato alla brutalità con cui l'aveva condannata.

Il calore di Brie le scaldava una guancia. Spargeva profumo di frutta esotica a ogni movimento. «Eravate un'associazione.»

«Una specie. Si chiamava Lolth. Era una lei.»

L'altra poggiò il mento sul palmo. Teneva i piedi sollevati e li batteva a un ritmo costante. «Come facevi a sapere che era una lei?»

La stessa domanda di Benjamin. Sorrise tra sé e sé. «Aveva la faccia di una lei.»

Ottenne un sospiro esasperato e uno schiaffetto sul braccio. Brie rotolò sulla schiena, i capelli formavano un ventaglio biondiccio sul cuscino. Ombre oblunghe le attraversavano il viso; le porzioni di pelle illuminate invece apparivano pallide, quasi bianche. Le ciglia lunghe mostravano una sfumatura più chiara e, in quell'atmosfera, la sua intera figura era più eterea che mai. Pura, eppure immersa in un mare di ombre.

Un pittore l'avrebbe inchiostrata su tela senza pensarci due volte.

Poi Brie risollevò il busto e la magia del momento scomparve. «È normale, che faccia così male?» Strinse la stoffa della maglia all'altezza del cuore.

Leean congiunse le mani sullo stomaco. «Dura un paio di giorni.» Dopo restava solo la nostalgia di un qualcosa che non era mai stata consapevole di avere.

«Sei preoccupata per Ben?» Un cambio di argomento troppo repentino perché Leean potesse prevederlo.

«Vorrei poter tornare indietro,» ammise. «Fare qualcosa per fermarlo, per evitare questo casino. Vorrei smetterla di essere sempre così terrorizzata all'idea di agire.»

Brie tirò il filo delle lucine sopra la sua testa. Le riaggiustò secondo uno schema che comprendeva solo lei. «Non aver paura di agire certe volte fa fare le peggio cazzate.»

«Il problema è che quelle le faccio comunque.»

Un sorriso le solcò le labbra, e Brie smise di essere la strana creatura fragile che era diventata e tornò a essere Brie. «Non farti avanti per proteggerlo,» disse, e lasciò morire il sorriso. «Né tu né io passeremmo l'interrogatorio. Ti rovineresti la vita per una questione che non ti riguarda.»

Quale vita? Nonostante tutti i suoi sforzi per riacquistare un ruolo nella società, si ritrovava sempre persa nella propria inettitudine. Ricacciò però la domanda nei meandri della propria mente. «Sono l'Argento più inutile dell'universo,» disse soltanto.

«Sei qui però,» rispose Brie. Leean le lanciò un'occhiata confusa. Il discorso terminò allora, ma non riuscì a togliersi dalla testa l'idea che ci fosse un significato nascosto, in quelle uniche tre parole.

Spazio autrice:

Che dire? Un capitolo lunghissimo, me ne rendo conto... Ma le mie bimbe dovevano confessarsi, abbiate pazienza xD Dovevo postare ieri, ma ero presa dallo scrivere il finale e onestamente me ne sono proprio scordata. Perché sì, la stesura adesso è ufficialmente completata

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