15

     La stoffa della maglia le solleticava le dita mentre ne accarezzava i bordi. Due strisce argentate ne percorrevano il davanti, perpendicolari; da lontano, Brie le aveva scambiate per due graffi. Composta da due strati, le cuciture seguivano un percorso asimmetrico.

Brie la distese davanti a sé, senza toglierla dalla gruccia. La taglia era adatta a una di quelle tipiche ragazze Oro che si scordavano di mangiare i tre quarti delle volte, non le sarebbe mai entrata. Forse con un po' di dieta. Alzò il sopracciglio: seguiva già una routine ferrea, perdere dei chili avrebbe significato finire nella fascia del sottopeso.

Non ne valeva davvero la pena.

Così lascio stare. Si aspettava che la morsa del vuoto nel petto si lamentasse, invece si allontanò con un sorriso; volteggiò fra i vestiti appesi, superò un manichino troppo magro, rise agli strani discorsi della gente che si aggirava nei reparti – «Davvero? Una papera, come simbolo principale del libro?», «Esatto! Lo so che sembra stupido, ma pensaci. Rappresenta la superficialità che si annida nell'animo umano.»

Si fermò ad ammirare un paio di scarpe. Aperte, alte, di classe ma fresche. Le serviva qualcosa del genere. Appoggiò il mento sul palmo e sospirò. Costavano un po' troppo. Uno spreco di soldi, magari cercando avrebbe trovato qualcosa di più conveniente. Non che rischiasse di finire tanto in basso da dover rubare i libri dalla biblioteca come Nicholas, ma tanto cosa doveva farci, con delle scarpe costose?

Due ragazzine le passarono a fianco. Le teste unite, si bisbigliavano qualcosa; poi una, di un biondo cereo, indicò un brutto paio di ciabatte, ed entrambe scoppiarono a ridere.

Brie abbassò lo sguardo. Alcune scatole sul ripiano più basso dello scaffale erano aperte e sistemate alla rinfusa. Si chinò a metterle in ordine. In una c'era una sola scarpa, accompagnata solo dalla carta stropicciata della compagna scomparsa.

La osservò in silenzio, ancora inginocchiata. Le voci delle ragazzine le arrivavano ovattate. Scherzavano e sghignazzavano. Ogni risata si trasformava in una freccia che le trafiggeva la schiena.

Brie batté una mano contro la coscia, chiuse la scatola con una sola scarpa e si rialzò in piedi. Andava tutto bene. Si stava dando fare con le indagini assieme a Leean. Presto la sensazione di solitudine l'avrebbe abbandonata; nel frattempo, doveva rintracciare la compagna di quella scarpa.

E la trovò, sperduta in mezzo ad altre scatole aperte. La sistemò al suo posto e sorrise, perché si accorse che erano una misura trentotto: la sua.

Le mise sottobraccio e raggiunse uno degli sgabelli di fronte agli specchi per provarle. Le stavano a pennello. Il nero le faceva i piedi più piccoli; le piccole rifiniture dorate donavano un tocco di colore che distraeva dalle sue dita troppo tozze.

Sfilò davanti allo specchio. Erano perfette. Non trattenne un risolino.

Quando le balenò in testa l'idea che fossero un vero e proprio segno, tentò di scacciarla. Ricadde sullo sgabello, le mani nascoste fra le cosce. Lo specchio le rimandò il riflesso di una donna dai capelli ordinati e un'insolita luce negli occhi.

Quella scarpa solitaria era proprio come la papera, pensò. Un simbolo. Rappresentava Brie stessa, sola e abbandonata in una scatola troppo grande, un mondo fatto su misura per due. Chissà quanto a lungo aveva sofferto, nella solitudine. Ma poi la compagna, la sorella, la sua amica, era tornata.

Brie si portò la mano all'orecchio. Premette il tasto al centro dello Psych. Magari non era una buona idea. Forse non doveva. Ma il peso che le premeva sul petto la supplicava.

Perciò contattò Nayana. Mandò un messaggio semplice, dopotutto non voleva sembrare disperata.

Ciao. Sono Brie. Volevo solo dirti che sto aiutando nelle indagini per scoprire cos'è successo alla festa. Forse quello che è successo mi ha colpito più di quanto pensassi.

Chiuse gli occhi, i muscoli delle braccia tanto tesi che temette si spezzassero. Il martellare incessante del cuore le echeggiava nelle orecchie. Le batteva all'interno del petto. Toc. Toc. Una mano che bussava.

Non arrivò nessuna risposta.

Brie tirò su col naso, agitandosi sullo sgabello. Attese ancora un paio di minuti prima di togliersi le scarpe, rimetterle nella scatola e dirigersi alla cassa. Andava tutto bene. Presto le avrebbe risposto, ne era sicura.

Pagò in contanti, e la cassiera la salutò con l'allegria di un criminale che si incamminava verso il patibolo. Brie uscì dal negozio, dove il verde delle piante le regalò un momento di tranquillità. Rilassò le braccia, ma strinse con più forza la busta.

Le panchine formavano un cerchio attorno a un piccolo alberello. Erano tutte vuote, così scelse la più vicina, di fronte alla vetrina del negozio da cui era appena uscita. Il sole la colpiva da dietro, i raggi entravano dalle vetrate e si facevano strada fra i rami e le foglie. Le scaldavano la schiena. Un tepore più fastidioso che piacevole.

Accomodò la busta con le scarpe accanto a sé. Le iniziali del negozio, F&M, spiccavano contro la plastica; al di sotto, in controluce, si vedevano i ghirigori della scatola di scarpe.

Aveva fatto una cazzata. Contattare Nayana non era stata una buona idea. Stando con Leean e Benjamin, non ci aveva più pensato. Si era distratta. Aveva creduto di aver battuto il senso di nostalgia che provava nei confronti dei momenti passati insieme. Aveva creduto di non sentire la sua mancanza, non quel giorno. Così aveva abbassato la guardia.

Che errore stupido.

Arcuò le labbra verso l'alto, in un sorriso aspro. Essere ignorata, quella era la vera maledizione. Il vero dolore arrivava soltanto allora. Il rifiuto era la lama più affilate di tutte.

«Ciao, Brie.»

Il collo scattò verso la voce. Brie afferrò la busta, la tirò a sé come se volesse nasconderla. Per qualche assurdo motivo, l'idea che la vedessero con quella scatola di scarpe le accelerava i battiti.

Il cuore si calmò appena, nell'accorgersi che ad averla chiamata era Zoey. Con un lungo abito leggero, le rivolgeva un sorriso timido, impacciato. Teneva le mani intrecciate dietro la schiena e le spalle curve in avanti. «Tutto bene?» le chiese.

«Sì. Sì, tutto bene.» Piano, lasciò scivolare di nuovo la busta sulla panchina. Ricordò troppo tardi che avrebbe dovuto ricambiare la domanda, perciò si limitò a osservarla.

Zoey non resse a lungo il suo sguardo. Emise una risatina nervosa, poi girò la testa dall'altro lato. «Facevi compere, eh?»

«Sì. Mi servivano delle scarpe.»

«A volte ci tocca.» Un'altra risatina. Faceva davvero pena con le conversazioni casuali. Nemmeno Brie era mai stata un asso.

Scese un silenzioso imbarazzo. Ancora una manciata di secondi e Zoey se ne sarebbe andata; così pensò, invece quella rimase dove si trovava, a scrutare il proprio riflesso nella vetrina. Da qualche finestra aperta entrò uno spiraglio di vento. Le si sollevò l'orlo del vestito, poco. Non se ne preoccupò, piuttosto riportò una ciocca dietro l'orecchio, da dove era fuggita.

Di somiglianze con il fratello ne aveva davvero poche. Del tutto estranea all'eleganza di Duke, Zoey incarnava energie caotiche: scompigliata, impacciata, dai colori più scuri e la pelle pallida, ricordava la luna.

«Ho provato l'ultima tecnica che mi hai consigliato,» disse dopo un po'

Brie impiegò un momento di troppo a capire di cosa parlasse. Quando comprese, annuì. «Com'è andata?»

«Mi ha aiutata parecchio. Anche se ho ancora dei problemi con i pensieri intrusivi.»

«I pensieri intrusivi sono inevitabili.» Lo erano davvero. E Nayana ancora non le rispondeva. «Non smetterai mai di averne, puoi solo imparare a lasciarli andare.»

Zoey picchiettò la punta della scarpa contro il pavimento. «Mi sa che non sono portata nemmeno per questo.» Ancora la sua risatina nervosa.

«Ci vuole tempo.» Nemmeno Brie ci riusciva sempre. Delle volte, non restare prigioniera dei propri pensieri le diventava impossibile. Dopotutto, non avrebbe mandato quel maledetto messaggio, se avesse saputo come resistere a quegli stupidi pensieri.

L'altra lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. «Mi impegnerò.» Non ne sembrava granché convinta.

A quel punto la conversazione era terminata. Se ne sarebbe andata per davvero. Brie sentì lo stomaco contrarsi al pensiero di restare di nuovo sola con le scarpe, ad aspettare una risposta che non sarebbe mai arrivato.

Ma Zoey rimase. Grattandosi l'incavo del gomito, la pelle le arrossì. Non la guardava, era tornata a cercare qualcosa nella vetrina, e solo allora Brie si accorse che in realtà i suoi occhi erano persi nel vuoto. Si ritrovò a chiedersi in che razza di labirinto vivesse la sua mente, per perdersi con tanta facilità.

Non seppe se invidiarla o meno.

«Zoey, tu non hai tanti amici, vero?» Le sembrò una domanda innocua da porre. Un modo per testare le acque senza esporsi troppo.

Non si aspettava di certo che l'altra squittisse come un topolino in trappola. «Ho degli amici, ora,» si difese.

«E prima eri sola?»

Le unghie martoriavano l'intero braccio. «Più o meno. Diciamo che non sono molto brava, a socializzare. Non so se si vede.» Tornò la sua risata.

Brie cercò la busta accanto a sé. Ci poggiò la mano. «Sai cos'è la solitudine, allora?»

A quel punto, Zoey smise di graffiarsi. Alzò lo sguardo, finalmente, e la affrontò a viso aperto. «Ci ho convissuto per tutta la vita. Ancora mi ci sento, a volte. Sola, intendo. Quando ero più piccola non riuscivo a spiccicare nemmeno una parola in pubblico, la gente mi scambiava per una povera scema.» Sorrise appena. «Be', ero una povera scema, mi sa.»

Erano simili. Non se n'era mai resa conto.

Brie ripose entrambe le mani sul grembo. Afferrò uno dei bracciali e se lo rigirò fra i polpastrelli. Forse poteva aprirsi. Forse Zoey l'avrebbe capita, come Nayana l'aveva capita allora.

Dischiuse appena le labbra e l'altra ricominciò a parlare. «Però sono fortunata, tutto sommato. Ho sempre avuto mio fratello.» Questa fu l'unica frase che pronunciò con assoluta sicurezza, senza che la voce le tremasse, senza nascondersi, senza evitarla. Quello fu l'unico momento in cui divenne innegabile la somiglianza con Duke: la sicurezza e l'eleganza con cui parlò di lui la trasformò in un'altra persona.

Brie sigillò le labbra, annuendo. Per fortuna non aveva avuto il tempo di esprimersi. Per fortuna non aveva ammesso quanto schifo facesse, vedere tutte le persone scansarla perché la trovavano troppo pedante, irritante, brusca e stronza. Zoey non lo sapeva, cosa si provasse a non avere davvero nessuno.

Erano simili, ma non altrettanto sfortunate.

«Ora ho da fare,» disse, alzandosi, la busta con le scarpe stretta fra le dita.

Zoey s'incupì. «Ho detto qualcosa di sbagliato?»

«No, no.» Non aggiunse altro, perché non trovò una scusa plausibile. «Ci vediamo a lezione.» Agitò la mano in un saluto e girò sui tacchi.

Nayana non le avrebbe risposto.

Zoey non la capiva.

E Brie era ancora sola.

Spazio autrice:

Sarò sincera e questo capitolo non mi piace granché, ma anche se non sembra molto utile, in realtà mi serve per dopo. Quindi niente, un giorno ci tornerò e lo sistemerò, nel frattempo spero non faccia troppo schifo xD

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