11
Non incontrarono nessun'altro al locale. Monia non si fece viva di nuovo, Leean la individuò al centro di un gruppo di persone, a ridere e sfoggiare il suo tatuaggio, troppo occupata per accorgersi di loro. Duke invece non si vedeva da nessuna parte, e andava benissimo così.
Gabrielle era rigida. Si lasciava trascinare senza spiccicare parola; non seppe se interpretarla come una cosa positiva o meno. Uscirono così, in silenzio, solo per scoprire che fuori le nuvole erano raddoppiate. Il cielo che si stagliava sopra di loro era nero, e l'odore di pioggia aleggiava nell'aria.
«Sta per piovere,» disse Leean. Non sapeva che reazione si aspettasse. Non conosceva Gabrielle abbastanza da predire le sue risposte, però di sicuro qualcosa si aspettava. Invece ottenne solo un vago cenno d'assenso con il capo – che forse immaginò soltanto – e nient'altro. «Dovremmo darci una mossa,» provò ancora.
Stesso risultato.
Così le lasciò il braccio e si scostò un poco dalla porta. «Mi dispiace.» Le uscì in un mormorio e, per un attimo, credette che l'altra non si fosse nemmeno accorta che avesse parlato.
Gabrielle cercò un braccialetto che teneva legato al polso. «Potevi dirmelo prima di farmi fare un viaggio a vuoto, che i Divora Anima non servono a un cazzo.»
Ecco. Questa era una reazione tipica di Gabrielle. Nemmeno la delusione le faceva perdere la voglia di litigare. Leean si prese l'appunto mentale di ricordarselo.
«Non mi avevi mica detto che volevi fare tutta questa stronzata perché volevi un'amica.»
«Non voglio un'amica!» Sbatté un piede per terra, nello stesso stile di un bambino capriccioso. Solo che lei era pure incazzata. «E non permetterti di giudicarmi.»
Leean alzò il braccio non ferito; l'altro le mandò un bruciore improvviso lungo la spalla. «Cosa? Stavi seriamente pensando di far ammazzare qualcuno! Ti sto giudicando anche troppo poco.»
Gabrielle perse qualche istante a fissarla, le sopracciglia abbassate, come se non capisse. «Non volevo farlo davvero.»
«Ah, no?»
«È stata un'idea assurda del momento, niente di più. Ora smettila di giudicarmi.»
In un cipiglio confuso, Leean indietreggiò appena. «Non sei seria,» borbottò, ma poi si rese conto che Gabrielle, purtroppo, era sempre seria, e sospirò. «Senti, non ho voglia di litigare. Mi dispiace, volevo solo assicurarmi che non...»
«Lascia perdere. Tanto è stata una perdita di tempo.» Con quelle parole, Gabrielle si allontanò dal locale ad ampie falcate. Teneva le braccia strette attorno al corpo.
Leean le corse dietro. Una goccia le cadde sul naso, e lei levò gli occhi al cielo. Stava già iniziando. L'aura di festa e giocosità che permeava le strade si era dileguata, le persone si rinchiudevano una dopo l'altra nei locali, al riparo. Nel giro di pochi minuti, i colori accesi della zona profana si trasformarono in un'ombra di loro stessi. Le luci si abbassarono d'intensità, e le strade divennero dei corridoi dalle pareti scure e squallide; Gabrielle era la figura chiave del paesaggio, il rumore dei suoi passi la colonna sonora.
Leean le si affiancò e si lasciò andare a uno sbuffo. «Mi dispiace,» disse ancora. «Non so cosa sia successo fra te e la tua amica, però credo che dovresti provare ad andare avanti. Fissarti su una persona non è una cosa molto sana.» Increspò la fronte, a disagio.
Gabrielle voltò la testa dall'altro lato. «Non posso.»
«Non puoi?» Poi arrivò la consapevolezza. Forse non era stata del tutto sincera, a chiamarla amica. «Sei, tipo, innamorata?»
«Cosa?» L'altra puntò i piedi. Questa volta la guardò. «Oh, per carità. No.» Arricciò il naso.
Leean alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene. Potevi rispondere anche solo "no", non c'era bisogno di fare la tragica.»
Una persona normale le avrebbe risposto con un sorriso. Una persona normale – o Leean, almeno, anche se forse non poteva definirsi normale – avrebbe sfruttato l'occasione per spezzare la tensione.
Gabrielle non fece niente di tutto ciò. Scostandosi i capelli dalle spalle, scosse la testa. «Forse lo sono, ma non in quel modo. Avevamo un legame...» si morse il labbro, in una pausa, «particolare. Ma non voglio sposarla o farmela, se è quello che vuoi insinuare. Certe cose non mi interessano.»
Leean nascose una mano nella tasca. «Oh. Nel senso che sei aromantica? O asessuale? O qualcosa del genere?»
«Entrambe.»
«Figo.» Sforzò un sorriso. Le gocce di pioggia che le cadevano sulla nuca iniziarono a diventare più numerose e pesanti. «Però non cambia quello che ho detto prima.» Amicizia o amore che fosse, l'ossessione non portava mai a nulla di buono.
Gabrielle riprese a camminare, e Leean le andò dietro. «Non posso,» ripeté.
«Non dico che non ti capisco, però...»
«No,» la interruppe, secca. Si rinchiuse ancora di più nel proprio guscio. «Hai mai avuto la sensazione che nessuno ti capisca?»
Leean emise un breve fischio. «Praticamente sempre.»
«E allora senti quella sensazione di vuoto che ti riempie l'anima? Ti sembra di essere in un mondo a parte, dove nessuno può raggiungerti, e allora rimani sola con quel vuoto.»
«Sono melodrammatica,» rispose, e sbuffò un sorriso, «ma non così melodrammatica.»
Le arrivò una sberla proprio sulla spalla ferita. Leean lanciò un grido e si piegò in due, la mano a sfiorare la benda; una macchia rossa comparve sulla fasciatura. La sensazione di bagnato era fastidiosa, tuttavia tentò di concentrarsi su quel fastidio per contrastare la fitta che le percorreva l'intero braccio e le risaliva lungo il collo.
Gabrielle ruppe la maschera di insensibilità che aveva tenuto alta fino ad allora. La aiutò a tenersi sollevata, gli occhi spalancati. «Scusami,» borbottò. Aveva le guance arrossate, o forse era solo la luce. Le gocce di pioggia le bagnavano i vestiti e le creavano un motivo chiazzato.
«Merda,» sibilò Leean. Si appoggiò alla sua spalla, sbattendo le palpebre un paio di volte. «Non fa niente. Sto bene. Più o meno.» Non sapeva se l'umidità che sentiva sul volto fosse dovuta alla pioggia o a qualche lacrima fuggitiva.
«Certo che come guardia del corpo fai proprio pena. Devo trascinarti per tutta la strada, adesso?» Gabrielle stirò appena le labbra. Fu un attimo, ma abbastanza per gridare al miracolo.
Leean colse la palla al balzo. «Sei tu che sei scema, a mettere fuori combattimento la tua stessa guardia del corpo.»
«Guarda che ti ho dato solo un colpetto.»
«Sulla ferita!»
«Se devo scarrozzarti per tutta la strada, scordatelo che ti pago.»
«Non mi devi scarrozzare, te l'ho detto, sto bene.» Lasciò scivolare la mano dalla spalla dell'altra per allontanarsi di qualche centimetro. La ferita ancora le pulsava, tuttavia il dolore adesso si concentrava solo in quel punto. Era di nuovo sopportabile.
Gabrielle si diede qualche buffetto sulla maglia. «Bene. Allora diamoci una mossa, mi ci manca solo una polmonite.» Però rimase ferma. Fissava la fasciatura sulla spalla di Leean, ormai impregnata di sangue.
Sbucò dal nulla. Una mano guantata di nero. Un coltello premuto contro la gola. Una faccia dal naso aquilino. Un ghigno sbiadito. Immobilizzata, Gabrielle tremava, i capelli bagnati appiccicati al collo.
Leean non osò muoversi né respirare.
«Non avvicinarti, o la faccio fuori.» Il tizio armato di coltello avvicinò il naso alla guancia di Gabrielle, come se volesse annusarla. «Venite dai piani alti, scommetto che avete ancora tutta l'anima intatta.»
Leean afferrò la propria maglia all'altezza del cuore. «Lasciala andare,» disse, ma la voce le vacillò.
L'uomo sbottò in una risata rauca. «Oh, lo farò, non appena avrò venduto la sua anima a un Divora Anima. Scommetto che posso farmi un bel gruzzoletto con te, eh?» Accarezzò il mento di Gabrielle con la lama.
«È al suo ultimo respiro,» sbottò Leean, alla ricerca di una qualsiasi scusa che lo tenesse buono. Doveva allontanarli, ma finché teneva il coltello così vicino alla gola di Gabrielle, non aveva molte possibilità.
La pioggia le picchiettava addosso, costante e fitta. La strada si riempiva di pozzanghere.
L'uomo strinse Gabrielle a sé. «Ma davvero? Perché a me sembra proprio la classica riccona dei piani alti pura e incontaminata.»
«Pura e incontaminata?» In un'alzata di sopracciglia, Gabrielle sbuffò. «Che cavolo vuol dire?»
Lui le alitò sull'orecchio; lei sussultò. «Nessun Divora Anima ti ha mai toccata, vero?»
Leean si grattava i pollici con le unghie fino ad arrossarsi la pelle, fino a sentire un bruciore fastidioso. Non possedeva armi, perché non credeva che sarebbe davvero successo qualcosa. In tutte le sue gite nella zona profana, non aveva mai avuto la sfortuna di imbattersi in un ladro di anime. Credeva fossero una leggenda.
Che stupida, che era stata. La solita incompetente.
«Te l'ho detto, è al suo ultimo respiro,» provò ancora.
«Stronzate,» sputò lui. «Ma sarà un Divora Anima a giudicare, che ne dici?» Le afferrò il colletto della maglia, un ghigno sbilenco dipinto in viso. Non sarebbe stato un brutto uomo, se solo non avesse avuto l'aria dello psicopatico e non minacciasse le ragazze per strada.
Leean scattò in avanti, di un solo passo, poi si bloccò. Lui spinse il coltello contro la gola di Gabrielle. La punta si macchiò di sangue. «Prendi me,» farfugliò. Un'Argento addestrato, e non sapeva fare meglio di così. Davvero una professionista provetta.
Si chiese se sarebbe stata capace di pensare una soluzione migliore, se il cuore martellante nella nuca non le avesse obnubilato i pensieri.
L'uomo si umettò le labbra. Allontanò la lama di mezzo centimetro.
Leean osò sperare. Poteva farcela. Deglutì e avanzò ancora. «Io ho ancora la mia anima intatta, ci ricaverai molto di più.»
«E dovrei crederti perché?»
Gabrielle emise un sospiro pieno di esasperazione. Come diamine faceva a essere tanto tranquilla, lei, che fino a un secondo prima le si teneva aggrappata per la paura? «Perché credi che sia venuta qui, genio? La mia anima l'ho appena svenduta.»
«Col cazzo,» borbottò lui, tuttavia esitò. Abbassò ancora l'arma. Di poco.
Gabrielle gli rifilò una testata sul naso. L'uomo lanciò un urlo e la lasciò andare, per fermare l'emorragia; delle gocce di sangue gli colarono ai piedi assieme alla pioggia. Leean afferrò il braccio di una Gabrielle in corsa, proprio quando il ladro si esibì in un ululato selvaggio e si buttò su di loro.
Un'ondata di adrenalina la spinse a muoversi. Non pensò. Non sprecò tempo a chiedersi se fosse la cosa giusta o meno. Leean spinse Gabrielle a terra e intercettò il polso dell'uomo con un mezzo schiaffo. Non era la tecnica che aveva imparato nell'addestramento, ma servì allo scopo, e deviò il colpo. Sollevò il braccio ferito. I muscoli le fremettero per lo sforzo. Il dolore, tuttavia, arrivò attutito, lontano, come se fosse poco più di un ricordo.
Gli sferrò un pugno dritto sul naso. Il sangue le bagnò le nocche. L'impatto la fece sussultare, ma lui gridò ancora.
Ottimo. Ottimo.
Ancora un ultimo sforzo e avrebbe potuto definirla una vittoria.
Gli si aggrappò alla maglietta infradiciata, infilandogli la gamba dietro il ginocchio. Un colpo veloce e secco, e lui si ritrovò con la schiena a terra. Il coltello gli sfuggì di mano, sprofondò in una pozzanghera.
Con ancora il sangue che le pompava nelle orecchie, Leean aiutò Gabrielle a rialzarsi. Corsero via, mano nella mano, fra vicoli di cui non serbava memoria. La pioggia tamburellava le strade e i tetti a un ritmo serrato. I loro piedi volavano, nel tentativo di andare a tempo. Dietro di loro, la voce del ladro di anime riecheggiava fra le strade, un lamento inframmezzato da una risata isterica.
Svoltarono l'ennesimo vicolo, e un velo nero le svolazzò davanti agli occhi; Leean si arrestò prima di cadere addosso a una figura incappucciata. Gabrielle la imitò, ma non le lasciò mai la mano. Il busto chinato in avanti, prendeva avide boccate d'aria. Le dita le premevano contro il petto. Tremava ancora.
«Lee?» La figura incappucciata sussurrò appena, e non ne riconobbe la voce.
I passi del ladro di anime echeggiavano in lontananza, insieme al suo grido. L'incappucciata sollevò le spalle, tesa. Durò un secondo, poi fece loro un cenno di seguirla mentre si voltava. «Per di qua.»
«La conosci?» le chiese Gabrielle. Le solleticò l'orecchio con il suo fiato.
Leean non le rispose, annuì soltanto. Le strinse la mano con più forza – la pioggia rendeva la presa scivolosa – e la condusse lungo il vicolo stretto, dietro l'incappucciata. Quella aprì una porta dalla vernice dorata scrostata dal tempo e le invitò a entrare. Si rifugiarono tutte e tre all'interno, dove l'odore di muffa regnava sovrano.
Un lampadario di vecchia epoca oscillava dal soffitto. La muffa anneriva gran parte della parete di destra, mentre a sinistra sostavano un paio di scaffali pieni di libri. La stanza era piccolina, tre persone bastavano per riempirla.
Gabrielle orbitò subito verso la libreria. Si appoggiò a una mensola e restò lì a prendere aria. Forse sperava che il profumo della carta vecchia superasse quello di muffa.
Il dolore alla spalla tornò tutto in una volta. Leean chiuse gli occhi e strinse le labbra. Le uscì un sibilo d'aria dalla bocca, tuttavia trattenne il lamento.
«Cosa ci fate qui?»
Quando riaprì le palpebre, l'incappucciata la fronteggiava. Due sole ciocche di capelli scuri spuntavano da sotto il cappuccio, ai lati del viso.
Leean ricacciò indietro il bisogno di urlare. Si tenne stretto il braccio; i muscoli non la smettevano di sussultarle. «Potrei farti la stessa domanda,» disse. «Zia.»
✺
Spazio autrice:
Questo è stato un capitolo... strano. Fra un coming out che non avevo minimamente programmato, un attacco a sorpresa e il finale, direi che la situazione è abbastanza delirante. Comunque, due capitoli ancora e siamo arrivati alla fine della prima parte. Il che vuol dire che ci avviciniamo alle mie scene preferite xD
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