10
Non appena mise piede nella zona profana, Brie sbatté le palpebre, incapace di smettere. Su quelle stradine strette e trafficate qualcuno aveva lanciato una bomba di colori; l'esplosione aveva imbrattato ogni singolo oggetto, ogni anfratto nascosto, non aveva risparmiato nemmeno le persone. Mentre si aggirava fra gli edifici bassi e sgraziati, tutte quelle sfumature le trafiggevano le retine.
Brie si teneva a un paio di passi di distanza da Leean, appena davanti a lei. La seguiva senza farsi domande, perché le persone che le circondavano catalizzavano tutta l'attenzione su di sé. Soggetti folli, così li avrebbe descritti, che tuttavia non mancavano dell'audacia di mostrare il livello eccessivo di eccentricità che li caratterizzava; anzi la indossavano come una medaglia da sfoggiare, fieri di ciò che rappresentava.
Leean si arrestò, e Brie la imitò solo qualche istante più tardi. Ferma accanto a lei, tanto vicina, adesso, da sfiorarle la spalla con la propria e percepire tutto il calore che emanava, aprì la bocca per chiedere il perché. La richiuse subito dopo, quando il motivo attraversò la strada in sella alla sua bicicletta troppo piccola: un uomo dalla pancia prominente, che sollevò un braccio nella loro direzione in segno di saluto. Appollaiato sulla sua spalla, un pappagallo incurvò il collo per osservarle di sfuggita.
Brie indicò la schiena del soggetto ormai lontano. «Lo conosci?»
«Non l'ho mai visto prima,» ammise Leean.
«Allora perché ti ha salutata?»
«E io che ne so? Per gentilezza, forse.»
«Non potrebbe essere pericoloso?» Brie le si aggrappò al cardigan.
Leean non si allontanò, però la sua espressione parlava da sé, con il sopracciglio sollevato e le labbra che fremevano nel tentativo di sopprimere un sorriso. «Certo. Ci minaccerà con il suo temibile pappagallo.»
«Non fa ridere.» Brie la lasciò andare. Raddrizzò la schiena, ma un brivido le provocò uno spasmo. «Ti ricordo che qui ci finiscono i criminali.»
«Per la maggior parte, sì,» ammise.
In un gesto secco, Brie sferzò l'aria per puntarle un dito contro. «Perciò, non dovresti girare armata?»
La risposta non arrivò subito. Leean perse tempo a salutare qualcun altro – una donna dalla folta capigliatura verde che usciva da una porta mezza scardinata di una casa. «Hai paura, per caso?» disse dopo.
«È logico averne. Perché ti avrei portata qui, altrimenti? Questa è pur sempre una zona pericolosa.»
«Non è pericolosa, ci sono solo un po' di soggetti ambigui. Dovresti sentirti a casa.»
Brie arricciò il naso. «Le tue battute sono tutte così scontate?»
«E tu sei sempre la simpatia fatta persona.» Leean si infilò una mano nella tasca dei pantaloni. La sua non era una domanda, retorica o meno, ma una constatazione che sbuffò con un alto livello di rassegnazione. Poi le si allontanò, sempre dritta lungo la stessa strada. Una nuvola di fumo, soffiata fuori dalle labbra di un ragazzo troppo magro appoggiato contro il muro, la inglobò. Leean la spazzò via in un gesto seccato.
Brie corse per raggiungerla. La punta della scarpa le si incastrò in un buco del terreno; perse l'equilibrio e mulinò le braccia in avanti come un'ossessa. Non cadere, si ripeté. Maledì la forza di gravità che la spingeva verso il basso.
Ma non cadde. Qualcuno la tenne per il braccio, la aiutò a rimettersi in piedi. Una mano tutt'altro che gentile, che la strinse con una forza incredibile, considerato quanto fosse scheletrica. La liberò subito, e una nuova nuvola di fumo la investì in pieno.
«Fa' attenzione, qui il pavimento è una merda,» le disse il ragazzo. Il tempo che lei smettesse di tossire, e lui era già tornato al suo posto, come se nulla fosse, a chiacchierare con un uomo che avrebbe potuto regalargli diversi chili di grasso.
Dietro di loro, una sfilza di colori intrecciati fra loro sul muro disegnava il volto di una donna. Dalla capigliatura corta e scomposta, eppure piena di stile, si abbassava gli occhiali da sole su un naso dritto e scrutava qualcosa, in un mondo in due sole dimensioni in cui Brie non poteva entrare.
«Tutto a posto?» Leean le comparve di fianco. All'improvviso, perfino la sua figura le sembrava così smorta, priva di colori, spenta, e non poté fare a meno di pensare che le mancasse qualcosa. La donna ritratta sul muro brillava di una vitalità più accesa.
Brie incastrò il labbro fra gli incisivi. «Si può sapere dov'eri? Stavo per cadere.» Chissà se l'altra si accorse del tremolio eccessivo nella sua voce. E chissà se il bruciore che avvertiva sulle guance fosse visibile all'esterno. «Ti pago per tenermi al sicuro, no?»
La mano di Leean corse alla ferita sulla spalla. Sfiorò appena le bende, poi si ritirò. «Non mi paghi per farti da scorta?»
«Entrambe,» annuì Brie. «E comincio a pensare che manchi di efficienza in tutti e due i campi.»
Da qualche parte, in lontananza, arrivò una risata. Tanto sguaiata da sembrare finta; tanto rumorosa da sembrare un urlo. Brie rabbrividì, reprimendo l'istinto di coprirsi le orecchie.
«E invece,» Leean chinò il busto in avanti, verso di lei, «un'insegnante di meditazione che va da un Divora Anima vestita come la più ricca degli Oro è efficiente perché...»
Proprio lei si permetteva di giudicare. Brie sollevò il mento. Il calore interno si era spento, in compenso la spirale di vuoto le si attorcigliava nel petto. «Non mi faccio fare la predica da te,» sbottò. «Ho le mie ragioni,» aggiunse subito dopo, ma si detestò per non aver resistito all'istinto di giustificarsi.
«Davvero? Per cosa vuoi barattare l'immortalità della tua anima? Per soldi? Droga? Bistecche?» Un tono serio, almeno in apparenza, e un'espressione altrettanto rigida.
Brie increspò la fronte. «Chi sarebbe così deficiente da chiedere delle bistecche?»
«Be', io, al momento.» E la serietà morì. Rinacque con le sembianze di un sorriso.
Scuotendo la testa, Brie le diede una spinta. «Sei un caso disperato.»
Leean premette la punta del piede contro il terreno. «Hai mai provato a mangiare solo verdure e tristezza tutti i giorni? Dopo un po' daresti qualsiasi cosa per un cibo con un sapore.»
«Sono vegetariana.»
«Ah.» Un attimo di pausa, poi, con un sorriso più tremolante: «Forse ho capito perché sei sempre così acida allora.»
Brie gonfiò il petto, pronta a risponderle. Leean però girò i tacchi e riprese a camminare, con quella sua andatura ciondolante eppure svelta. Se non avesse saputo che fosse un'Argento, Brie non ci avrebbe mai creduto: dal modo in cui trascinava i piedi per terra le ricordava le vecchie amicizie della scuola superiore, quelle donne Oro tanto concentrate sul rafforzare l'intelletto che poi non trovavano nemmeno la forza di alzare i piedi; allo stesso tempo, la velocità del passo era tipica dei Ferro, troppo indaffarati, troppo distratti sui loro problemi per rallentare e far caso al paesaggio.
Ma mai avrebbe pensato alla disciplina, alla fierezza e alla compostezza di un Argento, a vederla.
Camminarono fianco a fianco, fino a sfociare in una piazza. Su un palchetto di ferro, un uomo senza maglia dalla barba caprina strimpellava una chitarra elettrica. Il pubblico consisteva in un gruppetto di strani ragazzi esaltati che muovevano la testa al ritmo della musica e un paio di gatti randagi, seduti sul gradino di un'abitazione nelle vicinanze.
Brie detestava quel genere. I suoni elettrici non le erano mai piaciuti. Preferiva il timbro del pianoforte o del violino. Amava i suoni capaci di cogliere l'essenza della spirale che aveva nel petto e che, come un'eco, la trasmettevano all'esterno.
«Perché sei venuta al mio corso?» chiese, per distrarsi dalla musica.
Leean le gettò un'occhiata veloce. «Dovevo un favore a un amico.»
La risposta non aveva alcun senso. Brie la tirò per una manica. «Ti ho chiesto perché sei venuta al mio corso,» ripeté.
«Ho capito,» rise l'altra.
«Ma non c'è correlazione fra la mia domanda e la tua risposta.»
Un sospiro rassegnato, e Leean cacciò la mano dalla tasca. «Un amico mi ha chiesto di tenere d'occhio gli amici di Zoey. E poi volevo una scusa per ricominciare a meditare.»
Brie impiegò più tempo del necessario a comprendere di chi parlasse. Zoey ce l'aveva ben impressa – come avrebbe potuto dimenticarla, dopo tutti i tentativi fatti per insegnarle a concentrarsi? – però non poteva dire lo stesso per il gruppetto di amici a cui si era appioppata. Tizi qualsiasi. Non le piacevano, ma a lei non piacevano i gruppi in generale. «Perché?»
«Non ne ho idea,» ammise Leean. «Tu non ne sai niente? Hanno mai detto o fatto qualcosa di strano?»
«No. A parte il discorso di prima, ma tu sembravi d'accordo con loro.»
Leean contrasse la mascella. Poi si fermò a puntare un portone di metallo di fronte a lei. «Siamo arrivate,» disse, e abbozzò uno dei suoi sorrisi pieni di insicurezze.
L'aspetto decadente caratterizzava l'intero edificio. Un vecchio modello, la porta, dalla vernice rossastra scrostata dall'usura del tempo. Brie cercò il polso di Leean. Anche dopo averlo stretto, non ottenne nemmeno un'occhiata dall'altra, così la lasciò andare. «Entriamo allora,» disse, raddrizzando le spalle.
Leean spalancò la porta e sollevò il palmo, un invito a precederla; Brie non se lo fece ripetere. Una sistemata alla spallina della maglia e si addentrò. Una scalinata, stretta e ripida, procedeva verso il basso. Delle luci viola ornavano i gradini; proiettavano le ombre di Brie e Leean sui muri, dove si mescolavano alle crepe e ai disegni di farfalle dalle ali ferite.
Scendendo, Brie udì le note attutite di una musica festosa. Più procedeva, più il volume aumentava, finché si unirono anche delle voci e degli schiamazzi.
Tirò su col naso, le braccia strette attorno al corpo. La confusione le ottenebrava i pensieri, tanto che, quando mise piede nel locale vero e proprio e si trovò di fronte i tavoli pieni di gente e le slot machine, le roulette e giochi da casinò di cui non conosceva nemmeno il nome, faticò a ricordare cosa ci facesse in quel luogo. Perse coscienza di sé.
Un corpo privo di anima, situato nel bel mezzo del nulla: così si sentiva. L'anima si era distaccata, volava al di sopra della scena, a fissare le teste delle persone che urlavano, bevevano, mangiavano e giocavano; sperduta, in un regno troppo lontano dal proprio.
Leean le si affiancò, sfiorandola appena con la spalla. Brie scosse la testa e si girò a guardarla.
«Ti avevo chiesto di portarmi da un Divora Anima, non di farmi perdere tempo in un casinò.» La voce le tremava più di quanto avesse sperato. Si morse il labbro e voltò la testa, nascondendosi dietro i capelli.
Leean si puntellò sui talloni. «Se la smetti di lamentarti, magari ci arriviamo prima.»
«Ma avevi detto che eravamo arrivate.»
«Infatti.» Leean la agguantò per il braccio e la tirò a sé. La stretta era gentile, tuttavia il movimento fu più brusco del necessario, e Brie quasi perse l'equilibrio. «Stammi vicina.»
La liberò subito dopo per addentrarsi nel locale; Brie si accarezzò il braccio nel punto in cui ancora sentiva il calore del palmo dell'altra, poi la seguì. Attraversarono i tavoli, dove l'odore dell'alcol diventava tanto intenso da stordirla. Fianco a fianco, superarono gli sguardi incuriositi di un paio di uomini mingherlini intenti a ficcare le mani in una confezione gigante di patatine.
Leean si arrestò accanto a una slot machine. Brie ne approfittò per infilarle una mano sotto il braccio e appiccicarsi a lei. Per quanto poco efficiente la trovasse, Leean era pur sempre l'unica difesa che possedeva in quella gabbia di matti.
«Già di ritorno?» Una donna dal vestiario tutt'altro che sobrio – perfino i capelli, con un ciuffo rosa che le ricadeva sull'occhio, erano estrosi – se ne stava appoggiata a una delle macchinette con il gomito. Mimò il gesto di una pistola in direzione di Leean. «Hai trovato una fighetta dei piani alti da spellare?»
Brie puntò i piedi per terra, le guance accalorate. «Non sono una fighetta da spellare. Per tua informazione, Leean lavora per me.»
Quella alzò le sopracciglia con un ghigno. «Ma davvero?»
«No,» intervenne Leean. Irrigidì i muscoli, ma fu solo per un attimo. «Non lavoro per lei, e non sono qui per spellare nessuno.» In un sospiro, si portò le dita alla spalla bendata. «Siamo qui per incontrare Celes.»
L'altra sollevò il mento, gli occhi spalancati. «Ah. Il Boss. Avete il mio rispetto, allora. Soprattutto se ci capite qualcosa di quello che dice.» Si lasciò andare a una risata. Si passò un dito sotto al naso, indicando una porta isolata nascosta oltre le slot machine. «La trovate al solito posto. E buona fortuna.»
Nel sorpassarle, sferrò un pugno amichevole sulla spalla di Brie, che le rispose con un'occhiataccia. Ma la tipa dal ciuffo rosa non ci fece nemmeno caso, e sparì nella calca di gente troppo rumorosa.
«Le tue amicizie sono tutte così maleducate?» chiese.
Leean sorrise. «Da che pulpito.» Agitò il braccio libero per farle cenno di andare; corrugò la fronte subito dopo, lanciando una veloce occhiata alla benda che le fasciava la spalla. «Prego, la trovi lì dentro,» borbottò.
In un tintinnio di bracciali, Brie si discostò da lei quel tanto che bastava per allontanarsi dal suo calore. «Non hai mica intenzione di restare qui?»
In un frusciare repentino di ciglia, Leean esitò. Non era brava a nascondere le emozioni, o almeno non del tutto, perché le mostrò in un miscuglio nella sua espressione. «È un momento privato, non credo che...»
«Non ho intenzione di entrare lì dentro da sola.»
«Allora non entrare?» azzardò Leean.
Brie si colpì la fronte con il palmo. «Non ho fatto tutta questa strada in mezzo a un mare di pazzi solo per tornarmene a mani vuote.»
«E allora vai.» Lo disse come se fosse la cosa più scontata del mondo. Forse lo era. Forse Brie si stava facendo troppi problemi.
«Tu vieni con me,» insistette.
«Sei davvero sicura?»
«Sì.»
Non avrebbe dovuto? La porta che la separava dal Divora Anima – Celes, si chiamava, sebbene avesse sempre creduto che non avessero un nome – la aspettava. Non sapeva cosa la aspettasse al di là, non aveva idea di come immaginarsi la creatura che desiderava tanto incontrare. Sarebbe stato come un Gestore, un robot basso e buffo, che poneva domande senza senso?
«Come vuoi.» Leean la riportò con i piedi per terra. La stessa espressione di prima le restava dipinta sul volto, mentre si allungava verso la porta e la apriva. «Dopo di te, allora.»
Così Brie entrò.
Entrò, e quello che trovò all'altro lato la lasciò incapace di proferire parola. Nella stanza regnava un mondo opposto a quello che conosceva, rovesciato, dove le pareti risucchiavano ogni colore, tingendosi di un nero tanto scuro quanto corrotto. Cinque schermi, di cui solo il centrale acceso, stavano appesi sul lato opposto; una figura sedeva lì di fronte, a osservare le riprese delle telecamere di sicurezza del locale.
Una figura alta e slanciata. Sprazzi di luce colorata si riflettevano sul metallo che la componeva e le illuminavano dall'alto quelle parti di lei ricoperte di pelle azzurrina.
Il click della porta che si richiudeva la fece sobbalzare. Con la mano sul petto e un grido soffocato in gola, Brie controllò che Leean fosse dietro di lei. L'espressione piena di emozioni le era evaporata, restava solo un muro piatto a celare i suoi pensieri.
La Divora Anima voltò l'intero busto per guardarle. Due occhi la fissarono. Umani. Le sembrarono troppo umani, tanto che strinse la stoffa della maglia fra le dita, nel tentativo di tenere il cuore il più protetto possibile da quello sguardo.
«Lee,» disse Celes. Possedeva una voce del tutto diversa da quella dei Gestori, per nulla robotica. Sembrava quasi una ragazza qualsiasi, di quelle che si incontravano ovunque ad Aném.
Leean emise un sospiro. «Celes.»
«Immagino non sia una visita di cortesia.» Si alzò, in tutta la sua altezza. La chioma di cavi attaccati alla nuca le dondolò sulla schiena.
Brie deglutì. Aveva davvero fatto la scelta giusta ad andare fin lì? «Sono stata io a chiederle di portarmi qui,» disse. Le gambe le tremavano.
Celes spostò l'attenzione su di lei. Con la placidità di un gatto, inclinò la testa da un lato. «Perché?»
Conosceva la sensazione che le risaliva dalla bocca dello stomaco. L'aveva già provata, tanti anni prima, al cospetto di un Gestore e il bagliore dei suoi occhi robotici. Percepì lo stesso tipo di giudizio dietro una semplice domanda e, per un attimo, dimenticò perché fosse arrivata in quella stanza. Perché si era fatta scarrozzare nella zona profana da una donna che conosceva appena. Perché il vuoto che le consumava l'anima le avesse chiesto di dirigersi proprio dove si trovava, davanti al giudizio di un Divora Anima.
Cercò Leean, alle sue spalle, che le fece un cenno d'incoraggiamento. «Ecco,» iniziò poi. «Sono qui perché voglio barattare la mia anima.»
Celes sorrise, con le sue finte labbra scarlatte. «Vuoi abbandonare la tua immortalità.» Non una domanda, un'affermazione. O almeno, così credette Brie.
Doveva rispondere?
«Vuoi liberare la macchina che ti tiene incatenata.» Celes pigiò un dito contro lo schermo acceso dietro di sé. Sostò sull'immagine di un uomo che sollevava una manciata di banconote al soffitto, il volto paonazzo e la bocca spalancata in un probabile grido di vittoria. Un paio di secondi ancora, poi fece scivolare giù il dito.
Brie alzò il sopracciglio. «Cosa?»
«La macchina. Sei qui per comprendere il valore della macchina.»
All'improvviso le parole della tizia dal ciuffo rosa acquisivano un senso. "Avete il mio rispetto, allora. Soprattutto se ci capite qualcosa di quello che dice." Peccato che capire qualcosa del tutto privo di contesto e logica fosse impossibile.
«No,» rispose, sollevando il mento. «Sono qui perché voglio barattare l'immortalità della mia anima con i tuoi servigi.»
In maniera del tutto speculare, Celes abbassò il capo. «Perderai la capacità di reincarnarti. Forse anche una parte della tua vita attuale, dipende da cosa mi chiederai.»
«Lo so, e non mi interessa.»
Ne valeva pena. Seppure avesse perso ogni capacità di reincarnarsi, arrivando al suo ultimo respiro, non le importava. Era un sacrificio necessario.
Meglio una sola vita senza vuoto nel petto che un'eternità di sofferenza.
Celes annuì e borbottò qualcosa fra sé e sé. «Cos'è che vuoi, allora? Soldi? Fama? Divertimento?» chiese.
Brie scosse la testa. «Nayana.» Le uscì in un mormorio che si disperse nella stanza. Chiuse gli occhi, la maglietta ben stretta fra le dita, e riprovò. «Nayana. Voglio che Nayana torni a essere mia amica.»
Giunse una risata. Sgraziata. Fastidiosa. Rumorosa. Le si abbatté contro la schiena con la stessa ferocia di una martellata.
Quando Brie le lanciò l'occhiata più gelida che le riuscì, Leean diede qualche colpo di tosse e si calmò. «Scusa. Eri seria?»
«Ti sembra una cosa così divertente?» Voleva che suonasse come una domanda tagliente, desiderò rimandarle indietro una stilettata potente quanto la martellata di lei.
Leean però non parve ferita. Semmai, arcuò le labbra in un mezzo sorriso. «Ma davvero non era una battuta?»
«Aveva l'aria di essere una battuta?»
«Be', sì.»
Brie sentì le guance accaldarsi. «Non lo era,» scattò.
«Non posso farlo.» Celes si riposizionò con le gambe incrociate sul pavimento. Lanciava occhiate continue allo schermo acceso, come se ormai avesse perso l'interesse per Brie. «Dono beni terreni. Noi Divora Anima eravamo Gestori, un tempo, non maghi. Non posso costringere qualcuno a esserti amico.»
«Ma... questo è un bene terreno, no? Voglio dire, desidero la presenza di una persona, è o non è una cosa frivola?»
Lo era? Brie non ne aveva idea. Tutto quello che sapeva era che la compagnia di Nayana era in grado di riempirle il vuoto nel petto, anche se solo per poco, proprio come i beni materiali da cui tanto doveva tenersi alla larga.
«Sei seria?» chiese ancora Leean. Preferì ignorarla, piuttosto che darle un pugno sulla spalla ferita.
Celes si scostò un cavo dal volto. «Forse. Non conosco la risposta, ma non cambia il fatto che non posso farlo.»
«Allora che senso ha?» Brie si ripiegò su stessa, le braccia attorno al corpo e la testa incassata nelle spalle.
«La gente viene da me per liberarsi delle loro catene. Per godersi la vita. Mi chiedono soldi. Mi chiedono donne e uomini per soddisfare la loro lussuria. Mi chiedono appartamenti sontuosi. Mi chiedono cibo prelibato. Qualsiasi cosa che possa appagare i loro corpi, rinunciando alla loro anima.»
«Potrei chiederti di sbarazzarti di qualcuno?» Un'idea malsana, che le uscì dalle labbra in un flusso incontrollabile.
Celes sorrise di nuovo, tornando a concentrare su di lei tutta l'attenzione. «Che intendi con sbarazzarti?»
«Non lo so. Togliermela dai piedi.» Pensò a Jane, e un fiotto di lava bollente si mescolò con la spirale di vuoto che le riempiva il petto. Senza di lei, forse Nayana sarebbe tornata.
Alle sue spalle ci fu un colpo di tosse. Leean si puntellò sui talloni, le labbra premute una contro l'altra. «Non vorrei farmi gli affari tuoi, ma non credo che sbarazzarti di qualcuno sia un buon modo per riaccendere un'amicizia.»
«Non è l'amicizia che cerca davvero.» Celes agitò il palmo di metallo in aria. «Ma va bene così. Posso farla rapire. Uccidere. O rubarle l'anima e cancellarla per sempre dall'esistenza, se preferisci.»
Brie tentennò. Sarebbe bastato? «Quanto di me dovrei sacrificare?» chiese invece.
«Ti rimarrebbe questa sola esistenza. Breve, forse una sessantina d'anni. Poi la tua anima si estinguerebbe.»
Il tempo di arrivare alla vecchiaia, quindi. Poi l'anima avrebbe lasciato il corpo, e lei avrebbe cessato di esistere; un involucro demente e senza sostanza sarebbe rimasto indietro per qualche altro anno, magari. Dopo, il nulla. Per sempre.
E se non avesse funzionato? Se non fosse stato abbastanza?
Una mano la afferrò per il braccio e la tirò a sé, riportandola con nel presente. Leean non sorrideva più, la fissava con la sua solita espressione strana, piena di emozioni contrastanti. «Lascia perdere, è una pessima idea. Andiamocene, prima che fai qualche stupidaggine.»
Che le piacesse o meno, Leean aveva ragione.
Brie non oppose resistenza. Si lasciò trascinare fuori dalla stanza, fuori dal mondo corrotto.
La voce di Celes echeggiò dietro di lei. «Tornerai, quando avrai la risposta.»
✺
Spazio autrice:
Beeeene... E mentre Brie mostra chiari segni di squilibrio mentale, io confesso che questo è forse uno dei capitoli più deliranti, almeno per ora... spero almeno avesse un senso xD
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
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