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«Quindi? Com'è andata questa settimana?»
Leean tirò su col naso, aggiustandosi meglio sulla sedia. Gli slip le restarono conficcate in posti scomodi, così si agitò ancora, le mani aggrappate ai braccioli della sedia di plastica trasparente. Non cambiò granché, a parte il grigiore degli occhi di Benjamin che rifletterono un bagliore insolito per un istante. Di sicuro cercava chissà quale ragione metafisica dietro il suo gesto.
Lei si schiarì la gola e si immobilizzò con le gambe accavallate. «Bene. Meglio. Voglio dire, ho passato metà delle giornate a piangere non so nemmeno io il perché, ma...» L'alberello dal fusto più sottile di un dito, sulla sinistra, attirò la sua attenzione. I rami si muovevano appena, vittime del venticello fresco che proveniva dalla finestra accostata.
Benjamin poggiò il tablet sulle gambe e si sporse con il busto in avanti. «Lee, l'ultima volta che ho controllato, piangere senza motivo non era fra i sintomi di una persona che se la passa bene.»
Leean grattò con le unghie il lato rasato della testa. Poi accarezzò la chioma che le scendeva sulla spalla opposta. «Sì, ma ci stavo arrivando,» disse, ancora concentrata sull'alberello e sul muro bianco che gli faceva da sfondo. «Non me la passo così male. Insomma, gli altri momenti, quando sto bene, sto davvero bene.»
«Hai più meditato?»
«No.» La gamba le scivolò giù. Si sistemò in una posizione più confortevole, la schiena poggiata contro la sedia ed entrambi i piedi ben piantati a terra. «Non ho avuto tempo.»
«Lee.»
«Cioè, il tempo ce lo avevo, ma l'ho sprecato a fare altro.»
L'arietta adesso raggiungeva anche Benjamin e gli alzava il piccolo ciuffo di capelli rossi sulla fronte. «A piangere?»
Leean sollevò le spalle. «Non proprio.»
«E allora l'hai sprecato a fare cosa?»
«Diciamo che mi sono data alle faccende di casa.»
«Faccende di casa?»
Lo odiava quando ripeteva tutto quello che diceva, e lui lo sapeva, per questo gli si disegnava sempre un sorrisetto all'angolo delle labbra. Cercava di metterla in ansia, chiedendo spiegazione dopo spiegazione, e Leean conosceva la strategia, eppure continuava a cascarci.
Fece schioccare la lingua contro il palato. Dall'altro lato del lucernario, un passero beccava il vetro con insistenza. «Ho comprato una nuova casetta per Spuntone.»
Si era subito appropriato del finto tronco caduto: una volta appollaiato in cima, l'aveva fissata oltre il vetro con i suoi occhietti spalancati. A Leean piaceva pensare che quello fosse il suo sguardo riconoscente.
Benjamin spalancò le palpebre e represse a stento una risata mentre si ritirava al suo posto. «Ah, la tua è proprio una lucertola fortunata.»
Leean scosse la testa. «Non è una lucertola. È una pogona.»
«Che differenza fa? È una lucertola con la barba.»
Evitò di rispondergli ancora. Spuntone non ci sarebbe rimasto male solo perché qualcuno si ostinava a chiamarlo lucertola; avrebbe dovuto imparare l'arte del menefreghismo da lui.
«Dove li hai trovati i soldi?» riprese Benjamin, e lei si morse la guancia, perché quella era la domanda che sperava davvero di evitare.
«Ho usato quelli che ho vinto nelle scommesse. Cioè, quelli che mi erano rimasti dopo aver puntato tutto su una tartaruga che continuava a non capire di dover tagliare il traguardo.» Il passero sul lucernario si allontanò in un frullare d'ali. Leean lo osservò per un secondo. «Lo sapevi che le tartarughe hanno un pessimo senso dell'orientamento?» continuò.
Ben appuntò qualcosa sul tablet. La penna scorreva sullo schermo a una velocità sostenuta, tranquilla, insolita per lui. Allontanò la punta e fece schioccare la mascella – Leean rabbrividì – poi aggiunse un'ultima annotazione. «Non lo sapevo, ma non mi sono mai sembrate creature particolarmente intelligenti.»
Leean agitò un dito in aria. «Non lo sono. Almeno, quella di sicuro non lo è.»
Lui premette ancora la penna contro lo schermo. Ne venne fuori un trillo. «Avevi detto che non saresti più andata nella zona profana.»
«L'ho detto, sì.»
Faceva parte dei buoni propositi dell'anno, assieme al meditare ogni giorno, allenarsi, mangiare tre pasti regolari e non andarsene in giro a comprare nuovi abiti inutili per il puro gusto di sfidare la candida sacralità della società.
Nascose le mani nelle maniche, sospirando piano. Benjamin la osservava in silenzio. La camicia asimmetrica, abbottonata fino al collo, lo rendeva un tutt'uno con le pareti, e di lui non restava che una testa che volteggiava nel bianco accecante.
«Hai pensato di non potercela fare,» disse lui, «e hai cercato consolazione nei beni materiali.»
Leean levò gli occhi al soffitto. Una lama di luce le ferì le retini, un raggio di sole di passaggio. «Per favore, non ricominciare. Non sei il mio psicologo, solo il mio consulente.»
La ricerca di qualcuno che la aiutasse a rimettere in ordine la sua vita l'aveva portata da lui. La zia Ebony continuava a consigliarle un vero e proprio psicologo, per "liberarsi del trauma che la tormentava", ma Leean non ne voleva sapere. Certi segreti nascevano per restare tali. Portarli in superficie avrebbe significato doverli affrontare, e lei non ne aveva alcuna intenzione.
«Ma i beni materiali,» Benjamin disegnava cerchi nell'aria con la penna, «non ti servono, è la tua anima che devi nutrire. Quante volte devo dirtelo? Se ti senti sopraffatta, leggi un libro, medita, studia, apriti con qualcuno. Non lo capisci che è la tua anima che grida? Perché continui a cercare rifugio in cose superficiali?»
Leean si aggrappò ai braccioli. La plastica le si conficcò nei palmi, ma non allentò la presa. «Forse la mia anima voleva solo vedere una fottutissima tartaruga vincere una gara.»
«Adesso ti stai arrabbiando.»
«Sì, me n'ero accorta, grazie.» Si circondò fra le proprie braccia.
I rami dell'alberello si agitavano con più foga. L'aria arrivò anche a Leean, una carezza fresca che allentò la tensione che le gravava sul petto. All'improvviso divenne fin troppo cosciente della propria mascella, così rilassò i muscoli.
Benjamin accomodò il tablet e la penna al suo posto mentre si alzava in piedi. Il raggio di luce adesso gli baciava il lato sinistro del volto, e Leean notò per la prima volta il viola delle occhiaie sotto gli strati del correttore. La consapevolezza che nemmeno lui se la passasse bene le mandò una fitta nello stomaco.
Lo osservò infilarsi una mano nella tasca dei pantaloni. «Hai più avute notizie da tua zia? Per il lavoro?» cambiò argomento.
Leean gliene fu grata. «No,» rispose, in un filo di voce. «No,» aggiunse con più decisione, «è impegnata nei preparativi per la Festa dell'Ascesa, non la sento da una settimana.»
Da quando le aveva prestato i soldi per pagarsi il pranzo al ristorante – una vera fortuna che la zia fosse di passaggio, perché il piano di Leean prevedeva attivare l'allarme antincendio e filarsela nella calca generale. Ignorare il cipiglio deluso della donna non era stato facile, ma si era fatta perdonare promettendole di seguire una dieta a base di verdure e cibi tristi.
«Ah, già.» Benjamin raggiunse la finestra. Spalancò l'anta, e il vento portò all'interno il profumo dei narcisi. «Tu ci andrai?»
«No, mi danno fastidio i tamburi.» Leean arcuò l'angolo delle labbra in un sorrisetto. «E poi la danza dell'Ascesa mi fa ridere, con quei veli che sfarfallano ovunque e i ballerini strizzati dentro pantaloni che fanno male solo a guardarli.»
Ricordava ancora come tutte le persone che la circondavano la fissavano scandalizzate, mentre rideva senza ritegno. Non era stata una bella sensazione.
Benjamin si voltò di scatto verso di lei e batté le mani con aria compiaciuta. Certe volte sembrava più una fata madrina che una figura professionale. «E se incontrassi qualcun altro pazzo come te? Gli unici a ridere durante un momento sacro, potrebbe essere l'inizio di una nuova storia.»
Leean sbatté le palpebre. «Stai scherzando, vero?»
«Andiamo, pensaci!» Lui scivolò di nuovo al suo posto. Ballò un paio di secondi con il sedere poggiato sulla sedia prima di togliere il tablet e la penna. «Potresti fare nuove amicizie e cogliere l'occasione per badare alla tua spiritualità.»
«Ti ho già detto di no.»
«Possiamo andarci insieme,» azzardò lui, il busto proteso in avanti. Un solo millimetro in più e sarebbe caduto di mento sul pavimento.
Leean si attorcigliò una ciocca attorno al dito. «Non mi serve la balia, Ben...» Ma inghiottì il resto della frase, perché negli occhi dell'altro brillava una luce tanto intensa da rivaleggiare con il sole.
«Andiamo! Male che va ci divertiamo a prendere in giro i ballerini.» Le ammiccò.
L'idea non le piaceva affatto, ma quante alternative aveva?
Con un sospiro, abbozzò un sorriso tirato. «Va bene. Ma solo per un po'. Resto fino alla fine della danza, poi me ne vado.»
✺
Appoggiare la mano sul dispositivo di rivelazione di impronte le creava sempre una brutta sensazione: il calore della lucina che le scansionava la pelle le provocava un brivido freddo lungo il collo. Non appena la voce metallica la riconobbe come Leean Hudson, la porta scorrevole di fronte a lei si spalancò. L'appartamento giaceva nella penombra. Con le tende chiuse e le luci spente, quando la porta si sigillò alle spalle di Leean portò via quel poco di illuminazione che entrava dal corridoio fuori.
Lei assaporò ciò che restava dell'odore della cena del giorno prima. Aprì una finestra e l'aria fresca scacciò via per un attimo le verdure cotte della minestra. Le salivano i conati solo a pensarci, alla roba che la zia la costringeva a mangiare.
La carne appesantisce il corpo e lo spirito. Le verdure ti aiuteranno a sentirti in pace con te stessa.
La sentiva ripetere quel mantra fino all'esaurimento, e anche solo ripensarci le provocò uno spasmo alla mano con cui reggeva l'anta della finestra. Senza volerlo, la sbatté contro la parete adiacente e il vetro tremò; lei trattenne il fiato e sgranò gli occhi. Non doveva rompersi. I soldi per ripararla di sicuro non si recuperavano scommettendo sulle tartarughe, e avrebbe evitato volentieri di vivere con un pezzo di cartone al posto della finestra.
Nemmeno un graffio attraversò il vetro opaco. Leean buttò fuori tutta l'aria in un sospiro. Doveva fare attenzione. Lasciò spalancato e andò a controllare Spuntone, appollaiato sul suo tronco finto, così come l'aveva lasciato.
Picchiettò un dito sul plexiglass che li separava. «Ti prego, dimmi che non sei morto.»
Lui mosse un passo in avanti, pigro, la testa sempre piegata verso l'alto, come il più aristocratico degli animali. Non diede altri segni di vita, ma Leean se lo fece bastare.
«Non ho nessuna voglia di andare alla festa, sai?» Mentre gli parlava, si sfilò di dosso la giacca nera e la accomodò sull'angolo del divano. Le frange esagerate sfiorarono il pavimento, così la sistemò alla bell'e meglio prima di accomodarsi a sua volta e sprofondare contro lo schienale.
Il televisore le rimandava la sua stessa immagine. Lo schermo ingrassa, pensò passandosi una mano sulla pancia. Per quello la sua forma sembrava più tondeggiante del solito, non certo perché la mancanza di movimento le aveva fatto guadagnare qualche chilo di troppo.
«E poi quanta sfiga mi ci vuole per ingrassare mangiando verdure e avocado?» borbottò, rivolta a Spuntone. Lui, ovviamente, rimase immobile.
Leean allungò una mano e accese la lampada accanto a sé. La luce asettica illuminò il bianco del soggiorno; si rifletteva sulle superfici stesse, che la rimandavano indietro con fin troppa intensità.
Mancava solo una manciata di giorni alla Festa dell'Ascesa, e lei non disponeva né di abiti adatti – cercando bene forse avrebbe trovato al massimo una maglia bianca – né della forza morale di sopportare l'evento. Gente che la osservava. Gente che chiacchierava. Gente che borbottava giudizi ogni volta che lei si avvicinava.
Lee?
Scattò sull'attenti, come se si aspettasse che la zia comparisse lì di fronte a lei al posto delle scritte nella chat, la testa inclinata di lato in una domanda implicita. Un crampo alla coscia le fece stringere i denti, e per poco non replicò con una bestemmia.
Tutto bene, zia?, chiese invece.
Non ricevette subito una risposta, così rimase a massaggiarsi il quadricipite nell'attesa. Premeva i polpastrelli attorno allo spillo invisibile che le avevano conficcato nella gamba e li mosse formando dei piccoli cerchi. La zia Ebony le aveva insegnato quel metodo per sciogliere le contratture, peccato che il dolore provocato fosse abbastanza da causarle visioni dell'anima che le usciva dal corpo sottoforma di nuvoletta tremolante.
Sei a casa? Hai da fare? Perché ho una bella notizia da darti.
Leean bloccò il massaggio torturante. Che genere di notizia?
Riguarda il lavoro. Puoi venire qui, così ne parliamo faccia a faccia?
Una bella notizia. Leean si ripeté quelle tre parole nella testa, nel tentativo di fargli acquisire un senso. Per qualche ragione però continuavano a essere suoni disarticolati, vuoti.
Adesso?, le chiese. Ma non hai da fare con i preparativi della festa?
Appunto ti chiedo di venire qui. Scusami, Lee, verrei io da te, ma un paio di persone si sono ammalate e siamo già abbastanza in ritardo. Allora, ti aspetto qui fra una decina di minuti.
Seguì un click, e Leean afflosciò le spalle. La zia aveva chiuso la chat prima che lei potesse replicare, togliendole la possibilità di rifiutarsi.
✺
Spazio autrice:
Eccoci al primo capitolo. Non mi convince ancora al cento per cento, ma per ora ve lo beccate così xD Come avete notato, è passato del tempo dalle vicende del prologo, e Leean sta vivendo le conseguenze di ciò che è accaduto. Fatemi pure sapere cosa ne pensate di lei fino a qui, sono curiosa...
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