Parte terza
Abbandonai il pensiero delle labbra di Louis sulle mie, poi giungemmo al ponte della quinta bolgia e ci fermammo in mezzo, per osservare dall'alto il fossato pieno di nuovi dannati di cui udivo i soliti, inutili lamenti.
La prima impressione che ne ricevetti fu quella di un luogo straordinariamente buio.
Osservai meglio e vidi che laggiù bolliva una pece densa che aderiva alle pareti da ogni parte.
Mentre ero tutto preso da quella vista, all'improvviso Louis mi tirò a sé, gridando:
" Attento! "
Mi voltai impaurito e vidi venire verso di noi, correndo su per il ponticello, un diavolo nero.
Con le ali aperte, si muoveva agilissimo e veloce e, sopra le spalle, portava un dannato e lo teneva stretto, afferrandolo con le mani adunche per il collo.
Dall'alto del ponte, si mise a urlare:
" Malebranche, ecco uno dei magistrati di Lucca! Immergetelo bene sotto la pece. Io torno in quella città, piena di peccatori come questo!"
Capii da quelle parole che lì erano puniti i barattieri, coloro che, investiti di poteri pubblici, ne avevano approfittato per arricchirsi.
Il diavolo gettò con forza il peccatore nella massa bollente di pece, poi tornò indietro, riattraversando il ponte con la stessa velocità di prima.
Il dannato, intanto, era sprofondato nella pece e ne era riemerso tutto imbrattato, ma i diavoli, nascosti sotto il ponte, gli urlarono:
" Qui non sei a Lucca, non stai nuotando nel fiume Serchio. Perciò, se non vuoi assaggiare le nostre graffiate, non venire mai a galla"
Louis mi strinse a sè e mi disse che era meglio che i diavoli non mi vedessero, per evitare di scatenare la loro aggressività.
Mi ordinò, quindi, di nascondermi dietro una sporgenza rocciosa e di non spaventarmi, anche se lo avessi visto attaccato dai diavoli.
Si avviò quindi lungo il ponte e si fermò sull'argine che separava quella quinta bolgia dalla sesta.
Assunse un atteggiamento imperturbabile, fermo, sicuro.
I diavoli subito uscirono fuori da sotto il ponticello e puntarono contro la mia guida tutte le loro aste uncinate.
Ma lui gridò:
" Nessuno di voi pensi di potermi fare del male! Voglio parlare con il vostro capo. Dopo, deciderete se afferrarmi con i vostri uncini oppure no"
Tutti i diavoli, in coro, urlarono:
" Ci vada Malacoda a parlare con questo spirito!"
Allora, uno di loro si fece avanti.
Si avvicinò a Louis, lo guardò con rabbia e ira e sbottò:
" Che cosa vuoi?"
Louis allargò le braccia e esclamò:
" Malacoda, credi forse che io sarei arrivato fin qui senza l'aiuto di Dio? Perciò, lasciaci andare avanti, perché è il cielo che vuole che io guidi un mortale attraverso un cammino tanto difficile"
Il diavolo sembrò perdere all'improvviso tutta la sua tracotanza, al punto che lasciò cadere a terra il suo uncino.
Si volse agli altri e ordinò loro di stare calmi.
Louis allora mi invitò a uscire dal mio nascondiglio e io mi diressi velocemente verso di lui.
I diavoli, però, avanzarono tutti insieme e io ebbi paura che non rispettassero il patto concluso fra Malacoda e la mia guida.
Mi accostai con tutto il corpo a Louis e intanto non distoglievo lo sguardo dai diavoli, controllando il loro atteggiamento, che non era per niente benevolo.
Malacoda, però, fece spostare i suoi diavoli e ci disse:
" Proseguire attraverso questa fila di ponti non è possibile, perché quello che passa sopra la sesta bolgia è crollato sul fondo e ora è tutto a pezzi"
" Se volete comunque andare avanti " continuò Malacoda " procedete per questo argine...non lontano da qui c'è un altro ponte per cui potrete passare. Devo mandare in quella direzione alcuni di noi, per controllare che nessuno dei dannati esca fuori dalla pece. Potete andare con loro, non vi faranno alcun male"
Poi, si rivolse agli altri diavoli e nominò quelli che avrebbero dovuto costituire quella specie di pattuglia di ricognizione.
Chiamò Alichino, Calcabrina, Cagnazzo e Barbariccia, che sarebbe stato il capo e aggiunse Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e il furioso Rubicante.
Ordinò loro di ispezionare con cura la pece bollente e di portare noi due, sani e salvi, fino all'altra fila di ponti ancora intatti.
Non mi sentivo per niente tranquillo, con una scorta simile, così sussurrai in un orecchio a Louis:
" Ti prego, proseguiamo da soli! Ti sarai certo accorto che quelle che dovrebbero essere le nostre guide non sembrano avere buone intenzioni. Guarda come digrignano i denti! Come si lanciano occhiate d'intesa! Secondo me, ci procureranno solo guai"
Louis cercò ancora una volta di rassicurarmi, dicendomi che il loro atteggiamento minaccioso non era rivolto a noi, ma ai dannati che bollivano nella pece e, per rendere le sue parole ancora più convincenti, mi sfiorò una tempia con un bacio.
I diavoli della pattuglia si misero in fila e il loro comandante, Barbariccia, diede il segnale di partenza....lo fece col culo, scoreggiando sonoramente.
💙💚
Louis ed io avanzammo con i dieci demoni e svoltammo verso l'argine, a sinistra del ponte.
La mia attenzione, comunque, era tutta per la pece bollente e per i peccatori che si dibattevano là dentro.
A volte, per alleviare la sofferenza, qualcuno di loro affiorava con la schiena, ma solo per un attimo, perché subito si immergeva di nuovo.
Di altri dannati vedevo solo la testa, come se fossero rane in un fosso, con il solo muso fuori dall'orlo dell'acqua.
Non appena vedevano avvicinarsi il gruppo di Barbariccia, anche loro si rituffavano nella pece bollente.
Uno, però, rimase fermo, in attesa e Graffiacane, uno dei diavoli, che gli stava proprio di fronte, lo afferrò con l'uncino per i capelli, tutti imbrattati di pece, e lo tirò su.
Io, allora, chiesi a Louis di cercare di sapere, se poteva, chi fosse quello sciagurato, caduto nelle mani dei suoi peggiori nemici.
La mia guida, allora, gli si accostò e gli rivolse la domanda per mio conto.
" Sono nato nel regno di Navarra " rispose " e mi chiamo Ciampòlo. Mio padre era una canaglia. Viveva di espedienti e morì suicida, dopo avere sperperato tutto quello che possedeva. Mia madre, allora, mi mise al servizio di un signore. Divenni poi cortigiano del re di Navarra, Tebaldo II e nella sua corte mi misi a far baratteria, colpa che ora qui sto scontando "
Poi, Ciampòlo guardò preoccupato il diavolo che lo teneva per i capelli e aggiunse:
" Parlerei ancora volentieri con voi e vi direi di altri dannati, ma guardate quello come digrigna i denti! Ho paura che si stia preparando a scorticarmi il cuoio capelluto!"
Gli altri diavoli, allora, gli si misero attorno sollevando i loro uncini con fare minaccioso.
Alichino non seppe resistere alla tentazione di sfidare quel dannato e gli disse:
"Calati nella pece, quando Barbariccia ti lascerà andare. Ti inseguirò volando e, dato che sono molto più veloce di te, ti posso garantire che ti raggiungerò. Anzi, voglio essere generoso, noi ci ritireremo verso il pendio che scende verso la sesta bolgia e ci nasconderemo dietro quella riva. Così, avrai come vantaggio tutta la larghezza dell'argine. Vedremo se tu da solo vali più di noi! "
I diavoli si incamminarono verso l'argine, ma non erano troppo convinti, dato che si voltavano e sembravano insicuri, specialmente Cagnazzo, quello che più di tutti era stato contrario alla sfida di Alichino.
Il dannato, però, fu abile e veloce a cogliere il momento propizio e di colpo saltò, liberandosi dalla stretta di Barbariccia.
I diavoli erano stati beffati.
Ognuno di loro sembrava sentirsi colpevole di quella sconfitta, ma più di tutti quello che aveva proposto la gara.
Alichino, infatti, scattò per primo, ma gli servì a poco, dato che le sue ali non riuscirono ad avere la meglio su Ciampòlo.
Il dannato infatti si immerse in fretta e il diavolo, sempre volando, si impennò verso l'alto, ma Calcabrina, inviperito, inseguì volando il compagno e, non appena Ciampòlo fu scomparso, volse gli artigli contro Alichino e cominciò ad azzuffarsi con lui, sopra il fossato.
Così avvinghiati, finirono per cadere entrambi al centro di quello stagno bollente.
Il calore li fece subito separare ma, quanto a tirarsi fuori dalla pece, era impossibile, tanto avevano le ali invischiate.
Allora Barbariccia, anche lui pieno di collera, ordinò che quattro diavoli volassero sull'altro argine con i loro uncini.
I diavoli, quindi, si collocarono da una parte e dall'altra della bolgia, ognuno nel posto assegnato dal loro capo.
Porsero gli uncini ai loro due compagni che, ormai tutti scottati, si dibattevano nella pece.
Louis ed io li lasciammo così, tutti presi nelle loro difficoltà, e riprendemmo il nostro cammino.
💙💚
In silenzio, soli, senza la compagnia dei diavoli, io e Louis ci allontanammo.
" Dobbiamo nasconderci " dissi alla mia guida spaventato " vedrai che quei demoni ci riterranno responsabili di ciò che è successo, perché ci siamo messi a parlare con Ciampòlo "
" Credo che tu abbia ragione " sussurrò Louis " ma spero che il pendio che degrada qui, alla nostra destra, sia così poco ripido da permetterci di scendere nella bolgia successiva "
Non aveva ancora finito di parlare, che vidi i diavoli venire contro di noi, non molto lontani, con le ali tese e l'evidente intenzione di catturarci.
La reazione di Louis fu fulminea, mi prese fra le braccia e si lasciò andare di schiena lungo il pendio roccioso che chiudeva uno dei lati della sesta bolgia.
Scivoló tanto rapidamente che giungemmo come un lampo nella sesta bolgia.
I diavoli ci scrutavano dalla sommità dell'argine, senza potersi più muovere, ma io non ci feci caso, perché i miei occhi erano incatenati a quelli blu della mia guida.
E osai....
Mi sporsi leggermente e gli sfiorai le labbra con un bacio.
Lui rimase immobile, ma, quando mi staccai, sorrise tristemente.
" Non amare chi non può ricambiarti..." sussurrò.
" Ma io...."
Mi zittì mettendomi un dito sulle labbra e scuotendo la testa e io capii che non dovevo più dire nulla.
Mi guardai intorno e vidi una folla di anime, all'apparenza colorate e brillanti.
Procedevano a passi lentissimi, piangevano e sembravano sopraffatte dalla stanchezza.
Portavano cappe con i cappucci abbassati davanti agli occhi, simili a quelle che indossano i monaci.
All'esterno erano dorate, quasi abbaglianti, ma dentro erano tutte di piombo.
Ci avviammo nella loro stessa direzione ma, per quanto cercassimo di non camminare velocemente, quegli spiriti erano talmente lenti che, ad ogni passo, ci trovavamo accanto nuovi dannati.
Uno di quei peccatori gridò da dietro a noi:
" Fermatevi, voi che camminate tanto veloci attraverso quest'aria scura! Desidero parlare con voi!"
Louis mi invitò ad aspettare quell'anima e poi a procedere adeguando il mio passo al suo.
Mi fermai e vidi due dannati che, dall'espressione del volto, mostravano una grande ansia di raggiungermi in fretta, ma il peso delle loro cappe e la strada affollata di spiriti lo impediva loro.
Quando finalmente mi arrivarono accanto, mi osservarono a lungo di traverso, senza far parola, poi, si voltarono l'uno verso l'altro e si dissero:
" È vivo e respira da uomo mortale!"
Poi, si rivolsero a me:
" Tu, che sei giunto fra noi ipocriti, sii gentile e dicci chi sei. "
Risposi che ero nato e cresciuto nella grande città bagnata dal fiume Arno e che mi trovavo lì ancora con il mio corpo.
" Ma piuttosto " continuai " ditemi voi chi siete, voi che, dalle lacrime che vi colano giù per le guance, sembrate soffrire tanto. Qual è la pena che vi tormenta sotto questi indumenti così sfavillanti?"
Fu uno di quei due dannati a rispondermi e mi rivelò che erano stati entrambi frati, solo che, invece di vivere secondo le regole del loro ordine, con ipocrisia, si erano dedicati ai piaceri della carne.
Non appena il frate ebbe finito di parlare, mi voltai e notai un dannato crocifisso in terra con tre paletti.
Quando mi vide, si contorse tutto, soffiando fra i peli della barba.
Louis, che aveva notato tutto, mi disse:
" Quello che tu stai osservando è Caifàs, il sommo sacerdote che al concilio dei Farisei propose di mandare a morte Cristo.
Come vedi, è posto di traverso nella strada e noi, per passare oltre, dobbiamo salire per forza sopra di lui, così è costretto a sopportare l'enorme peso di ognuno di noi.
La stessa sua pena patiscono suo suocero, Anna e gli altri sacerdoti che presero parte a quell'assemblea "
Io osservai il dannato con occhi sbarrati e poi seguii Louis, che si era già avviato verso l'uscita della bolgia.
💚💙
Io e Louis giungemmo ad un ponte crollato e fu subito chiaro che, per scendere, avremmo dovuto farlo lungo la frana.
La mia guida mi precedette e, con grande bravura, trovò tutte le pietre più solide e che potevano reggere il mio corpo mortale.
Finalmente, arrivammo alla nostra meta e io mi sedetti un istante a riposare.
Ne approfittai per osservare la figura di Louis che scrutava il paesaggio.
In vita doveva essere stato un uomo molto bello, perché tale era ancora e la morte doveva averlo colto nel fiore degli anni.
Mi ricordai di aver studiato che era morto per le conseguenze di un colpo di sole, al ritorno da un viaggio in Grecia.
Stavo per porgli qualche domanda sulla sua vita terrena, ma lui mi invitò ad alzarmi e a proseguire il viaggio.
Ci avviammo lungo l'argine, verso il ponte che passava sopra la settima bolgia.
Quando vi giungemmo, vidi che era pieno di rocce sporgenti, stretto, malagevole, più ripido del solito.
All'improvviso, dal fondo della bolgia, si alzarono molte voci che pronunciavano parole il cui senso non riuscii ad afferrare.
Io ero già sulla sommità del ponte e vidi che i dannati che stavano parlando, nello stesso tempo si muovevano e camminavano, forse per questo non capivo bene quel che stavano dicendo.
Scrutavo il fondo della bolgia ma, per quanto aguzzassi lo sguardo, riuscivo a vedere ben poco, a causa dell'oscurità quasi assoluta.
Proposi a Louis di spostarci fino all'argine successivo, da dove sarebbe stato forse più facile vedere qualcosa e lui accettò.
Così scendemmo dalla sommità del ponte e, quando arrivammo là dove esso si congiungeva con l'argine della bolgia successiva, il fondo del fossato divenne per me interamente visibile.
Quel che mi apparve alla vista era orribile: in quel fossato era ammassata da ogni parte una spaventosa quantità di serpenti, strani e deformi.
In mezzo ai serpenti, correvano, nudi e atterriti, i peccatori e le loro mani erano legate dietro la schiena da serpenti, che penetravano dentro di loro con la coda e con la testa, attraverso i fianchi e si annodavano sul davanti.
All'improvviso, contro un dannato, che si trovava dalla parte dell'argine su cui eravamo noi, si avventò un serpente e lo trafisse alla gola.
Subito quell'anima prese fuoco e divenne un mucchio di cenere, ma, poi, quasi mossa da una forza interna, si radunò e di colpo riprese la forma di quel peccatore.
Appena il dannato sembrò avere riacquistato coscienza di sé e delle cose, Louis gli domandò chi fosse.
Quello rispose:
" Sono precipitato in questa crudele bolgia poco tempo fa, dalla Toscana. La mia vita è stata quella di una bestia più che di un uomo, una vita degna di quel bastardo che, in effetti, ero. Sono Vanni Fucci, detto la bestia "
Era un nome ben noto; infatti si trattava di un figlio illegittimo di Fuccio dei Lazzari di Pistoia, un militante dei Neri, uno condannato più volte per omicidi, atti di brigantaggio e saccheggio.
Sapevo che era stato un uomo sanguinario e rissoso, quindi mi sarei aspettato di trovarlo fra i violenti, non lì.
Pregai quindi Louis di domandargli per quale colpa si trovasse in quella bolgia.
Il dannato, che aveva sentito le mie parole, non esitò a rispondere, guardandomi con violenza e arrossendo di una vergogna piena di collera:
" Il fatto che tu mi abbia sorpreso qui, in questa miseria, mi fa male più del fatto di essere morto.
Mi trovo fra i ladri perché, anche se altri furono ritenuti colpevoli, sono io il vero responsabile del furto del tesoro del Duomo di Pistoia...."
Io spalancai gli occhi colpito da quella notizia, ma non feci in tempo a replicare perché il dannato venne nuovamente attaccato da un serpente.
💙💚
Louis ed io ci allontanammo da quel luogo e risalimmo su per il ponte successivo.
Era talmente ripido, pieno di tante sporgenze e tanti massi, che dovevo procedere aiutandomi anche con le mani.
Quando vidi i dannati nell'ottavo fossato, provai un dolore immenso.
Dalla mia posizione elevata, osservai di sotto e vidi tantissime fiamme che risplendevano sul fondo dell'ottava bolgia.
Ciascuna si muoveva e nascondeva dentro di sé, sottraendolo completamente alla vista, un peccatore.
Louis mi disse che ciascun fuoco ardeva e, insieme, fasciava uno spirito.
Ad un certo punto avanzò verso di noi una strana fiamma, divisa nella parte superiore in due punte.
La mia guida mi spiegò che là dentro erano puniti Ulisse e Diomede, uniti nella colpa, come nella pena.
Insieme avevano architettato la costruzione del cavallo di legno grazie a cui i soldati greci erano riusciti a entrare di nascosto a Troia e a distruggerla.
Insieme avevano escogitato il tranello con cui individuare Achille, indispensabile, secondo gli oracoli, per la guerra contro Troia.
La madre Teti sapeva che il figlio sarebbe morto in quell'impresa e allora aveva voluto nasconderlo, travestito con abiti femminili, nella corte di Licomede, re di Sciro, ma Ulisse e Diomede erano arrivati in quel luogo, fingendosi mercanti e avevano mostrato ad Achille le armi, risvegliando il suo spirito guerriero e inducendolo a seguirli.
Sempre insieme, i due Greci avevano organizzato il furto del Palladio, la statua di Atena che si trovava a Troia e che rendeva la città inespugnabile.
Giustamente, dunque, Ulisse e Diomede si trovavano ora in quella bolgia, dov'erano puniti per l'eternità coloro che avevano usato il proprio ingegno per ordire inganni e tramare azioni fraudolente.
" Louis " dissi " permettimi di aspettare che la loro fiamma giunga fin qui, vorrei parlare..."
La mia guida mi rispose che approvava il mio desiderio di conoscere quegli spiriti, ma mi disse di lasciare parlare lui, perché difficilmente avrebbero risposto ad una persona ancora viva.
Stavo per chiedergli il perchè, ma i dannati si avvicinarono e lo sentii dire queste parole:
" In nome della riconoscenza che da parte vostra io dovrei avere meritato, parlando di voi nel mio poema, vi prego, non vi allontanate. Uno di voi racconti come si smarrì nell'avventura da cui non fece ritorno e dove andò a morire"
La punta più alta di quella fiamma antica cominciò ad agitarsi, mormorando, quasi scossa dal vento, poi, muovendo da una parte e dall'altra la sua cima, come se fosse una lingua, con sforzo emise la voce e disse:
" Circe mi trattenne per più di un anno sul litorale del monte Circeo, vicino al luogo che poi Enea avrebbe chiamato Gaeta.
Quando mi allontanai da lei, nulla poté vincere in me il desiderio di diventare esperto del mondo, non il tenero amore per mio figlio Telemaco, non l'affetto devoto per il mio vecchio padre Laerte, non l'amore che dovevo a mia moglie Penelope come ricompensa per la sua fedeltà.
Neppure questi legami riuscirono a sopprimere in me la voglia di conoscere sempre di più e meglio i vizi e le virtù degli uomini.
Fu così che ripresi il mare, sconfinato e profondo.
Avevo una sola nave e pochi compagni, quelli che non mi abbandonarono mai.
Vidi il litorale europeo fino alla Spagna e quello africano fino al Marocco. Vidi la Sardegna e le altre isole bagnate da quel mare. I miei compagni ed io eravamo ormai vecchi, quando giungemmo allo stretto di Gibilterra, dove Ercole aveva posto le sue colonne, come segnale del limite che gli uomini non avrebbero mai dovuto oltrepassare.
Rivolgemmo la nave verso l'oceano e i remi diventarono le ali del nostro folle volo.
Per cinque volte vedemmo accendersi e spegnersi la faccia visibile della Luna. Dall'inizio della nostra difficile navigazione, dunque, erano passati quasi cinque mesi, quando ci apparve una montagna, appena distinguibile a causa della distanza e mi sembrò la più alta che avessi mai visto. Grande fu la nostra gioia, ma presto essa si trasformò in dolore. Da quella montagna si alzò un turbine di vento che investì la parte anteriore della nostra nave. Tre volte la fece ruotare su se stessa, insieme con le acque che formarono un gigantesco gorgo. Alla quarta volta, una volontà superiore fece alzare in alto la poppa e sprofondare la prua, finché il mare non si richiuse sopra di noi"
La fiamma di Ulisse e di Diomede smise di parlare, si raddrizzò e non si mosse più.
Louis ed io, allora, proseguimmo il nostro viaggio, fino a raggiungere il ponte successivo.
Sotto di esso apparve la nona bolgia, dove scontano la loro pena coloro che, durante la loro vita, hanno separato quel che dovrebbe rimanere unito, i seminatori di discordie.
Ciò che vidi nella nona bolgia fu uno spettacolo terribile.
Il primo dannato che notai era tagliato dal mento fino all'ano e, tra le gambe, gli pendevano le budella.
Mentre lo osservavo con estrema attenzione, mi guardò e con le mani si aprì il petto, non dicendo, però, alcuna parola.
Louis mi sfiorò un braccio con le dita e disse:
" I dannati che qui sono puniti furono, da vivi, seminatori di scandali e di scismi, perciò ora sono così spaccati e tagliati da un diavolo.
Quando hanno fatto il giro completo della bolgia, le loro ferite si rimarginano, ma, quando ritornano davanti a lui, li taglia di nuovo con la sua spada"
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Il numero impressionante di quei peccatori e la mostruosità delle loro mutilazioni mi avevano quasi stordito e mi sarei messo a piangere, se Louis non mi avesse stretto a sé e confortato.
Quando mi fui calmato, si incamminò e io lo seguii.
Alla fine giungemmo, attraverso un altro ponte, sopra la decima bolgia, l'ultima.
Terribili lamenti mi ferirono l'udito, tanto che fui costretto a coprirmi le orecchie con le mani.
Come al solito, per vedere meglio, scendemmo dal ponte e ci fermammo sull'argine, l'ultimo dell'ottavo cerchio infernale.
Da quel punto, il più vicino al fondo della bolgia, mi fu possibile vedere più chiaramente come l'infallibile giustizia divina punisce i falsificatori di ogni tipo.
In quella bolgia, i dannati erano ammucchiati in diversi gruppi.
Giacevano sul ventre o erano addossati gli uni alle spalle degli altri o si trascinavano carponi.
Noi camminavamo lentamente, senza parlare, guardando e ascoltando quei peccatori, che erano colpiti da tremende malattie e che non riuscivano neppure a sollevarsi.
Lasciammo poi, dietro di noi, quell'ultima orribile bolgia e ci avviammo, senza parlare, lungo l'argine che la separa dal pozzo centrale.
C'era una luce incerta, crepuscolare, per cui non riuscivo a vedere molto lontano.
Udii però risuonare un corno, in modo così fragoroso che, in confronto, sarebbe sembrato debole qualsiasi tuono.
Seguii con gli occhi, in senso contrario, la via percorsa da quel suono e fissai lo sguardo sul punto da cui proveniva.
Quasi subito mi sembrò di scorgere numerose alte torri, così domandai a Louis quale città fosse mai quella.
Louis mi rispose che la lontananza, impedendomi di vedere chiaramente, mi faceva arrivare a conclusioni sbagliate, dovevo avvicinarmi a quelle che io avevo creduto essere torri e mi sarei reso conto di quanto la vista possa ingannarsi, quando opera da lontano.
Poi, affettuosamente, mi prese per mano e aggiunse:
" Non voglio che tu ti sorprenda e ti spaventi troppo, quando ci troveremo davanti a loro. Sappi fin da ora, quindi, che quelli sono giganti, conficcati lungo la parete del pozzo dall'ombelico in giù"
Quando ci avvicinammo, iniziai a distinguere meglio i tratti fisici di quegli orribili mostri.
Di uno di essi, già scorsi la faccia, che era lunga e grossa.
"Raphèl may amèch zahì almì " furono le incomprensibili parole che il gigante gridò.
Louis allora mi disse:
" Quello è Nembrot, il primo re di Babilonia, il principale responsabile della costruzione della Torre di Babele. A causa della sua folle superbia, gli uomini hanno cominciato a non usare più un unico linguaggio e questo spiega l'incomprensibilità di quel che ci ha detto, forse un misto di parole di chissà quali lingue "
Procedemmo oltre, sempre girando verso sinistra.
Avevamo percorso pochi metri, quando incontrammo un altro gigante.
Era ancora più grosso del precedente e il suo aspetto era ancora più crudele.
Aveva sul petto il braccio sinistro e sulla schiena il destro ed era legato, dal collo in giù, con una catena che, solo nella parte visibile del suo corpo, faceva ben cinque giri.
Louis mi spiegò che si trattava di Fialte, il figlio di Nettuno che, insieme ad altri giganti, aveva tentato la scalata del cielo ed era stato fulminato da Giove.
Ci avvicinammo poi ad Anteo, altro figlio di Nettuno, vissuto in una grotta del deserto libico, nutrendosi di leoni.
Solo Ercole era riuscito a ucciderlo, stritolandolo fra le braccia, dopo averlo sollevato da terra perché, a quanto pareva, se avesse toccato il suolo, avrebbe recuperato le forze. Anteo, proseguì la mia guida, parlava in modo comprensibile ed era slegato, infatti sarebbe stato lui a deporci sul fondo dell'Inferno.
Louis gli si rivolse e, certo per ben predisporlo ad acconsentire alla sua richiesta, gli ricordò i luoghi dov'era vissuto e li chiamò fortunati, perché diventati famosi grazie a lui non meno che alla vittoria di Scipione su Annibale.
Sottolineò anche la sua abilità di cacciatore, capace di abbattere più di mille leoni.
Gli disse poi quel che voleva da lui:
" Facci il favore di calarci giù, dove il freddo congela le acque di Cocito. Il mio compagno può fare in modo che si continui a parlare di te sulla Terra. E avrà parecchio tempo per farlo, dato che è ancora vivo e abbastanza giovane da vivere ancora a lungo "
Le parole del mio maestro ottennero subito l'effetto desiderato.
Anteo stese con rapidità le mani, quelle mani che un tempo avevano stretto invano Ercole e prese la mia guida.
Louis, quando si sentì afferrare, mi disse:
" Avvicinati, in modo che possa prenderti"
Così mi abbracciò e mi strinse a sè, dandomi un bacio sulla tempia.
Il gigante ci depose delicatamente sul fondo e ritornò nella sua abituale posizione.
💚💙
Per descrivere adeguatamente il fondo dell'Inferno, l'abisso più profondo del male, su cui premono tutti gli altri cerchi, ci vorrebbero parole talmente aspre e rauche che non credo esistano nel repertorio umano.
Le anime che io vidi lì, nell'ultimo cerchio, erano davvero la feccia dei dannati, i traditori.
Anteo ci aveva depositato sul fondo buio, che pendeva verso il centro del baratro.
Eravamo, quindi, più in basso dei suoi piedi.
Io continuavo a guardare l'alta parete del pozzo, quando udii una voce che diceva:
" Attento a dove metti i piedi! Cammina pure, ma vedi di non calpestare la testa di noi sciagurati"
Mi voltai, per vedere da dove provenissero quelle parole, e mi accorsi che, davanti e sotto di me, si stendeva un lago gelato, che sembrava fatto di vetro.
I dannati, lividi, erano immersi nel ghiaccio fino al volto e battevano i denti per il freddo insopportabile.
Ognuno di loro aveva la testa volta in giù e piangeva.
" Siamo nella zona Caina, dove ci sono i traditori dei parenti, mentre adesso ci stiamo dirigendo verso la zona Antenora, dove sono puniti i traditori della patria " mi disse Louis.
Giunti nella zona Antenora, mi accorsi che le teste dei dannati, che emergevano dal ghiaccio, a differenza di quelle della Caina, avevano il volto eretto.
Preferii non parlare con nessuno di loro, perché il tradimento, reato punito in questa bolgia, era per me un peccato terribile, forse il peggiore al mondo.
Mentre mi stavo allontanando, però, notai due dannati conficcati in una stessa buca.
Erano bloccati dal ghiaccio in modo tale che la testa dell'uno stava sopra quella dell'altro, come un cappello.
Quello che stava di sopra, addentava la nuca dell'altro, con la stessa avidità con cui si addenta un pezzo di pane quando si muore di fame.
Gli domandai di dirmi il perché del suo comportamento e gli assicurai che, se il suo odio era giustificato, io avrei potuto in qualche modo vendicarlo, riferendo i loro nomi e, soprattutto, le colpe dell'altro.
Quel peccatore sollevò la bocca e disse:
" Io non so chi sei né come sei arrivato fin qui, ma la tua mi sembra la parlata di un fiorentino. Sappi che io sono il conte Ugolino e che questo è l'arcivescovo Ruggieri"
Ugolino della Gherardesca, discendente di una grande famiglia ghibellina, poi avvicinatosi alla parte guelfa, era stato podestà di Pisa, finché, dodici anni prima, i Ghibellini, sotto la guida dell'arcivescovo Ruggieri, erano riusciti ad avere la meglio su di lui.
Il conte era stato rinchiuso, insieme ai suoi due figli e a due suoi nipoti, nella Torre dei Gualandi che, dopo la sua morte, tutti chiamavano la Torre della Fame.
" Ti spiegherò " proseguì " perché sono tanto feroce con il mio compagno di pena.
Sei di Firenze e certo conosci la mia storia, non c'è bisogno, quindi, che ti dica che fu la sua perfidia a far sì che io, che pure mi fidavo di lui, fossi imprigionato e fatto morire. Però non puoi sapere quanto sia stata crudele la mia morte ed è questo che voglio dirti, perché tu possa giudicare se ho ragione di odiarlo. Ero prigioniero nella torre da molti giorni, quando mi svegliai, una mattina e sentii piangere nel sonno i miei figli e chiedere del pane.
Giunse l'ora in cui di solito ci portavano da mangiare, ma, invece di vedere il cibo, sentii che stavano inchiodando la porta di quell'orribile torre.
Guardai nel viso i miei figlioli, senza dire una parola. Ero diventato di pietra, non mi uscivano nemmeno le lacrime, perché avevo capito che volevano farci morire di fame.
Al quarto giorno di digiuno Gaddo, uno dei miei figli, morì e, uno dopo l'altro, fra il quinto e il sesto giorno, perirono anche gli altri"
Sapevo che poi era morto anche lui di fame o, come diceva la gente, che la fame lo aveva ridotto al punto da divorare la carne dei suoi figli.
Che punizione crudele aveva avuto in vita!
Ammettiamo pure che Ugolino avesse veramente tradito la sua città, Pisa, quando Firenze e Lucca si erano alleate contro di essa, ma i suoi figli....che colpa potevano avere avuto loro, così giovani e così innocenti?
Louis ed io ci allontanammo dai protagonisti di quella tragedia e arrivammo in una zona dove i peccatori giacevano supini, con la faccia rivolta verso l'alto e la parte posteriore del cranio bloccata dal ghiaccio.
La loro posizione impediva alle lacrime di scorrere.
Una specie di visiera di ghiaccio ricopriva la cavità dei loro occhi e impediva che il loro dolore si sfogasse.
Sebbene il freddo avesse tolto ogni sensibilità al mio viso, mi sembrava di avvertire un soffio di vento.
Domandai a Louis chi mai lo potesse produrre, visto che lì, nell'Inferno, non c'erano vapori che il Sole potesse alzare per formare venti.
La mia guida rispose che presto lo avrei scoperto e così avanzammo.
💚💙
Come da lontano appare, in mezzo a una fitta nebbia o dopo il sopraggiungere della notte, un mulino, le cui ruote girano spinte dalle correnti d'aria, mi sembrò di scorgere, aguzzando lo sguardo, una gigantesca macchina.
Soffiava un vento così forte e gelido che fui costretto a ripararmi dietro la mia guida, che avvolse un braccio intorno alla mia vita e mi strinse a sè.
Eravamo ormai giunti nella quarta zona del nono cerchio, la Giudecca.
Là i traditori dei benefattori erano completamente immersi nel ghiaccio, alcuni erano distesi, altri in posizione verticale, o in piedi o capovolti, altri ancora piegati ad arco, con la testa rivolta verso i piedi.
Ad un tratto, Louis si fermò e disse:
" Ecco Lucifero! Ora sì che devi fare appello a tutto il tuo coraggio "
Il terrore mi gelò il sangue nelle vene e quasi morii di paura.
Il sovrano dell'Inferno si ergeva sul lago di ghiaccio dalla metà del petto.
Era enorme, il suo corpo intero doveva certo superare, e di molto, i mille metri.
Pensai che, se quand'era un angelo del Paradiso era stato tanto bello quanto ora era mostruoso, se aveva osato ribellarsi al suo creatore, nonostante fosse stato il prediletto, era naturale che da lui fosse derivato ogni male.
Aveva un'unica testa con tre facce.
Quella davanti era di un color rosso intenso, le altre due spuntavano a metà di ciascuna spalla e si congiungevano alla prima lungo la linea di mezzo della testa, dove alcuni animali hanno la cresta.
Quella sulla destra era giallastra, quella sulla sinistra nera.
Sotto ognuna di esse, uscivano due ali, più grandi di qualunque vela io avessi mai visto.
Non avevano penne, ma sembravano ali di pipistrello.
Lucifero le agitava ininterrottamente e produceva così tre venti gelidi, che trasformavano il lago in uno spesso lastrone di ghiaccio.
Piangeva dai suoi sei occhi lacrime e una schifosa bava sanguinolenta colava dai suoi tre menti.
In ognuna delle sue bocche, stritolava con i denti un peccatore, cosicchè contemporaneamente ne stritolava tre.
Per quello che era dentro la bocca centrale, però, la sofferenza maggiore doveva derivare dal fatto che gli artigli di Lucifero lo graffiavano, tanto che la sua schiena spesso era completamente scorticata.
" Lo spirito che subisce la pena maggiore" mi spiegò Louis " quello che ha la testa nelle fauci di Lucifero e agita di fuori le gambe, è Giuda. Gli altri due, le cui teste penzolano fuori dalle altre bocche, sono Bruto e Cassio "
Quei tre miserabili, dunque, i peccatori peggiori che mai avessero infestato l'umanità, erano colui che, vendendo Cristo, aveva tradito la maestà divina e i due che, principali responsabili dell'uccisione di Giulio Cesare, avevano tradito la maestà umana.
Ero talmente intento ad osservare il terribile spettacolo di Lucifero, che non mi accorsi subito della mano che mi stava accarezzando un braccio.
Alla fine, però, mi voltai e mi trovai davanti il volto triste di Louis.
" Il tuo viaggio è terminato, Harry e sono convinto tu abbia ritrovato te stesso. Ora dobbiamo salutarci e tra poco ritornerai sulla Terra. Ricordati come i peccati possono essere puniti e...e se puoi ricordati un po' anche di me "
I miei occhi si riempirono all'istante di lacrime e volai fra le sue braccia, stringendolo a me.
" Se solo potessi portarti con me, se solo potessi farti tornare a vivere, sono certo che io e te potremmo stare insieme e amarc..."
" Non dirlo " mi zittì Louis mettendomi un dito sulle labbra " ti prego, non farmi soffrire più di quanto non stia già facendo. Sii felice piccolo mio, sii davvero felice e....forse un giorno sarà dolce ricordare anche questo..."
Mi sfiorò la bocca con le sue labbra, gli occhi mi si chiusero e tornai a vedere le stelle.
💚💙
Quando riaprii gli occhi, ero sdraiato in un morbido letto e fuori albeggiava.
Ci misi alcuni istanti, prima di mettere a fuoco l'ambiente intorno a me, ma poi mi resi conto di essere nella mia stanza, nella mia casa, nella mia città, Firenze.
Mi sfregai il volto cercando di tornare padrone di me stesso e, nell'istante in cui fui completamente sveglio, il ricordo di quanto mi era capitato piombò nella mia mente.
Le immagini dell'Inferno, dei dannati che avevo incontrato nei vari gironi e delle pene a cui erano sottoposti, venivano però oscurate da una figura che era ben presente dentro di me.
Gli occhi azzurri di Louis, il suo corpo minuto, la sua gentilezza e la sua dolcezza mi fecero arrivare sul punto di piangere, ma mi trattenni perché non potevo essermi innamorato di uno spirito, dello spirito di un uomo morto da più di mille anni.
Eppure era successo...
Io che non avevo mai avuto una relazione seria, che avevo cercato solo il godimento fisico, mi trovavo ad anelare il contatto e la vicinanza di una persona che non avrei mai potuto avere.
Sospirai sconfitto, mi passai le mani sul volto e mi alzai dal letto.
Mi diressi verso il mio bagno e mi lavai un po', mi vestii e scesi in cucina, dove la donna che mi faceva le pulizie mi aveva preparato la colazione.
Mentre mangiavo, mi resi conto che continuavo a pensare a Louis, invece di riflettere sullo strano viaggio che avevo intrapreso.
Ragionando a mente fredda mi domandai se non mi fossi sognato tutto, ma i ricordi erano troppo vividi nella mia mente per essere frutto solo di un sogno.
Finii ciò che avevo nel piatto e decisi di uscire a fare una passeggiata, perché avevo davvero bisogno di prendere una boccata di aria fresca.
Le strade di Firenze, nonostante fosse ancora presto, erano già piene di gente indaffarata.
C'era chi correva verso il mercato, chi andava in chiesa per la prima messa e chi, come me, semplicemente camminava.
C'erano anche i soliti poveracci a chiedere la carità fuori dal Battistero, ma non ci feci caso più di tanto, finché mi accorsi che, in mezzo al solito gruppo di accattoni, c'era qualcuno di nuovo.
Sembrava giovane, un po' spaesato e teneva in mano un consunto foglio di pergamena su cui stava scrivendo.
Mi avvicinai con curiosità e, non appena riuscii a leggere, mi bloccai.
Il cuore iniziò a battermi furiosamente nel petto e dovetti appoggiarmi al muretto accanto a me per non cadere.
" Quella frase...come..." balbettai in qualche modo.
Il mendicante sollevò il viso e sorrise, mostrandomi due fenomenali occhi azzurri e dei lineamenti che conoscevo bene.
" Come...come è possibile...." sussurrai sgomento, toccandogli i capelli per sincerarmi che fosse in carne e ossa.
" L'amore trionfa sempre e l'amore può fare anche miracoli " mi rispose Louis " anche quelli più inaspettati "
Io sorrisi con gli occhi lucidi, mi inginocchiai davanti a lui, gli presi il viso fra le mani e lo baciai dolcemente sulle labbra.
" Portami a casa, Harry " mi sussurrò in un orecchio " devi raccontarmi cosa ha fatto il mondo nei mille e più anni di storia che sono trascorsi dalla mia morte..."
Io sorrisi, lo aiutai ad alzarsi e, prendendolo sottobraccio, mi avviai verso la mia casa.
Mentre ci allontanavamo, un soffio di vento si alzò improvviso e fece sollevare il pezzo di pergamena su cui Louis stava scrivendo.
Finì nella fontana della piazza e lentamente si sciolse, insieme alle parole che portava con sè...
Forse un giorno sarà dolce ricordare anche questo....
Grazie per aver letto questa storia, è un po' diversa dalle solite che scrivo, ma spero che vi sia piaciuta ugualmente ❤️
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