4.
Nella cittadina di Sandal regnava il silenzio. Non c'era anima viva per le piccole stradine, se non qualche anziano seduto sotto il vialetto d'alberi che costeggiava la strada centrale. L'ingente orologio che decorava la parete del Municipio segnava le ore 10 esatte. Alexis procedeva lentamente, a passi leggeri, come se fosse una turista la prima volta in visita a quel paese, dedita a gustare ogni angolo e ogni dettaglio. La differenza era che Alexis viveva lì da ben 24 anni ed ora la sua mente era persa in mille pensieri. Non poteva ancora capacitarsi di come era andato il primo giorno di tirocinio; ma non per questo voleva arrendersi. Era convinta di quale fosse la sua passione e di cosa avrebbe voluto fare nel più vicino futuro. Ma ogni volta le sue certezze venivano messe in crisi da una voce interiore a lei fin troppo familiare: quella di suo padre. Suo padre che aveva da sempre desiderato una carriera da avvocato per lei; suo padre che le avrebbe subito trovato lavoro dopo la laurea, inserendola nel suo studio. Ed ancora suo padre che implicitamente disprezzava i suoi studi di psicologia. Era per questo che quel giorno Alexis non si avviò direttamente a casa, ma preferì stare sola con se stessa e aspettare il ticchettio dell'orologio alle ore 12 prima di rientrare, l'orario in cui il tirocinio avrebbe dovuto esattamente finire. Di tutto aveva bisogno, tranne delle lamentele di suo padre. Istintivamente estrasse il cellulare dalla borsetta e fece delicatamente scivolare il dito indice sulla rubrica fino ad arrivare alla "M". Si fermò un attimo a pensare che lei era probabilmente una delle poche ragazze che non chiamava il proprio fidanzato "amore", "tesoro" o altro ancora. E questo risultava piuttosto complesso da capire per una come Alexis che aveva da sempre sognato di avere accanto il principe azzurro ed essere la sua principessa. E, come ogni volta, ripeteva a se stessa che lei preferiva chiamarlo Matt. Era il suo Matt. E quel nome racchiudeva molto più di quello che potesse fare la parola amore; una parola così astratta e nello stesso tempo così comune. Troppo comune, che avrebbe portato via l'unicità del suo Matt. Spostò indietro una ciocca di capelli che le copriva il viso, come a lasciare dietro di sé anche quel pensiero che stranamente la turbava, e si decide a schiacciare sul simbolo verde sotto il nome di Matt. Il telefono squillava a vuoto e, non appena Alexis lo allontanò dall'orecchio per chiudere, sentì una voce dall'altra parte: <<Ehi tesoro... Tesoro, mi senti? Sei tu?>>
Alexis sorrise e si affrettò a riavvicinare il cellulare: <<Ciao Matt, sì sono io. Avevo voglia di sentirti.>>
<<Ti hanno permesso di fare una pausa? Come procede? Hanno ammanettato anche te?>> Seguì una risata di gusto, alla quale non fece seguito quella di Alexis che continuò a parlare con tono serio.
<<No, in realtà sto per tornare a casa. Per oggi ho già finito. Non è come mi aspettavo...>>
Dall'altra parte Matt si aspettò che continuasse a spiegargli, ma c'era solo silenzio. E lui, dopo dieci lunghi e fantastici anni accanto a lei, sapeva bene che ogni volta che Alexis si interrompeva all'improvviso -cosa assai rara, ma che avrebbe preferito accadesse più frequentemente, data la loquacità della sua ragazza- c'era qualcosa che non andava. Sentì deglutire e poi sospirare e, pur non vedendola, era certo che stava piangendo. L'avrebbe voluta stringere e tranquillizzarla.
<<Tesoro, per favore, cerca di calmarti. Mi dispiace sentirti così. Purtroppo io sto nel bel mezzo di una riunione di lavoro e non posso raggiungerti. Ma lo farò stasera, così mi racconterai tutto.>>
Alexis provò a ringraziarlo, ma Matt già aveva richiuso il telefono. Ormai aveva imparato ad accettare i suoi difetti, da lui mai ammessi: prima di tutto c'era il lavoro, la sua grande azienda di ingegneria e dopo veniva il resto. E lei, la sua ragazza, faceva parte del resto.
Ormai le ore 12 erano arrivate. Alexis si meravigliò di quanto passasse velocemente il tempo quando stava sola immersa nei suoi pensieri. Questi, spesso troppo turbinosi, erano da sempre stati i suoi migliori compagni. Si avviò verso la strada di casa e improvvisamente le sue mani cominciarono ad essere nuovamente sudate, proprio come le accadde col Dottor Gilbert. Convinse se stessa che poteva farcela a mentire, a far credere a tutta la sua famiglia che il tirocinio era andato alla grande. Intravide da lontano sua madre dietro la finestra che la salutava, le mandava infiniti baci e saltellava su di sé. Nonostante la goffaggine, Claire riuscì a strappare una risata a sua figlia.
<<Ehi gente, sono sopravvissuta!>>, si sforzò di dire sarcasticamente alzando di parecchio il tono della voce.
La madre le corse incontro e la soffocò con un abbraccio. Alexis si abbandonò per poco sul petto della madre, altrimenti avrebbe pianto e singhiozzato. Con fare deciso, si diresse verso la cucina. Il forno emanava un profumo squisito. Ci volle un attimo per comprendere cosa ci fosse: lasagna all'italiana, che Claire utilizzava come sua arma vincente ogni volta che avevano ospiti e come "regalo" per le giornate speciali per sua figlia. E quella sì che lo era! Durante il pranzo Alexis non ebbe difficoltà ad inventarsi chissà che cosa per vedere suo padre sorridere per la sua esperienza: il signor Edmund Castle sembrava più interessato al telegiornale e, quando trasmettevano la pubblicità, estraeva il cellulare dalla tasca e iniziava a maneggiarci borbottando che era pieno di lavoro in quel periodo, come per scusarsi. Che lo stesse facendo volontariamente per non rendersi conto della felicità di sua figlia e per non accettare che aveva fatto la scelta giusta nel seguire la sua passione?! Se in un altro momento quell'atteggiamento l'avrebbe potuta ferire, ora avrebbe solo aiutato maggiormente Alexis.
Dopo aver riordinato la cucina, Claire senza far notare nulla a suo marito, strizzò l'occhio a sua figlia e le fece segno di salire di sopra. Alexis si affrettò a fare le scale e attese seduta a gambe incrociate sul suo letto. Sapeva che tra qualche minuto sarebbe arrivata sua madre. C'era sempre stata molta complicità tra loro e a Claire non sfuggiva mai niente. Eppure Alexis era convinta di aver recitato bene la parte della ragazza soddisfatta di tutto...
Come previsto, Claire arrivò. Indossava ancora il grembiule da cucina sul quale asciugò le sue mani bagnate. Si notava che si era affrettata a pulire tutto per andare a vedere cosa non andava in sua figlia. Si accomodò al bordo del letto e si batté ripetutamente le mani sulle gambe. Alexis sorride teneramente: quel gesto le ricordava quando era piccola e sua nonna desiderava prenderla in braccio. Era un invito implicito, come a dire "vieni qui che ti coccolo io". Ed ora, nonostante fossero passati vent'anni o più da quei ricordi della sua infanzia, non si fece pregare due volte per andare in braccio alla madre. Le gettò le braccia attorno al collo e iniziò a piangere silenziosamente. Claire le accarezzava i capelli e si dondolava leggermente col corpo, con lo stesso movimento che si fa fare alla carrozzina dei neonati per farli addormentare.
<<La mia bambina... ssssh... stai calma...>>, le sussurrava dolcemente all'orecchio.
SPAZIO AUTRICE:
Prima di tutto, vorrei ringraziare voi cari lettori e lettrici arrivati fin qui. Dato che ho iniziato solamente da un paio di giorni, mi trovo ancora all'inizio della storia. Riconosco che potrebbe risultare pesante in questi capitoli e probabilmente poco scorrevole. Ma si tratta di una sorta di retroscena, fondamentale per arrivare al cuore della storia che altrimenti finirebbe subito. Le cose belle, come sarà la storia d'amore che vivrà a breve Alexis, si fanno attendere e non possono accadere già dal primo capitolo. Quindi, miei cari, se la storia vi interessa almeno un pochino -io lo spero tanto- aspettate. Aspettate e vedrete che ne varrà la pena ;) Parola d'autrice!
Nel frattempo, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se mi volete dare consigli per migliorare o tutto quello che vi va. Per chi lo desidera, io ricambierò dando opinioni sulla vostra storia. Un abbraccio a tutti :*
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