Lasciami qui ancora un po'

Il sogno è sempre lo stesso.

I suoi occhi...

Quel sorriso che ti fa sciogliere...

Poi una luce abbagliante...

Un grido...

Il buio...

La puzza di bruciato e quella luce verde e rossa alternata, che mi dava un po' di speranza; infine un grido, il mio, mentre mi sveglio all'improvviso mettendomi seduto, madido di sudore, con la gola secca e gli occhi bagnati.

Ogni giorno, ogni stramaledetto giorno lo rivivo.

Mi ributto sul materasso osservando il soffitto, senza pensieri, senza prospettive. Do un'occhiata veloce alla sveglia, sono le quattro del mattino ed io non ho più un briciolo di sonno.

So che dovrei tentare di continuare a dormire o prendere una di quelle pastiglie che mi faccia riposare, ma non sono mai stato uno che segue le regole.

Mi alzo stiracchiandomi le braccia.

La casa è un disastro; quando tornai dall'ospedale tutto mi sembrava così irreale che quando la consapevolezza dell'accaduto venne a bussare misi tutto sottosopra in un eccesso di ira. Anche se ho provato a riordinare ha ancora l'aspetto di "casa abbandonata".Vi sono alcune sedie rotte accantonate negli angoli, un buco in una parete provocato dal lancio della TV e molte cornici sono prive di vetro, per non parlare del divano inclinato a cui ho rotto due gambe.Se mio fratello non mi avesse dato una mano a pulire sembrerebbe ancora che fosse passato un ciclone.

Infilo rapido la vecchia tuta dell'Inter che ha visto periodi migliori ed esco di casa iniziando a correre, anche se ho le cuffie dietro alla fine non accendo la musica, voglio solo silenzio, voglio ascoltare il cuore che mi batte nelle orecchie fino a scoppiare.

Faccio il solito tragitto che dal mare mi porta sui monti e ritorno, è passata circa un'ora e mezza quando decido di tornare a casa e come un automa vado in bagno infilandomi sotto un getto di doccia fredda.Compio gesti automatici che mi porteranno fuori per iniziare una nuova giornata, una normale giornata lavorativa. Prima di uscire mi do un'ultima occhiata allo specchio, ammetto che il mio aspetto non è dei migliori, ho delle occhiaie da far invidia a Trafalgar Law di One Piece e molto probabilmente ho perso qualche chilo, complice il fatto che salto spesso la pausa pranzo, in questo periodo non ho fame e anche se provassi a mandare qualcosa giù nello stomaco son certo che in pochi secondi sarei a rimettere in uno dei bagno dell'ufficio. Cerco di nascondere al meglio i segni dell'insonnia e metto su la mia nuova maschera, fingere che tutto vada bene ormai mi è diventato fin troppo facile, ma ciò non evita ancora qualche occhiata compassionevole che mi arriva dai colleghi.

Avevo ancora dei giorni da usare per stare a casa, nessuno si aspettava che tornassi così presto in ufficio, sinceramente sarei tornato anche prima se non avessi avuto quel stramaledetto gesso alla gamba e la fisioterapia. Stare qui con i numeri, a fatturare mi aiuta a non pensare. Per qualche ora sono solo io. Un normale ragazzo come gli altri su questa terra, perché il mondo va avanti anche se io non vorrei.

A metà giornata comunque decido di concedermi una pausa e vado in saletta relax, le persone si danno quasi alla fuga quando mi avvicino alle macchinette per prendermi un caffè, anche se vorrei ben altro da bere. Chi rimane fa uso dei soliti convenevoli e poi fugge anch'essa.

So cosa pensano.

Chiudo gli occhi e stritolo il bicchierino di caffè buttandolo furioso nella spazzatura.

Cerco di riacquistare il controllo.

Pensavo che riprendere la routine mi avrebbe aiutato, volevo che tutto tornasse come prima, ma niente può più essere come prima se tu non sei con me.

Stringo gli occhi mentre in un flash rivivo quella sera. Non respiro.

Ti prego fai che questo sia un sogno, fai che tra poco io mi svegli e che ci sia il tuo sorriso ad accogliermi, a dirmi che ho dormito troppo, fai che siano le tue labbra a darmi il buon giorno e che festeggiamo la vita facendo l'amore prima che tu corra all'università e io nel mio ufficio.

Svegliami amore mio perché questo dolore è troppo ed ho solo voglia di urlare, di spaccare tutto, di dare voce a questa rabbia che ho dentro.

Come una sentenza arriva il sabato e come ogni settimana tutti noi, i miei due fratelli con rispettiva famigliola appresso, ci riuniamo per sapere com'è andata la settimana a casa dei nostri genitori.

Questa "tradizione" credo sia iniziata quando mio fratello maggiore iniziò a frequentare l'università ed io e Nicolò abitavamo ancora lì, all'inizio era divertente soprattutto per quel mondo ancora lontano di cui parlava Tommaso. Poi lentamente uno ad uno siamo andati via da casa tutti chi per un motivo chi per l'altro e mia mamma ha voluto mantenerla ed il sabato è diventato un tormento.

Se prima era uno strazio, ora senza di te, con tutti loro che si comportano come niente fosse cambiato... mi sembra di impazzire.

Parcheggio il più lontano possibile dai miei così ho tempo per fumarmi ancora una sigaretta mentre mi dirigo da loro, l'ultima finché non riuscirò a fuggire da lì perché ovviamente in casa vi è il divieto. Mia madre vede le sigarette come se fossero opera del demonio, più di una volta io e miei fratelli ci abbiamo scherzato sopra immaginandocela con l'acqua santa intenta ad andare in giro a benedire chiunque abbia una sigaretta.

Mi spruzzo un po' di profumo in modo che non senta troppo l'odore del tabacco anche se so che servirà a poco.

Un respiro.

Faccia da circostanza e andrà bene, supererò anche questo sabato.

Suono il campanello e attendo sistemandomi meglio la giacca di pelle che mi hai regalato tu.

«Chi è?»

La voce che mi accoglie è quella di un bambino, uno dei gemellini che da quando hanno iniziato a parlare si sono autodenominati "addetti al ricevimento", un leggero sorriso sincero appare sulle mie labbra.

«Il lupo e sono in cerca di due porcellini da mangiare con le mele!»

Sento urlare e correre via dalla porta, trattengo una risata quando viene ad aprirmi mio fratello Tommaso.

«I maialini sono scappati signor lupo però abbiamo le lasagne le vanno bene?»

Entro notando le piccole pesti nascoste dietro le gambe del padre, come se io non potessi vederli, che mi osservano pronte a fuggire ridacchiando.

«Peccato, vedrò di accontentarmi.»

Stranamente tutto sembra procedere per il verso giusto, nostra madre ha solo storto il naso sentendo il leggero odore di tabacco che ho addosso e non ha cercato di convincere Nico ad uscire con qualche "brava ragazza" di sua conoscenza pur sapendo benissimo che a lui non interessano le donne, sembra un normale pranzo e seduto vicino a Zayn e Liam il tempo vola veloce, questi due mocciosi sono instancabili e la loro allegria è contagiosa. Mia cognata, Maddalena, ogni tanto li riprende cercando di fargli mantenere un comportamento adeguato a tavola, più per evitare di litigare con mia madre che perché lei creda realmente che dei bambini di quattro anni possano davvero rimanere fermi e composti a tavola, ma dopo la litigata avuta solo perché lei e Tommaso hanno deciso di chiamarli come due dei membri di una boy band inglese, io non ero presente quel giorno però so che sono volate parole parecchie grosse, cerca in qualche modo di evitare di incrinare ulteriormente il rapporto con la suocera.

«Sei proprio bravo con i bambini Patrick, non ora, ma dovresti proprio deciderti ad averne dei tuoi!»

«Qualcuno vuole del purè?!»

Mio padre tenta di dirottare completamente la conversazione, se pure mia madre ha sottolineato il "non ora" tutti sanno che mi vorrebbe vedere frequentare già qualcuno per questo viene aiutato da entrambi i miei fratelli e persino da Maddalena che si riempiono il piatto di purè iniziando a parlare di quanto sia buono.

Io non reagisco continuo a giocare a "bim bum ban" con i due gemelli presi totalmente dal gioco per accorgersi di quello che sta accadendo.

«Patrick allora?»

Lei non demorde e per poco Nicolò non si strozza con quelle maledetto purè.

Continuo a giocare con i piccoli decidendo di continuare sulla linea presa dal resto della mia famiglia.

«No,grazie ho mangiato a sufficienza!»

Chiunque in quel momento starebbe zitto; beh! Chiunque non avrebbe mai posto quella domanda al sottoscritto, non in questo periodo, ma Loredana Ferro non è chiunque e sperare che eviti di andare avanti è come sperare che inizino a piovere banconote.

«Io parlavo di bambini! Non ora ovvio... ormai hai superato i trenta, è l'ora di avere una famiglia!»

Ora ho due scelte: uno salutare tutti ed andarmene facendo finta di niente; due urlare come un pazzo tutto quello che penso in quel momento.

Vedo alzarsi in contemporanea i miei fratelli pronti ad attaccare prima che lo faccio io, inconsciamente sorrido della cosa, credo che sceglierò l'opzione uno. Il pranzo stava andando bene, non voglio rovinare la giornata a tutti gli altri.

Do un bacio sulla fronte dei miei nipotini, saluto tutti con un gesto della mano ed esco da quella casa il prima possibile prima di dire qualcosa di imperdonabile.

Immediatamente sento i passi di mio padre dietro di me, mi rincorre cercando di raggiungermi, ma non mi fermo continuo diretto verso l'auto.

«Patrick! Mi spiace, sai che non lo fa con cattiveria!»

No...cioè si, lo so, ma fa troppo male.

Mi fermo e mi volto osservandolo, ho le mani in tasca gli rispondo con una semplice alzata di spalle.

«So che quello che stai passando è difficile, ma lei...»

La mai risata lo interrompe, è una risata stridula e nervosa.

«No! Non lo sai! Grazie a Dio non lo sai cosa sto passando!» sto alzando il tono di voce senza accorgermene «e non lo sa nemmeno la mamma. Nessuno di voi sa quello che provo o penso e ne sono grato di questo.Per cui smettetela di compatirmi! Smettetela di voler far finta che mi sono semplicemente lasciato con una ragazza! Io non l'ho lasciata!Lei non ha lasciato me! MI È STATA STRAPPATA VIA!»

La vista si sta appannando.

Lui è fermo immobile davanti a me indeciso se avvicinarsi e abbracciarmi oppure lasciarmi finire di sfogare, ma non gli do il tempo di decidere e mi dirigo nuovamente verso l'auto.

«Ci vediamo sabato prossimo!»

Salgo in macchina e parto sgommando lasciandolo lì da solo sul marciapiede.

Corro.

Sento il sudore scendere lungo la schiena. I muscoli cominciano a dolermi,ma non mi fermo.

Corro!

Dopo quel giorno molte cose sono cambiate, la vista del mare non mi dà più la pace che cerco e nemmeno camminare per i monti, solo correre mi aiuta un po' così ora se non lavoro sono sulla strada a macinare chilometri. Mi stanco così tanto che alla fine ho giusto il tempo di fare una doccia per poi cadere addormentato profondamente aiutato anche da quelle maledette medicine.

Ormai mi sono arreso, mi attacco a tutto pur di non pensare, ho preso ad ignorare anche il cellulare e il fisso. Ho staccato la spina dalla mia vita e corro.

Corro il più lontano possibile da te e da questo vuoto che ho.

Le scarpe da ginnastica hanno la suola consumata e mi sembra quasi di sentire ogni sassolino sul terreno.

Comincio ad avere il fiatone e mi chiedo se avrò la forza per tornare indietro, sono andato più lontano del solito, ho lasciato il mio percorso sicuro allontanandomi il più possibile dalla civiltà. Questa è una zona che conosco poco, ci sono passato giusto qualche volta in auto di fretta; non mi importa ancora non voglio tornare, ancora non voglio sentire la mancanza...

Corro, ma il corpo comincia a non rispondere e incespico cadendo, per fortuna ho dei buoni riflessi ed evito di dare una facciata a terra parando la caduta con le mani.

Mi siedo scomposto ansimando.

Le mani sono sbucciate, il ginocchio destro sta sanguinando ed i pantaloni della tuta sono decisamente da buttare ormai.

Mi sdraio sul selciato e cerco di riprendere un po' di fiato.

Non sento dolore, l'adrenalina che ho in corpo me lo impedisce.

Prendo il pacchetto di salviette umide che ho nel marsupio. Lisa, mia dolce Lisa, preoccupata che potessi mai farmi male correndo mi aveva preparato una specie di kit del pronto soccorso da portare sempre con me quando uscivo, non credevo che l'avrei mai usato.

Pulisco il ginocchio e lo rattoppo alla meglio per poi dare un'occhiata anche alle mani.

L'aria si sta facendo più fresca, è tardi ormai sta arrivando sera ed io ho parecchia strada da fare, sospiro decidendo che è l'ora di tornare indietro.

Con fatica mi alzo, una piccola fitta, ma passa, tutto passa.

Zoppicando inizio a camminare verso casa.

Infondo alla strada, vicino al rio dove si inabissa nella conduttura sotterranea intravedo una ragazza. Indossa un vestito verde e una leggera brezza gli scompiglia i capelli.

Il mio cuore manca un battito.

Accelero il passo, non importa se fa male, voglio andare da lei.

Non ho dubbi, è lei!

Inciampo, cado distraendo lo sguardo solo per un attimo, ma quell'attimo basta perché lei sparisca come è apparsa. In preda al panico mi alzo cercando ugualmente di raggiungere quel punto.

Mi guardo intorno cercandola, nell'aria sento ancora il suo profumo.

Sto impazzendo.

«Fantastico... ora inizio anche ad avere le visioni!»

Mi massaggio le tempie deciso a riprendere a camminare quando sento un leggero guaito. Resto immobile tendendo l'orecchio e seguo il suono cercando con lo sguardo la provenienza.

Nel rio vedo una macchia nera e rossa che cerca di muoversi emettendo piccoli suoni sofferenti. Senza stare a pensarci scendo l'argine e mi precipito dal cane.

«Ciao cucciolo»

Lo osservo attentamente cercando di capire la gravità delle ferite. Subito mi mostra i denti, ma parlandogli dolcemente e con tono calmo lentamente si rilassa e vedendo che non voglio fargli del male, ma aiutarlo cerca di dimostrarmi il suo sollievo provando a muovere leggermente la coda nel tentativo di scodinzolare.

Guardo se ha un collare per sapere come si chiama, ma non ne è provvisto per cui continuo a chiamarlo "cucciolo".

Gli occhi verdi mi guardano come se fossi una bellissima visione, cerca di lanciarmi qualche bacio con quella linguetta rosa come il suo nasino che fa totalmente contrasto con la pelliccia nera come la pece e quelle macchie di sangue.

Afferro il cellulare mentre accarezzo la testa del cucciolone. Scarico.

Maledizione! L'ignorarlo totalmente mi si è rivoltato contro, ora non so che fare.

Ricordo che c'è una clinica veterinaria aperta ventiquattro ore su ventiquattro a circa mezzora da qui ed io non ho idea di come fare a portarlo lì con il mio ginocchio malandato e la sua bella stazza pesante, sarà almeno trenta quaranta kili. Cerco di pensare al da farsi mentre i suoi occhi mi implorano di non lasciarlo.

«Andrà tutto bene piccolo. Ora ti porto via di qui!»

Prendo il kit dalla tasca e gli do una pulita alla bella e meglio per riuscire a vedere se ha ferite esposte da coprire momentaneamente, ne trovo una sulla zampa e con un po' di garza la copro sperando bene, per fortuna ho fatto un corso di pronto soccorso e qualcosa mi ricordo.

Mi levo la giacca a vento dalla vita e la uso per avvolgercelo e sollevarlo. Guaisce, ma mi lecca il viso come a dirmi che va tutto bene.

«Cercherò di fare più attenzione che posso, ma tu non mollare okay?»

Cammino zoppicando, tenendolo stretto a me continuando a tranquillizzare il cucciolo, erano mesi che non parlavo così tanto.

Appena arriviamo nei pressi della clinica mi ritrovo a gridare aiuto, il piccolo non mi risponde più anche se sento che respira se pur faticosamente. Un ragazzo con il camice bianco esce e vedendomi mi aiuta a portarlo dentro.

Immediatamente viene soccorso ed io mi lascio cadere, non tocco a terra solo perché qualcuno mi afferra prima che accada, mi fanno sedere e mi danno da bere, si occupano anche del mio ginocchio, ma io non faccio che chiedere del cane.

Mi dicono che lo stanno operando, che molto probabilmente è stato abbandonato ed è finito sotto una macchina e poi qualcuno lo ha buttato nel rio come se non valesse niente.

Il mio unico pensiero è "ecco un altro angelo attaccato all'asfalto che si trova fra due mondi".

Bevo dell'acqua attendendo che il veterinario mi dica qualcosa. Ho iniziato a piangere e nemmeno me ne sono accorto.

Se chiudo gli occhi mi ritrovo ancora in quella stanza di ospedale, con gli infermieri che cercano di occuparsi di me mentre io urlo il tuo nome.

Mi stropiccio gli occhi e aspetto impotente.

Ti prego fai che almeno lui sopravviva.

Quandomi raggiunge il veterinario fuori è già buio, mi alzo di scatto e trattengo un lamento.

Cucciolo è salvo.

Non ricordo bene come sono tornato a casa quel giorno, ne cosa ho fatto una volta arrivato. Sinceramente ho ricordi poco chiari anche dei giorni seguenti, ho vissuto per un po' in un torpore nel tentativo di trovarmi anche se forse ancora non ci sono riuscito, però ora che mi sento meglio ho preso parecchie decisioni.

Per un po' non andrò al lavoro, ho preso l'aspettativa e non so quanto durerà.

Ogni giorno vado alla clinica per vedere come sta il cane che si è rivelato un terranova di almeno un anno, ovviamente non aveva microchip né tatuaggio. Ho già fatto presente alla clinica la mia decisione di portare via con me questo combattente e loro erano ben felici, ma finché non potrà venire a casa vado io da lui. Non ho ancora deciso il nome, ma vi è tempo.

La casa ora si che ha un altro aspetto. Ho buttato via gli ultimi residui del mio eccesso di ira ed ho anche aggiustato il divano. Ho già preso una cuccia, dei giocattoli e le ciotole per cibo e acqua,il guinzaglio e la pettorina.

Sono soddisfatto, tutto sta riprendendo un po' di senso.

Sorrido avvicinandomi ad una foto che una volta si trovava appesa al muro.

Lisa.

Il suo sorriso allegro mentre mi abbraccia da dietro mi fa stringere il cuore ed ora so che cosa devo fare prima che "cucciolo" venga a vivere con me, prima che possa iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

Mi metto la mia inseparabile giacca di pelle e corro all'auto, corro per modo di dire visto che zoppico ancora dopo la caduta disastrosa di quel giorno. Conosco la strada a memoria, l'ho percorsa molte volte emi dispiace ammetterlo che in molte di quelle volte l'ho fatta con poche buone intenzioni.

Trovo subito parcheggio e prendo un enorme respiro.

Sto facendo la cosa giusta?

Nonne ho idea, ma se voglio andare avanti è un passo che devo fare.

Scendo e mi dirigo deciso al palazzo, caso vuole che in quel momento stia uscendo qualcuno e ne approfitto per entrare evitando così il citofono. Faccio i gradini due a due ed arrivo alla sua porta.

Un attimo di ripensamento, ma alla fine suono.

Mi apre lui indossa una canotta e dei pantaloni beige, ai piedi ha delle pantofole a trama scozzese. Essendo calvo noto bene le rughe perplesse davanti alla mia figura, non mi ha minimamente riconosciuto. Continua a masticare quella gomma fissandomi.

«Chi sei?»

«Il mio nome è Patrick e sono il tipo che guidava la macchina che lei quella sera ha preso in pieno guidando ubriaco e contro mano» non gli do il tempo di reagire che tiro fuori una foto mostrandogliela «Questa è la donna con cui volevo passare il resto della mia vita!Il suo nome era Lisa. Sognava di diventare una veterinaria e intanto appena poteva lavorava come barista, soprattutto il week end, per potersi mantenere gli studi ed aiutare i suoi genitori. Amava gli animali ed amava leggere. Quella sera stavamo tornando dalla festa del suo compleanno. Aveva appena compiuto ventun anni.»

Faccio in modo che afferri la foto e che guardi bene il volto della persona a cui ha tolto la vita, sta per dire qualcosa, ma lo interrompo ancora.

«So che le han tolto la patente, ma non mi basta. Non sa quante volte avrei voluto venire qui e spaccargli la faccia!» lo guardo negli occhi e lui abbassa subito lo sguardo «voglio lasciarle questa foto così la prossima volta che salirà su un'auto, la prossima volta che berrà un bicchiere di troppo. Si ricorderà di lei e della vita che non ha potuto avere!»

Mene vado lasciandolo sulla soglia con la fotografia di Lisa in mano.

Forse è strano ma mi sento più leggero.

È passato un anno.

Oggi è il suo compleanno, l'anniversario della sua morte.

Sono seduto sulla sabbia con Nettuno che corre sulla battigia rincorrendole onde. Avevo pensato parecchio al nome, ma al primo bagno che gli feci capii immediatamente quale doveva essere, per un amante dell'acqua non mi sembra esista nome più appropriato.

Ridacchio osservandolo.

«Voi due sareste andati molto d'accordo...»

Sento una mano delicata, la sua mano, che mi sfiora la schiena, appoggia la testa sulla mia spalla e il profumo del bagno schiuma all'albicocca che mi invade le narici.

Un giorno.

Si,un giorno il mondo riprenderà a girare anche per me, ma per ora la sciatemi ancora un po' qui.

Noi tre insieme, come avrebbe dovuto essere.

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Volevo rimettermi a scrivere per bene, ritornare un po' in gioco, e qual'è il modo migliore se non iscriversi ad un contest?!

Quindi eccomi qui con una OneShot che partecipa al contest "songfic per sognare" di cheshirecatcontests con il pacchetto "morire a 20 anni".

Sperando che la storia vi sia piaciuta almeno un po'...

Grazie per aver letto ❤

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