3.7 Hush, little baby, don't say a word
Dopo un primo moto di stupore, le due ragazze si precipitarono dentro la stanza. Il loro impeto, però, fu immediatamente soffocato da un ostacolo del tutto inatteso: appena superata la soglia furono costrette ad arrestarsi di fronte a una parete impenetrabile e trasparente.
"Raven", gemette Swan con voce soffocata, picchiando con violenza il palmo contro la superficie che li separava.
Il ragazzo scrollò lievemente il capo e sbatté un paio di volte le palpebre. Per qualche istante rimase immobile, senza riuscire a mettere a fuoco la situazione. Attraverso la fitta nebbia che gli avvolgeva i sensi, solo una percezione riuscì a raggiungerlo in maniera distinta: la pressione dell'Aria si era fatta più debole, meno soffocante. Quell'impressione lo convinse a radunare le ultime forze e a destarsi dal suo torpore. Si girò su un fianco con un gesto stanco ma, appena riconobbe Swan e Ailleann, si tirò su di scatto. Senza nemmeno pensarci, appoggiò la mano sulla parete sopra quella di Swan, come se avesse potuto toccarla.
La ragazza si concesse un lieve sospiro di sollievo, rincuorata da quella reazione.
"Raven", ripeté, "stai bene?".
"Sono tutto intero. Anche se non credo di essere al meglio delle mie possibilità".
Si era sforzato di rispondere con il solito accento ironico, ma il suo sguardo ridivenne subito serio quando incrociò il viso di Ailleann.
"Avete trovato Charles?".
"No", rispose lei con tono desolato. "Phoenix è di sotto, diretto al salone principale, ma non so nulla di...".
"Non è lì", la interruppe Raven con urgenza.
Passò rapidamente gli occhi dall'una all'altra, come per essere sicuro di avere tutta la loro attenzione.
"Dovete scendere al piano interrato. Swan, tu sai come arrivare".
Lei increspò le labbra con aria perplessa.
"Dove c'è lo studio di Eagle?", domandò.
"Sì. Deve esserci una stanza, probabilmente in corrispondenza di questa. A questo punto, suppongo che tu abbia le chiavi, anche se non riesco a immaginare come te le sia procurate".
"Meglio così", fu la risposta che Swan mormorò quasi tra sé e sé.
Raven le lanciò un'occhiata di traverso, sospettosa e preoccupata al contempo, ma non era quello il momento per fare domande, anche se era abbastanza certo che non ne avrebbe avuto un altro.
"Allora andate", disse. "Se Phoenix è già nel salone centrale, non avete molto tempo. Correte giù e recuperate Charles. È probabile che ci sia dell'acqua a protezione, ma disfartene sarà un gioco da ragazzi per te, Swan".
Le lanciò un sorriso mentre pronunciava il suo nome, poi si staccò dalla parete e fece un passo indietro, come se avesse voluto guardarle bene per l'ultima volta.
"Io non ti lascio qui", scandì lei, interrompendo quell'insolito momento che voleva somigliare a un commiato.
Il viso di Raven si contrasse in una smorfia di disappunto che lui cercò di nascondere come poteva.
"Non essere stupida! Non ci sono chiavi per questa", sbottò indicando la gabbia che lo circondava. "È meccanica e voi non avete il tempo per mettervi a cercare il congegno che la controlla".
"Non puoi provare a mandarla in pezzi?".
Lui non si prese nemmeno la pena di considerare la questione. Si limitò ad assumere un'espressione severa e, ignorando lo sguardo di lei che traboccava di infelicità, sbatté entrambe le mani contro la superficie trasparente, guardandola con occhi di brace.
"Andate subito a cercare Charles!", ordinò secco.
Swan lo ripagò con la stessa moneta, trascurando del tutto le sue parole e il tono feroce con il quale erano state pronunciate. Con una calma sovrannaturale, si avvicinò alla parete fin quasi a sfiorarla con tutto il corpo. Fece aderire i palmi alla lastra fredda, sovrapponendoli esattamente a quelli di lui, e rimase a fissare un punto vago ai suoi piedi, sfuggendo il suo sguardo.
"Non hai abbastanza forza", considerò piano, rispondendo da sola alla propria domanda. "Non riesci a stabilire un contatto con la Terra".
"Ti ho detto di andare a prendere Charles!".
Raven tentò una volta ancora di richiamarla alla propria volontà, ma Swan sembrava assorta nei suoi pensieri. Nell'assurdo tentativo di toccarla, premette ancora di più le mani contro la lastra con disperazione, ma ne ottenne solo che lei sollevasse lo sguardo e incrociasse le iridi azzurre con le sue. I suoi occhi erano pieni di una strana dolcezza, di una luce distante che oscillava glauca e vaga. Le sue labbra, ancora pallide e insicure, si schiusero piano come petali di un fiore e iniziarono a scandire pacatamente una lenta litania.
"Quómodo descendit imber et nix de caelo...".
Appena cominciò a recitare la formula, Raven si sentì afferrare da una forza sconosciuta e irresistibile, che lo obbligò suo malgrado a restare incollato al movimento della sua bocca, al legame rovente che serrava le loro mani al di là di ogni fisica distanza. Lo stava avvinghiando e ancorando a sé, e in quell'istante ebbe paura. Non per se stesso, ma per lei.
"Che stai facendo?", le gridò contro, spinto da un sentimento indicibile che mescolava tormento e sconforto.
Swan non lo ascoltò. Aveva già smesso di farlo da un pezzo, d'altronde, e proseguì con la stessa ostinazione.
"Sed inébriat terram et infúndit eam et germináre eam facit...".
"Lascia perdere! Non conosci la procedura, potrebbe essere pericoloso!".
Come se quell'esclamazione l'avesse risvegliata da un sogno, la ragazza sbatté le ciglia e interruppe la sua recitazione. Per un attimo sembrò rivalutare la situazione, come se solo a quel punto ne avesse realizzato l'effettiva concretezza, ma subito dopo gli indirizzò un sorriso.
"Non è vero", rispose lieve, con tranquillità. "È un seme piantato nella mia memoria, e sei stato tu a mettercelo".
Poi, come se quella sospensione non fosse stata parte dello scorrere del tempo e della loro stessa realtà, socchiuse di nuovo le palpebre e ricominciò a scandire la formula con ancor più intensità.
Raven, in quel momento, rimase a bocca aperta nell'osservarle il viso: Swan sembrava quasi brillare. La sua pelle scintillava, trasfigurando il suo aspetto abituale. Se tutte le volte che in passato aveva perso il controllo, si era trasformata in una Gorgone, quella volta era quasi eterea e la forza con la quale lo stava trascinando era incredibile. Non stava proiettando i suoi strali d'acqua all'esterno, glieli stava facendo entrare dentro, nella pelle, nel petto, nel cuore. Parola dopo parola, suono dopo suono, stava risvegliando il potere che era in lui, così come lui aveva fatto in principio con lei. E la Terra stava rispondendo al suo Elemento affine.
"Sed fáciet quæcúmque vólui!".
Tutto in Raven sembrò esplodere, a quell'ultima frase. La forza di un vulcano scaturì dalle sue mani e si diffuse con un tremore irrefrenabile sulla parete cui erano ancorati. Le crepe si rincorsero, incrociandosi ed allontanandosi, fino a quando la superficie andò in frantumi, crollando ai loro piedi. Anche lui cadde, svuotato da quell'esercizio di potere e dalla forza che aveva lasciato scorrere attraverso il suo corpo fiaccato dagli ultimi avvenimenti. Swan, invece, si era tirata indietro subito prima che la parete si spaccasse e aveva spinto via Ailleann perché non venisse colpita accidentalmente dalle schegge.
Quando il rumore della materia infranta si disperse, Swan osservò quasi con meraviglia la gabbia distrutta. Ancora incredula, cercò un qualsiasi appoggio e si lasciò andare contro la porta, nel tentativo di riprendere fiato e recuperare le forze. Incapace di dire o fare nulla, rimase imbambolata a fissare Ailleann che, nel frattempo, aveva spostato i frammenti che la ostacolavano, era salita sul piano su cui giaceva Raven e lo aveva preso tra le braccia.
Con enorme sollievo di entrambe, lui aprì subito gli occhi. Il suo primo pensiero fu quello di cercare Swan con lo sguardo e di sorriderle debolmente.
"Adesso vai, corri!", la esortò.
Lei non replicò. Annuì con decisione e si mosse.
Cominciò a correre lungo il corridoio, quindi giù per le scale. Nel silenzio innaturale che si era ricostruito nella stanza, Raven seguì il suono dei passi che si disperdeva. Socchiuse le palpebre e sospirò, piegando le labbra in un'espressione che somigliava alla felicità. Non aveva ancora abbastanza forza per tirarsi in piedi, ma forse gliene era rimasta a sufficienza per non arrendersi. Doveva solo concentrarsi.
Aprì le ciglia di scatto e, con sua enorme sorpresa, realizzò di essere ancora appoggiato sulle gambe di Ailleann, che sembrava intenta a studiargli il viso con un velo di preoccupazione.
"Che fai ancora qui?", mormorò con voce confusa.
Lei gli rivolse un sorriso dall'alto e non rispose. Si limitò a scostargli una ciocca corvina dalla fronte, senza sottrarsi al suo sguardo indagatore.
"Vai con Swan", proseguì lui, sforzandosi di essere incisivo anche se il fiato gli mancava e il respiro mozzato lo faceva parlare con difficoltà. "Io me la caverò come sempre".
La donna scosse il capo lievemente, continuando a sfiorargli i capelli.
"Swan si muoverà molto meglio senza di me. È più capace di soccorrere Charles di quanto non lo sia io, in questo frangente. E noi andremo via tutti insieme o non andremo da nessuna parte".
Il tono con cui pronunciò quelle parole fece vibrare qualcosa nel cuore di lui. Una corda che era rimasta inerte da tutta una vita, al punto che aveva persino dimenticato di possederla. Sollevò il braccio, le catturò la mano con la propria e la obbligò a interrompere il suo gesto.
"Aillean", scandì guardandola negli occhi, "il tuo posto non è qui. È accanto a tuo figlio".
"Anche tu sei il figlio di qualcuno, Raven. Sono sicura che tua madre, dovunque si trovi adesso, non vorrebbe saperti da solo".
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SOUNDTRACK
Il brano che ho scelto per questo capitolo è Enter Sandman dei Metallica (però nella versione più "tranquilla" di Alessia Cara & The Warning).
È una famosissima "ninnananna horror", se così si può dire, ispirata alla figura folkloristica di Sandman, l'Omino della Sabbia. Nei paesi nordici è tradizionalmente un personaggio benigno, un ragazzino che sparge polvere magica sugli occhi dei bambini durante il sonno. Qui diventa invece una minaccia e l'incarnazione di ogni incubo. Nel testo della canzone sono stati anche inseriti dei versi ispirati a Now I Lay Me Down to Sleep, una preghiera da recitare prima di andare a letto che le mamme insegnano tradizionalmente ai propri figli e che risale al XVIII secolo.
"Say your prayers, little one / Don't forget, my son / To include everyone
Tuck you in, warm within / Keep you free from sin / 'Til the sandman, he comes
Sleep with one eye open / Gripping your pillow tight
Exit light / Enter night / Take my hand / We're off to never-never land
Something's wrong, shut the light / Heavy thoughts tonight / And they aren't of Snow White
Dreams of war, dreams of liars / Dreams of dragon's fire / And of things that will bite, yeah
Sleep with one eye open / Gripping your pillow tight
Exit light / Enter night / Take my hand / We're off to never-never land
Now I lay me down to sleep / I pray the Lord my soul to keep / If I die before I wake / I pray the Lord my soul to take
Hush, little baby, don't say a word / And never mind that noise you heard / It's just the beasts under your bed / In your closet, in your head"
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