3.9 What strength I have's mine own
Il suono, intenso e fastidioso, li sorprese mentre scendevano le scale, diretti al piano interrato. Si arrestarono di colpo, in dubbio su cosa aspettarsi da quel segnale che continuava a risuonare insistente, richiamando l'attenzione di chiunque si trovasse all'interno della villa.
Dopo un attimo di esitazione, Raven si lasciò sfuggire un'imprecazione, afferrò la mano di Ailleann e iniziò a correre come se il Diavolo in persona li stesse inseguendo.
Quando raggiunsero il sotterraneo, c'era una sola stanza illuminata dalla luce elettrica, quella in cui si rifugiava Eagle quando doveva studiare o controllare i cambiamenti atmosferici. Il ragazzo si precipitò in quella direzione, poi si arrestò sulla porta con un movimento brusco e nervoso.
"Diamine, Swan!", sbraitò, nonostante la corsa gli avesse mozzato il fiato. "Se volevi che ti trovassero subito, potevi pure lasciargli un biglietto con le istruzioni".
Lei si girò di scatto, rivolgendo loro uno sguardo distratto. Era rossa in viso e del tutto fuori controllo.
"Non ho le chiavi!", gli gridò contro, senza badare alla sua osservazione.
Prevedibile. Sarebbe stato troppo facile.
Raven evitò di esprimere quel pensiero ad alta voce e si mosse verso di lei. Qualcosa scricchiolò sotto la sua suola al primo passo. Il ragazzo si fissò le scarpe, poi sollevò lo sguardo per fotografare meglio la scena che li circondava. Una poltrona a rotelle era riversa sul pavimento mentre Swan continuava a fissare un grande pannello sulla parete. Respirava a fatica, per l'ansia e per lo sforzo fatto di distruggere la barriera che la separava dal quadro pieno di leve, led colorati e manopole. Il vetro di protezione era stato ridotto in pezzi da qualcosa che somigliava alla furia o alla disperazione, e quella era probabilmente la causa della sirena che non cessava di torturare loro le orecchie.
"Non ho le dannate chiavi di quella stanza e non ci capisco niente di tutte queste levette!", urlò con voce isterica.
Doveva essere andata fuori di testa nel tentativo di trovare una soluzione che non le sembrava alla sua portata. Raven lo comprese immediatamente dalla sua espressione. Era pur sempre la sua piccola Swan, che perdeva le staffe di fronte alle situazioni complicate. Non aveva senso arrabbiarsi con lei.
Con un gesto fermo e gentile allo stesso tempo, le suggerì di farsi da parte, calpestò i vetri del pavimento e si mise a studiare il pannello con la sua solita, incomprensibile calma.
"Allora... niente chiavi", mormorò mentre le due donne non staccavano gli occhi da lui. "È meccanico, come sospettavo".
Si voltò rapidamente verso Swan.
"Vai in corridoio e stai di guardia. Se arriva qualcuno, sbarazzatene".
Lei sgranò gli occhi, ma lui non se ne avvide, perché la sua attenzione si era già rivolta al problema che gli stava di fronte.
"Sbarazzarmene? E in che modo?".
"Che ne so...", rispose distratto, mentre i suoi occhi iniziavano a sondare gli elementi del pannello. "Affogalo".
Swan si zittì di colpo.
Affogare qualcuno? Di nuovo?
Raven la faceva sempre facile perché alla fine non era mai lui, quello che si sporcava le mani. Lui era quello che muoveva le pedine restando immobile. Sempre in equilibrio. Provò l'impulso di rispondergli male, ma si frenò. Non aveva alternative e non aveva tempo. Girò sui tacchi sbuffando e andò a prendere il suo posto nel corridoio, mentre il ragazzo riusciva finalmente a concentrarsi sul quadro di controllo.
"Ailleann", la chiamò con una strana rilassatezza nella voce e senza nemmeno voltarsi, "Charles è nella stanza qui accanto. Vai lì e tieniti pronta".
Lei obbedì senza una parola.
Raven rimase solo nella stanza. L'allarme risuonava senza sosta. Già da solo quel rumore sarebbe stato capace di esaurire la pazienza di un santo, senza considerare che la testa gli pulsava per il dolore. Fece appello a tutta la sua capacità di autocontrollo per non impazzire.
"Meccanico", ripeté a se stesso come un incoraggiamento. "Sono solo ingranaggi, ne verremo a capo".
Cominciò a ruotare delicatamente un paio di rotelle. Se solo ci fosse stato silenzio, avrebbe potuto udire qualche suono utile, ma in quelle condizioni era impossibile. Poggiò il palmo sinistro sulla parete, facendolo aderire alla superficie. Era l'unica opportunità che gli restava per tentare di sentire.
֍
Il suono di una sirena riecheggiava prepotente, riempiendo ogni angolo dell'edificio. L'allarme era scattato da qualche parte e ululava, reclamando la loro attenzione.
Il cuore balzò nel petto di Phoenix: quel segnale era salvezza o caduta? La speranza gli sussurrava che Charles era stato salvato, che era stata quella fuga a farlo attivare. La paura gli urlava invece che erano stati tutti scoperti o, peggio, già presi.
Qualunque fosse la risposta, lui non aveva che un'unica scelta: impedire a chiunque di uscire da quella sala. Se gli altri stavano scappando, avrebbe impedito che li inseguissero. Se li avevano già catturati... be', in quel caso nessuno avrebbe lasciato quel luogo. Mai più.
Allontanò le mani dalle orecchie, permettendo a quel frastuono di invadergli la testa. Si accorse che attorno a lui si era diffuso il medesimo stupore e lo stesso sgomento. Era evidente che nessuno si era aspettato quell'evento, la cui causa e i cui effetti non erano ancora chiari. Forse era la sua occasione.
Mentre quel pensiero lo attraversava, dandogli speranza, una tremenda scossa lo fece sobbalzare. Il pavimento si spaccò sotto i suoi piedi, sollevandosi con una violenza tale da fargli perdere l'equilibrio.
Phoenix cadde per terra e il suo sguardo carico d'odio si sollevò immediatamente a cercare il responsabile di quell'attacco. Il ragazzo gli stava ancora di fronte e lo osservava con uno strano sorriso a rigargli la faccia imberbe e innocente. Aveva tutta l'aria di non volersi fermare. Era calmissimo, quasi indifferente a tutto ciò che lo circondava, e sembrava deciso ad andare fino in fondo a quell'assalto.
L'irlandese sputò una bestemmia e si puntellò con forza al suolo per rialzarsi, ma subito cambiò idea.
Stenditi, è più facile, gli aveva detto una volta Raven, quando il mondo sembrava sul punto di finire. Cercare di contrastare il movimento della Terra avrebbe soltanto reso più complicato il suo compito. Se non avesse fatto resistenza al suolo, invece, avrebbe potuto sopportare quelle scosse.
Rimase fermo dov'era e si preparò a scatenare il suo potere. Le sue pareti di fuoco ardevano ancora lungo i lati della stanza. Non doveva far altro che alimentarle, renderle più robuste.
"Auges...".
Phoenix non riuscì a completare il suo ordine. Le fiamme si spensero di colpo e la sala, privata bruscamente del guizzante bagliore del suo Elemento, ripiombò in una luce grigiastra e opaca, che impediva di scorgerne il fondo. Il ragazzo rimase senza fiato di fronte a quella nuova sorpresa.
"Conflagra", biascicò senza troppa convinzione.
Una lingua di fuoco si sollevò di fronte a lui e ondeggiò indecisa come il suo Custode, l'attimo prima di crepitare e sparire, soffocata da un violento scroscio d'acqua.
֍
Raven girò ancora una volta i comandi, provando l'ennesima combinazione. Aveva perso il conto dei tentativi e probabilmente non stava facendo altro che replicare un fallimento, ma non aveva tempo per prendere appunti. Doveva proseguire a ogni costo.
Una lieve vibrazione, percettibile solo a lui, gli si trasmise alla pelle. Si concentrò: forse aveva azzeccato l'inizio della giusta sequenza. Tentò un paio di volte di replicare quel movimento, cercò di calcolare mentalmente la rotazione e alla fine percepì il clic che stava aspettando.
Senza perdere nemmeno un istante, si precipitò fuori e raggiunse Ailleann, che fremeva nell'attesa. Fece presa sulla porta e iniziò a spingerla verso il vano interno del muro. Lei, indovinando le sue intenzioni, poggiò le mani accanto a quelle del ragazzo e cercò di aiutarlo.
Swan, pochi metri più in là, faceva vagare nervosamente lo sguardo dalla fine delle scale all'ingresso che loro stavano forzando. Le sembrava che quell'operazione stesse durando un'eternità, anche se il tempo scorreva a una velocità diversa da quella del suo cuore.
Istante dopo istante, temeva di vedere arrivare qualcuno. Qualcuno che l'avrebbe uccisa o qualcuno che avrebbe dovuto condannare a morte. Avrebbe voluto urlare a Raven di sbrigarsi, che non avrebbe retto ancora a lungo a quello strazio, ma il fiato non era abbastanza.
Finalmente la porta si insinuò nella guida e cominciò a scorrere. Ailleann staccò le dita dalla superficie fredda e se le portò alla bocca, soffocando un singulto: Charles era al centro di una stanza rivestita da pareti metalliche ed era bagnato fradicio. Dal soffitto pioveva acqua come fosse stato un temporale.
"Non preoccuparti", la rassicurò Raven. "È stata Swan a far scattare le misure di contenimento, qualche minuto fa".
Il suono della sua voce le sfiorò appena le orecchie. Ailleann si era già precipitata all'interno e aveva stretto il bambino in un abbraccio disperato, tentando di proteggerlo con il suo corpo. Raven entrò dietro di lei e, incurante dell'acqua che cominciava a scivolargli sui capelli d'inchiostro e sulla camicia, si arrestò di fronte a quella scena, rinunciando a pronunciare qualsiasi parola.
֍
Phoenix sgranò gli occhi. Non riusciva quasi a credere a ciò che stava vedendo.
Una bambina!
Era una mossa estremamente sgradevole e del tutto scorretta. Poteva avere qualche anno più di Charles, a voler esagerare. Occhi azzurri, capelli d'argento, la stessa espressione spaurita che aveva Swan quando si sentiva persa. Per una frazione di secondo Phoenix pensò di poter piangere e un attimo dopo di poter urlare, ma il dolore si tramutò invece in pura rabbia.
Stavano mettendo in crisi la sua coscienza. Stavano giocando sporco e senza nemmeno prendersi la pena di nascondere le proprie intenzioni. Sapevano quali corde del cuore avrebbe fatto vibrare quella creaturina eterea e pericolosa.
Restò immobile, senza far nulla, mentre la piccola teneva la mano sollevata davanti al viso, le dita leggermente aperte e tremanti, pronta a bloccare qualsiasi suo tentativo di evocare la Fiamma.
Passò uno sguardo arrendevole da lei all'altro ragazzino, che si era posizionato al suo fianco e sembrava curioso di osservare l'esito di quello scontro.
La Terra poteva sottometterla, ma l'Acqua? E se anche avesse deciso di farlo, a che prezzo?
Lei era solo una bambina, lui poco più di quello, e non avevano colpa, proprio come Charles. Che avrebbe dovuto fare?
Cercò disperatamente di tornare indietro con la memoria, alle noiose lezioni di Raven, agli incoraggiamenti di Eagle, a tutte quelle parole che aveva lasciato scorrere nelle lunghe giornate trascorse a Fulham, pensando che mai gli sarebbero potute tornare utili. Avrebbe voluto recuperare in quel passato la chiave per aggiustare il presente, ma non trovò che un'unica risposta alla sua penosa domanda.
Con l'anima lacerata, Phoenix decise che era finito il momento delle incertezze. In realtà era più corretto pensare che era finito il momento per qualsiasi cosa, ma probabilmente nessuno dei presenti l'avrebbe saputo mai, compreso lui. Attendere oltre non aveva senso.
"È cinquanta e cinquanta", mormorò.
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NOTE
Il titolo ci riporta a un personaggio citato qualche capitolo fa, quando Eagle ha scatenato la sua "tempesta perfetta". È il verso del famoso monologo finale di Prospero ne La Tempesta di Shakespeare, quando il mago descrive la perdita dei suoi poteri magici:
Now my charms are all o'erthrown,
And what strength I have's mine own
Ora i miei incanti son tutti spezzati,
e quella forza che ho è mia soltanto
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