3.3 Come Hell or High Water
Swan si sentì chiamare e sollevò il capo sorpresa. In quella notte lovecraftiana mancavano solo le allucinazioni, poi il quadro della sua follia sarebbe stato al completo.
Sbatté le palpebre un paio di volte per essere sicura. No, non era pazza: erano proprio davanti a lei. Erano tornati indietro. Tutti e tre.
"Coraggio, pulcino!", esclamò Phoenix, tendendole una mano. "È ora di andare a casa".
Lei si levò in piedi, riscuotendosi dalla sua immobilità come da un sogno. Appena le sue dita si strinsero attorno a quelle di lui, però, percepì qualcosa di inquietante che la fece vacillare: il calore della Fenice stava crescendo e iniziava a irradiarsi attorno al ragazzo. Non le serviva nemmeno essere il suo spirito affine per rendersene conto.
Passò un rapido sguardo allarmato su Eagle e Aillean. L'espressione plumbea dell'uno e il silenzio dell'altra le diedero un'idea abbastanza verosimile di quali fossero state le loro discussioni e di come il piano originale ne fosse uscito irrimediabilmente mutato. Sopra ogni altra cosa, le diedero la certezza di quali fossero a quel punto le loro intenzioni.
Prima che la sua volontà riuscisse a imporre loro un ferreo controllo, i suoi occhi azzurri corsero a cercare quelli dorati di Eagle. Non era mai stato bravo a nascondere le emozioni e il più delle volte non si curava nemmeno di farlo, ma lei aveva comunque imparato nel tempo a cogliere anche la più piccola ombra di trasalimento sul suo viso. Il larvato turbamento che vi scorse in quel momento le attraversò lo stomaco da parte a parte.
Per un istante rimase ancorata al suo sguardo, al suo tormento, senza riuscire a staccarsene. Provò l'istinto di abbracciarlo, di serrargli la testa contro il suo petto, di affondare il viso tra i suoi capelli biondi e di restare in silenzio avvinghiata a lui, a scambiarsi il dolore, perché diviso in due risultasse più lieve.
Combatté contro quella tentazione e non si mosse, sforzandosi piuttosto di concentrare tutta la sua attenzione sull'irlandese. C'era qualcosa di terribilmente diverso nel suo aspetto, qualcosa di sbagliato. Non era il solito Phoenix, il Phoenix che lei conosceva. Era freddo e calmo, e non avrebbe dovuto esserlo. Non era mai riuscito a esserlo. Eppure Swan era sicura di averla sentita, l'ira terribile che divampava in lui. Sarebbe stata pronta a giurarlo: era ben nascosta da qualche parte ed era talmente bruciante da poter togliere la ragione anche al più saggio.
Quel contrasto tra ciò che vedeva e ciò che percepiva non fece altro che accentuare i suoi timori. In testa le era balenato nitido il ricordo di un'altra volta, dell'unica volta in cui aveva avvertito con allarmante chiarezza lo stridio acuto di quella lotta: lei era entrata nella Sala Grande, ancora sconvolta dall'ultima discussione avuta con Raven, e Phoenix stava misurando nervosamente la lunghezza della parete a grandi passi. In quell'istante i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta.
Erano trascorsi quasi sette anni da allora. Un battito d'ali per certi versi, un'eternità per altri. Lui era la versione appena invecchiata di se stesso, ma non aveva perso quell'aspetto da leone in gabbia. Fulham, l'Opera, il tempo che ne era seguito lo avevano forse sconfitto, ma non domato. Era segnato dal dolore per ciò che aveva perduto e per quanto ancora avrebbe dovuto perdere, rassegnato forse all'idea di dover convivere con qualcosa di violento e incomprensibile, ma ancora pronto a sbranare il suo incauto domatore al primo brandello di distrazione. Quando ciò fosse accaduto, la calma apparente sarebbe scivolata via come carta spazzata dal vento, e la sua furia sarebbe stata incontenibile e cieca di fronte a chiunque.
Di colpo comprese che la fretta e l'agitazione esibite da Phoenix quando si era rifiutata di fuggire erano solo un modo per lui di non cedere a quella tentazione. Stava obbligando se stesso a spostarsi lontano, quanto più possibile, dalla fonte della sua rabbia. Era profondamente consapevole della portata del danno di cui era capace. Era una bomba già armata. Nel momento in cui lei, Swan, aveva invertito il corso di quella notte, non aveva fatto altro che dare fuoco alla miccia.
In quel momento provò un profondo dispiacere per se stessa, per Eagle, per Aillean e Charles. E per Raven, dovunque egli fosse. Perché, dal momento che Phoenix aveva deciso di tornare sui suoi passi, non si sarebbe fermato, né ci sarebbe stato qualcuno capace di farlo.
Prese fiato e sollevò le ciglia di scatto.
"Cosa dobbiamo fare?", domandò senza altri inutili preamboli.
Lui considerò la sua espressione decisa e le ricambiò l'occhiata, come per comunicarle che si erano intesi alla perfezione.
"Io vado dentro. Tu e Eagle resterete fuori, a controllare il perimetro da una parte e dall'altra. Qualche topo cercherà sicuramente di scappare e qualcosa potrebbe andare storto, quindi serviranno i vostri occhi e le vostre orecchie. Serviranno tutti i vostri sensi, qua fuori".
Swan si portò un dito alle labbra e piegò il capo, come se stesse mentalmente calcolando il divario smisurato che esisteva tra le loro capacità e l'immensa area occupata dalla villa.
"Non abbiamo Raven", osservò perplessa.
"Se avesse ancora l'opportunità di annoiarci con la sua insopportabile presunzione, Coso risponderebbe che tre è maggiore di quattro... o una roba del genere, insomma", ribatté il ragazzo con prontezza e con un sorrisetto da canaglia, come a voler sminuire quella sua considerazione.
Lei scosse il capo con aria accigliata.
"Non puoi comunque fare tutto da solo".
"Certo che non può fare tutto da solo".
La voce di Ailleann, cristallina nella fosca bruma di quella notte pesante, obbligò gli altri tre a guardarla nello stesso istante. L'espressione di Phoenix si incupì.
"Ailleann", mormorò come se si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento. "Tu dovresti...".
"Io dovrei venire dentro con te", lo interruppe senza esitazione.
Lui contrasse le dita in un pugno senza nemmeno rendersene conto.
"Tu dovresti restarne fuori. Prendere la macchina e andare in un posto sicuro".
"Sicuro?", replicò lei con una smorfia di disappunto. "Esisterà un posto sicuro quando avrete scatenato l'Apocalisse in miniatura?".
Phoenix si sforzò di ignorare il suo sguardo acceso e l'accento pungente delle sue parole. Non voleva perdere la calma tanto faticosamente mantenuta proprio a causa di sua moglie.
"Dopo che avrò... Se tutto dovesse andare come previsto, dopo Eagle e Swan potrebbero avere bisogno di te".
La ragazza si limitò a fissarlo glaciale mentre scuoteva il capo in un lungo gesto di diniego.
"Hai sposato una vera irlandese, Charles, ricordi? Ho accettato di prendere un volo prenotato dal mio fidanzato morto da un anno. Non ho battuto ciglio quando mi hai raccontato di esserti acceso come una torcia e di avere invertito la polarità della Terra. Ho messo al mondo e cresciuto un figlio sapendo che avrebbero potuto portarmelo via da un momento all'altro. Non mi dirai che non posso venire dentro con te, perché lo farò comunque".
"Non hai poteri, Ailleann", sbraitò il marito con tono severo, "e non hai difese! Sarò già abbastanza impegnato a tirare fuori Charles da quel postaccio e a tenere a bada quei fottuti Maestri, non posso occuparmi anche di te. Non darmi un'altra preoccupazione".
"Ho detto che verrò dentro con te", puntualizzò lei, senza indietreggiare di un passo dalla sua posizione, "non ho detto che resterò a guardare mentre giochi con il Fuoco. Io mi occuperò di Charles. L'effetto sorpresa è l'unico elemento che gioca a vostro favore, no? Quindi non puoi certo concedere loro il tempo di riorganizzarsi mentre vai in giro a cercare tuo figlio per le stanze di Fulham".
Phoenix si strofinò nervosamente una mano sul viso, esasperato, cercando di tenersi stretto l'ultimo briciolo di pazienza.
"Non sai nemmeno dove andare", tentò di protestare una volta ancora. "Non conosci la casa, non ce la puoi fare".
Ailleann increspò un angolo della bocca, piegandolo in un mezzo sorriso, mentre negli occhi castani le si accendeva una scintilla di furbizia. Infilò una mano nella tasca del cappotto, tirò fuori il cellulare e, dopo aver armeggiato rapidamente con lo schermo, lo parò davanti alla faccia contrariata di lui.
"Si vede che qualcuno ha più fiducia in me di quanto non ne abbia tu", esclamò trionfante.
Phoenix le strappò l'apparecchio dalla mano e rimase a fissare inebetito l'immagine che brillava nella notte. I suoi occhi sgranati rimbalzavano istericamente dalla pianta di Fulham, completa di ogni stanza, porta, scala o corridoio, al nome che campeggiava in cima alla chat. Con il pollice fece scorrere le foto successive che illustravano, uno a uno, i piani della villa, fino ad arrivare agli ultimi due messaggi:
Sai che mi piace essere previdente.
Queste potrebbero servirti.
Eagle, che fino a quel momento si era tenuto discretamente in disparte, a seguire con Swan quella bizzarra discussione, gli si fece da presso. Incuriosito dalla sua espressione che oscillava tra la furia e la sorpresa, si chinò a studiare ciò che sembrava aver causato tanto trambusto.
Quando vide il mittente e il contenuto della discussione, non riuscì a trattenere una risata, a dispetto della situazione, della tensione generale e dello stesso Phoenix, che sembrava sul punto di voler stritolare il telefono, non avendo a portata di mano il reale responsabile del suo scorno.
Gli assestò una leggera pacca sulla spalla.
"Ti conviene obbedire, Phoenix", ironizzò facendogli il verso.
Ailleann si riappropriò del telefono con un'espressione soddisfatta. Senza aggiungere altro, attraversò la strada con passo deciso, dirigendosi verso la villa.
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Nota: L'espressione inglese Come Hell or High Water indica l'assoluta determinazione nel fare o nel portare a termine qualcosa, a dispetto di qualsiasi possibile difficoltà.
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