3.12 Chains of silver and chains of gold

"Hai pensato a come faremo?".

Silenzio.

Swan tese l'orecchio alla ricerca di un rumore, di un respiro, di una qualsiasi espressione che tradisse le emozioni del suo interlocutore.

"A proposito di cosa?".

La voce di Raven, dall'altro capo del telefono, aveva riacquistato la sua abituale freddezza e il distacco di chi sta facendo altro mentre discute distrattamente. Fingeva, ne era certa. Prese fiato e tornò alla carica.

"Del nostro legame. Come faremo?".

"Non mi sei sembrata tanto preoccupata delle conseguenze quando hai avuto la grandiosa idea di rafforzarlo ulteriormente".

Quella stupida esibizione di fastidio le fece perdere la calma.

"Oh, scusami tanto se ho pensato solo a salvarti...".

"Swan...", provò ad arginarla.

"Scusami se non riesco a immaginare la vita senza di te!".

Raven tacque di colpo. Nessuna replica, nessun tentativo di farla tacere. Se lo conosceva, e lo conosceva bene, si stava passando una mano sugli occhi e tormentando le tempie con le dita, cullato dal pensiero rassicurante che lei non poteva vederlo. Che nessuno poteva vederlo.

"Non ci credo che in tutto questo tempo tu non abbia pensato a come risolvere il problema", riprese la ragazza, prima che il silenzio tra loro mutasse da tensione in dolore.

"Risolvere il... diamine, Swan! Faremo semplicemente come abbiamo sempre fatto! Tu andrai avanti con la tua vita e io con la mia".

"Cazzate! Desideriamo entrambi qualcuno da amare. Come la mettiamo, se basta un solo sguardo a tradirci?".

Raven esitò. Non gli piaceva quel discorso. Fosse stato per lui, avrebbe continuato a procrastinarlo o addirittura a evitarlo per sempre. Credeva davvero che esercitare il controllo sarebbe stato sufficiente ma, dal momento in cui aveva tirato in ballo Swan, tutto era cambiato. Lei non era un tipo capace di accettare un simile compromesso. Non gli somigliava, sotto quell'aspetto.

"Ci deve essere un modo per tenere a bada quest'attrazione", continuò a insistere lei, anche se il tono della sua voce si faceva via via più rassegnato. "Non possiamo fingere per sempre. Non possiamo avere paura di ogni gesto, anche il più spontaneo, o evitare qualsiasi contatto per non creare disastri".

Ancora una volta non le giunse alcuna replica e lei interpretò quel silenzio come una condanna definitiva: se Raven non aveva una soluzione, era assai probabile che non ne esistesse nessuna.

Dalle labbra le sfuggì un gemito che attraversò lo spazio, ignorò le distanze e colpì dritto il cuore di lui, triste e desolato. Swan trattenne il fiato nell'istante in cui se ne rese conto, ma non tanto in fretta da camuffare l'ombra del pianto che le aveva scurito la gola. A quel punto era inutile cercare di nasconderla.

"È terribile", singhiozzò senza più trattenersi. "È così che dovremo stare? Intrecciati per sempre o separati per sempre, senza possibilità di scegliere?".

Aveva parlato come se lui le avesse tolto ogni speranza e forse, in qualche modo, l'aveva fatto davvero. Raven desiderò di colpo essere con lei. Desiderò poterla abbracciare. Desiderò possedere una risposta che non fosse crudele.

Magari non sarebbero così terribili come credi, queste catene.

Fu l'unica frase che gli venne in mente, ma non la pronunciò. Era la soluzione più semplice, ma non quella corretta. Le sue idee sull'argomento erano fin troppo chiare, ormai. Aveva compreso con lucidità la vera natura del suo sentimento. Ne aveva avuto la prova inconfutabile quella notte, quando Eagle si era precipitato tra le fiamme mentre lui era rimasto fuori a guardare. Quando aveva capito che lui poteva scegliere se lasciarla andare, Eagle no.

A voler essere brutalmente sincero, ciò che non aveva visto era solo ciò che non aveva voluto vedere. E se, di tanto in tanto, si era lasciato ingannare dalla speciale attrazione che lo legava a Swan, spesso l'aveva invece strumentalizzata per ingannare a sua volta. 

Accarezzò l'idea di attingere di nuovo a quella sua oscura capacità di modellare la materia viva. Conosceva il modo per richiamarla alla propria volontà. Se, per una volta, lo avesse utilizzato a fin di bene, per strapparla alle lacrime e portarla in salvo, forse sarebbe stata una manovra accettabile, dopotutto.

"Ascoltami bene", scandì deciso, "perché non te lo ripeterò un'altra volta: abbiamo sempre una scelta".

Lei non rispose, ma Raven sentì che aveva cacciato via le lacrime e che lo stava ascoltando.

"Pensa ai giorni dell'Opera. Legame o no, tu allora hai fatto una scelta, e hai scelto Eagle. Ricorda quello che hai provato. Quello che ti è successo".

"L'Opera... è stato tutto così caotico e frenetico...".

"Di sicuro lo è stato, e avrai avuto dubbi e paure come chiunque altro, ma... concentrati! Deve esserci stato un momento in cui hai capito che era quello che volevi".

Swan sembrò riflettere.

"C'è stato un momento", confermò infine con un filo di voce. "Non quello che puoi pensare tu... è stato dopo. Eagle ha detto qualcosa a proposito delle grandi emozioni che muovono il mondo. Ha detto... questo me lo ricordo... ha detto che non dovevamo avere paura di nulla perché avevamo obbedito all'amore".

A quelle parole, Raven provò quella forma di sollievo e insieme di intima soddisfazione che di solito sperimentava solo risolvendo una complessa equazione.

"È questa la soluzione che cerchi, allora", stabilì. "Il nostro è un vincolo elementare. Basico, addirittura. Nella gerarchia universale occupa un posto irrilevante di fronte alle grandi emozioni che muovono il mondo, come le chiama Eagle. È come paragonare un legame chimico forte con uno debole. O una catena d'oro con una d'argento, se preferisci. Non devi nemmeno operare una scelta: smetti di fare resistenza all'ordine naturale e obbedisci all'amore".

Per un istante ebbe l'impressione che lei ridesse piano tra le lacrime.

"La fai sempre facile, tu".

"No, sei tu che ti comporti in maniera irragionevole!", rise lui di rimando, con un tono che oscillava tra lo scherzo e l'affetto. "Tu vuoi la brezza che ti carezzi la faccia, ma non vuoi affrontare la tempesta".

"Senti chi parla...".

"Non è lo stesso. Io non la voglio, la tempesta, quindi rinuncio anche alla brezza. Ho sempre agito così. Ma tu... tu sei migliore. Dovresti almeno provare ad affrontarla, la tempesta".

Swan sospirò, rassegnata.

"Non ho idea di dove sia Eagle né di cosa stia facendo. Anche se trovassi il coraggio per affrontarlo, non saprei da che parte cominciare".

Raven tacque di fronte all'insicurezza della sua voce. Rimase immerso nei propri ragionamenti, così come Swan restava sprofondata nella sua tristezza. Entrambi si stavano accontentando di sentirsi respirare, aggrappati all'idea di non essere soli.

"Senti, Swan...", riprese dopo quella pausa. "Non ho mai raccontato a nessuno ciò è successo quando sei arrivata a Fulham. Eagle ha sempre pensato che tu fossi stata scelta perché avevi già manifestato il tuo potere spontaneamente, come è successo a me e a lui".

"Perché me lo dici? Hai paura che potrebbe reagire male, se lo scoprisse?".

Raven si lasciò sfuggire una risatina.

"Uhm, no. Conoscendolo, immagino che si concentrerà più sulle conseguenze che sull'accaduto. Verrà a spaccarmi la faccia, poi si preoccuperà di avermi fatto troppo male e mi offrirà da bere".

Lei non riuscì a ridere assieme a lui di quell'immagine come avrebbe dovuto. Intuiva che dietro la sua facile ironia si celava un discorso più serio.

"Allora perché me lo stai dicendo?", ribadì tesa.

"Perché, se raccontarglielo può esservi utile in qualche modo, allora è da questa parte della storia che dovresti cominciare".

֍

Quella chiacchierata con Raven le aveva lasciato addosso una strana emozione.

Fissò il display del cellulare. D'istinto, le dita andarono ad aprire la chat condivisa con Eagle. Una chat praticamente inesistente, in verità: dopo che lei gli aveva inviato il suo nuovo numero, non c'era più nulla. Nemmeno il messaggio che le aveva promesso.

Swan non aveva fatto altro che guardare lo sfondo colorato e uniforme per giorni. Per decine di volte al giorno, in verità. Quando si alzava la mattina o prendeva il caffè con Phoenix e Ailleann o badava ai bambini, sforzandosi di restare concentrata sulle loro richieste. Mentre la sua conversazione virtuale con Raven si affastellava di domande e commenti serrati, ritornando a essere attiva e vivace come non lo era più stata da anni, dall'altra parte regnava il silenzio assoluto.

Quella schermata vuota era come un buco nel cuore. Distruggendo il suo cellulare, Eagle aveva  cancellato ogni frase, dalla più romantica alla più banale, e ogni foto che si erano scambiati nel tempo. Aveva annullato ogni ricordo di loro senza nemmeno chiederle il permesso! Di contro, Swan intuiva che Raven continuava a essere al corrente dei suoi spostamenti, perché un paio di volte si era fatto sfuggire qualche dettaglio.

Perché Eagle ce l'aveva tanto con lei e, apparentemente, solo con lei? C'erano tanti frammenti in quella loro storia che non riusciva ad afferrare e a mettere insieme.

Senza pensarci troppo, digitò un semplice messaggio - Possiamo vederci? - e premette Invio, pregando di poter trovare in quelle due parole le sue risposte.

֍

Eagle aprì gli occhi. Sopra di lui la distesa di azzurro cielo era solcata da una flotta di nuvole paffute che procedevano svelte verso nord-est. Attorno a lui il silenzio era avvolgente come quello di un tempio. Affogare in se stesso era semplice in quello spazio che lo proteggeva dal mondo e gli innalzava l'anima, liberandola da ogni peso materiale.

Serrò di nuovo le palpebre, come se una fitta di dolore gli avesse attraversato il corpo. Gli sembrava che ci fosse troppa luce attorno, così forte da non poterla sopportare. Non riusciva, con le sole forze che possedeva, a ricacciare indietro quella valanga di emozioni tristi che lo stava schiacciando. Si era talmente abituato ad assorbire il dolore degli altri, da aver dimenticato come si faceva a tenere a bada il proprio. Eppure nessuno come lui sapeva che non era possibile vivere per sempre con un'anima lacerata. Si doveva andare avanti cercando in ogni momento di tenere le due parti in perfetto equilibrio, e non era impresa da tutti. Lui l'aveva fatto per anni, ma in quel momento l'oscurità sembrava aver preso vantaggio.

Sentì una voce concitata ripetere una frase in una lingua che non conosceva. Qualcuno gridava, ma era distante. Si girò a guardare, piegandosi sul fianco quel tanto che gli bastava per mettere a fuoco la situazione. Metri e metri più in basso dal punto in cui si trovava, un omino mulinava le braccia. Eagle lo studiò con curiosità per qualche istante. Sembrava parecchio agitato e... sembrava avercela proprio con lui!

Come se si fosse appena svegliato, Eagle inquadrò il panorama che aveva a sinistra, poi a destra. Forse non sarebbe dovuto salire in cima alla piramide. O forse non avrebbe dovuto sdraiarsi là sopra, ma quello era esattamente il punto in cui voleva stare.

Magari un giorno avrebbe studiato il messicano. Poteva tornargli utile. Mentre pensava così, agitò la mano sinistra. Il vento allontanò la voce e, un attimo dopo, un basso cumulo di nuvole avvolse la piramide, cancellando qualsiasi cosa stesse avvenendo alla base. Per un istante si sorprese di averlo fatto. Raven a volte usava il suo potere per gioco, lui mai. Dovette ammettere che, in quella situazione, era stato appagante.

Tornò ad appoggiare la testa sulla pietra polverosa e sollevò il braccio in alto. Aprì la mano a carezzare l'Aria. Era la sensazione che amava più di ogni altra, che aveva sempre amato da che ne aveva memoria. Perché lui la toccava davvero, l'Aria, ed era l'unico al mondo a poterlo fare. L'unico al quale non sfuggiva impalpabile tra le dita, perché per lui aveva una precisa consistenza e una reale solidità, ed era meravigliosa.

Di fronte a quell'emozione, gli vennero quasi le lacrime agli occhi. Quel contatto gli ricordava chi era veramente, chi era sempre stato. Senza macchie, senza incertezze. Poteva farcela, si disse. Poteva, ancora una volta, trovare la bellezza e usarla per riparare al male che aveva causato. Poteva colmare il danno e la morte cui si era venduto se avesse generato un bene più grande. Se avesse continuato a dispensare luce.

Ripensò a ciò che aveva provato quando era riuscito a creare la tempesta perfetta. Mai come in quel momento aveva compreso che l'intera esistenza era intessuta di pianti e sorrisi, di gioie e dolori, di chiarore e di ombra, tutti mescolati insieme, nessuno a prevalere sull'altro.

È tutto, tutto necessario. Perfino quello che sento adesso. Tutto necessario alla vita.

Allargò le dita e si lasciò attraversare dal vento.

Un attimo dopo tirò fuori il cellulare dalla tasca e se lo portò davanti al viso, oscurando in parte il quadro azzurro che gli invadeva la vista. Cominciò a fare scorrere il polpastrello sullo schermo, poi si soffermò su un messaggio... Possiamo vederci?

Lo studiò come se l'avesse letto per la prima volta, anche se era fissato lì ormai da settimane. Respinse la tentazione di rispondere e aprì un'altra app. Compose in fretta la parola London e attese il risultato della ricerca. Diede un'occhiata alle opzioni dei voli ma, un attimo prima di selezionarne uno, cambiò idea. Cancellò la destinazione. Esitò, poi scrisse Regina e restò a fissare lo schermo, mentre la sua mente iniziava a volare in alto assieme alle aquile.

֍

Per la prima volta in vita sua, Eagle si era concesso il lusso di farla aspettare. A Swan era sembrata una tardiva ripicca per le innumerevoli occasioni in cui lei non era stata puntuale, ma non aveva protestato. Si era costretta ad attendere in silenzio e, dopo un mese interminabile, la risposta era arrivata. Il testo si limitava a riportare un indirizzo di Londra e un orario.

Swan spinse le porte trasparenti del locale, titubante. Non era sicura che fosse quello giusto. Non c'era mai stata prima, non le ricordava nulla in particolare e non sembrava nemmeno il genere di posto che potesse piacere a Eagle. Era un ristorante molto chic, illuminato da eleganti ed elaborati lampadari che attorcigliavano le loro gemme dorate sopra tavoli scuri, ingentiliti da fiori freschi. Le vetrate trasparenti, dall'alto del trentaduesimo piano, lasciavano spaziare lo sguardo sulle luci della città che affogava nel blu della notte.

Una giovane sorridente le andò incontro, rispose con un cenno affermativo alla sua domanda e la guidò fino a un angolo riservato della sala.

Lui era già arrivato. Giocava distrattamente con un tovagliolo e non si accorse subito di lei. Swan non ricordava di avergli visto un simile abito addosso dai tempi delle Cerimonie e delle feste a Fulham. Anche i capelli erano stati ravviati con cura e fermati in un nodo dietro la nuca, lasciando libere solo due ciocche a incorniciargli il viso, ombreggiato da una leggera barba bionda. Nonostante il suo fascino, lei notò ugualmente che era nervoso. Lo intuì dalla curva contratta delle sue labbra, che si sciolsero in un sorriso solo quando la vide.

Eagle si alzò in piedi e la fece accomodare di fronte a sé. Swan rimase a fissarlo con gli occhi sgranati e senza riuscire ad articolare parola per parecchi minuti. Lui non sembrò farvi caso, impegnato com'era a versarle l'acqua e il vino ghiacciato preso dal seau à glace sospeso a lato del tavolo.

Il cameriere venne a prendere le ordinazioni, che Swan dettò meccanicamente. Nonostante la situazione perfetta e la musica rilassante in sottofondo, era tesa come la corda di un violino. Continuava a chiedersi che cosa stesse accadendo e quale sorpresa avrebbe dovuto aspettarsi da quella bizzarra cena.

Dopo essere riuscita a mandare giù appena un boccone della sua anatra affumicata ed essere stata sul punto di affogarsi, decise che era il momento di mettere fine a quella farsa.

Poggiò la pesante forchetta sul bordo del piatto facendolo tintinnare, poi squadrò Eagle.

"Allora, che significa tutto questo?".

Lui sollevò le ciglia chiare e la fissò tranquillo. Nei suoi occhi dorati nuotava uno strano sorriso, dolce e divertito al contempo.

"Volevo solo avere l'occasione per poterti finalmente conoscere, Rebecca".

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