Non l'aveva lasciata nemmeno per un istante. Il loro abbraccio sfidava l'infinito.
Le aveva tenuto il viso contro il suo petto per tutto il tempo e lei aveva ascoltato ogni suo respiro trattenuto, ogni sussulto.
Le ciocche scure si erano confuse tra i capelli argentei mentre le parlava piano. Non le aveva risparmiato nulla, nemmeno il più piccolo dispiacere. Mentre restavano stretti nella notte, uniti in quel contatto incredibile che sembrava proiettarli fuori dal mondo, Raven aveva raccontato ogni dettaglio. Aveva fatto rivivere per lei ogni sguardo, ogni movimento, ogni parola. Aveva ricostruito la memoria perduta di Swan con la propria dolente consapevolezza.
Lei era rimasta in silenzio, permettendogli di arrivare fino alla fine senza mai interromperlo. Con il fiato sospeso, aveva ascoltato, protetta dal suo petto, circondata dalle sue braccia, mentre la testa le andava a fuoco. I frammenti di quel ricordo cancellato riprendevano posto in modo sconnesso, eppure non poteva che credergli. Non poteva negare che tutto fosse vero. Crudelmente vero.
Quando la voce di lui si spense, nessuno dei due si mosse. Swan sentì che, se avesse perso il suo sostegno in quel momento, sarebbe precipitata. Si sentiva smarrita, incredula, confusa di fronte a qualcosa che sentiva di dover conoscere già. Si domandò se avesse mai davvero saputo chi era lei e chi era Raven. Si chiese quale fosse il vero scopo della loro esistenza e, a quel pensiero, sentì tutto il dolore di essere viva e di essere diversa.
Gli occhi le si riempirono una volta ancora di lacrime e si strinse ancor più contro Raven, incurante di avergli ormai inzuppato la camicia di pianto. Doveva di certo sentirle sulla pelle, quelle lacrime, ma forse non gli importava. Swan si accorse che anche lui stava piangendo silenziosamente, pur se tentava di nascondersi tra i suoi capelli con abilità.
"Mi odi, Swan?".
Quella domanda risuonò ovattata nell'ombra della notte, confusa dal loro abbraccio e dai leggeri singhiozzi di lei.
"No".
Quella risposta fu quasi un sussurro. Raven sospirò lievemente. Cercò di convincere se stesso, una volta di più, che doveva farsi bastare quel sentimento. Le aveva già chiesto troppo. Le aveva chiesto tutto. Non poteva avere altro da lei e quel pensiero gli spezzò il cuore.
"Vorresti il mio perdono?", gli domandò piano, ancora nascosta dal suo petto. "È questo che vuoi, vero?".
Lui la sbirciò da quella distanza che era davvero troppo, troppo ridotta per le esigue forze che gli erano rimaste, e si domandò se fosse quel contatto a permetterle di leggergli così chiaramente nel pensiero.
"È possibile", ammise.
"Non te lo darò", mormorò Swan contro la sua pelle.
Raven avvertì il colpo, le fibre del suo corpo che si tendevano per incassarlo. Faceva male, ma almeno era qualcosa che poteva comprendere. Era quello che si era aspettato fin dall'inizio. Si morse piano le labbra e annuì.
"Lo capisco".
"Non voglio perdonarti", ribadì lei, dopo una pausa che gli sembrò una silenziosa tortura. "Vorrei avere la forza per riuscire a ringraziarti".
La sua voce era ancora incrinata dal pianto, il suo respiro affannato e incerto. Sentendola tremare mentre tirava fuori quelle parole con la violenza di una mareggiata, a Raven mancò il terreno sotto i piedi. Gli sembrò che l'intero universo, attorno a loro e dentro di loro, si stesse condensando in un unico istante, per poi collassare in un solo movimento.
Mormorò il nome di lei come un tormento, poi lasciò scivolare le dita tra i suoi capelli, carezzandoli lievemente. Le prese il viso tra le mani e glielo sollevò per cercarle gli occhi. Erano rossi, tristi, umidi di rugiada. Cominciò ad asciugare le lacrime che le rigavano le guance con i polpastrelli. Come avrebbe fatto con la bambina che lei era stata. Come non aveva fatto anni prima, quando invece avrebbe dovuto.
Lei lo fissava con un'espressione spezzata nell'azzurro scintillante degli occhi, mentre cercava di ingoiare il pianto, di sedarlo senza riuscirci. Raven pensò che avrebbe potuto perdere la testa di fronte a quella valanga di sentimenti contrastanti e inespressi che li teneva ancora lì, legati senza scampo. Per la prima volta, si accorse che quel pensiero non aveva nessuna rilevanza per lui.
Senza più ragionare, prese a cancellarle le lacrime a piccoli baci. Leggere, rapide, del tutto incontrollate, le sue labbra disegnarono il bordo dei suoi occhi, carezzarono le ciglia bagnate, disegnarono la curva della sua guancia, raggiunsero la bocca. La corteggiarono un po', giocando al limite del baratro, e Swan non fece nulla per fermarle.
Era in balia delle sue braccia, della sua volontà, ancora impegnata a soffocare i singhiozzi, a placare il respiro accelerato. Raven la stava vezzeggiando e calmando con il suo tocco gentile. Era ipnotico e avvolgente sentire le sue labbra che la sfioravano come fiocchi di neve. E Swan adorava la neve. Adorava fermarsi per strada e farsi inondare il viso da quei minuscoli cristalli gelati.
Chiuse gli occhi e si abbandonò a quella sensazione consolante, che sembrava volerle riempire il cuore nel momento in cui credeva di avere solo un'enorme voragine nel petto. La bocca di Raven si fermò sulla sua, provocandole una fitta allo stomaco. Qualcosa di ancestrale in lei gridò di fermarsi, di respingerlo, ma la sua mente sembrava anestetizzata. La passione di Raven, il modo in cui le stava mordicchiando le labbra e le trasmetteva il suo fiato sembravano colmare il vuoto che provava. Le parve giusto, quasi doveroso che lui lo facesse. Che la riempisse d'amore e di devozione, baciandola come se le stesse chiedendo perdono a ogni respiro.
E davvero le stava chiedendo perdono, lui. Ogni centimetro che guadagnava appagava il suo desiderio febbrile di essere assolto, e in breve le labbra di Swan non furono abbastanza. Le strinse le braccia attorno alla vita e la sollevò contro il suo petto. Abbandonò il suo viso per seguire la linea della sua gola, indugiando devotamente nel piccolo incavo alla base del collo. Swan rovesciò il capo, gli serrò le dita tra le ciocche corvine. Continuava a tenere gli occhi chiusi, mentre la testa le girava come se avesse bevuto per tutta la notte. Non riusciva a trovare un equilibrio che non fosse quello che lui le dava. Raven infilò le mani sotto il suo maglione, cominciò a carezzarle la schiena, inebriato dal pensiero di sfiorare la sua pelle, una volta ancora. Sotto il suo tocco esperto, Swan sussultò e sembrò prendere fuoco. Non una parola, non uno sguardo. Precipitarono senza nessun reale assenso in quella spirale di sensi.
Raven la spinse verso l'interno dell'appartamento mentre le sfilava il maglione e lo lanciava a terra. Swan iniziò a sbottonargli la camicia, ma non riuscì a terminare il suo compito perché si ritrovò distesa sul divano, con il suo corpo e la sua bocca addosso. Si arrese, lasciò che lui iniziasse a venerare il suo corpo seminudo di baci.
La testa continuava a girarle. Se apriva gli occhi le sembrava che l'intera stanza ruotasse attorno a loro. Voleva piangere e sparire, e nello stesso tempo voleva annullarsi tra le braccia di Raven. Voleva cancellare ogni ricordo e ogni dolore.
Voleva affondare.
Pensò a Eagle e, con tormento, si disse che dopo quella notte tutto sarebbe stato più semplice. Lui non l'avrebbe mai rivoluta, non a quel punto. Per una volta avrebbe deciso lei per entrambi, cancellando ogni possibile dubbio o ripensamento. Si stava sbarrando la strada da sola, per evitare dolori futuri. Raven aveva detto il vero: loro erano uguali. Forse non sarebbero mai riusciti davvero a interessarsi della felicità dell'altro, ma l'Inferno sarebbe stato migliore se potevano attraversarlo insieme.
Sarebbe affondata.
"Zia Swan!".
La voce assonnata di Charles, dalla stanza accanto, fu una doccia talmente gelata da cristallizzare l'intera stanza. Raven si immobilizzò ed entrambi si guardarono negli occhi nel medesimo istante, come non avevano fatto ancora.
Lui si sollevò senza fare rumore e Swan scivolò giù dal divano, correndo a raccattare il maglione abbandonato.
"Che c'è, Charles?", rispose di rimando, cercando di nascondere il tremore della voce.
"Non riesco a dormire", piagnucolò il bambino. "Ci sono i mostri, qua sotto".
"E i demoni nella stanza accanto", mormorò Raven, senza riuscire a staccare lo sguardo dal viso cereo e atterrito di lei, che si era rivestita in un lampo prima di precipitarsi in camera da letto senza accendere la luce.
֍
Quando Charles si fu riaddormentato, Swan sgusciò in silenzio dalla stanza, richiudendo la porta con cautela. Il salotto era deserto. A meno che Raven non fosse scappato, le restava un solo posto in cui cercarlo.
Uscì sul terrazzo muovendosi piano, come se non volesse farsi sentire. Lui era fuori, perfettamente in ordine. Stava finendo il suo sigaro assieme a un altro bicchiere di whisky. Il tempo sembrava essersi riavvolto su se stesso, cancellando ogni traccia di ciò che era accaduto. Era passato il momento, era passato per sempre. Lo sguardo freddo e distante di Raven gliene diede conferma, se mai ne fosse servita una.
"Sembra che questa notte io sia condannato a chiederti scusa in continuazione", commentò lui con estrema calma.
Swan rispose con un gesto distratto, suggerendogli di lasciar perdere, ma Raven scosse il capo e tornò a fissarla serio.
"Davvero, ti devo delle scuse per il mio comportamento. Adesso finisco il mio whisky e torno a Fulham. Preferisco non dormire qui. E ti prometto, su ciò a cui tengo di più, che quello che ho fatto prima... insomma, non accadrà mai più. Come sempre, ho pensato solo a quello che io provo".
Prese una pausa, piegò appena il capo per guardarla meglio.
"E che tu non provi", puntualizzò.
Lei non si sentì in dovere di cercare una cortese bugia per smentirlo. Si limitò a increspare lievemente le labbra e gli si fece appena più da presso.
"Allora non chiedere scusa", rispose piano, appena gli fu di fronte, "perché siamo davvero pari, adesso".
Si sedette sulla poltrona con un movimento lieve, mentre lui restava davanti a lei, con le gambe incrociate e la mano che giocava con il bicchiere semivuoto.
"È vero quello che hai pensato di me: non sono poi così corretta come pretendo di essere".
"Sei confusa, Swan. E sei arrabbiata. Con me, con te stessa, con la vita, non lo so. Hai fatto molte cose avventate in passato, questo è certo, ma ti conosco abbastanza: non riusciresti mai a fare un torto a Eagle solo per capriccio".
Lei lo interruppe scuotendo il capo.
"Stavolta non è una questione tra te e lui", chiarì con voce dolce ma decisa. "Non devo scegliere tra voi due, Raven. Stavolta devo scegliere me. Spero che almeno tu capisca cosa intendo, perché non so se Eagle l'ha capito. Ho bisogno di scoprire davvero chi sono e cosa voglio. Ho bisogno di darmi un senso. Sono stata cresciuta con la convinzione di essere uno strumento e non una persona e, da quando ho smesso di avere uno scopo... be', non sono mai riuscita davvero a trovare il mio posto. Per tutto questo tempo ho pensato a me stessa come la compagna di Eagle, e in realtà non è stato un gran progresso, visto che prima pensavo solo di essere la tua".
Raven, di fronte alla sua espressione un po' spersa, si lasciò sfuggire una risata gentile, poi assentì lievemente.
"E adesso vuoi scoprire chi è davvero Rebecca, giusto?".
Lei si stupì nel sentirgli pronunciare quel nome. Raven non andava mai contro le regole. Non in maniera tanto manifesta, almeno. Quella trasgressione le suonò alle orecchie come una sorta di incoraggiamento. Sentì crescerle dentro un po' di calore e la sicurezza di cui sentiva il bisogno.
"Be', penso che adesso tu abbia un buon punto di partenza", proseguì Raven. "E sono felice di essere almeno servito a qualcosa. Di averti restituito il pezzo che ti mancava".
Si avvicinò a lei, si chinò per lasciarle un bacio tra i capelli, proprio come aveva fatto nel loro terribile ricordo di bambini.
"Mi prenderò cura di te fino alla fine. Te l'ho promesso allora e non lo dimentico. Farò il possibile per aiutarti a ritrovare te stessa. Senza altre stupidaggini".
Poggiò il sigaro ormai spento sul posacenere accanto all'ingresso, poi si mosse verso il salotto con aria distratta.
"Per la cronaca", le lanciò un attimo prima di sparire all'interno, "Eagle l'ha già capito, altrimenti non saresti qui. Perché lui ci crede davvero a quella faccenda che tutti meritano la loro opportunità".
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NOTE E SOUNDTRACK:
"All water has a perfect memory and is forever trying to get back to where it was".
"L'acqua ha una memoria perfetta e cerca sempre di ritornare da dove è venuta".
In questa frase di Toni Morrison ho visto un inizio e una fine, una causa e la sua diretta conseguenza. Un segno circolare iniziato nel passato e che trova infine il suo punto di origine. Per questo ho deciso di usarla come titolo in due capitoli che racchiudono idealmente questo percorso.
Quanto alla musica... be', "questo non è amore, è evidente... ma puoi sdraiarti accanto a me così non farà male" 😉 Il brano che vi lascio da ascoltare con questo scena è Stay with me di Sam Smith:
"Guess it's true, I'm not good at a one-night stand
But I still need love 'cause I'm just a man
These nights never seem to go to plan
I don't want you to leave, will you hold my hand?
Oh, won't you stay with me?
'Cause you're all I need
This ain't love it's clear to see
But darling, stay with me
Why am I so emotional?
No it's not a good look, gain self control
And deep down I know this never works
But you can lay with me so it doesn't hurt
Oh, won't you stay with me?
'Cause you're all I need
This ain't love it's clear to see
But darling, stay with me"
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